martedì, dicembre 10

Appunti per una "ricerca Vocale" 2016 di Coucou, Sèlavy



APPUNTI PER UNA "RICERCA VOCALE" (2016)
Spesso mi parlano di "ricerca vocale"; per quanto la questione sia molto complessa, vorrei dedicare alla suddetta espressione queste poche parole (un'istantanea): una piccola deviazione, o precisazione, che mi sembra necessaria.
"Per quanto mi riguarda non si tratta di 'cercare' né tantomeno di 'ricercare' (che alluderebbe evidentemente all’aver già cercato quanto si cerca ancora, presumendo di sapere chi o cosa si nasconda); ciò implicherebbe un obiettivo, per quanto occulto, occultato – i confini fra fede e positivismo sono relativi – e la volontà di pervenire ad un qualcosa, oasi nel deserto o poltrona all’inferno che sia. Non è possibile scindere un cosiddetto lavoro vocale (così come una scrittura, un qualunque tracciato, oppure uno studio inteso come confronto con un esistente, seppure celato) dal caleidoscopio reticolare delle visioni, delle relazioni. Nemmeno è questione di assumere delle identità: di distruggerle sì, anche, ed è sempre, ugualmente, un doveroso fallimento. Viene meno il problema del ripetersi o non ripetersi, del fare altro o meno… poiché nulla al mondo si ripete allo stesso modo, persino il rito ancestrale della rotazione terrestre, del giorno e della notte, non è mai un evento esattamente replicabile. Dunque è nel vuoto di quell’infinito che ci muoviamo, mentre la vita sembra ripetersi, in balìa di destini o meccaniche da psicanalisi, eppure nulla ritorna veramente.
Ogni rinnovamento si misura respiro dopo respiro, senza alcuna ipotesi di evoluzione o percorso, semplicemente nella diversità, nella unicità, in flussi di attimi, di istanti. Per questo non ha senso la valutazione di un 'lavoro vocale', di una 'ricerca', di una 'scrittura' o quant’altro, specie in rapporto a coordinate temporali, perché ci si riferirebbe ancora a tecniche, scelte, procedimenti … tecniche, scelte e procedimenti dai quali avvertiamo piuttosto, di volta in volta, l’urgenza di spogliarci, sottraendoci non tanto ad una certa consapevolezza, probabilmente ineludibile, ma proprio all’idea stessa del servirsi, dell’attingere a qualcosa di esistente, definibile, reale, tangibile, magari conquistato e per sempre, quando i servi e gli attinti siamo noi, l’universo, se non possiamo che creare relazioni fra noi e noi stessi, noi stessi, noi stessi... Non l’altro da sé, ma gli altri sé. Sempre noi: indefiniti, anche quando dall’infinito ci ripariamo giocandoci a nascondino. Persino allora, in fondo al fondo di vene che promettono contorni poco credibili, non sappiamo davvero chi sia a cercare e chi a nascondersi".
 Coucou, Sèlavy

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