POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

sabato, agosto 23

MORTI DUE VOLTE PERCHE' DI SECONDA MANO di PADRE MAURO ARMANINO

Morti due volte perché di seconda mano

La rabbia del vento: dall’uranio al Sahel

Si può nascere più di una volta e, appunto, morire più di una volta. Tutto dipende dal luogo, dal momento e soprattutto dalla ‘qualità’ del deceduto. Tra vita e morte c’è una un’esigua passerella che permette di attraversare il fiume che congiunge i due momenti. Come dire che le due realtà non sono affatto separabili e l’una riflette l’altra. Nascere, ad esempio, in quella porzione d’Africa chiamata Sahel e più specificatamente nelle ‘Tre Frontiere’, Burkina Faso, Mali e Niger, non è lo stesso che nascere in un Paese come l’Italia. Non è questione di fortuna e neppure di cieco destino ma solo parte di quell’insondabile mistero che è la vita umana. Esso è in parte scritto e in parte da scrivere nella quotidiana umana avventura che ci ostiniamo a chiamare storia. Per dire, in forma diretta, che se uno contava poco da vivo, perché scartato, irrilevante o, addirittura invisibile, si porterà le stesse caratteristiche anche da morto. Per il mondo che decide ciò che è degno di nota, essere uccisi dai gruppi armati nel Sahel non è lo stesso che esserlo in Ukraina o nel carcere a cielo aperto di Gaza.

L’anno scorso i conflitti armati riconosciuti, ripartiti in 36 Paesi, sono stati 61. L’Africa rimane il continente più toccato assieme all’Asia. Peraltro, secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa, i conflitti armati sarebbero oltre 120, un record dal 1946. Molti di questi sono lontani dagli schermi televisivi, le cronache o i mezzi di comunicazione che ‘contano’ e dove i morti, appunto, muoiono due volte. La seconda per dimenticanza, distrazione, censura o ignoranza. Lontani e invisibili da vivi lo sono stati anche da morti. Nel Sudan, preda di una guerra tra le forze armate governative e forze paramilitari, una quarta guerra (in)civile, dal 2023 ad oggi, ci sono stati centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati e rifugiati. Durante la sua permanenza nel Niger chi scrive ha avuto modo di incontrare e talvolta sostenere decine di rifugiati originari del Sudan. La guerra lontana diventava in modo insolente e drammatico il volto di donne, giovani e bambini nati nel frattempo in esilio.

Nelle poche settimane che mi separano dal ritorno in patria è stato inutile o impossibile sentirne parlare. Morti due volte, considerati lontani e di poco peso, proprio come hanno vissuto. O allora nella Repubblica Democratica del Congo, ex Zaire, dove si è trovato e portato via l’uranio che avrebbe permesso la costruzione e l’uso della prima bomba atomica. Questo immenso Paese ha conosciuto uno dei conflitti più mortali dopo la Seconda guerra mondiale. Si stima che i morti per le guerre che si sono succedute dal 1994, la crisi nel Ruanda, ad oggi, siano stati circa 6 milioni e altrettante le persone sfollate. Conflitti armati, spesso motivati per la rapina delle preziose risorse minerarie, che perdurano fino ai nostri giorni, con silenzio e la complicità dei paesi interessati alle terre rare. Non molti sapevano di questa ‘terza guerra mondiale’, lontana e misconosciuta anche e specialmente perché africana, continente, come disse un noto presidente francese a Dakar, fuori della storia.

In dieci anni, secondo il Centro per gli Studi Strategici per l’Africa, nel continente vi sono stati circa 150 mila morti a causa del terrorismo ad opera di gruppi armati militanti ‘islamisti’. I 22.307 morti di quest’anno, legati a questi gruppi, rappresenta un livello record di letalità. Quasi la metà dei morti segnalati si è prodotta nel citato Sahel. Morti nel vento e nella polvere della dimenticanza e l’apparente inutilità. Morti di seconda mano, contadini per la maggior parte, già ai margini per abitudine o per noncuranza. Gente di poco peso e per i quali pochi sarebbero disposti a prenderne le difese o la causa. Morti come quelle cosiddette ‘bianche’, anch’esse accadute senza lasciare troppe tracce. Nel mondo sono in realtà una vera e propria guerra e si stima che si tratti di tre milioni di persone morte nel mondo in seguito ad incidenti o malattie legate al lavoro. In crescita rispetto ad anni precedenti anche per l’aumento della mano d’opera mondiale. Contare di più nella vita per non passare inosservati nella morte. Questa è prima missione della politica.

        Mauro Armanino, Casarza Ligure, agosto 2025

sabato, agosto 16

ASSEDIATI E ASSEDIANTI A NORD DEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

 Assediati e assedianti a nord del Sahel


Non ci sono assediati senza assedianti. L’uno e l’altro vanno assieme e non è sempre agevole definire i confini tra le due complementari realtà. Se qualcuno ha letto la storia umana come lotta di classe si potrebbe anche interpretarla come antagonismo tra oppressi e oppressori o allora tra assediati e, appunto, assedianti. Il recente ed ennesimo dramma che proprio in questi giorni ha contribuito ad allungare la lista dei morti nel mare Mediterraneo di Lampedusa, ne rende difficile se non impossibile la determinazione.


 Chi, in questo caso erano gli assediati o gli assedianti rimane una questione aperta secondo da quale punto di vista si legga la vicenda e si usino le parole per descriverla. A nord del Sahel c’è il deserto del Sahara, il Maghreb, il Mediterraneo come ‘Mare Nostro’ e poi le prime avvisaglie dell’Europa meridionale. Chi assedia e chi è assediato è da precisare o scongiurare ogni volta.
L’assedio è inteso come un’operazione di accerchiamento di un luogo per impedirne l’uscita o l’accesso. E’ il caso di numerosi villaggi e città nel Sahel centrale come in altre regioni del continente. Sono letteralmente accerchiati da gruppi armati di matrice ‘djhadista’ spesso gemellati col banditismo che punta all’accaparramento di beni, risorse, armi e droga. In questi casi tutto si complica soprattutto per la penuria dei beni di prima necessità e, in specie per una parte dei giovani, l’adesione ai gruppi armati diventa uno dei modi possibili per sopravvivere. L’assedio si impone come una forma particolare di violenza dove la presenza dello stato brilla per la sua assenza. Applicato talvolta per anni è in grado di mutare la vita economica, sociale e politica di intere porzioni del Continente. A volte assediati e assedianti sembrano declinarsi con contorni ben definiti.
Attorno allo stesso Mediterraneo si trova l’altro e innominabile dramma della terra di Gaza, in Palestina-Israele. Assediati e assedianti, ancora loro, sembrano definirsi agevolmente, se vogliamo essere onesti con la realtà, per chi incarna l’uno o l’altro. La citazione di Marek Edelman, 


uno dei capi resistenti, assediati nel ghetto ebreo di Varsavia dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale è illuminante. David Rosenberg, in un discorso del 2017 conclude con le parole di Edelman, dichiarato persona non grata in Israele. Egli testualmente affermava...’ Noi combattiamo per la dignità e la libertà. Non per un territorio o un’identità nazionale...essere ebreo significa stare sempre dalla parte degli oppressi e mai con gli oppressori’. L’assediato può trasformarsi nel tempo e secondo le circostanze in assediante e chi era perseguitato in persecutore. 
Queste ben conosciute mutazioni attraversano la nostra storia personale e collettiva. L’Europa da continente ‘migrante’ si è gradualmente tradotto in terra di destinazione per immigrati. In Italia, tra il 1876 e il 1915, la ‘grande emigrazione’, sono partiti circa 30 milioni di connazionali, in parte poi rientrati in patria. L’Europa dichiarata in stato di ‘assedio’ da parte di forze politiche che trescano e fomentano la paura trai cittadini era la stessa che ‘assediava’ altri continenti, per lavoro e soprattutto col colonialismo. La frontiera tra assediato ed assediante è labile e attraversa ogni persona, società e civiltà. Esattamente come quella tra oppresso e oppressore, colonizzato e colonizzatore perché, ricordava il Martinicano naturalizzato algerino Frantz Fanon, nel colonizzato si nasconde il colonizzatore. 


Per questo c’è chi sceglie di stare sempre e in ogni caso dalla parte degli oppressi.



Statua dei migranti


15 agosto 2025 Festa dell'Assunta


15 agosto 2025 Festa dell'Assunta


 Mauro Armanino, Casarza Ligure, agosto 2025

sabato, agosto 9

PER CHI SUONA LA CAMPANA DOPO TRE ANNI di Padre MAURO ARMANINO



Parrocchia di San Michele Arcangelo a Casarza Ligure

Per chi suona la campana dopo tre anni

A Niamey, capitale del Niger, gli altoparlanti delle numerose moschee diffondevano la voce imperiosa e inesorabile dell’invito alla preghiera. Era ormai parte del paesaggio e solo le intempestive interruzioni di corrente elettrica creavano un inedito silenzio nei quartieri della città. Le campane invece no. Pur presenti, spesso in modo clandestino, nelle chiese e alcuni templi, non erano suonate per evitare comprensibili problemi dopo gli avvenimenti del 2015. In quel frangente varie decine di chiese e luoghi di preghiera erano andati distrutti per opera di centinaia di giovani e bambini aizzati e guidati da adulti. C’era stato l’affare Charlie Hebdo in Francia, la caricatura del profeta dell’Islam e una situazione politica interna che, assieme, avevano prodotto la prima grande divisione religiosa nel Paese.
Di ritorno dopo tre anni dal Niger ho avuto modo di riassaporare l’ingenuo e quasi dimenticato suono delle campane che scandivano le ore del giorno. Un richiamo esigente al senso del tempo che, diceva qualcuno, non è altro che il secondo nome di Dio. Chi lavora nei campi sa quando è l’ora di tornare a casa e chi invece si trova in strada si dovrebbe domandare che sta facendo del tempo a lui concesso. In effetti, com’è noto, le campane erano il sistema di comunicazione più immediato per il popolo. La segnalazione delle feste e di avvenimenti drammatici come incendi o altre calamità, si inframezza coi rintocchi mesti e cadenzati che annunciano il decesso di qualcuno. I rintocchi, ben conosciuti dagli anziani, sono chiamati ‘agonia’, da agone, lotta della vita col transito nelle braccia di sorella morte.
Il numero dei rintocchi può variare a seconda si tratti di una donna o un uomo e l’annuncio del decesso diventa immediatamente di patrimonio pubblico. Non c’erano nascite o morti private nel tempo delle campane per via della dimensione comunitaria e dunque politica, ecclesiale, popolare, della morte. Giorno natalizio era chiamato quel giorno, ‘die natalis’ perché si nasceva, così si crede e spera, alla vita definitiva della patria lontana e vicina ad un tempo. Le campane tornano a suonare quando il corpo del defunto raggiunge la chiesa dove si celebra il funerale e in seguito la sepoltura nel cimitero, spesso adiacente. A ben pensarci si tratta di un privilegio inaudito e al quale si è forse fatta l’abitudine. Per buona parte degli umani non c’è campana, sepoltura e neppure il lutto dei famigliari.
Migranti, richiedenti asilo, rifugiati, avventurieri, corpi dilaniati da mine personali, bombe studiate per ferire il più possibile che, nei deserti, mari e le innumerevoli frontiere innalzate nel frattempo, non avranno neppure un nome da trasmettere a coloro che verranno. Le famiglie non sapranno forse mai dove e come il figlio, il fratello, il padre o la sorella, avranno terminato il loro viaggio. Nè l’altoparlante e la voce del ‘muezzin’, persona addetta della moschea, ne il greve rintocco delle campane avranno accompagnato l’ultimo e tragico transito dell’effimera eterna dimora.




a 8o anni di distanza dalla bomba atomica a Nagasaki e Hiroshima

A ottant’anni di distanza, il passato nove agosto, hanno suonato per la prima volta le campane nella cattedrale di Nagasaki, alle 11 e 4 minuti, ora esatta dello sganciamento della seconda bomba atomica. Domenica prossima le campane suoneranno a festa per celebrare e risorgere con la pace dimenticata.

        Mauro Armanino, Casarza Ligure agosto 2025 

mercoledì, agosto 6

BENTORNATO IN ITALIA PADRE MAURO!!

Tempo sabbatico, per riattivare o ricreare legami e di discernimento, un
abbraccio, 
Mauro

Vedo che sei insieme anche a Padre Gigi!!! Grazie per le foto, oggi vedo se riesco a pubblicare le tue foto e la Parole a S.te Monique. 
Grazie ancora!
Abbraccio caloroso
Danila



Quanti amici!!! Era ora che li venissi a trovare!


Una puntata al mare di Sestri Levante

La Parole à S.te Monique en aout 2025

                                          Lc 12, 32-48
. Jésus disait à ses disciples : Sois sans crainte, petit troupeau – Le bon berger qui console et conforte
. Votre Père a trouvé bon de vous donner le Royaume- C’est-à-dire le bien le plus précieux !
. Vendez ce que vous possédez et donnez-le en aumône. Faites-vous des bourses qui ne s’usent pas, un trésor inépuisable dans les cieux- Forte invitation du Seigneur au détachement et la gratuité
. Là où est votre trésor, là aussi sera votre cœur- Voilà la grande question de l’évangile et du Règne !
. Restez en tenue de service, votre ceinture autour des reins, et vos lampes allumées- Servir avec foi !
.  Soyez comme des gens qui attendent leur maître à son retour des noces, pour lui ouvrir dès qu’il arrivera et frappera à la porte- L’attente du retour du Seigner est la marque du disciple !
. Tenez-vous prêts : c’est à l’heure où vous n’y penserez pas que le Fils de l’homme viendra. - Attention
. À qui l’on a beaucoup donné, on demandera beaucoup ; à qui l’on a beaucoup confié, on réclamera davantage- La responsabilité des talents reçus et aussi le don de l’évangile !
OU- Quelque part …
QUAND- Son chemin vers Jérusalem
QUI- Jésus et disciples
Messages
. Invitation à la confiance contre la peur
. Le privilège d’avoir été choisis comme héritiers du Règne !
. Répondre à ce don en se détachant de tout ce qui nous détourne du Règne
. Le service, la foi allumée et la vigilance sont de mise pour le chrétien !
. On a une grande responsabilité car on a beaucoup reçu
Méditer
. Quelles sont nos craintes ?
. Qu’est ce qui nous détourne du Règne de Dieu ?
. Où et qui (ou quoi) est notre trésor ?
. Comment s’éduquer au service et à la vigilance ? 
. Comment tenir la foi allumée ?

martedì, agosto 5

UN RITORNO, ESPLOSIVO, DAL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

Un ritorno, esplosivo, dal Sahel

Lo stacco dal ritorno in patria definitivo, dopo 14 anni di permanenza, si sente giusto all’ingresso dell’aeroporto internazionale Diori Hamani, primo presidente della repubblica del Niger. Gli addetti al controllo doganale osservano con qualche commento i regali ricevuti prima di partire e ordinati nella valigia. Si impilano i quadretti con la forma e la bandiera del Paese con le croci assai note di Agadez, inframezzate da magliette, stoffe locali, portamonete e cinture in cuoio per chiudere con monili per la famiglia e amici. Passate le formalità rimane un tempo di attesa prima dell’imbarco che si riempie di ricordi e letture degli scritti di saluto e di addio di amici e conoscenti. C’è poi il decollo dell’aereo e le luci della capitale Niamey, più numerose del solito, si allontanano fino a scomparire come per ricordare che lo stesso è accaduto nel Paese in questi ultimi anni. Luci e tenebre abitano nel Sahel dove il malessere politico, economico e i gruppi armati sembrano essersi dati l’appuntamento.
Nell’aereo con destinazione Istambul, il sedile alla mia sinistra è occupato da un nigerino che confessa di dirigersi ad Amburgo in Germania dove risiede da anni lavorando e formandosi. Alì conferma il malessere di una parte crescente della popolazione nei confronti della giunta militare che, naturalmente, non può adempiere quanto promesso al momento del golpe ‘di palazzo’ di due anni or sono. Si trova in disaccordo con le restrizioni che il potere opera nei confronti di chi osa esprimere un pensiero diverso da quello ufficiale e lamenta il tradimento di alcune figure importanti della società civile. Sembra di trovarsi dinnanzi a un orizzonte che si allontana a mano a mano che lo si avvicina come un’utopia smarrita nel deserto. Il nuovo aeroporto di Istambul è, come l’afferma la pubblicità, uno snodo mondiale e tutte le destinazioni sembrano confluirvi. Dall’area di transito si raggiungono le porte d’imbarco e, nei lunghi passaggi si constata la vittoria del mercato globale.
Si è aggirati, accerchiati, osservati e pedinati da luci, vetrine, inservienti eleganti e seducenti, musiche, suoni e soprattutto mercanzie da acquistare in fretta. Lo stesso spettacolo a cui si assiste negli aeroporti di una certa importanza. Ad esempio, quello di Roma Fiumicino, raggiunto il pomeriggio del giorno seguente. Erano passati tre anni dall’ultima mia partenza e avevo nel frattempo dimenticato che, lontano dal Sahel, c’erano ancora tante persone del mio stesso colore della pelle. Riabituare gli occhi ai ‘bianchi’ che saturavano il paesaggio dopo essere stato minoranza ‘etnica’ per tanti anni è stata un’esperienza di riappropriazione del tutto inattesa e sconcertante. Nell’ennesimo salone di attesa e transito si risente la lingua che mi abita e che ha almeno in parte, definito il racconto del mio mondo. Chiedere spiegazioni richiede una buona dose di coraggio perché c’è il timore che la lingua conosciuta non corrisponda più a quella parlata in quel momento.
Senza volerlo si ascoltano commenti e scambi tra persone e membri della stessa famiglia. Un bimbo, seduto accanto e, certamente preso da compassione, offre un biscotto. Dice a suo padre seduto accanto che poco prima un signore voleva fare altrettanto e che lui non ha accettato perché il biscotto poteva essere avvelenato. A questo punto ho naturalmente rifiutato il biscotto adducendo la stessa scusa. Poi, al momento di raggiungere la porta d’imbarco, un ultimo ostacolo. Una signora slanciata in abito militare mi ha intimato di mostrare le palme delle mani. Vi ha apposto una sorta di cerottino bianco e così ha fatto sulle due scarpe. Con mia sorpresa, dopo aver chiesto all’altro militare la ragione di questo inedito controllo, mi è stato detto che si tratta di controlli occasionali per verificare se la persona non porti sostanze esplosive. 
Ho ammesso alla signora, prima di congedarmi, che in realtà sono esplosivo ma non nel senso del controllo effettuato. In effetti, a mia conoscenza, non c’è nulla più esplosivo di un Dio preso sul serio. La discesa dell’aereo a Genova, destinazione finale, è stata utile per conoscersi col vicino di viaggio, rivelatosi carabiniere in pensione e fermamente contrario alle manifestazioni di appoggio al popolo palestinese. Nell’area ritiro bagagli dell’aeroporto giganteggia a sinistra la foto del pesto e a destra quella della nota focaccia di Genova.








        Mauro Armanino, Casarza Ligure, agosto 2025                                                          

sabato, luglio 26

TU CHIAMALE SE VUOI, EMOZIONI. DAL SAHEL ALL'OCCIDENTE di Padre MAURO ARMANINO

Tu chiamale se vuoi, emozioni.

 Dal Sahel all’occidente

Ogni volta mi dico che è l’ultima. L’ultima missione, l’ultimo Paese e l’ultimo popolo da lasciare. La storia si ripete e, senza saperlo o volerlo, cado nella stessa trappola. Si parte per un tempo, si vorrebbe e dovrebbe rimanere per sempre e poi, al solito, si torna. C’è una partenza in senso inverso. Dall’italico occidente al Sahel, dal Porto Antico di Genova alla porzione di Sahel riservata al Niger. Dalla sponda del Mediterraneo alla sponda del Sahara per un viaggio durato quattordici anni e qualche mese. Si passa, nel frattempo, dal Paese stampato sulla cartina geografica e dai confini ben definiti al Paese reale. Le strade, i volti, le storie di sabbia e i nomi di vento si mescolano come solo la polvere sa fare con consumata maestria. Ogni volta mi dico che è l’ultima e, senza capirlo, si rende recidiva.

Fuggitivo, disertore, traditore, mercante, mercenario e allo stesso tempo creatura di sabbia attraversato dall’unica fragilità che accomuna gli umani che si chiama vita. I ricordi delle persone seppellite nel cimitero cristiano di Niamey. Ogni volta lo stesso pensiero che si affaccia alla mente perché una parte di me rimane in quella terra benedetta dalle lacrime di coloro che rimangono. Migranti con un nome imprestato dal destino, bambini che partono ancora prima di aver cominciato il viaggio e alcuni rifugiati che scoprono nella sabbia del camposanto la penultima dimora che, senza saperlo, cercavano. Nelle valigie di ritorno c’è tutto e non c’è nulla di quanto vissuto, amato, tradito e, in questo caso, abbandonato. Si affacciano alla memoria le parole che si avventurano nel deserto.

Quanto è cambiato degli occhi e dello sguardo, nel frattempo, degli avvenimenti che accadono, passano, permangono e sono pronti a riapparire alla prima occasione propizia. Il passato non si accumula ma si seleziona e si organizza nella memoria del vissuto che si scava nei volti che indicano il cammino da seguire. ‘Se hace camino al andar’, camminando si scopre la via, scriveva Antonio Machado nell’altro millennio di un altro continente. Ci sono infatti ferite che non dovrebbero mai essere guarite perché solo aperte tengono desta l’attenzione ai protagonisti del transito in questo Paese e cioè i poveri. Inventano la storia che nessuno legge e raccontano storie che pochi ascoltano. Eppure, proprio e solo in loro scorre l’unica e decisiva trasformazione del mondo. 

Le centinaia di migranti dalle avventure inverosimili, le comunità cristiane perseguitate, le chiese bruciate, il rapimento e la lunga prigionia dell’amico Pierluigi Maccalli, l’insicurezza per i contadini dei villaggi, il golpe dei militari e la retorica di una sovranità nazionale ad uso e consumo del potere. Le decine di dibattiti pubblici e l’amicizia con alcuni militanti della società civile che non si è fatta espropriare. Il cammino imprevedibile con una comunità di periferia e infine la nostalgia del tempo che, sostengono in molti, è il secondo nome di Dio. Soprattutto però il privilegio di guardare la realtà dal sud, dalla Grande Periferia del mondo. Sono luoghi di verità che non permettono alle ferite di rimarginarsi col rischio di dimenticare il silenzioso grido dei poveri.


Padre GIGI MACCALLI con Padre MAURO ARMANINO 

Si parte dal sud, senza sapere se il net funziona, quando ci sarà prossimo blackout, l’appuntamento mancato senza dire nulla, lo stupore della pioggia, gli asini re della strada e i semafori a stagioni coi bambini da ogni parte si cammini e l’eleganza dei poveri nei giorni di festa. Ogni volta mi dico che è l’ultima e allora parto e poi cado nella trappola che la sabbia sapientemente nasconde. Torno soprattutto col NO che l’amico e compagno di viaggio Moussa Tchangari, attore storico della società civile di Niamey, ha ripetuto a chi voleva accaparrarne l’adesione al sistema. Si trova in galera dal 3 dicembre dell’anno scorso con le mani nude e libere di scrivere l’unica parola per la quale si può dare anche la vita. Si tratta della dignità che nessuno potrà rubargli e che, con riconoscenza, ho deposto nel mio bagaglio di ritorno.


Ho raccontato la mia storia di perdono al Papa...Padre Maccalli con Papa Francesco

                 Mauro Armanino, Niamey, luglio 2025

sabato, luglio 19

I MIRAGGI DEL SAHEL di PADRE MAURO ARMANINO

I miraggi del Sahel

In senso proprio il miraggio è un fenomeno ottico che si verifica, in condizioni particolari, su ampie superfici piane, per cui è visibile l’immagine di oggetti lontani, apparentemente riflessi in una distesa liquida posta in basso o che sembra galleggiare in alto. In senso figurato il miraggio si presenta come una prospettiva tanto allettante quanto ingannevole, qualcosa di illusorio, un sogno irraggiungibile e irreale. Entrambi i sensi della parola miraggio sono attualizzati nell’affascinante e complesso spazio saheliano. I migranti, commercianti e contrabbandieri trasfrontalieri che attraversano, spesso senza ritorno le zone desertiche, fanno esperienza del senso proprio. Si possono notare in lontananza sorgenti d’acqua, laghi e fiumi inesistenti. Il resto dei popoli del Sahel, invece, incappano spesso e volentieri nel senso figurato del termine. Le promesse di sicurezza, benessere, giustizia e buon governo si rivelano come effimere illusioni, sostenute e nutrite da un’efficace propaganda totalitaria.

In un non lontano passato si sentiva il sordo e inconfondibile tuono dei ‘Mirages’, i Miraggi, ben noti caccia francesi all’opera nel Sahel. Al momento sono i droni che operano nel silenzio e, dopo la cacciata dei militari francesi, altri sono i militari sul posto. Noti o meno noti si trovano i mercenari russi del gruppo Africa Korps, soldati cinesi per evitare problemi all’oleodotto di loro proprietà, mercenari turchi e qualche centinaio di militari italiani ufficialmente adibiti all’addestramento degli omologhi nigerini. Sullo sfondo permane comunque la collaborazione mai rinnegata con le forze statunitensi che, tra l’altro hanno formato alcuni dei militari che hanno preso parte all’ultimo colpo di stato. La promessa di debellare in tempi rapidi le varie formazioni dei gruppi armati di ispirazione ‘djihadista’ si è gradualmente rivelata un tragico miraggio che continua a sfornare vittime, militari e civili nello spazio saheliano. I cimiteri e i lutti nazionali non si danno tregua alcuna.

Le bandiere dei tre Paesi federati del Sahel centrale, Niger, Burkina Faso e Mali, così numerose e fiammanti dei giorni del golpe e nelle varie tappe di costituzione dell’Alleanza degli Stati del Sahel, AES, sono sbiadite, sfilacciate o dimenticate alle rotonde della capitale. Persino i tricicli che, numerosi, esibivano con fierezza la bandiera nazionale, si trovano adesso oberati di mercanzie, passeggeri e animali da macello. La promessa e l’ambizione di una rapida, totale e radicale sovranità nazionale, autentico ‘mantra’ dei regimi militari dei Paesi citati, lasciano gradualmente il posto allo smarrimento, allo sconcerto e la disillusione del quotidiano, molto più complesso del previsto. Da un paio di mesi i funzionari statali non ricevono il salario, i prezzi elevati dei prodotti di consumo di base e l’ostinata chiusura della frontiera col confinante Benin, hanno trasformato il tutto in un miraggio senza limiti. La demolizione, infine, di negozi, abitazioni e laboratori informali, ha completato il disastro sociale.

Malgrado le retoriche panafricaniste, monetariste e antimperialiste dei Paesi in questione, il miraggio dell’Occidente non si è spento e sono ormai migliaia i migranti e richiedenti asilo ‘parcheggiati’ in insufficienti centri di accoglienza e di transito. Le espulsioni sistematiche e disumane dei militari algerini, tunisini e le milizie libiche non lasciano scampo a coloro che si trasformano in ostaggi di un sistema di compravendita umana. L’isolamento diplomatico ed economico del regime che ha chiuso i conti con numerose organizzazioni internazionali, ha comportato una brusca riduzione degli aiuti esteriori. Persino ‘potenze umanitarie’ come l’Alto Commissariato per i Rifugiati e l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, delle Nazioni Unite, sono in difficoltà finanziaria con ricadute drammatiche su migranti, richiedenti asilo e rifugiati. L’illusione di gestire con umanità questi movimenti di persone si rivela una missione impossibile. Il Paese ospita migliaia di sfollati interni.


Per convertire i miraggi non c’è terapia migliore della realtà che com’è noto è sovversiva. Chiamare le cose col loro vero nome è un gesto rivoluzionario, scriveva Rosa Luxemburg, filosofa socialista.

                         Mauro Armanino, Niamey, luglio 2025