giovedì, novembre 21

A F.K. (che sta per Franz Kafka) di Coucou Sèlavy




A F. K.
Facile amare ciò che è morto, non più macchiato dall'agire, restituito alla verginità, al candore dell’incompiuto, al possibile oblio; più facile conoscere e naturalmente riconoscere qualcuno da morto che da vivo. Vi è una corsa a precipizio, certo, verso ogni finire: e i santi sono sempre morti, i poeti pure, i vivi soltanto sembrano paraculeggiare. Essi presentano ancora troppa materia, la rigettano e la rincorrono intermittentemente, insomma vi si invischiano affaccendandosi molto, mentre i morti di materia non ne hanno più –mondati, si sono fatti mondo – e vengono dunque serviti e riveriti con l’ossequio altrimenti indirizzato (ma non senza un certo disprezzo) ai potenti in vita. La comunità umana è stata edificata sulla morte e sui morti.
Tu dicevi che i peccati capitali sono due, l’impazienza e la pigrizia: l’impazienza per la quale l’uomo è stato cacciato dal paradiso, e la pigrizia che gli impedisce di tornarvi. A tal proposito, non è forse vero che i morti abbiano esorcizzato alla fine tale impazienza fino a liberarsene, a librarsi altrove tralasciando la bacchetta e il Libro di Prospero? Quanto alla loro proverbiale pigrizia – peraltro infinita, non schiodano più dai loro anfratti – non trovando più il suo contrario, essa svanisce.
Ma dove saranno i morti, e dove giacciono i vivi, gli estinti antichi e recenti, mummificati o trapassati da altra biologia, quali il Prima e il Dopo, l’Avantindietro, la reazione e l’avanguardia? Così, amico mio, cortesemente imploravi: “Il mondo è già nostro, ed è per questo che ti pregherei di non agitarti così. Cosa sono mai queste braccia aperte ad angelo, lateralmente, oppure tese in avanti ad angolo retto, desiderose di nuovi sonnambulismi, cos’è questo voltarsi indietro col capo solamente? C’è poco spazio, poca dinamica, e noi dobbiamo avvitarci come cavatappi per andare giù, giù, giù…”


Coucou, Sèlavy!

Nessun commento:

Posta un commento