GENIUS
New York degli anni 20 il giovane scrittore alto due metri Thomas Wolfe conosce l'editore Max Perkins dopo avergli consegnato il primo manoscritto e da quel momento i due uomini si legano in un'amicizia stretta e complicata.
“Genius” è tratto liberamente dalla biografia su Max Perkins, l’editore che nel 1919 scoprì talenti letterari immortali come Fitzgerald, Hemingway e Thomas Wolfe.
Il regista Michael Grandage concentra tutta l’attenzione sull’incontro tra Perkins e quest’ultimo, scrittore geniale dalla personalità ingombrante. Il loro incontro presso la casa editrice newyorchese Scribner's Son è l’inizio di un lungo sodalizio artistico ma anche di una grande amicizia, che terminerà solo con la morte prematura di Wolfe a soli 38 anni per tubercolosi cerebrale.
Il regista teatrale Michael Grandage racconta, con qualche licenza poetica, la storia dello scrittore che con il suo stile ha anticipato molto quello della Beat Generation.
E’ chiaro dalle prime inquadrature di “Genius” che tutto il film ruota intorno al legame tra il rigoroso Perkins/Colin Firth e il vulcanico Thomas Wolfe/Jude Law. I due sono due facce della stessa medaglia e si completano reciprocamente. Il loro rapporto sarà totalizzante e finirà per mettere in crisi anche quello con le loro compagne. E’ così per Wolfe, legato alla ricca Aline Bernstein/Nicole Kidman in una relazione a dir poco altalenante, ma anche per l’editore padre di famiglia integerrimo sposato con Louise/Laura Linney.
L’editore, riesce a domare parzialmente il genio ribelle del suo autore, diventandone il suo Pigmalione, ma viene anche risucchiato in un rapporto a tratti malato, come tutti quelli che aveva Wolfe con chi gli voleva bene. Il regista segue l’evoluzione dei due personaggi con i tempi giusti, inquadrandoli perfettamente nel contesto storico che stanno vivendo. Perkins è descritto come il padre fondatore della grande editoria del 900, mentre negli Usa si comincia a sentire la crisi economica che culminerà con la grande depressione del 1929.
Lui riesce a canalizzare in grandi opere la bulimia di Wolfe, che non ne ha mai abbastanza di musica, amore e alcool, e ovviamente di parole, troppe per essere pubblicate senza un qualche taglio strategico e artistico. É questo il cuore pulsante di “Genius”, un grande film classico nel suo stile rigoroso e pulito con un cast stellare che riunisce insieme tanti nomi importanti. La perfetta ricostruzione storica degli ambienti e dei costumi proietta lo spettatore negli anni 20’/30’, la splendida fotografia fa da complemento all’opera.
Firmata da un acclamato regista teatrale, quest’anomala biografia letteraria entra in modo preciso anche se non sempre appassionante nelle pieghe di uno dei lavori più complessi e insieme più nascosti che esistano, quello dell’editor (all’epoca esisteva quello letterario, ora anche quello cinematografico).
Max è forse il più famoso dei responsabili del “parto” di grandi opere letterarie; oltre che con Thomas Wolfe, Perkins lavorò con Hemingway e Scott Fitzgerald, che qui compaiono in brevi cammei. Il cinema è da sempre affascinato dalla creazione letteraria, ma uno scrittore all’opera è assai meno affascinante di un artista. Qui Jude Low sfodera tutto il campionario del genio focoso e incompreso, destinato a luminosa quanto breve parabola di successo, catturando la nostra simpatia umana con la sua triste parabola. Il Perkins di Colin Firth, oltre che correggere a penna e a tagliare in abbondanza le opere fiume di Wolfe, se ne fa carico accogliendolo in casa e condividendo con lui un pezzo di vita.
L’intensissimo rapporto tra i due nella furia creativa diventa totalizzante e finisce per creare scompensi sia nella vita famigliare di Perkins che a suscitare anche le gelosie dell’amante di Wolfe. Il contrasto tra l’uomo di famiglia misurato di Firth e il gigionesco artista di Law è da manuale ed è il cuore di tutta la storia.
Il film stato presentato al Festival di Berlino del 2016 in lizza per l’Orso d’Oro, dove è stato surclassato dalla vittoria di Fuocoammare di Gianfranco Rosi. Non conosco Fuocoammare e sono ben felice che abbia vinto un film italiano, ma a mio parere avrebbe meritato di essere premiato anche GENIUS.
Diretto da Michael Grandage, il biopic racconta il rapporto particolare di due figure molto diverse tra loro, quella geniale e disordinata dello scrittore, incapace di darsi un tono, e quella più pacata, meditativa e talentuosa di Perkins, vero genio in grado di dare il giusto significato alle parole, conservando quelle che contano.
Se vi incuriosisce la storia, scoprite cosa c’è di vero su questo film.
Il libro è tratto dalla biografia “Max Perkins: l’editor dei geni”, pubblicata nel 1978.
Come viene mostrato nel film, tra i giovani autori scoperti da Max Perkins ci sono F. Scott Fitzgerald (Il grande Gatsby) ed Ernest Hemingway (Addio alle armi). Il successo arrivò tuttavia con la scoperta di Wolfe, autore di straordinario talento ma indisciplinato, irrequieto ed eccessivo.
Come si vede all’inizio del film, prima di trovare il successo grazie a Max Perkins e alla Scribner's, i libri di Thomas Wolfe furono davvero rifiutati da diverse case editrici. Il primo manoscritto fu di oltre 1.000 pagine (il triplo rispetto al numero di pagine salvate nel racconto) e Perkins tagliò tutto il necessario prima di editarlo.
Nel 1936 Thomas Wolfe comunicò all’editore di non voler più proseguire con la collaborazione. Il risentimento dell’autore era principalmente dovuto al fatto di trovarsi di fronte ad un libro che, a causa delle continue revisioni e tagli, non sentiva più suo e dove la gente riconosceva solo il genio di Perkins. Per un autore, è difficile accettare quei tagli, è come se gli fossero stati praticati tagli nel cuore, o che avessero ucciso le sue creature. A questo ci si deve adattare, poiché anche l'editore ha le sue esigenze, non ultima quella di poter presentare un libro leggibile, piacevole e soprattutto che porti grossi proventi.
Wolfe amava scrivere e aveva un oggettivo problema con la lunghezza dei suoi testi. Come si nota dal film, tra autore e editore avvenivano frequenti scontri sulla quantità di parole inutili ai fini del racconto. E mentre Wolfe aggiungeva pagine, Perkins limava accuratamente. La pubblicazione del secondo romanzo richiese due anni di duro lavoro. Il titolo del suo primo libro fu scelto da Perkins assieme al suo collega John Hall Wheelock.
La compagna dello scrittore, Aline Bernstein, interpretata nel film da Nicole Kidman, aveva 20 anni più di Wolfe, mentre nel film risulta essere di poco più di 5 anni. Il tentativo di suicidio di Aline non fu frutto di una finzione. La donna tentò davvero di togliersi la vita, e la situazione fu molto più drammatica di quanto descritto nel film, e richiese anche l’intervento di un medico.
Secondo lo sceneggiatore, ci sono voluti quindici anni per realizzare questo film. Ma chi era questo straordinario autore?
THOMAS CLAYTON WOLFE
(Asheville, 3 ottobre 1900 - Baltimora, 15 settembre 1938) è stato uno scrittore e poeta statunitense. È famoso soprattutto per i suoi romanzi, nei quali mescolando una scrittura originale, poetica, rapsodica e impressionista, con elementi autobiografici descrisse la varietà e la diversità della cultura statunitense. Scrisse anche molti racconti brevi e alcune opere teatrali. Il suo stile ha influenzato Jack Kerouac e la Beat Generation, e gode dell'ammirazione di numerosi scrittori contemporanei.
Wolfe ricevette presto vari riconoscimenti come poeta, ma cominciò a orientare i suoi primi sforzi verso il teatro, con i due drammi The Return of Buck Gavin e The third Night, quest'ultimo allestito dalla Carolina Playmakers.
Nessun editore comprò il dramma e Wolfe, abbattuto, accettò un posto da insegnante all'università di New York, lavoro che occuperà i successivi sei anni della sua vita.
Nell'ottobre del 1924 partì per l'Inghilterra per recarsi poi anche in Francia e in Italia. Nell'agosto dell'anno successivo, durante il viaggio di ritorno verso New York, incontrò Aline Bernstein, una donna sposata di quasi vent'anni maggiore di lui, la quale fu il grande amore della sua vita. La loro relazione fu molto turbolenta.
Ritornato a New York scrisse a tempo pieno e completò il romanzo nel 1928. La ricerca di un editore fu alquanto ardua, in primo luogo per la lunghezza del manoscritto (350.000 parole) e pure per la difficoltà di inserirlo in un genere letterario ben preciso.
Frustrato per i continui rifiuti, mentre si trovava all'Oktoberfest, Wolfe fu coinvolto in una rissa che lo costrinse al ricovero in ospedale e che lo ispirò nella scrittura di un episodio dal titolo The October Fair, mai dato alle stampe. Due settimane dopo ricevette la notizia che la prestigiosa casa editrice newyorchese Scribner's Sons era interessata al suo romanzo. Il 2 gennaio 1929 incontrò a New York Maxwell Perkins, il più famoso curatore editoriale del tempo, scopritore di Hemingway e Scott Fitzgerald.
Perkins diventò il curatore editoriale anche di Wolfe e spinse quest'ultimo a cambiare profondamente la struttura di O Lost, accorciandolo di molto. Decisero anche di cambiarne il titolo in Angelo, guarda il passato, prendendo ispirazione da un poema di John Milton.
Scrisse molte bozze per un secondo romanzo, ma Perkins le rifiutò tutte. Fu proprio da Perkins, però, che venne l'idea di scrivere il seguito di Angelo, guarda il passato, e fu lo stesso Perkins a presentargli Elizabeth Nowell, la quale curò con successo l'edizione dei racconti brevi di Wolfe.
Nel dicembre del 1933 un secondo romanzo era pronto e Wolfe lo portò a Perkins; si intitolava The October Fair, un'epopea in più volumi sulla falsariga di Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust. Perkins, dopo aver considerato le potenzialità commerciali di un libro così strutturato, decise di tagliare pesantemente il romanzo fino a farlo diventare un singolo volume, che prese il titolo di Il fiume e il tempo. Quando uscì nel 1935, il romanzo era molto diverso dall'idea iniziale di Wolfe, che, frustrato, partì per l'Europa, in un viaggio che toccò Francia e Germania, dove era molto amato.
In patria, dopo un primo momento di entusiasmo, ricevette critiche per l'antisemitismo presente nel romanzo. In questo periodo vennero a galla i risentimenti di Wolfe verso Perkins per essersi preso tante libertà nella revisione del romanzo e per aver rifiutato gran parte delle bozze.
Ripartì per la Germania dove assistette alle olimpiadi del 1936, e trovò nel paese un'atmosfera di oppressione. Scrisse una storia sul regime nazista ispirata dalla sua visita e intitolata Have a Thing to Tell You. Quando ritornò in patria troncò le relazioni con Perkins e la Scribner's.
Nell'estate del 1938 partì per lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti, esperienza riassunta nel libro A Western Journal. Durante una sosta a Seattle divise una pinta di whisky con un vagabondo che era probabilmente ammalato di influenza. Wolfe fu contagiato. I primi sintomi si manifestarono mentre stava navigando da Victoria a Vancouver, il 6 luglio. Invece di farsi curare, decise di ritornare a Seattle e solo l'11 del mese fu visitato da un dottore, il quale gli diagnosticò la polmonite.
Fu trasferito a Providence, dove una radiografia evidenziò una vecchia lesione tubercolare a un polmone. Col passare delle settimane la sua condizione si aggravò; il 6 settembre soffrì di un violento mal di testa e fu trasferito a Baltimora, nel Maryland, al Johns Hopkins Hospital, dove c'erano mezzi più adeguati per curarlo. Il 10 settembre fu tentato un intervento chirurgico al cervello per capire le cause della sua malattia, che si rivelò una forma di tubercolosi cerebrale, ormai avanzata ed estesa a un intero lobo del cervello. Wolfe non riprese più conoscenza e morì il 15 settembre.
Danila Oppio
Articolo basato su una selezione e miscellanea di articoli e recensioni sull'argomento, ripresi dal Web, con l'aggiunta di impressioni personali.
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