POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

mercoledì, gennaio 19

DIARIO DI UNA MAESTRA IN ESILIO NEL "LAGER" DI MITTERNDORF : FILOMENA BOCCHER

 

 


La maestra FILOMENA BOCCHER nacque a Roncegno il 4 luglio 1879. Diplomata presso l'Istituto magistrale di Trento nel 1900, iniziò subito la professione di insegnante. Prestò servizio a Monte di Mezzo (frazione di Roncegno), a Viarago di Pergine, a Vattaro, a Mitterndorf (dove chiese di essere assegnata per assistere gli anziani genitori profughi) e a Roncegno, nella cui scuola svolse la sua attività ininterrottamente dal 1920 al 1949, anno di collocamento a riposo. Per i suoi 49 anni di insegnamento il Ministero della P.I. le assegnò il Diploma di prima classe con il diritto di fregiarsi della Medaglia d'oro. Morì a Roncegno il 22 maggio 1968. Con la sua personalità dotata di vasta cultura, di profonda religiosità e dirittura morale, scrisse la storia di anni così tragici tenendo in vita, in quel terribile mondo di sofferenze che fu il "Lager", l'anelito alla giustizia, alla pace, alla speranza, alla libertà, alla patria: messaggio di fede in Dio e nell'uomo per le generazioni successive.

Questo libro è riportato per intero sul sito:


 


Lenina Boccher ho avuto modo di conoscerla personalmente, quando ci ha ricevuto a casa sua. Una dolce signorina non più giovane,  che fu dipendente del Comune di Roncegno per lungo tempo. Filomena Boccher l’ha adottata quando era piccola dandole il suo cognome, ma non conosco come e quando sia accaduto. La famiglia di mio marito, dove il padre svolgeva l’attività di medico condotto, ha avuto modo di conoscere sia Filomena che Lenina. Non conoscevo per nulla la storia drammatica che ha vissuto Filomena, una dolce e bella maestra. E mi sono chiesta il motivo per cui fu profuga, con tanta altra gente compresi i suoi genitori, in quello che lei definisce “Lagher - Lager” in Austria, dove ha patito fame e freddo. 

Abbiamo, attraverso il suo diario, uno spezzone di Storia relativo alla Prima Guerra Mondiale, raccontato in prima persona da chi lo ha vissuto sulla propria pelle. 

Trovo che il Diario di Filomena sia paragonabile al Diario di Anna Frank, simili seppur diversi, quali testimonianze di una vita che non si può definire tale, tanto è dolorosa, assurda e intollerabile.


Entrata all'accampamento profughi (proprietà G. Cipriani )

L'Italia entra in guerra contro l'Austria.

Incominciano i giorni più tragici della storia trentina.

Dopo il triste viaggio verso l'esilio,

la sistemazione nelle baracche.

I primi patimenti: fame, freddo, angoscia.


Dietro il fronte su suolo austriaco.

20 maggio. Vattaro. Nel villaggio c'è un movimento insolito che sa d' inquietudine angosciosa. Tutti dicono che ci sarà guerra con l'Italia.

Dopo la lezione del pomeriggio mi sono fermata nella scuola con alcuni bimbi che avevano scritto 'troppo male il compitino: forse mai come oggi ho avuto nelle mani pagine così scarabocchiate: s'indovinano le manine sudice e nervose.

Me ne stavo tranquilla sorvegliando i piccoli reclusi, quando l'uscio si apre e vedo papà. Viene a prendermi per condurmi a casa (La famiglia dell'Autrice risiedeva a Roncegno).

Mi domanda: "Non hai avuto nessun ordine dai tuoi superiori? Non sai che oggi i treni cesseranno di funzionare regolarmente, che forse è già troppo tardi per poter andare a casa? Vieni, partiamo subito". Io non mi sono scomposta punto. Dai miei superiori non ho avuto nessun ordine. Sono al mio posto e non intendo abbandonarlo senza il loro permesso. Andrò a casa sabato.

21 maggio. Tutti sono affaccendati a nasconder quello che hanno di meglio

22 maggio. Da Il risveglio austriaco e da Il Trentino si apprende che l'alleanza con l'Italia sta per rompersi. Papà ed io abbiamo riposto le cose che più ci premono nella cameretta più remota. Abbiamo chiusa la casa e consegnate le chiavi al Capo comune.

23 maggio. L'Italia ha dichiarato guerra all'Austria.

24 maggio. Dal Capitanato distrettuale di Borgo m'è venuto un decreto in cui mi si partecipa "che i maestri delle scuole popolari di questo distretto, che a cagione delle presenti eccezionali circostanze vengono chiuse, sono considerati come in permesso, per cui è necessario che la loro dimora sia dietro il fronte militare su suolo austriaco non occupato dal nemico, affinché sia possibile un altro eventuale impiego degli stessi, e la contabilità provinciale possa versare loro regolarmente il salario ".

25 maggio. Verso le quattro ci svegliammo al rombo del cannone.

26 maggio. Di buon' ora dal Pizzo e dalla Panarotta si fecero sentire i cannoni e a brevi intervalli rombarono tutto il giorno, fin verso le quattro. Si dice che gl'Italiani sono a Rovereto. Papà è andato a Borgo, per comperar lastre di zinco, con cui vuol coprire la porta.

27 maggio. Domani devo partire.

28 maggio. Mi pareva di non poter staccarmi dai miei genitori, neppure per poco tempo. Non sarebbero momenti di separarsi dai propri cari! Li ho lasciati con la speranza di rivederli presto. Sono arrivata a Trento verso le 7.  Ma come fu triste il viaggio! Mentre Levico era quasi deserto, Pergine rigurgitava di soldati e di gente dei paesi vicini che ivi venuta per i suoi affari si vedeva poi sbarrata la via del ritorno. Dappertutto era un vociare, un lamentarsi a voce bassa, un muoversi irrequieto. A Trento la stessa moltitudine di soldati, ma pochissimi cittadini.

29 maggio. Dappertutto tristezza. Abbiamo visto trasportare i malati dall'ospedale alla stazione. Qui lo spettacolo era ancora più triste. V' era molta gente fuggita da Rovereto e da Mori. Dove erano diretti? Non sapevano neppure essi.  Domani partirò per Bressanone.

30 maggio. Bressanone. Sono partita da Trento alle 12 e mezzo col treno celere, e sono arrivata a Bressanone alle 3 e un quarto. Ho subito trovato una stanza presso una modesta famiglia. Il padre fa il portalettere; sua moglie mi usa molta gentilezza e i bambini mi mostrano affetto. Ma io sono triste e angosciata.

5 giugno. Ho letto sul giornale che di questi giorni vengono sgombrati Levico, Barco, Selva, Santa Giuliana, Caldonazzo, Calceranica, Vattaro, Bosentino, Centa, Castagnè, Vignola, Ischia e Tenna.

6 giugno. Sono andata in chiesa e invece di pregare ho pianto.

Tornando alla mia abitazione incontrai più di cento automobili, arrivate allora in città.

Mi fu detto che dovevano servire a trasportare in fretta le truppe sui confini del Tirolo.

8 giugno. Meglio morire di fame presso i miei cari piuttosto che venir a morire di nostalgia in questi paesi.

22 giugno. Stasera si fece gran festa in città. Furono suonate le campane del duomo, la banda militare fiancheggiata e seguita da molti cittadini percorse la città. Ci furono discorsi di non so chi, molti evviva e musica ancora. Pioveva su tanta festa.

E le gocce di pioggia mi sembrava sentirmele cadere sul cuore, quasi fossero le lacrime degli umili prodi caduti per Leopoli. Si festeggiava la liberazione della capitale galiziana, e quella festa mi pareva uno strano ufficio funebre, in cui i versi dei salmi fossero alternati da cupe voci ammonitrici, imploranti, imponenti tregua, pace, giustizia.

E mi pareva vedere le vedove e gli orfani nascondersi nell'angolo più remoto della casa deserta, e piangere senza lacrime, colla testa fra le mani, i denti stretti, e il cuore lacerato.

23 giugno. Oggi la città era imbandierata. I giornali son zeppi di questa parola: Leopoli.

28 giugno. Domani cambierò dimora. Non posso più reggere qui. In casa la signora e i bambini mi vogliono bene, ma il padrone mi urta, pur usandomi del resto molti riguardi. Parla degl'Italiani con gran disprezzo. E mentre io resto offesa, non posso alla mia volta esprimermi come vorrei circa i Tedeschi. Andrò ad Mers (frazione di Bressanone).

Mi si dice che la posizione del luogo è molto bella e che c'è un albergo ove si parla italiano.

4 luglio. Mers. L'albergo dove mi trovo si chiama "San Giorgio", La casa è albergo e canonica e anche   osteria.  C'è il parroco, una cuoca, una "sottocuoca" ch' è nipote del reverendo, e una cameriera, che in estate sta qui a servire i villeggianti e d'inverno fa scuola non so dove. La nipote del parroco e la maestra-cameriera mi sono estremamente antipatiche, quasi odiose. Dall'alba alla sera alternano il loro lavoro con canti che mi lacerano i nervi e mi urtano l'anima. Cantano sempre invocandola benedizione del cielo sulle armi dei "nostri" e l'attendono con una fiducia unica. E ridono.

Ciascuna di esse ha perduto in guerra un fratello, ma cantano e ridono sempre.

8 luglio. Sono andata a Bressanone ... Di ritorno ero sola. Avevo paura. La strada attraversa per lungo tratto un bosco. Io singhiozzavo, e mormoravo: "Oh, l'esilio, l’esilio!"

17 luglio. Per risparmiare qualche corona devo limitare di molto le mie pretese a tavola. La sera, non posso concedermi che una minestra, e la ricevo lunga lunga. Quasi ogni sera mi corico con un appetito che non mi concilia il sonno.

3 agosto. Dopo un’attesa tanto lunga e angosciosa, oggi ho ricevuto una lettera della mia mamma. Non avevo notizie dei miei genitori da due mesi.

20 agosto. Sono stata a trovare il mio compaesano ... L'ospitale in cui si trova è la casa d'un collegio. Ora ci si trovano soldati ammalati e soldati convalescenti. Mi narrò i suoi patimenti fisici e l'angoscia che prova pensando ai suoi cari. Teme che debbano partire da Roncegno perché ... gl'Italiani si avanzano.

27 agosto. Ho ricevuto la terza lettera della mia mamma. La posta non funziona più in Valsugana per i borghesi, ma la mamma può farmi pervenire sue notizie per mezzo di un soldato.

4 settembre. Comincia a far freddo. Nella stanza del primo piano riscalda la stufa. Ma io sto sempre qui nella mia stanzetta. E i giorni passano rapidi, benché fasciati d'angoscia, di buio, di freddo. Mi rifugio nella mia stanza col cuore grave di desolazione e di disprezzo. Sì, di disprezzo, per questa gente calma nel suo egoismo, fiduciosa nella vittoria, senza viscere di pietà per chi, della guerra cui costoro inneggiano, sente il peso, il danno, lo strazio.

7 settembre. Ho ricevuto una cartolina di mamma da Salisburgo. Han dovuto fuggire da Roncegno (i Tedeschi intimarono ai Roncegnesi l'evacuazione e la sollecitarono gettando, ai 27 di agosto, tre bombe che appiccarono il fuoco nella parte orientale del paese). Li raggiungerò.

8 settembre. Ho letto su Tiroler Anzeiger: (C Roncegno in fiamme)). Dio, Dio! Il settembre. Ho ricevuto una cartolina dalla mamma: sono a Landegg presso Pottendorf, nell'Austria inferiore, in una baracca.

12 settembre. Ho preparato la valigia perché partirò presto, per raggiungere i miei genitori.

13 settembre. Ultima sera. Silenziosa cameretta, addio! Pallido Crocefisso sanguinolento che sai la mia croce, e dall' alto della tua, col capo chino su me, ascoltasti miei singulti disperati, addio! Caro tavolino che invitandomi al lavoro mi rendesti meno triste qualche ora, addio! Povero letto, che sai le ore insonni del mio esilio, i sogni angosciosi, addio! Ancora una notte passerò fra queste pareti; domani me ne andrò sulle tracce dei miei genitori, per la via dei profughi.

14 settembre. Afers, addio!

Per la via dei profughi.

14 settembre. Innsbruck. Sono arrivata a Innsbruck alle 6.

Ho bevuto una tazza di birra e un po' di caffè; poi sono andata alla cassa dove si vendono i biglietti. Ho avuto un bisticcio col distributore, che mi rimproverò di avergli parlato in lingua italiana. Mi scusai dicendo che so poco il tedesco. Pure vedendo che egli non capiva italiano, gli domandai le carte che mi accorrevano parlando nella sua lingua. Egli rispose adirato: "Sie kònnen ganz gut deutsch sprechen; Sie wollen nicht deutsch sprechen!" ("Lei sa parlare molto bene in tedesco; Lei non vuole parlare in tedesco!"). Quasi ridevo.

15 settembre. Salisburgo. Partii da Innsbruck ieri sera alle dieci e sono arrivata a Gnigl stamattina alle 6 (Gnigl, alla periferia di Salisburgo; scalo dei treni provenienti dal Sudtirolo). Alla stazione c'erano due soldati che attendevano l profughi. Il conduttore mi fece scendere con parecchi altri italiani. I soldati ci condussero a una piccola casetta dove si trovava la "Perlustrierungskommission " ("Commissione di controllo"), e di lì ad un misero albergo, ove un soldato mi diede subito un cucchiaione di caffè quasi freddo. A pranzo ho ricevuto una minestruzza lunga lunga e a cena un po' di caffè di cicoria e un pezzo di pane.

16 settembre. Ho dormito tanto male, coricata su di un pagliericcio posto sul pavimento, vestita, in uno stanzone dove sono ricoverate dieci altre profughe. Di notte passano fra i letti i militari che sorvegliano il nostro sonno. Bisognerà aspettare ancora qualche giorno prima che ci trasportino alla nostra destinazione. Ho scritto ai miei genitori che sono in viaggio per raggiungerli.

19 settembre. Sono andata in chiesa per ascoltare la S. Messa: non potevo pregare. Pensavo alla chiesa del mio paese, sentivo il cuore stretto d'angoscia e d'ira.

21 settembre. Linz - Vienna - Pottendorf. Sono partita da Gnigl ieri alle 3 pomeridiane e sono giunta a Linz alle 9 di sera. Ottenuto il permesso di staccarmi dal trasporto degli altri profughi, scesi alla stazione. Un caporalmaggiore (Zugfùhrer) mi guidava dove si distribuivano i biglietti e mi fece dar un biglietto per Vienna. Sono giunta a Vienna stamattina alle 6. Qui i Tedeschi sono più cortesi. Una buona donna mi aiutò a trasportare i pacchi e mi accompagnò alla stazione "Sùdbahn". Giunta a Pottendorf verso le 9, domandai dove fosse l'accampamento dei profughi. In quel mentre, vidi il mio papà che traversava la strada, senza avvedersi di me. Camminava svelto, un po' curvo, ma sempre fiero. Chiamai: "Papà, papà!" Si volse, mi vide, mi corse incontro. Io credevo di sognare. Piangevo, ridevo, guardavo il povero vecchio, esule. Corremmo dalla mamma. Pallida e triste la povera cara sedeva sul suo lettuccio, nella baracca. Fu felice di vedermi, si rianimò tutta. Signore Iddio, Vi ringrazio!

21 ottobre. È un mese che sono qui. Si sta male. E i miei genitori mi dicono che, prima ch'io venissi, stavano peggio. Il cibo è cattivo: a papà fa male, la mamma può mangiar pochissimo. Papà ed io andiamo spesso a far provviste nei paesi vicini (siamo ai confini dell'Ungheria.   Andiamo talvolta a Ebenfurt). Comperiamo generi alimentari e qualche oggetto di vestiario presso un negozio di Ebrei che si san mostrati gentili e leali con noi. Abbiamo provvisto un macinino ch' è la delizia di papà, e molte altre cosucce. Nell'accampamento ci sono 40 baracche ma san destinate per i profughi del Litorale, non per noi Trentini. Curatori d'anime: un monsignore goriziano e un Curato di Terragnolo.

28 ottobre. Mitterndorf. Stamattina è venuto un impiegato ad avvertirei che bisognava subito far bagagli e partire per Mitterndorf, il baraccamento destinato ai Trentini. Siamo partiti stasera alle 5 e alle 6 siamo giunti alla stazione di Mitterndorf. Quando arrivammo era già buio. Nessun lume rischiarava la via fangosa; come pecore che vanno al macello camminavamo silenziosi gli uni dietro gli altri. Giungemmo a un baraccone, l'alloggio destinatoci. Si entrò per una porta che faceva paura, si salì una scala stretta e ci si spalancò dinanzi un uscio. Vedemmo uno stanzone, sul pavimento del quale stavano duecento pagliericci disposti in quattro file. Bisognò entrare e starci 223 persone. Deponemmo mesti i nostri bagagli e ci sedemmo sui pagliericci. Ci portarono un pò di minestra, e poi coperte. Il frastuono era indescrivibile; il pavimento traballava. Abbiamo domandato quanto tempo dovremo fermarci in questa babilonia, e han risposto: "Due o tre giorni".

7 novembre. Da undici giorni languiamo in questo "stallene". La mamma è esasperata; deperisce a vista. La mattina mi alzo presto e preparo un po' di caffè con non poco disagio. Devo uscire con la macchinetta a spirito, col pentolino del caffè, col lume. Uscendo devo passare fra una doppia fila di pagliericci, sui quali i compagni di sventura giacciono ancora. Passo fra i pagliericci e le schifezze e vado a preparare la olimpica bevanda. Poi la porto alla mamma che si ristora tutta. Verso le 8 ci si porta il caffè-broda, alle 12 la minestra per il pranzo e alle 6 quella per la cena. E la notte ritorna, lunga, orribile, asfissiante ... Un supplizio! E non siamo delinquenti; siamo solo poveri profughi. Oggi sono andata con papà all'ufficio d'ispezione, e domandai se non sarebbe possibile trasportare almeno qualche famiglia, tra le più sofferenti, in un’abitazione in cui si possa vivere: L'Ispettore fu gentile: ci prese in nota, e mi disse: "Se domani non mando a lei qualcuno prima delle 11, a quest' ora ella venga da me".

Stanza 6, baracca 46.

8 novembre. Sono andata dall'Ispettore per udire la risposta. Mi assegnò la stanza 10 nella baracca 36. Ma questa stanza è occupata da carpentieri tedeschi, e non vogliono sgombrarla. Dovremo rimanere ancora nello stallone.

9 novembre. È venuto l'Ispettore delle baracche, con un altro impiegato, a visitare i profughi rinchiusi nello stallone. Mi avvicinai a lui e gli domandai: "C'è speranza di poter uscir presto di qui?" E soggiunsi che bisogna poter uscire, perché qui non si può vivere, e non si vuol vivere qui. L'Ispettore obiettò un poco, poi disse: "Domani, o al più tardi posdomani, uscirete".

10 novembre. Ho ricevuto il mio stipendio mensile. Intanto si tira avanti. Potrò comperare qualche cosa con cui sostentare i miei genitori. Il burro costa 10 K il kg, l'olio 9 K, la farina 1 K, un’aringa 50h (K# Krone (corona); 5 h# heller (centesimo di corona)). Dopo pranzo, alle 2, ci hanno liberati dallo stallone. lo ebbi la stanza 6, nella baracca 46.  Sono con me i miei genitori, mia cognata, sua madre con due nuore e tre bambini, e due altre famiglie: insieme 17 persone. Nella stanza non ci sono lettiere, non stufa, non tavola. Sentiamo tanto freddo ma ringraziamo Dio di essere qui. li capo-baracca ci portò qualche coperta, e ci promise di farei aver presto le lettiere.

14 novembre. Domenica. Dacché sono a Mitterndorf non ho ascoltato ancor una volta la S. Messa. Nell' accampamento c'è bensì la chiesa, ma non ancora compiuta, e non vi si celebra ancora. La chiesa del villaggio è piccola (Mitterndorf contava allora poco più di 150 abitanti) e ci si raccomanda di non andarci noi: è dei Tedeschi.

17 novembre. Han portato in baracca, nella nostra stanza una stufa, ma non si può servirsene, perché mancano i tubi. E venuto il medico, e ha scritto un biglietto perché possiamo ottenerli.

18 novembre. È venuto il fabbro a mettere a posto la stufa e vi ha messo i tubi.

19 novembre. È venuto un fabbro tedesco, il capo, a ispezionare il lavoro fatto ieri. Trovò che erano stati adoperati troppi pezzi di tubo; disse con arroganza che deve bastar un solo pezzo, e che avrebbe mandato un uomo a disfare il lavoro. Lo pregai di lasciar tutto com' è, offrendogli di pagare i tubi che gli sembravano superflui, perché levandoli bisogna trasportare la stufa in un angolo della stanza e quelli che ne sono lontani coi loro letti, soffrono troppo freddo. Rifiutò. Un'onda di amarezza mi passò nel cuore, e mi parve poco l'epiteto "barbai".

20 novembre. I tubi sono stati levati. A nulla giovarono le suppliche e le proteste.  Andai dall' Ispettore gli esposi il caso. Disse che i fabbri agiscono così per ordine della Direzione. Domandai se non c'era d'aver nessun riguardo per la malattia e per la vecchiaia. Replicò che l'ordine non faceva eccezioni. Grazie tante, illustri Ispettori! Ora comprendo quanto meritate che vi si affibbino certi titoli, di cui andate fieri, qui; ma che farebbero il vostro obbrobrio in paesi dove la nebbia fosse meno fitta e il sole più splendido e la terra più calda.

Languiamo in una condizione miseranda.

22 novembre. Sono andata a Vienna con papà. Il povero caro vecchio si sentiva poco bene ma ha voluto venire con me. In treno il suo malessere aumentò. Io ero accorata e quasi spaventata. Una povera donna tedesca che sedeva dirimpetto a me, mi domandò con premura: "Ist er krank? (È ammalato? "). "Ja" (Sì"), risposi io col pianto in gola. Ella guardò nella piccola sporta che portava con sé, e ne trasse una bella mela che mi porse, guardando pietosamente il mio papà. Grazie, povera cara donna! Dio ti benedica! Non siete dunque proprio tutti barbari voialtri. Alla stazione di Vienna scendemmo e ci avviammo per recarci al "Comitato pro fuggiaschi".  Papà stentava a camminare. Io ero in pena per lui, e avevo paura delle automobili, dei tram, delle carrozze che gremivano piazze e contrade, rincorrendosi, incrociandosi, con un frastuono che mi sbalordiva. Salimmo in un tram, per la "Favoritenstrasse". Giunti al palazzo del Comitato scendemmo e trovammo subito dei nostri. Parlai con un segretario, esposi l'estrema miseria in cui ci troviamo nelle baracche, reclamai soccorso. L'impiegato scrisse ciò ch'io gli. dissi, e mi promise che si sarebbero prese disposizioni per migliorare la nostra condizione.

23 novembre. È venuto il dottore a vedere se ci sono ammalati in baracca. È giovane e cortese. Sembra anche molto buono. Ma è un tedesco. Mi ha interrogata circa papà. lo gli ho detto come si sente poco bene. Poi gli ho fatto vedere la polenta fredda e brutta che stavo mangiando, mentre egli entrava. Mi lamentai. Mi lamentai anche perché avevano levato i tubi della stufa, ciò rendeva impossibile riscaldare un po' la stanza. Il dottorino ascoltava serio, pietoso, ma non sapeva che dire, e non voleva dir nulla. Io ero irritata, esasperata. Ma è vano lagnarsi. Chi potrebbe rimediare e aiutare, nol vuole e chi il vorrebbe, nol può. Dio! ma Voi sì che potreste... Vogliate dunque aiutarci! Nel cuore sento venire la disperazione di cui vibrano frementi e cupi quei versi della mia Negri: "Fasciati di silenzio, o bocca pia; crocifiggiti in petto, o cuor dolente; non invocare Iddio, ché Iddio non sente. Così vuole la patria, e così sia".

24 novembre. Papà sta meglio. Invece mi sento poco bene io. Fame, freddo, angoscia.

26 novembre. Il giovane dottore che ci visita ogni giorno oggi mi ha detto che vuole imparare l'italiano. "Ich muss fleissig italienisch lernen" (Io devo imparare l'italiano con diligenza ), disse egli. E io pensavo: deve pur essere buono, se, per comprenderei, si mette a studiare una lingua in queste regioni esecrate.

28 novembre. Ho passata a letto quasi tutta la giornata. Ho mal di gola. Papà tossisce molto ed è costretto a stare a letto per ripararsi un po' di freddo. Mamma è debole e triste assai. Ci guardiamo l'un l'altro e ci leggiamo in viso le reciproche sofferenze. Si fanno spese enormi per i profughi, si mandano per essi vagoni di regali, e con tutto ciò noi languiamo nella condizione più miseranda, più umiliante. Stasera abbiamo ricevuto alcune briciole di formaggio, e una scodella di caffè che non è altro che broda sudicia. I bimbi però, che hanno mangiata la pagnotta scussa, son avidi anche di quella broda, e qualcuno di essi s'è presentato per riceverne ancora. Si era ai rimasugli, roba da gettar via, eppure la megera che distribuiva la torbida bevanda, alzò la voce, e ci accusò tutti di pretesa e di inganno; il capo-baracca poi vi aggiunse la minaccia di privarci interamente per alcuni giorni della "ménage ". Si sequestravano i giornali che dicevano l'Austria alle strette con la fame: perché non si puniscono i ribaldi che di fame ci fanno languire? Perché almeno non si bada a ciò che fanno? Perché non si controlla l'operato di coloro cui in questo baraccamento fummo consegnati? Ah! se ci è riservata la grazia di ritornare ai nostri paesi, un doloroso fardello trarremo con noi: la memoria di mille patimenti, molti dei quali sarebbero stati evitabili se chi presiedeva avesse saputo d'umanità e di giustizia, parimenti che imprimono nel nostro cuore un marchio più forte di quello della nostra nazionalità e innalzeranno fra noi e costoro una barriera più insormontabile di qualunque confine.

29 novembre. È terribilmente freddo: nei nostri paesi non avremmo mai saputo idearci un tal gelo. E siamo coperti insufficientemente: io indosso il vestito che indossavo in giugno. Che sarà di noi prima che l'inverno finisca? Finirà la guerra? O finiremo prima noi? Su di un pagliericcio, che posa sul pavimento è coricata una ragazza del mio paese. E malata, forse molto. Di parenti, non ha qui che il padre, ottantenne. Suo fratello è convalescente in un ospedale militare. L'angoscia e le privazioni struggono la povera ragazza. E lì immobile, e suo padre le gira attorno, accorato e silenzioso. Non hanno un soldo, né una speranza.

30 novembre. Sono andata all'ufficio d'evidenza a rispondere circa un lavoro cui fui invitata. Presso l'impiegato stavano due signorine. Scribacchiavano, ridevano, scherzavano. Stanno al caldo. Tutta raffreddata come sono, con la tosse e il mal di gola, pensavo: "Potessi portarmi il caldo che qui c'è di troppo nella mia povera baracca!" Stamattina nella stanza dove siamo installati, non c'era un metro quadrato su cui non piovesse: sul letto, sulle suppellettili, addosso, dappertutto pioveva. È venuto il medico accompagnato dal capo-baracca e da un altro. Alle sue domande, d'altronde cortesi, abbiamo risposto esasperati. Qual è la missione del medico in questo baraccamento? Mistero! Il medico viene e interroga, ma i poveri profughi rimangono sui miseri sacconi poverissimi di paglia e stesi sul pavimento; vi rimangono, benché ammalati, nell'umido e nel freddo, affamati.

1° dicembre. Sono andata a riscuotere la prima mesata dall'Amministratore. La presi tremando, come fosse un’elemosina.

3 dicembre. Piove a dirotto; le strade sono orribili. Bisogna star rinchiusi in baracca. Non ho un buon libro che mi sollevi, non ho un po' di filo da lavorare. Non ne posso più. 

14 dicembre. Sono andata dal capo-sezione a prendere gli oggetti di vestiario. Abbiamo ricevuto camicie, mutande, sottovesti, un paio di scarpe e un vestito per papà che ne fu assai contento.

16 dicembre. Comincia la novena del S. Natale. Deh vieni, vieni Signore! Vieni o Principe della Pace, e consola i derelitti, umilia i potenti e riducili a una buona volontà di pace!

21 dicembre. Sono stata avvisata che domani devo incominciare la scuola. E sto proprio poco bene.

25 dicembre. Natale. Triste Natale! Oggi ho condotto le scolare a prendere il regalo di frutta nel magazzino.

1916

DAL 1° GENNAIO AL 4 GIUGNO


La chiesa dell'accampamento, significativamente dedicata alla "Fuga in Egitto"  proprietà L. Petri 

L'offensiva austriaca s'infrange contro

la resistenza delle truppe italiane.


Le nostre valli continuano ad essere teatro di guerra. Continuano le sofferenze: freddo, fame, cibo pessimo,

malattie, morte...Ma non mancano occasioni di serenità e fiducia. Già avvengono rimpatri, ma riguardano pochi. Alla morte dell'imperatore Francesco Giuseppe, nascono speranze di pace nel nuovo Imperatore.

Un bimbo di 9 anni...

1° gennaio. Tutti i giorni dell’esilio sono tristi, ma le feste, certe feste soprattutto, sanno  più d'amaro. Dove sono andati i giorni festivi dei nostri paesi, attesi con desiderio giocondo, rallegrati da visite care, confortata dalla preghiera?

2 gennaio. La mamma è irritata perché a pranzo ricevette un cibo scarso e cattivo. Le ho  ceduto metà di quello che ricevo io. Ma si può durare così? Sì, sì: perché Dio vorrà darmi forza, vorrà accorciare l’esilio.

3 gennaio. Papà è andato a Unterwaltersdorf a prendere un pacco speditomi da una  gentilissima signorina che ho conosciuto a Bressanone. Era un cestello pieno di poesia. Lo aprì papà. Un ramoscello d'abete, al quale era intrecciata qualche fronda d'edera, copriva il contenuto: bellissime mele avvolte in sottile carta azzurra, bianca, rossa; un sacchettino di caffè, tre pacchetti di tè. Grazie, cara e gentile creatura! Il tuo regalo ha rasserenata una giornata del nostro esilio, e ci ha dato una dolcezza che ci conforterà per molto tempo.

4 gennaio. Sono andata a Ebreichsdorf. È una bella borgata, dalle case bianche e graziose. L'edificio scolastico è magnifico. Passando lì presso ho udito gli scolari cantare accompagnati dall'harmonium. E io pensavo ai miei piccoli allievi, alle mie care scolarette, nella scuola di Vattaro, buia, fredda, colle imposte sconnesse, con gli usci rotti, colle pareti che gocciolavano.

7 gennaio. Il medico mi ha assegnato mezzo litro di latte al giorno. È latte artificiale. Non c'è latte naturale neppur per i bambini.

10 gennaio. Sono andata a far provvista in un paesello lontano circa due ore da qui, a Velm. Ho comprato di che ristorare papà. Se non si potesse provvedersi di qualche cosa col proprio denaro, con quel che ci danno qui si morirebbe d'inedia.

11 gennaio. S'è levato un vento così forte che ha rotto l'uscio e spezzato tre vetri della finestra. Un vetro s'era già rotto nei giorni passati; sicché ora ne mancano quattro. Abbiamo appeso sui fori una coperta, ma è affatto insufficiente a ripararsi dall'aria fredda che entra violentemente. A mezzogiorno è venuto il capo-baracca ad avvisarci che alle 3 si doveva andare presso la cancelleria, per fare un "evviva" all' arciduchessa Maria Iosepha, ch'è venuta a visitare l'accampamento (Maria Iosepha, madre del futuro imperatore Carlo I). Accompagnata dal Barone e da altri signori, l'augusta visitatrice passò presso la prima serie di baracche. Salutava affabilmente. Entrò in una stanza che sembrava preparata alla sua visita, perché era pulita, non zeppa di letti come le altre, e sui letti c'erano belle lenzuola bianche. L'arciduchessa si è certo rallegrata a vedere che i profughi sono ospitati così bene e non ha certo indovinato che vi sono stanze come quella dove io mi trovo, dove 17 persone giacciono sui miseri pagliericci, poverissimi di paglia, addossati gli uni agli altri, senza un lenzuolo, coll'uscio e le finestre rotte, donde l'aria entra violenta a intirizzire i poveri vecchi e gli smunti bambini dal gracile petto lacerato dalla tosse, dalle membra scarne rabbrividite di freddo, dallo stomaco vuoto e implorante. Maria Iosepha visitò poi gli ospedali, tanto larghi di doni alla morte, e le scuole bene arredate dove ai piccoli ospiti viene spezzato un pane che non sazia. Oh, l'accampamento di Mitterndorf!

12 gennaio. Sono stata chiamata nella scuola, per fare l'iscrizione delle scolare della seconda classe. Dio! Dio! Quanta miseria si legge sui piccoli visi delle bimbe malvestite, sui terrei visi delle madri affrante! Quante angosce, e quanta ira dolorosa tremano sulle labbra avvizzite di tante povere donne imploranti un abitino per le loro creature! Il governo provvede da lontano con somme vistose, le buone persone mandano regali e regali per i poveri profughi: ma chi sono, ma quanti sono i privilegiati che ne ricevono?

13 gennaio. Anche oggi sono stata nella scuola per l'iscrizione. Mi pareva un sogno poter star lì nella stanza calda e pulita, e rabbrividivo al pensiero della baracca buia e aperta al vento nella quale dovevo ritornare.

14 gennaio. È venuto il medico accompagnato da un capobaracca a visitare la camera. Ho fatto loro osservare che da quattro giorni e quattro notti siamo qui al freddo e al buio, né malgrado le nostre preghiere s'è ancor riparato alle finestre ed all'uscio. E soggiunsi che se per stasera non si sarà ancor fatto nulla, andrò a Vienna e dormirò nella sala d'aspetto della stazione.

15 gennaio. Stamattina vennero due uomini e misero i vetri alle finestre.

17 gennaio. Sono stata a Marienthal con papà ed altri compagni di baracca. Oh, le passeggiate dell’esilio, dolorose come quelle del prigioniero che cammina colla catena ai piedi!

20 gennaio. Nella stanza c'è un bimbo di nove anni gravemente ammalato. La sua mamma lo tiene nascosto al medico perché non lo faccia trasportare all’ospedale, ove non potrebbe stargli vicina.

21 gennaio. Stasera il bimbo sta più male.

22 gennaio. Il medico stava già per uscire dalla stanza, quando il nostro piccolo ammalato mise un gemito. Quegli udì, cercò, scoperse l'infermo e lo fece tantosto portare all'ospedale da due uomini della Croce Rossa. La mamma sua era disperata, come lo portassero al cimitero.

28 gennaio. Egli è morto oggi alle 4 pomeridiane. Povero bimbo! Povera mamma sua! L'infelice non sa darsi pace, si fa mille rimproveri, e disperata. E morto di doppia polmonite. Oh, il dolore della madre, le sue lacrime, i singhiozzi, gli urli di belva ferita! Avrebbe dato il suo sangue per salvare la vita del suo figlioletto, e non valse. Se l'era allevato sano, forte, eccezionalmente robusto, e questo "Lager" fatale glielo ha ucciso. Ucciso! Ucciso! Per quattro giorni e quattro notti freddissime, con un vento violento, la nostra baracca mancava di quattro vetri alle finestre, e nell'uscio c'era un buco così grande che qualche persona ci passava per scherzo. E proprio in quei giorni il nostro fanciulletto accusò per la prima volta un malessere che non sapeva esprimere. Stette a letto. Ogni giorno era più aggravato. Lo portarono all' ospedale. Ed oggi è morto.

30 gennaio. Ho accompagnato alla sepoltura il nostro piccolo compagno. Non ho avuto fiori; non ho avuto che lacrime, da versare sulla piccola fossa.

31 gennaio. Ho letto su L'eco del Litorale del 27 corr. n. 98. che "al fronte del Tirolo l'artiglieria nemica bombardò le località di Creto e Caldonazzo". Caldonazzo, la gentile borgata dalle belle casette, dalle vie pulite e animate, circondata dai campi ubertosi, non è più dunque. che un mucchio di rovine? E di Roncegno, del mio caro e bellissimo Roncegno, che ne sarà?

1° febbraio. L'Ispettore scolastico mi ha invitata a prestarmi per la distribuzione di oggetti di vestiario agli scolari. L'ho fatto tanto volentieri, e la giornata d'oggi è stata per me forse la prima che mi abbia saputo di giocondità. Pare che il Barone sia l'autorità suprema in questo "Lager". Ora, se egli è inaccessibile, si comprende come le altre autorità possano giocare d'ingiustizia e di soprusi: esse sanno che ai maltrattati è vietato avvicinarsi a chi potrebbe e dovrebbe domandar loro qualche conto.

2 febbraio. La madre del povero bimbo morto è inconsolabile. Il dolore l'ha affranta anche fisicamente. Dice di sentirsi morire. Stasera mi ha chiamata vicina al suo letto, m'ha messo una mano sul collo per avvicinare la sua bocca al mio orecchio e mi ha detto: "Guardi: se io avessi a morire, prenda il denaro che m'ho cucito nella schiena del corpetto: mi fido di lei, più che della mia matrigna". La esortai a calmarsi e a sperare. Povera donna! Non tarderai molto, povero angelo, a volare in cielo ...

3 febbraio. Anche oggi sono stata tutto il giorno a distribuire oggetti di vestiario agli scolari. Che riconoscente il sorriso dei piccoli profughi pezzenti!

6 febbraio. Sono stata di buon' ora ad ascoltare la S. Messa, e poi sono andata a Bruck (sul fiume Leitha),

11 febbraio. Mentre attendevo alla distribuzione di vesti agli scolari, è venuto nel magazzino il consigliere aulico Bonfioli Cavalcabò. Gli ho narrato alcuni fatti, alcune vicende della mia baracca. Ascoltò tutto con serietà, e io spero non abbia ascoltato invano.

15 febbraio. Sono andata a Marienthal a far provviste. Pessime strade. Si cammina sprofondandosi nel fango puzzolente attaccaticcio. Par di camminare su di un lago denso e sudicio. Barbaro, chi ci ha condotti qui! Sarebbe stato più umano condurci in una selva, ma dove l'acqua scolasse, ma dove si potesse levare i piedi dal suolo senza aggravarlo di un pendo di sudicio fango. Oh, il nostro paese! Le sue vie bianche di ghiaia, la nostra terra gentile, l'aria limpida, il cielo così bello, il sole festoso! Perché dover fuggire? Perché lasciarci trascinar qui? E perché qui si incrudelisce tanto contro di noi profughi? Perché? Perché?

20 febbraio. Oggi un gran freddo. Siamo stati tappati tutto il giorno in baracca, tutti infreddoliti. Quando, in tempi lontani leggevo la storia pietosa degli Esiliati in Siberia, trattenendo a stento le lacrime, avrei io pensato che m'attendeva una sorte somigliante?

22 febbraio. Ho ricevuto una cartolina da Emma, l'amica del cuore. Mi scrive che Roncegno fu incendiato.

27 febbraio. Oggi ho saputo che la mia abitazione in Vattaro è stata occupata dai militari e che delle mie cose fu fatto uno scempio. Ho pianto lacrime amarissime.

4 marzo. Mi trovo tanto male nella baracca: sempre più male. Di notte posso dormire assai poco. Una ragazza tisica all'ultimo stadio tossisce continuamente. C'è un tanfo che non si può respirare. Devo uscire e andare a passeggio più che non vorrei per togliermi a questo triste ambiente.

3 aprile. "In due mesi, può nascer di gran cose", diceva don Abbondio. Se nascesse la pace! Sono andata con mia cognata a vedere la sua nipotina, la cui madre fu portata oggi all' ospedale, malata. Trovammo la bimba tale da non riconoscerla più. Ha otto anni. E' malata da due mesi, e il medico che visita ogni giorno la baracca, non se n'era accorto. Gli occhi neri splendevano tristemente nel visino scarno, allungato, terreo; la personcina presto consunta giaceva nel letto sudicio, carico di cenci luridissimi. Le manine erano nere di sporcizia, i braccini e le gambe sottili da far ribrezzo, incrostate di lordume. Lo non avevo mai visto uno spettacolo così miserando. Alle nostre domande e alle nostre carezze, la poveretta rispondeva con una vocina che sapeva appena di fiato; un po' sorrideva, un po' piangeva. Teneva nelle mani una fetta di limone, con la quale cercava di sfregarsi le dita esili e lunghe, e diceva: "Il limone mi fa bene". Sul letto accanto c'era un piattino di ferro con un po' di minestra: broda del "Lager". E di quella robaccia s'era saziata la povera bimba quasi moribonda? Le domandammo, per rassicurarci, che cosa avesse mangiato: ("Trisota" rispose la povera creatura, accennando cogli occhi al piattino di ferro. Là, così, trovammo la disgraziata piccina: fra estranei, su di un letamaio, febbricitante, sfinita. E implorava: "Voglio la mia mamma!". Decidemmo di portarla all'ospedale. Mia cognata l'avvolse' nello scialle, se la prese in braccio, e andammo. Il medico che allora usciva dall' ambulatorio non volle neppure guardarla, benché caldamente pregato; le Suore non potevano accettarla senza l'ordine suo. Più di un' ora mia cognata dovette trattenersi in piedi con la bambina in braccio, sul corridoio: finalmente poté entrare nella sala dove si ricevono gli ammalati. Una Suora prese la bimba, dicendo: "Dura poco". Le fece il bagno; le tagliò i capelli, liberandola dai pidocchi che la rodevano numerosi, e poi la coricò in un lettino pulito. Raccomandammo la piccola alla carità della Suora e ce n'andammo piangendo. Non tarderai molto, povero angelo, a volare al cielo dove ti aspetta il tuo fratellino.

4 aprile. Oggi ho ricevuto una lettera da Vattaro, in cui mi scrive che della mia mobilia e dei miei libri fu fatto dai soldati uno scempio, che il mio baule fu aperto, e che le cose in esso contenute, tanto a me care, e di gran valore per me, mentre ad altri non potevano esser tali, furono da quei prodi messe sossopra, rovinate e disperse. Chi ci persuase con minacce e promesse a lasciare i nostri paesi, assicurandoci che l'esilio non sarebbe durato più di un mese, fece questo per sottrarci alle bombe, o perché le cose nostre, ch'era impossibile trascinar con noi, rimanessero incustodite, per esser il ludibrio della soldatesca? I fatti rispondono chiaro. A noi profughi si proibisce, a scanso di gravi castighi, di raccoglier da terra una noce, una patata; ci s'intima severamente di non raccoglier un "dente di cane", un po' d'erba per sfamarci; e delle cose nostre, delle nostre sudate fatiche, che si fece?

5 aprile. Oggi ho distribuito i vestiti ai bambini che domani faranno la Prima Comunione. Ciascuno ha ricevuto un vestitino color olivo, un berretto della medesima stoffa e un paio di ghette a maglia.

9 aprile. Sono andata a fare una visita all' ospedale dei bambini. Dio che spettacolo! La sala era piena di piccoli malati. Gemiti, deboli risa nervose, stridi come d'uccelletti feriti ferivano l'orecchio ed il cuore. Che potevo fare io per essi? Nulla! Scappai.

16 aprile. È venuta un'infermiera dell’ospedale a direi che la nipotina di mia cognata è morta stanotte. La sua mamma è pure all' ospedale malata e non sa nulla della morte della sua bambina.

23 aprile. Domenica di Pasqua. Oh, la Pasqua dell’esilio!

I fiori dell'esilio.

28 aprile. Ho ricevuto dall'Ispettore scol. l'incarico di sorvegliare le mie scolare durante la lezione di lingua tedesca, impartita loro dalle Suore francescane, che oltre ad attendere agli ospedali e all' orfanotrofio femminile, si prendono la briga d'insegnare la lingua tedesca alle ragazze profughe italiane; tanto vedono la necessità che si educhino e si ingentiliscano imparando la lingua del paese. E intanto io nella scuola mi arrabatto perché i piccoli componimenti delle mie scolare sappiano un po' di "babbo e mamma".

1° maggio. Maggio! Maggio, che nei nostri paesi era "l’odoroso, pieno di concenti". E qui? Ohimè! possono aver profumo i fiori dell’esilio? Può aver concenti l'aria greve di una palude? Può aver inni la pianura monotona? Nell'Inferno udì Dante un trillo giocondo? Da alcuni giorni m'inebrio di Dante mandatomi da mio fratello. M'aveva spedito anche I promessi sposi, ma gli furono rinviati, con l'osservazione: "Unzulàssig" ("Inammissibile").

4 maggio. Oggi ho avuto mezza giornata di vacanza, ma come goderla? Nella baracca pareva di soffocare, di fuori il vento porta in faccia la polvere sudicia. Dov' è un albero, al cui rezzo riposare? Dov' è un palmo di terra ove lo strepito non giunga, ove il vento non urti, ove la polvere non si cacci negli occhi e nel petto?

10 maggio. Mia cognata era andata a raccoglier una mano mdi stecchi che avrebbero servito per accender il fuoco un paio di volte. Se ne tornava verso le baracche, quando fu fermata da una guardia, che sta all' entrata dell’accampamento, e la costrinse a deporre il fascetto che teneva nel grembiule.

13 maggio. Sono andata a vedere la cameretta concessami nella baracca costruita per le maestre. È piccola, ma carina e ben arredata: un letto, un lavabo, un armadio, un tavolino. Mi sono fermata lì alcuni minuti, sola, quasi assaporando la quiete di quella stanzetta che sarà tutta per me.

21 maggio. I giornali dicono che gl'Italiani hanno perduto in questi giorni ciò che avevano guadagnato in un anno. Ci sono dei profughi che fanno commenti che irritano chi deve udirli, e che non pensa proprio com' essi.

1° giugno. Festa dell'Ascensione. Sul giornale ho visto queste parole: "Asiago und Arsiero genommen" ("Presi Asiago e Arsero").

2 giugno. È venuto il Luogotenente a visitare l'accampamento. Passando fra le baracche, incontrò due donne che portavano in un pentolone la cena ai profughi. Esse deposero la pentola davanti al Luogotenente, pregandolo che la guardasse. L'ingegnere che accompagnava il Luogotenente dovette rimestar quella broda. Il Barone, pure presente, rimase come poteva.

4 giugno. Andando a passeggio vidi una bambina che veniva per la strada adagino, tenendo in mano alcuni papaveri. La piccola guardava seria i suoi fiori e li teneva stretti come un tesoro. Ma ecco appressarlesi un Ispettore del "Lager”). Le disse con cipiglio qualche parola che non intesi, le tolse i fiori, li lacerò accuratamente e poi li gettò in una cassetta della spazzatura. La bimba proseguì la sua via, guardandosi mortificata le manine vuote.

PARTE SECONDA

1916

DAL 5 GIUGNO AL 3 SETTEMBRE


In primo piano due baracche-ospedale in secondo piano la cucina centrale ( proprietà Boccher)

Le buone mani in cui siamo.

5 giugno. Ho saputo che quel gentile signore si chiama Donolli, che è un triestino, e che è l'Ispettore superiore dell’accampamento. Si dice che odia i profughi trentini, e che, giorni or sono, fece loro rimproveri e minacce atroci, dicendo loro che in tre mesi egli ha tempo di farci morire di fame. Parecchi profughi sono andati a Vienna, ad accusarlo di ciò presso le Autorità.

6 giugno. Ho pregato il capo-baracca di un po' di paglia per il letto della mamma. Tale domanda parve una pretesa esorbitante. lo dissi che qualora non potessi averla domandandola qui, mi sarei rivolta al cons. Bonfioli presso il "Comitato" in Vienna e gli avrei domandato dove rivolgermi per avere un po' di paglia. Il capo-baracca uscì furioso dalla stanza e ritornò col capo-sezione che voleva farmi un processo. Ripetei ciò che avevo detto prima e si finì col concedermi un saccone nuovo e la paglia richiesta.

8 giugno. Ci è giunta la notizia che la nostra casa è bruciata, rasa al suolo. Le fatiche dei miei poveri cari genitori che se l’avevano fabbricata a furia di sacrifici!

13 giugno. Una lettera di Emma. Mi scrive la verità, circa la mia casa. Tutto, tutto distrutto. Roncegno saccheggiato orribilmente, poi incendiato.

14 giugno. È venuto nella scuola il Direttore con una signora. Senza dirmi nulla fecero uscire con loro 22 scolare. Io non sapevo perché. L'ho saputo poi. La signora era incaricata di condurle al medico per la visita. Quattro di quelle mie scolare scapparono. Due uomini della Croce Rossa andarono a cercarle e le minacciarono. Le fanciullette non si arresero. Sfuggirono loro, gridando: "Non abbiamo bisogno di visite; abbiamo bisogno di pane".

15 giugno. Nella baracca dove stanno i miei genitori, mentre io ero lì presso di loro, è venuta una ragazza, che indossava un grembiulone bianco e teneva in mano alcuni termometri. Era stata mandata a misurare la febbre. lo mi rifiutai. Dissi che dei suoi termometri avevo schifo, che sono sana grazie a Dio, e che non ho voglia di pigliarmi magari qualche malanno, mettendomi sulla pelle uno strumento che s'era posato su tante persone. Mi volse le spalle e s'avvicinò indignata a un uomo; gli sbottono la camicia e gli pose sotto l'ascella il termometro. Lo stavo a guardare tanta disinvoltura. Intanto la sfacciata signorina si, avvicinava al mio papà per fargli il medesimo servizio che all'altro. Ma io glielo impedii. E la pregai solo. di dirmi quanti anni avesse. "Sedici", mi rispose, "e presto diciassette. Da qualche anno già sono addetta alla Croce Rossa" guardai. indignata la monella cui non avrei dato più di quattordici anni. Ah, le esperte sorelle che ci mandano a misurarci la febbre, le buone mani in cui siamo!

17 giugno. Oggi furono avvisati i Valsuganesi che possono rimpatriare: fino a Levico quali lavoratori. Una folla di gente ansiosa di essere liberata, come le anime del purgatorio dal loro carcere, si riversò nell'ufficio del "Segretario del popolo" per farsi inserire nella lista dei lavoratori che si lasceranno partire per la Valsugana. E noi? Venga anche la nostra volta, un giorno!

Roncegno saccheggiato e bruciato.

18 giugno. Ho letto sul giornale Extrablatt del 16 corr. un articolo intitolato: "An der Front im Suganatal" ("Sul fronte della Valsugana"). E fra il resto c'è questo che trascrivo:

... (Il testo in tedesco è tralasciato per comodità del lettore. Riportiamo la traduzione);

" Sembra che gli Italiani abbiano costretto la popolazione civile ad abbandonare la Valsugana al più presto. Alcuni paesi furono incendiati, in altri si trovò sparso dello zolfo, il che permette ben di dedurre che gli Italiani posero la popolazione di fronte alla scelta: o di abbandonare i loro paesi, o di veder andar in fiamme le loro case.  

Il comandante disse il giorno prima: - Osservino bene il panorama: gli Italiani vi hanno infierito peggio dei Russi. - Così lo trovammo anche noi. Tutta la località posta in posizione meravigliosa nel Tirolo meridionale è distrutta dal fuoco, il (Palace- Hotel", uno stabilimento termale dotato di tutti i comfort di una azienda moderna, nel quale avevano il quartiere degli ufficiali italiani, ha l'aspetto come se lo avessero avuto in mano dei Cosacchi. Tutto distrutto, rovinato, insudiciato, il pavimento disfatto, il salone delle feste una stalla per cavalli, i mobili dispersi, dai tappeti ritagliati dappertutto dei pezzi. Inutilmente e senza scopo. Solo per voglia di distruzione. Se le distinte persone delle città dell'Italia settentrionale, che spesso furono qui come ospiti, potessero vedere questa devastazione, ringrazierebbero la loro armata di un tale livello di civiltà! "

lo avevo dovuto partire da Roncegno (che i Tedeschi hanno voluto battezzare "Rundschein" ("Panorama") tre mesi prima dei miei genitori e allora non v'erano ancora entrati né Italiani, né Tedeschi; sicché io non avevo visto nulla dei vandalismi cui si accenna in questo articolo. Ma i miei genitori, che rimasero a Roncegno fino ai 28 agosto del 1915, mi avevano poi raccontato minutamente quel che avevano passato in quei tre ultimi mesi. La mamma aveva fatto anche un po' di diario. Dalle parole dei miei genitori, dai racconti d'altre persone che furono testimoni oculari, e dalle lettere ricevute devo concluder così: tutte le cose accennate nell'articolo sopra trascritto sono vere: soltanto al nome "Italiani" si deve sostituire il nome "Tedeschi"; e ci sarebbe di troppo lo zolfo: nessuno dei miei compaesani ha visto zolfo sparso né a Roncegno, né nei dintorni. Ai 26 di agosto 1915 i Tedeschi, che dominavano Roncegno dalle loro posizioni sul monte ai cui piedi giace il paesello, e principalmente dal forte Panarotta, intimarono ai Roncegnesi l’evacuazione, e vollero sollecitarla col gettare, ai 27, tre bombe che appiccarono il fuoco in diversi punti della borgata. La gente accorreva per spegnere l'incendio, ma sopraggiunse frettoloso un tenente che fece sospendere il lavoro, dicendo: "Lasciate che il fuoco divori". I pompieri e tutti gli altri dovettero ubbidire. Quelli, le cui case non ardevano ancora, si affrettarono a ritornarvi per salvare quanto loro stava più a cuore, e si prepararono alla partenza, piangendo, implorando invano, disperati. Il giorno seguente, la metà orientale del paese era quasi tutta bruciata; la metà occidentale, ove si trovavano alcune ville signorili, lo Stabilimento balneare e il magnifico Park Hotel, non era ancora danneggiata dal fuoco. Nelle belle palazzine, nel bellissimo Hotel erano acquartierati gli ufficiali e i soldati tedeschi e il vandalismo che nel sopra scritto articolo si attribuisce agli Italiani era stato fatto dai Tedeschi: i Roncegnesi avevano visto i soldati entrare in quelle ville, in quello Stabilimento, in quell'Hotel; avevano visto abbattere porte, usci, finestre; avevano visto trasportar mobili, materassi, biancheria, chincaglie, cristalli, argenteria. Ai 28 quasi tutta la popolazione era partita: erano rimasti solo gli ammalati nell' ospedale, le suore, alcuni uomini, e alcune persone che prestavano la loro opera nell' ospedale. Da questi si seppe che in seguito comparirono alla spicciolata soldatessa italiana, ma che non si trattenevano a lungo nel paese. O voi che avete scritto quel bell'articolo per l'Extrablatt; o voi che leggendolo fremeste, pur gongolando, nell'udire i vandalismi degl'Italiani; se leggeste qui, m'imputereste a delitto la paginuccia di commento che io mi son permessa di fare? Ma io confido nell' amore della verità, di cui voi vi vantate.

                                        La cresima.

19 giugno. È partito un convoglio di Valsuganotti per il Trentino. Quelli che devono rimanere guardano con invidia, ma scevra di malanimo, i fortunati che possono andare laggiù, benché si sappia che non si lasciano partire perché ritornino alle loro case, ma per lavorare, sotto la direzione militare, la campagna che deve dare il pane per poter continuare la guerra.

21 giugno. Sono andata al Segretariato del popolo a domandare se sarebbe possibile avere il permesso di rimpatriare. La risposta non fu assolutamente negativa, ma poco meno. Mi si disse di presentar la domanda, all'annunzio d'un prossimo convoglio.

22 giugno. Festa del Corpus Domini. Non ho preso parte alla processione. Non mi sentivo; mi ripugnava. Mi sembrava un’atroce commedia quella processione, in cui il S.S. veniva accompagnato da quelli che Signore, tu sai, chi ti seguiva! Signore, non dici loro nulla? Non li maledici perché succhiano il sangue dei poveri?

25 giugno. Sono stata a Vienna ... Ritornando verso la stazione, vedemmo "den eisernen Mann" ("L'uomo di ferro"), È una statua di legno tutta fitta di chiodi; per ognuno di questi, chi aveva voluto conficcarcelo, aveva dovuto pagare una corona. E le corone raccolte così, giovano a continuare la guerra.

3 luglio. È un caldo soffocante: 30° C. all'ombra. E bisogna far scuola.

10 luglio. La ragazza che viene ogni giorno a vedere se qualcuno ha la febbre, trovò nella nostra baracca, che una povera giovane vedova aveva una temperatura di 39° e mezzo. Andò subito a far rapporto al medico. Questi venne accompagnato da un uomo della Croce Rossa. Misurò anche lui la febbre dell'ammalata, poi col cipiglio d'un superiore che coglie il suo inferiore in delitto flagrante, le intimò di recarsi subito all'ambulatorio medico e di lì passare all' ospedale. La poverina, spaventata, mi pregò di accompagnarla. La condussi all' ambulatorio, dove subì una visita medica, e poi le fu nuovamente intimato di andare all' ospedale. Le sue proteste furono vane; vane le lacrime del suo bambino che non voleva staccarsi dalla mamma. Per i crauti marci e non conditi che ci portano da alcuni giorni non c'era nulla da osservare; ma perché aveva la febbre fu costretta a recarsi all'ospedale, il cui solo nome, in questo "Lager", fa raccapricciare.

14 luglio. Ci si intimò di presentarci nell' ambulatorio per ricevere le iniezioni contro il tifo. Se prima di far iniezioni guardassero quello che ci danno ogni giorno da mangiare! Vedrebbero certo che sarebbe più necessario migliorare il cibo, che fare iniezioni per prevenire il tifo.

15 luglio. Festa per la Cresima degli scolari. Ad amministrarla è venuto mons. Piffel, l'arcivescovo di Vienna. Fu accolto dal Barone, dalle altre autorità del "Lager" e da mons. Brugnolli, con grande apparato. Scese dall' automobile davanti alla palazzina dell'Amministrazione, ove entrò tra gl'inchini e gli ossequi di coloro che gli facevano ala. Un quarto d'ora dopo uscì accompagnato da quei signori, si avviò alla chiesa ove lo attendevano i cresimandi, i quali, in quest'occasione, avevano ricevuto un vestito di velluto. A qualche decina di ragazzi e ragazze fecero da padrini e da madrine signori e signore tedeschi, venuti da Vienna. Sua Altezza cresimò. Non fece alcun discorso, ché non sa la lingua italiana. lo pensavo al nostro Vescovo, all'amatissimo nostro Pastore, cui solo spettava la festa che si fece al Piffel. Pensavo con quali fremiti di gioia sarebbe stato accolto qui in quest' occasione dai suoi poveri diocesani profughi; pensavo qual conforto ci avrebbe arrecato la Sua parola, la parola di quel gran cuore e andavo col pensiero lassù a S. Croce, dove l'illustre esule langue prigioniero.

Nuovi arrivi di profughi in tanta miseria.

18 luglio. Ricevevo un rancio così cattivo, che non lo potevo più tollerare. Decisi di pagare una corona di più al giorno e domandare l’”Extrakost" ("Vitto speciale"), quale ricevono gl'impiegati tedeschi. Mi venne data la tessera richiesta, ma anche con questa ricevo poco di meglio di prima: non quello cui la tessera pagata mi dà diritto. Stasera sono andata dallo "chef" di cucina e ho domandato spiegazione. "Ein Irrtum" ("Un errore"), mi ha risposto placidamente colui. Però questa sera sono stata trattata meglio.

23 luglio. Ho mandato una supplica al Capitanato di Borgo per ottenere il permesso di rimpatrio.

25 luglio. Sento la nostalgia sempre più acuta e quella dei miei genitori s'è fatta quasi feroce: non sanno rassegnarsi a quest'esilio che diventa sempre più orrendo.

30 luglio. Ho ricevuto una cartolina di un mio scolar etto ch'è rimpatriato, in Castagnè. Beato lui!

5 agosto. L'Ispettore scol. mi ha invitata a condurre le mie allieve al cinematografo. Vi mandai e le ragazze sia divertirono. Il cinematografo nel "Lager" non è una gran bella cosa? Sì, ma se vale a esilarare per un'ora i bambini, non basta a soddisfare lo stomaco languente, a calmare i nervi strapazzati, a confortare il cuore spasimante di nostalgia, a sopire l'esasperazione dell'anima contro tanta ingiustizia, tante prepotenze, tanta tirannia.

6 agosto. Domenica. Un soldato che vide Roncegno pochi giorni or sono, ci ha detto che la nostra casa è un mucchio di rovine. Papà e mamma, col capo chino, ascoltavano accorati le tristi notizie che ci portava colui. lo non trovavo parole per consolarli; e per non accrescere il loro dolore lasciando scorgere il mio, uscii per andare a pigliare un po' d'aria e divagarmi un po’. Passando presso la cucina della nostra sezione ho visto la "signorina" che assaporava la minestra preparata per noi. Col cucchiaio d'argento, prendeva su due gocce di broda e l'accostava alla bocca guardinga. Fosse anche tossico, quella signorina, che è tedesca, non s'avvelenerà. E poi l'eroina si riconforterà lo stomaco con un buon "Extrakost" ("Vitto speciale"), e verrà remunerata con un buon salario! lo ho alzato gli occhi al cielo e ho gridato: " Signore, non vorrete Voi, invece di costei, decidere su questa minestra? ..." Ripugna al più comune buon senso, il vedere che la decisione sulla bontà dei cibi vien fatta da una persona che ne tocca appena goccia sulla lingua e poi gode il costo migliore. Non dovrebbero invece assegnar il compito di qualificar il cibo che si dà ai profughi, a una persona che di quello deve vivere?

7 agosto. Fa un caldo soffocante. Nella baracca par di non poter respirare. Oh, le baracche! Perché ci hanno condotti qui? Non un rifugio ci si diede, ma a un supplizio ci condannarono!

9 agosto. Si dice che verranno presto parecchie migliaia di profughi e che dovremo restringerci per far posto anche a quelli.

10 agosto. Abbiamo dovuto far posto nella stanza per quattro persone: una donna con tre bambini, giunti pochi giorni or sono dalla Boemia. E dappertutto uno sgombero frettoloso, pieno d'ira e di dolore. Nelle camere dove si installano nuovi ospiti si sussurra di protesta, s'impreca. Bisogna restringersi, cacciar sotto i letti quel po' di roba che si ha per far posto. Ma perché invece di fabbricare quel costosissimo edificio per il cinematografo colla "Volkshalle" ("Sala popolare") per i bevitori, non si fabbricarono altre baracche per ricoverar ivi i nuovi profughi senza accumularci in siffatta miseria?

15 agosto. Papà ha avuto un diverbio con un poliziotto screanzato. Siamo anche lo zimbello dei poliziotti! lo mi intromisi a tener le parti di papà, che indignato voltò sprezzante la schiena al dottorone. Questi andò a chiamare il capo-poliziotto e poi vennero entrambi a voler far non so che cosa. Se non che se n' andarono persuasi che non era il caso di poter riuscire a insaccarci.

17 agosto. Sono stata al funerale di "Gigiotti", un bambino che veniva spesso a trovarmi. Povero bambino, anche tu vittima del "Lager" ("Gigiotti": Luigi Conci, di Ildebrando, di Roncegno).

18 agosto. Festa per il natalizio dell'Imperatore. Messa cantata all'aperto, cui ha assistito tutta la scolaresca. Dopo pranzo musica, canti, recite, evviva all'Imperatore. Cominciano le vacanze: 4 settimane.

25 agosto. le mie colleghe si radunarono per conferire sul vestito che ci si promette dall'Amministrazione. lo n'ero ristucca. Come pensare a vestiti, a figurini, con tanto lutto nel cuore, con tanto sangue che si versa in questi giorni! Un sacco per vestirci, un pugno di cenere sul capo e la compunzione dei Niniviti, per placare il Signore e muoverlo a liberarci.

                                           Ladri

26 agosto. Durante le "vacanze" è affidata a ciascuna maestra una. classe di scolari e scolare: si radunano ogni giorno nell'aula, si fa un po’ di conversazione, poi si gioca o si va a passeggio. A me sono affidati 50 ragazzi di 13 e 14 anni.

28 agosto. È venuto l'Ispettore scolastico, accompagnato dall' Ispettore superiore del "Lager" dotto Cesare Loss, un trentino, a fare una visita alla mia scuola. Stavo raccontando ai ragazzi una storia: gl'Israeliti in Egitto. I due Ispettori mi salutarono con un cenno del capo, poi guardarono gli scolari. Si vedeva che volevano cercare qualcuno. Ed ecco l'Ispettore scol. appunta il dito verso un certo Luigi Marchesoni di Caldonazzo e dice, rivolto all' altro Ispettore: "Ecco il ladro che ha rubato l'orologio all' ufficiale del Barone". Il Loss lo guarda con cipiglio e sta per dire qualche cosa, ma il ragazzo si alza, pallidissimo, e dice con forza: "No, non sono stato io". "Allora è stato tuo fratello", s'affrettò a dire l'Ispettore scol., quasi come il lupo delle favole. Il ragazzo chinò il capo singhiozzando. Era vero: suo fratello, non so come, aveva rubato un orologio all'ufficiale del Barone. I due Ispettori, alternativamente, quasi recitassero un salmo, dissero parole dure e offensive all'infelice che col capo poggiato sul banco piangeva, poi fecero un predicozzo agli altri. E l'Ispettore scol., don Cesare Tiso, concluse con queste parole: "Quando partirete di qui, i Tedeschi diranno: - Se ne sono andati quei ladri di Italiani!". Io tacevo, ma fremevo. Sì, egregi Ispettori, quando questi poveri ragazzi, che Dio lo voglia, partiranno, i Tedeschi dei quali voi siete alleati ed i complici diranno ciò che voi avete detto; ma noi, giunti nei nostri paesi saccheggiati e devastati, ci inginocchieremo su quelle macerie e diremo al cielo: "Vendicaci Tu!"

3 settembre. Ho scritto alcune lettere, per impostarle domani a Vienna e così sfuggano alla censura di qui. Perché si censurano le lettere che si impostano nell' accampamento?

      PARTE SECONDA

           1916

       DAL 4 SETTEMBRE AL 31 DICEMBRE


 

( Proprietà Boccher)

Infelici trofei.

4 settembre. Sono stata a Vienna. Ho visto le tombe imperiali nel sotterraneo dei Cappuccini. Mi sentii commossa e piena l'anima di venerazione affettuosa presso la tomba dell’imperatrice Elisabetta. E rammentavo i versi del Pascoli, quando dice a Luccheni (l'anarchico italiano Luigi Luccheni pugnalò mortalmente Elisabetta imperatrice d'Austria, sposa dell’imperatore Francesco Giuseppe, mentre stava per imbarcarsi su un battello):

"Niuna l'invidiò che il lento figlio aspettasse

nell' abituro battuto dal vento...

niuna nel mondo in cui si piange e muore,

fuorché tua madre, dopo il tuo delitto!

5 settembre. Ieri, a Vienna, sono entrata anche nella "Palmenhaus" ("Serra delle palme"), mi sembrava un lembo di paradiso terrestre rimasto per prodigio in questo povero mondo. Ho visitato anche la "Kriegsaustellung" ("Mostra di guerra"), Passavo per le sale col cuore stretto. Vedevo cannoni, fucili, aeroplani; lavori di soldati, notes, quadretti, medaglie, tolte ai prigionieri od ai morti; cappelli di bersaglieri italiani, fiale da campo, cartoline col segno d'Italia, fazzoletti sui quali era stampata la carta geografica del bel paese, biglietti scritti. Fremetti alla vista di un berretto russo squarciato e spruzzato di sangue; ho pianto davanti a un quadretto, custodito in una scatola, che aveva posato sul cuore d'un soldato; ho pianto davanti a pezzi di vestiario rattoppati con grossi punti radi da un infelice. Su quell'edificio che racchiude l'esposizione di guerra scenda il tuo sguardo, Signore. Vedi, vedi ... E vedi i campi cruenti donde quest'infelici trofei sen vennero, e poni termine Tu, al macello, Signore!

7 settembre. Son giunti i profughi di Vallarsa. Uno spettacolo miserando. Gente abbattuta, sbigottita, dominata da un pensiero solo: trovare un rifugio. E qual rifugio trovate qui? Trovate le baracche fabbricate sulle paludi nelle quali dovrete soffrire quello che ancor non avete sofferto.

Una moltitudine di gamelle.

9 settembre. È venuto a farmi visita un soldato amico di mio fratello. È stato a Borgo pochi giorni or sono. Parlammo a lungo dei nostri paesi ed egli mi descrisse i vandalismi che vi si fecero. "Sono stati i nostri" - diceva a voce bassa il soldato; "per difenderei", soggiungeva con un sorriso amaro.

15 settembre. S'è incominciato il nuovo anno scolastico. In questi primi giorni non si fa che esaminare gli scolari, per assegnar loro la classe corrispondente.

18 settembre. Ho incominciato la scuola. N e sento la responsabilità e temo. Ho le ragazze fra i 13 e i 15 anni.

22 settembre. È venuta una nuova collega, la cui conoscenza mi ha cagionato una lieta sorpresa. È la figlia della mia maestra Camilla de Manincor.

22 settembre. Stanotte c'è stata una lieve scossa di terremoto.

4 ottobre. Grande solennità per l’onomastico dell'Imperatore. Alla S. Messa assistette anche il Barone coi suoi impiegati. Costoro non vanno mai ad ascoltare la Messa, se non quando si celebra per l'Imperatore, nel suo natalizio e nel suo onomastico. Certo, se il Signore benedice il monarca, è in grazia di queste Messe di parata ...

6 ottobre. È venuto un soldato amico di mio fratello a cercare di lui. Lo pregai di accomodarsi e di aspettare un po', sarebbe venuto subito. Intanto m'interessai d! lui, e gli feci qualche domanda di quello ch'egli pensa della guerra. Egli disse calmo e persuaso: "Felici i morti nell' agosto 1914 !"

11 ottobre. Dopo pranzo sono andata in baracca a vedere i miei cari. All' l e 20 venne a casa il nipotino di mia cognata, piangendo, con la scodella vuota, senza aver mangiato. S'era presentato alla porta della sala dove si fa "Ausspeisung" ("Refezione ") degli scolari, già alle 11, e non era riuscito a poter entrare, perché il suo nome non era stato chiamato sulla porta, e solo i chiamati, uno alla volta, potevano entrare. Volli andare a vedere io stessa quel che si faceva. Giunta presso il baraccone dell’”Ausspeisung", ho visto una moltitudine di bambini e bambine che scuotevano le gemelle e gridavano impazienti di entrare. Sulla porta stavano due ragazze addette alla cucina degli scolari, che strillavano cognomi e nomi. Di quando in quando giungeva sulla porta uno dei chiamati, che era stato capace di farsi strada fra la ressa dei compagni. Quelli che non erano capaci di lavorare a gomitate per farsi strada, dovevano starsene indietro, benché chiamati ad entrare. Erano presto le due e molti bambini erano ancora lì fuori che aspettavano il pranzo. "Bisogna rimediare ad un tal disordine", pensavo, "e a chi spetta intromettersi?" Mi avviavo verso la baracca delle maestre, quando incontrai l'Ispettore scol. che ritornava dalla "Kantine" ("Mensa"). Pensavo che la cosa avrebbe dovuto interessarlo, gli dissi che molti bambini erano ancora senza pranzo e che sarebbe necessaria una regola migliore di quella che ho visto usar oggi per l'entrata dei piccoli all' "Ausspeisung". L'Ispettore rise sonoramente e mi rispose che doveva esser così, perché non si può far altrimenti con tante porzioni. E mi guardava con una certa aria che pareva dicesse: "Povera esaltata, bada ai fatti tuoi". "Le farà Dio le porzioni, un giorno!"), gli dissi a voce alta quasi gridando. O Signore, non è ancor venuto il tempo di perdonarci e liberarci? Pietà, Signore, pietà di questo popolo, più disgraziato di quello che gemeva nella cattività babilonese!

12 ottobre. L'Ispettore, che ieri non s'interessò per la fame di quegli scolaretti che alle 2 non avevano ancor ricevuto il pranzo, oggi è venuto a dirmi di condurre le mie scolare al cinematografo.

13 ottobre. Sono stata a vedere di una mia scolaretta, che da alcuni giorni non frequenta la scuola, e mi fu detto essere ammalata. La trovai a letto. Non accusa malessere. Dice solo di sentirsi assai debole. È molto pallida e dimagrita. Il suo papà è andato in Italia prima della guerra. La mamma con altri due figli era stata condotta a Katzenau, poi aveva domandato di poter venir a Mitterndorf. Sono qui da alcuni mesi. La povera donna, che però veste elegantemente e ha maniere signorili, mi disse guardando la sua figlioletta: "Spero che la mia Dolores migliorerà; ma il cibo che ci danno, veramente non vorrebbe lasciarmi sperare ... " Tacque un momento con gli occhi sempre fissi sulla bimba, poi proruppe: "Ma se questa piccola avesse a morirmi, come una leonessa mi getterei su coloro che ci affamano!"

17 ottobre. L'Ispettore mi ha domandato se volessi prendermi l'incarico di condurre al bagno i ragazzi delle varie classi, una per volta, e sorvegliarli. Dissi di sì, per quelle povere creature. E oggi ho condotto al bagno i ragazzini di seconda. Quale spettacolo doloroso quei corpiccioli nudi, esili, scheletriti dei poveri bimbi affamati.

"È questione d'abituarsi".

19 ottobre. A pranzo, ho mangiato meno della metà di ciò che ho ricevuto; il resto l'ho portato ai miei genitori. La mamma mangiò avidamente: era affamata. lo sono rimasta con lo stomaco quasi vuoto e sono andata a scuola, e ho fatto 3 ore di lezione col cuore pieno d'angoscia.

20 ottobre. Avevo scritto agli "Artigianelli in Trento di spedirmi alcuni libri. Oggi ho ricevuto una cartolina, in questi termini: "Il giorno 11 corr. abbiamo fatto la spedizione di libri a coprimento del Suo credito di Cor. 15.50. Ma oggi ci vennero ritornati dalla Censura, perché tutti libri editi in Italia, e di questi non se ne possono più spedire".

21 ottobre. In baracca oggi non hanno ricevuto punto del pane; invece furono date 60 patate da spartirsi fra 8 persone. Oggi io ho ricevuto 1/8 di pagnotta.

22 ottobre. Si dice che a Vienna è stato assassinato il Presidente dei Ministri. Molti traggono belle speranze da questo fatto, e non si curano di nasconderle.

30 ottobre. Mi è giunto un invito dall'Ufficio capitanale di Svetin, in Moravia, di recarmi subito colà a fare la scuola ai profughi di nazionalità italiana che sono in quel paese. Ne ho parlato subito all'Ispettore scol., che mi ha detto essere difficilissimo ch' io ottenga il permesso di andarmene. C'è troppo bisogno di maestre per la scuola di qui.

31 ottobre. Il Barone ha già telegrafato al Capitanato di Borgo che essendovi gran bisogno di maestre in questo accampamento non intendono sprovvedersi di me. Il pensiero di poter andarmene mi lusingava, ma la difficoltà di prendere con me i miei genitori mi persuase che è forse meglio rassegnarsi a star qui, finché si potrà andar nei nostri paesi. Non può esser molto lontano il giorno del rimpatrio.

1° novembre. Oggi la nostalgia ci stringe più che mai il cuore, e l'esilio sa di più intenso dolore. Sono andata con le mie scolare al cimitero. Mons. Brognolli vi fece un discorso. Lo avrei voluto sentire altre parole. Avrei voluto che invece di perorare così a lungo la causa dei morti, avesse invece pregato, scongiurato i morti di sorger a spegner la guerra che dilania i vivi.

10 novembre. Ho ricevuto una cartolina da mio fratello. Scrive in data 7 corr.: "Da ieri a mezzogiorno viaggiamo in treno; non so ove siamo, certo però vicini ormai a Cracovia".

13 novembre. Da tre giorni riceviamo a colazione solo un po' di tè e con questo dobbiamo star fino a mezzogiorno e lavorare.

14 novembre. Ho ricevuto una cartolina da mio fratello. Scrive in data 8 corro da Cholm.

15 novembre. Oggi abbiamo avuto vacanza, perché è la festa di S. Leopoldo, margravio d'Austria.

18 novembre. Sono stata a scuola dalle 8 alle 12 quasi digiuna. Non ho potuto bere il tè perché mi ripugnava troppo; non ho potuto mangiare il pane pessimo. Ero stanca, nervosa, avevo mal di testa. Le mie scolare mi raccontarono che a colazione avevano ricevuto minestra acida e fredda.

21 novembre. L'Ispettore scol. mi ha portato il nuovo orario ch' egli ha stabilito per la mia classe: scuola fra le 11 e l'una e fra le 3 e le 6. Si potevano stabilire ore meno opportune per l'istruzione? Ma bisogna adattare l'orario delle lezioni ai pasti. Bisogna che le ore d'istruzione precedano immediatamente il pranzo e la cena, affinché gli scolari, dopo le lezioni, si possano subito condurre dalla scuola alla sala da pranzo. Non sarebbe stato meglio lasciar che gli scolari dopo la scuola vadano a casa, voglio dire in baracca, e ricevano ivi la loro razione, e mangino presso i loro cari? Ohibò! Le madri mangerebbero le porzioni destinate ai loro figlioletti e questi deperirebbero! "Come? Questo pericolo c'è? Le madri ch'io ho conosciuto finora si levano il pane di bocca per darlo alle loro creature. La sua mamma l'ha conosciuta lei? A me, sembrerebbe di fare un torto enorme alla mia se pensassi che può esserci una mamma capace di fare quello che ha detto lei". "Perché ella, maestra, è un’esaltata". "Grazie. Se non lo fossi, lo diverrei ora: sento bene. Ma dica, Signor Ispettore, come faranno le mie scolarette a reggere fino all'una, con la miserabile colazione che ricevono alla mattina?" "È questione d'abituarsi. A rivederla". Giusto Iddio t Pietoso Redentore, che sentiste pietà della turba affamata che vi aveva seguito, abbiate pietà di questi profughi e salvateli, e vendicateli Voi, Protettore dei deboli, Vindice degli oppressi. E dite ai vostri ministri che almeno essi non rinforzino la schiera dei nostri oppressori, e se vogliono far questo rinunzino prima al titolo di ministri vostri per non toglierci ancora l'ultima fede.

                           Imploriamo pace e pane.

22 novembre. Il nostro Imperatore è morto. Sui giornali tedeschi, usciti già ieri e oggi qui giunti, si legge: "Se.k.u.k. Apostoliche Majestat Franz Joseph I sind heute, am 21. Novembre, um 9 Uhr abends, im Schloss Schönbrunn sanft im Herrn entschlafen" ("Sua Maestà imperiale, reale e apostolica Francesco Giuseppe I è spirato dolcemente nel Signore, oggi, 21 novembre, ad ore 9 di sera, nel castello di Schònbrunn").

25 novembre. Ho letto a papà alcune righe del proclama del nuovo Imperatore "Ai miei popoli". Il pover' uomo si commosse fino alle lacrime. lo smisi di leggere. Poveri vecchi cuori fedeli, malgrado tutto t Ben meritereste, che per il cuore e per il segno di colui che è or ora salito al trono, la guerra cessasse, e venisse la Pace a restituirvi i figli vostri ancor vivi! Carlo I chiama Dio in testimonio del giuramento ch' egli fa di vivere per la felicità dei suoi popoli. Voglia ricordarsi anche di tante migliaia di profughi che non possono esser felici nell'esilio!

28 novembre. Ho domandato alcuni giorni di riposo. Mi furono concessi a stento due giorni. Non reggevo più nella scuola. Oggi ho riposato ma ho patito fame. Ho pianto di fame, come una bambina. E pazienza per me, ma la fame dei miei genitori che vedo deperire a vista con la disperazione nel cuore, la fame dei nostri martiri sul campo, la fame di tanti poveri bambini t E la sete, la sete d'oro degl'impresari, degli sfruttatori, dei carnefici! Dio, Dio! Padre nostro, che siete nei cieli! Siete Voi ormai da noi tanto lontano e di noi tanto stanco, da non sentir più il nostro grido implorante perdono, tregua, pace? Pace, mio Dio t Pace che ridoni quelli che sono ancor vivi, pace che ci dia il pane che Voi ci insegnaste a domandar.

4 dicembre. La scuola mi stanca, senza darmi nessuna soddisfazione. Oggi alle 4 non ci si vedeva più. Le scolare non potevano scrivere perché non ci vedevano e io non sapevo quale lezione fare in quel buio.

6 dicembre. San Nicolò, l'onomastico di papà. Stamattina le donne fecero irruzione perché alle 10 non avevano ancor ricevuto il pane. Poliziotti e soldati fecero del loro meglio per indurre le tumultuanti a ritornare nelle baracche promettendo loro che il pane le avrebbe seguite. Dopo pranzo son venute 22 delle mie scolare a dirmi che erano tanto affamate e che a pranzo avevano ricevuto pochissimo. Le disposi in fila nel corridoio, ove mette l'uscio della mia stanza, e mandai a chiamare la Direttrice dell’”Ausspeisung" ("Refezione"), che vuol essere chiamata "Leiterin der Kinder" (" Direttrice dei bambini"), e non sa una parola in lingua italiana. Essa venne subito, e io dinanzi alle mie scolare le dissi ciò che queste m'avevano detto circa il pranzo, pregandola a voler gentilmente disporre, affinché le ragazze ricevessero ancora qualche cosa da mangiare; altrimenti io le avrei esonerate dal venire a scuola stasera. La signora rispose con un solenne "unmòglich" ("impossibile"). E soggiunse che anzi oggi la scolaresca aveva avuto un pranzo abbondante. Una delle mie scolare (Maria Villa, da Mori) trasse fuori di sotto lo scialletto la gamella: c'erano dentro dieci fagioli contati. E mi disse in presenza della signora: "Non ne ho mangiato neppure uno, per farli veder tutti a lei, signora maestra". La "Leiterin der Kinder" mandò a chiamare la donna che aveva distribuito le razioni alle mie scolare; quella venne, confessò che la minestra oggi è stata scarsa, e che fagioli non ne ha avuto per tutte le ragazze. E volgendosi verso quelle che erano lì disse loro che dovevano vergognarsi di aver osato lamentarsi. "No, - dissi io per loro, - non devono vergognarsi di dir la verità: esse hanno fame, e se non hanno ricevuto da mangiare, han diritto di dirlo alla loro maestra, e io ho il diritto di interessarmi per esse". La conclusione fu che la "Leiterin der Kinder" ordinò che per questa volta si conducessero le scolare ivi radunate in sala da pranzo, e venisse loro data ancora una porzione di minestra.

7 dicembre. Ho accompagnato le mie scolare a pranzo e a cena: oggi sono state trattate meglio.

9 dicembre. È presto mezzanotte. Ho lavorato finora per la scuola, benché oggi ci sia vacanza ... per festeggiare la presa di Bucarest.

12 dicembre. Ieri ho vegliato fino a mezzanotte, leggendo e pregando e piangendo. Coricatami, dopo un breve sonno, fui svegliata da uno scossone: pareva che ci fosse stato il terremoto. Stamattina tutti parlavano del terremoto di stanotte; stasera qualcuno parla sottovoce di un’esplosione in una fabbrica di munizioni.

22 dicembre. Domani è l'onomastico del Barone. Le maestre gli mandarono i loro auguri per mezzo di una bambina cui furono insegnati alcuni versi in lingua tedesca. E mentre la bimba parlava, un ragazzetto porgeva al Barone una pianta di azalea comperata a Vienna per 75 K. Il Barone, commosso, quando la bimba ebbe detto l'augurio, si chinò piegando il ginocchio a baciarla.

23 dicembre. Festa per gli scolari, per l'albero di Natale. L'albero, adorno di cosuzze scintillanti, splendido di lampadine elettriche, stava all'incrocio dei corridoi, nell'edificio scolastico. Cinque bambine vestite di bianco facevano da angioletti presso l'albero ai cui piedi era collocato il presepio. Venne il signor Barone con altri signori. Bambini e bambine recitarono dialoghi in lingua italiana e poesie in lingua tedesca, e presentarono auguri a quel signori.

25 dicembre. Natale! Natale nell'esilio. Triste Natale.

26 dicembre. Tutti dicono che siamo vicini alla pace, che verrà presto. Come fanno a saperlo? Donde vengono queste belle notizie? Dai giornali? Solo dai giornali?

31 dicembre. Ultimo giorno dell'anno. Sono ritornata nella mia stanzetta all'ora della cena e adesso son qui sola. Ho cercato, fra i miei pochi libri, qualche pagina che mi dica qualche cosa di bello e di buono, mentre veglio aspettando il sorgere del nuovo anno ...

Organizzazione dell'accampamento e socialità

Direzione dell'accampamento: Commissario governativo e comandante era il barone Viktor Imhof (sostituito nel 1918 dall'ing. sup. F. Schmidkunz).

Ispettorato dell'accampamento: Ispettore generale era il dotto Cesare Loss, col compito di provvedere all' ordine, alla sistemazione nelle baracche, a distribuire oggetti di vario genere e a dispensare il cibo. L'Ispettore dirigeva i capisezione che a loro volta coordinavano 7 -8 capi-baracca.

Cancelleria d'evidenza: teneva l'anagrafe della popolazione (piuttosto fluttuante), disbrigava pratiche e dava informazioni legali.

Segretariato del popolo: aveva lo scopo di aiutare i profughi, di dare informazioni, di stendere domande d'ogni tipo: suppliche, ricorsi, domande di sussidio militare, di trasferimento, di rimpatrio, di pensione ...

Delegato del "Comitato profughi" di Vienna: era il consigliere aulico Bonfioli Cavalcabò, che aveva il compito, tra l'altro, di prendere in esame i reclami inoltrati.

Ispettorato scolastico: Ispettore era don Cesare Tiso, professore del Collegio vescovile di Trento, che soprintendeva a una quarantina di classi di scuola elern. con altrettanti maestri, in gran maggioranza donne, all' asilo, all' orfanotrofio maschile e femminile, al ricovero.

Coordinatore dei sacerdoti trentini: mons. Luigi Brugnolli, parroco di Borgo Sacco.

Medici trentini del campo: dotto Botteri e dotto Bertoldi.

Suore francescane missionarie di Maria (suore bianche): conducevano l'orfanotrofio femminile, gli ospedali, i ricoveri, l'asilo.

Suore della Venerabile Capitanio (suore nere): conducevano l'orfanotrofio maschile.

Suore Canossiane: dirigevano (nell'ultimo anno) le cucine.

Altri servizi: chiesa, ambulatori (anche specialistici), bagni, scuola serale, corsi per apprendisti, gendarmeria, pompieri, telefono, telegrafo, posta, "Kantine" (mensa), casa del popolo con cinema, teatro, giochi, biblioteca, ...

Attività produttive: falegnameria, sartoria, fabbrica delle scarpe, laboratori e officine.

Altre occasioni di aggregazione: "Schola cantorum", banda musicale, filodrammatica, orchestrina, ...


PARTE TERZA

1917

DAL 1° GENNAIO AL 30 MARZO


Gli orfanelli con le suore nere ( proprietà Boccher )

Dalla sconfitta di Caporetto alla "battaglia d'arresto".

Le regioni contese sono un vasto cimitero.

I disagi e le sofferenze assumono una dimensione

tragica: manca anche quello che si riteneva il più

necessario. Tanto che si diffonde tra i profughi tirolesi

la convinzione che sia stato decretato il loro sterminio.

Numerosi profughi partono, altri ne arrivano.

Aumentano comunque te speranze di rimpatrio.

I motivi che confortano e quelli che prostrano,

gli episodi di vita nel campo e fuori, sono qui molto numerosi.


Si potrebbe allora anche amare questa terra.

1° gennaio. La prima gioia che mi ha rallegrato il primo giorno dell’anno, la debbo alle mie scolare. Tornata dalla chiesa nella mia camera, ho trovato sul tavolino una magnifica scatola di velluto verde adorna di fregi. Due scolarette l'avevano preparata là, aperta. Sopra stava un’affettuosissima letterina per me; sotto una mezza dozzina di fazzoletti finissimi, fra i quali trovai un gentile biglietto d'augurio felice. Care, buone, vi ringrazio! Voi deste a me la prima gioia dell'anno. lo devo dare a voi i miei primi pensieri e le mie prime fatiche oggi, e sempre, finché la Provvidenza vi lascerà con me. Il lavorare per voi sarà la mia gioia; il vostro bene sarà lo scopo della mia vita.

2 gennaio. Leggendo i compiti delle mie scolare, in due di essi ho trovato l'accenno alla morte del padre di una, alla mancanza di notizie del padre di un’altra. In scuola le ho interrogate su ciò. Una mi disse che il 12 dicembre la mamma sua aveva ricevuto una cartolina di papà in cui diceva che gli era pervenuto il pacco da essa spedito e che era rimasto tanto contento. Il 23 dello stesso mese la povera donna riceveva la notizia che suo marito era stato sepolto sotto una valanga, sul Tonale, il giorno di S. Lucia. L'altra mia scolaretta disse che avevano ricevuto l'ultima notizia del papà ai 5 gennaio 1916 dalla Serbia; poi più nulla. Povere creature! povere orfanelle! Quanto devo amarvi.

3 gennaio. Sono stata dal dotto Batteri (proveniente dall' internamento di Katzenau) a pregarlo di concedermi ancora ¼ di litro di latte al giorno perché col solo tè lungo che ricevo dalla cucina per colazione non mi sento in forza di far la scuola della mattina, col pranzo solo all'una. Il medico mi avrebbe esaudita volentieri: ma c'è una scarsezza tale di latte benché sia artificiale, che per ottenerlo ci vuole una necessità più grande di quella che sento io. E i bambini, e i vecchi, e i malati?  .. A ben dura condizione siamo arrivati. E quando si migliorerà? Come celeste fantasma alitava fra i profughi la parola "pace" ed ora come fatuo miraggio la speranza è svanita. E nuda, dura, terribile è rimasta una realtà atroce: la fame, il disagio la lotta: fino a quando, o Signore?

4 gennaio. Sono stata dall'Ispettore superiore del "Lager" a pregarlo di non mettere ancora altre persone nella camera dove ci sono i miei genitori. Ci sono già otto persone e il respiro di due poveri vecchi avvezzi in tutt' altro ambiente, ne soffrirebbe. L'Ispettore mi accolse gentilmente e mi esaudì. Son corsa a dirlo ai miei genitori che ne furono tanto contenti. E io ne godo per loro. Giungerà ancora per noi il tempo in cui avremo un buco nostro, ove vivere un po' di giorni tranquilli, ove riposare il capo stanco senza tanti testimoni, ove poter discorrere dei fatti nostri senza dover temere che le nostre parole vengano malignamente ascoltate e commentate da orecchi e bocche non amiche? Signore Iddio, dateci ancora tempi tranquilli: e sapremo quanto valgono.

5 gennaio. Il latte mi fu concesso. Anzi lo "Chefarzt" ("medico primario") m'ha accolta con gentilezza squisita, e m'ha prescritto 1/2 litro invece di 1/4 come prima. Fa tanto bene il venir soccorsi con bontà! lo non dimenticherò mai più quel medico gentiluomo che mi guardò con interesse e pietà senza abbassarsi, mi trattò con cortesia signorile come fossi una sua pari e si affrettò a darmi più di quello che io domandavo. La povera profuga ti ringrazia col cuore; il Signore ti benedica! Quanto meno triste sarebbe l'esilio se altri ti assomigliasse! Si potrebbe allora amare anche questa terra, e non sentirei più così stranieri. E bisogna confessarlo: qui le persone distinte sono con noi assai più cortesi e deferenti che nei nostri paesi: son gli altri che ci maltrattano.

6 gennaio. È venuto l'arcivescovo di Leopoli a visitare quella parte dell’accampamento ove si trovano i profughi galiziani. Qual onore e conforto per essi! E i profughi tirolesi chi viene a trovarli? Cani senza padrone, pecore senza pastori, essi non vedono giungere nessuno per loro, tranne qualche signore e qualche dama, che vengono a far visita al Barone, guardano le baracche migliori e se ne partono magnificando il buon tempo che noi qui godiamo. E intanto noi mangiamo una pagnotta che gli animali rifiutano, e la mangiamo non bagnata dal sudore della nostra fronte, ma dalle lacrime che l'ira dolorosa fa sgorgare dai nostri occhi. Ma oggi, a onore del vero, bisogna dire che la pagnotta era migliore.

7 gennaio. Sono andata a passare una buona serata colle Suore dell'orfanotrofio maschile. Mentre la Superiora s'intratteneva con me, una Suora stava con i fanciulli. Venne un impiegato dei nostri, che si diletta di letteratura e poesia, e rallegrò i piccoli sventurati, raccontando loro una storia. Egli fa loro di spesso questo regalo, e uno più bello non sarebbe per esse. Gentile pensiero del caro signore! Le parole della Superiora, così sensibile e pur così calma, così delicata e pur così disinvolta, mi facevano bene. Ma qual lavorare fanno quelle Suore! Sono soltanto tre, e bisogna vedere come tutto è all'ordine e come gli orfani ci si trovano bene. L'orfanotrofio femminile è affidato alle Suore bianche.

8 gennaio. Sono stata ad accompagnare le mie scolare al pranzo. N ella sala c'erano parecchie centinaia di fanciulle. Strepiti, rumore assordante di gamelle, disordine orribile. E per l'igiene? Alcune delle mie scolare, ricevuta una minestra quasi bollente, ne versavano un po' alla volta nei piattini e la mangiavano da quelli, per sentirla un po' meno calda. Subito venne la sorvegliante, una signorina tedesca, pagata a tale scopo e voleva prendere il piattino alle ragazze dicendo loro ch' era proibito di adoperarli, Mi accostai e gliene chiesi il perché. Disse che questa era regola generale. lo replicai che la regola non era punto buona e ne richiesi il motivo. Essa rispose che le ragazze potrebbero servirsi del piattino per nascondere la minestra della gamella e portarla in baracca. Intanto le più piccole versavano la minestra che non si sentivano di mangiare in due secchi della capacità di circa 20 litri l'uno. Quello non era proibito. I secchi si empirono e la minestra traboccava abbondantemente sul pavimento. Due inservienti, con la scopa, spinsero la minestra sparsa fuor della porta. Giustizia, economia, pulizia del "Lager".

9 gennaio. Una mia scolara venne oggi con la sua mamma da me, per dirmi che aveva ottenuta l'esenzione dalla scuola, per andare a lavorare e guadagnare qualche cosa. Madre e figlia piangevano. Dissi alla scolaretta qualche parola per confortarla, ma nel cuore sentivo una gran pena. Avrei voluto aiutarla. lo devo far alle mie fanciulle il bene che posso nella scuola, istruendole nel modo migliore che posso, con serietà e con affetto, finché la frequentano; perché poi è difficile, quasi impossibile, far loro quel bene di cui abbisognerebbero.


Visite illustri.

11 gennaio. Nella scuola ero tanto stanca da non regger più. Vennero il Barone e l'ingegnere accompagnati dalla loro diletta maestra goriziana e dall'Ispettore scolastico e dissero che sabato verranno tre arciduchesse a far visita alla scuola. Come tante altre visite illustri che furono qui, esse verranno e partiranno contente che i profughi siano provveduti così bene, partiranno senza aver visto il cumulo di miserie nascoste nelle baracche, senza sapere di qual pane orribile essi si nutrono e di quali lacrime tanti profughi lo bagnano. Gli scolari le accoglieranno con evviva e con canti ed esse non udiranno i singulti d'angoscia dei cuori lacerati, non udiranno né le proteste piene d'ira dolorosa contro i despoti, né le voci cupe imploranti.

12 gennaio. Fervono i preparativi per accogliere le auguste visitatrici di domani. E molto freddo: ha fioccato e il cielo bigio ne promette dell’altra. Ma non sono le belle nevicate abbondanti e candide dei nostri paesi. La neve qui appena tocca il suolo fa pozzanghera, e noi ricordiamo con nostalgia il candido lenzuolo che così piamente vestiva la nostra dolce terra, e inebriava di bianco il nostro sguardo.

13 gennaio. L'arciduchessa è venuta, accompagnata da altre due signore, che non ho ancor potuto sapere se sono altre arciduchesse esse pure. Visitarono le scuole: entrarono però solo nella mia classe ... che era parata a sala di anatomia. La maestra goriziana, al cui spirito e buon gusto si affidarono i preparativi, aveva fatto appender alle pareti dei cartelloni rappresentanti gli organi della digestione e della circolazione, il sistema nervoso, i soccorsi d'urgenza: una lugubre tappezzeria. Protestai ma non feci che offendere. L'arciduchessa mi porse la mano, dignitosa ed affabile, e mi parlò in lingua tedesca. La più attempata delle altre due signore mi parlò in italiano, con molta bontà. Accarezzarono qualche scolara, guardarono il loro libro di lettura, salutarono e partirono.


                   In un anno una famiglia disfatta.


14 gennaio. Ho insegnato al bambino che è nella baracca dove sono i miei, a scrivere una letterina di ringraziamento alla Lega di Provvidenza di Innsbruck per il regalo che gli hanno mandato quale orfano per la guerra. Il bambino scriveva con un’attenzione commovente.

15 gennaio. Oggi mi sono arrabattata per spiegare alle mie scolare la lezione di storia: Leopoldo I. Volevo che imparassero chi fossero i Turchi con cui quel nostro monarca ebbe tanto a lottare. E le scolare erano curiose di saperlo ma la cosa per me era difficile. Mi studiai di esprimermi concisamente, semplicemente e chiaramente. Le povere fanciulle prestavano un’attenzione insolita, mostravano un interesse che mi faceva impressione. I Turchi! Ah, esse li avevano sentiti qualche volta nominare, e se l'immaginavano demoni usciti fragorosamente dall'inferno a inondare il mondo di barbarie e di orrore: ma poi tutt'a un tratto avevano udito ch' erano nostri alleati. E oggi le semplici mie fanciulle erano lì avide di saper tante cose dei Turchi e avrebbero voluto ch'io facessi loro chiare le cose che per persone di ben più alto affare di me sono un enigma.

17 gennaio. S. Antonio, abate. Altri anni, questo giorno proverbiale per il freddo che porta, io lo salutavo con gioia, perché era una festa del paese ove mi trovavo (Vattaro), una festa tranquilla, che mi permetteva di goder la mia povera stanza, i miei libri, i miei lavorucci di divertimento. E quest' anno invece, qui, sopraccaricata di lavoro, col cuore angosciato, sofferente, chiuso alla speranza. Mia cognata questa sera mi disse: "Non è S. Antonio, oggi, quello dei miracoli?" "S. Antonio si", dissi, "ma quello che i contadini pregano, perché i loro armenti facciano bene". "Bene", replicò. "Ora che gli animali son bell'e distrutti preghi per la povera gente che c'è ancora!" Non potei fare a meno di ridere a udirla; ma nello stesso tempo pensavo che questo ingenuo discorso potrebbe essere una preghiera e chissà che S. Antonio non l'ascolti.

20 gennaio. È venuto a farmi visita un militare, il fratello di mia cognata. Gli morirono qui nel "Lager" un figlioletto e una bimba; e la moglie, ammalata per l'angoscia, andò a morire in un paesello presso Innsbruck. In un anno la sua famigliola è stata disfatta ed egli, dopo 20 mesi che è sul fronte nemico, è venuto a vedere dove son morti i suoi cari che aveva lasciato fiorenti di salute e che non doveva rivedere più mai. Non smania, non piange: il suo cuore s'è fatto duro, egli dice. Ma gli si legge in volto l'angoscia: pacata sì, ma profonda. Egli spera di sopravvivere alla guerra, ma si consola pensando che il suo bambino, morendo, è sfuggito alla coscrizione. La guerra, quale consolazione sa portare!

21 gennaio. Oggi ho scritto qualche lettera: lo scrivere lettere, per me, è una fatica terribile. Mi devo far violenza per rispondere a chi mi scrive: perché? Perché sento il mio cuore in un guscio d'acciaio, irto di punte di dentro, tutta una storia d'amarezza incisavi di fuori. Il patire intimo che faccio, si rifiuta di mettere in mostra; e il dover ostentare mi è un tormento atroce. E sempre nuove nubi sull' orizzonte già tanto oscuro della mia povera vita, sempre nuovi crucci per questo cuore stanco, sempre guerra. Pace, Signore, pace!

Gran freddo.

22 gennaio. Stamattina nella scuola il termometro segnava 9° C. Domandai all'Ispettore di poter lasciar vacanza, e accondiscese. Ma stasera, benché il locale fosse freddo, ho dovuto star lì tre ore. Mi sentivo male pel freddo, ma ho resistito, piuttosto che andar di nuovo a domandar il permesso di rinviare le scolare. Ci si tiene tanto a che gli scolari non siano fuori della scuola, soprattutto per averli raccolti per l'ora dei pasti. Anzi sembra che lo scopo supremo della scuola, qui, sia questo. Avendo io le ragazze dell'ultimo anno di scuola, e quelle che non vi sarebbero più obbligate, ma che vengono per imparare, sento la responsabilità del mio lavoro, difficoltato estremamente dall'orario sciagurato: 11 - l antimeridiane e 3 - 6 pomeridiane. E oggi dopo pranzo vennero 14 scolare a dirmi che erano ancora tanto affamate, che avevano ricevuto pochissimo da. mangiare.

23 gennaio. Oggi vacanza tutto il giorno per il gran freddo. Il termometro nella scuola segnava solo 6° C. con la stufa riscaldata. Sono stata tutto il giorno tappata in camera e ho lavorato per la scuola. È venuta una mia giovane collega a trovarmi ed era ancora un po' sossopra per una disputa che ha avuto con l’Ispettore. La maestrina, buona e sensibile, deplorava la misera condizione cui san ridotti i profughi; l'Ispettore sosteneva che son trattati bene e che l'affermare altrimenti è portar danno morale alla popolazione. Ah, i don Abbondio!

24 gennaio. Anche oggi vacanza per il gran freddo. Stasera sono andata a scuola per condurre le ragazze a cena e l'Ispettore mi ha rimproverata perché non ho dato i biglietti alle scolare per andare a pranzo. Dissi che credevo bastasse darli alla sera, come s'è sempre fatto. E una delle mie fanciulle saltò fuori a dire: "E a pranzo il biglietto nessuno ce l'ha domandato!" La benedissi in cuor mio quella gentile e franca mia difensora: ma sentivo stretto il cuore d'amarezza, vedendo che l'Ispettore m'aveva rimproverata così e gli dissi che dopo tutto m'ero alzata allora per andar ad accompagnare le scolare. L'Ispettore si calmò d'un tratto e mi fece andare al caldo, e mi domandò cos' avessi. "Cosa ho? Ho che vorrei saper fare una preghiera che arrivasse al Cielo, per ottenere la fine della tirannide".

                   Il giornale mi ha fatto paura.

25 gennaio. Oggi è stata celebrata una S. Messa solenne, per l'incoronazione del nostro nuovo Imperatore. Vi hanno assistito le Autorità del "Lager" e le maestre con gli scolari. Poi c'è stata vacanza tutto il giorno. Sono impensierita a vedere che mamma non trova più zucchero da comperare. E anche del resto si può avere pochissimo e a prezzi esagerati. Come andrà? Come si farà? Non bisogna pensarci.

27 gennaio. Anche oggi vacanza, perché sul tetto della scuola si lavora. È venuta una mia giovane collega a trovarmi e mi ha fatto tanto piacere. Il parlare con essa mi fa bene perché ha senno e gentilezza, ed è buona. A lei debbo le ore meno tristi che ho passate qui; il suo affetto deferente e la sua ingenua franchezza mi fanno tanto piacere. Dio la benedica.

28 gennaio. Il giornale oggi mi ha fatto paura: predice lo scoppiare quanto prima di un uragano tale sui campi di battaglia che farà tremare tutta l'Europa. O Dio, non permettetelo! Salvateci! Salvate i nostri cari! Pace, Signore! Pace!

30 gennaio. È venuta una mia scolara, la figlia del dott. Botteri, accompagnata dalla mamma, a trovarmi. Mi fece tanto piacere il gentile interessamento della giovi netta, e ho fatto una chiacchierata colla signora. La lingua batteva dove il dente doleva. E discorrendo di certe cose, non solo la lingua batteva; ma anche il cuore. Le ferite più dolorose non ci vengono fatte da coloro per i qual! Siamo stranieri, ma dai nostri connazionali, da coloro che avrebbero il compito di difenderei e di aiutarci.

La megera della mensa.

31 gennaio. Oggi son venute da me due scolare piangendo a dirmi che la "Leiterin der Kinder" ("Direttrice dei bambini"), per punirle di una colpa che non hanno commessa, le ha poste a mangiare ad una tavola separata nella sala dei ragazzi. Cercai dell’Ispettore scolastico per domandargli se tal punizione tanto antipedagogica era da permettersi. Non lo trovai. Di sera, prima di andare a cena, vennero un’altra volta le mie ragazze a implorare perché fossero sottratte a tal castigo. Ho promesso di parlar domani con l’Ispettore e poi di riferir loro l'esito. Ma che può mai fare una maestra qui per le sue scolare? Basta che faccia scuola con orario che si presti ad aver raccolte nella scuola le scolare per l'ora di pranzo e di cena. Poi le sue scolare non son più sue.

1° febbraio. Sono andata a sorvegliare le mie scolare durante il pranzo. Volli vedere dov'erano le mie due scolare. Stavano ad una tavola separata, in capo alla sala dove più di 600 scolari mangiavano la loro minestra facendo un chiasso orribile. Le due povere ragazze erano lì tristi, vergognose, con gli occhi gonfi di pianto. Mi sentii l'anima trafitta d'ira e di dolore. Dissi loro di venir con me e le condussi presso le loro compagne.   

Avevano appena sorbito quel po' di broda che la "Leiterin der Kinder" venne a me indignata e mi rimproverò superbamente d'essermi intrusa in quell'affare ch’essa dichiarava tutto suo. lo protestai con tutta la forza contro il castigo ch'essa aveva inflitto alle mie scolare. Le dissi che se meritavano castigo (ciò che non era certo) dovevano esser castigate in tutt'altro modo. La signora, una megera genuina, mi contraddiceva con una superbia schifosa.

2 febbraio. Ieri dopo pranzo sono andata dall'Ispettore per esporgli il caso delle mie povere scolare. La "Leiterin der Kinder" era stata da lui già prima ad accusarmi. A nulla valsero le ragioni ch'io esposi in favore delle mie scolare. L'Ispettore mi rimproverò acremente ed esaltò la "signora", soggiungendo ch'essa era stata designata dalla Luogotenenza all'ufficio di "Leiterin der Kinder" e che poteva far quello che voleva e che faceva bene. Piccoli profughi disgraziati, in quali mani siete caduti! Nelle mani di una megera che non capisce una parola della vostra lingua, che riceve una grossa paga in grazia di voi, che vi disprezza, che vi maltratta, che adora il suo cane! Gran Dio! Il vostro ministro sostiene ed esalta chi succhia il sangue di queste infelici creature: liberatele Voi; vendicatele, se siete il Padre loro!

9 febbraio. È venuta una mia scolara a domandarmi che le facessi lezione di tedesco. Ho acconsentito perché mi rincresceva dare un rifiuto alla povera fanciulla. ma con quello che so non sento gran coraggio. Vuol dire che studieremo assieme.

10 febbraio. Studieremo insieme, se non altro. Devo applicarmi a studiare pur io con diligenza questa lingua, diventataci tanto necessaria. Un po' mi sono sempre esercitata, leggendo; ma ora voglio studiarla con più impegno, non fosse altro, per poter insegnarne i principi un po' benino alle mie scolare.

11 febbraio. Papà oggi ha ricominciato il servizio di portar la "ménage" ("vivande") per guadagnarsi 25 o 30 centesimi al giorno. Mi fa pietà a veder che deve adattarsi a far questo lavoro, ma egli lo fa volentieri, e così dignitosamente che fa piacere. Si dica ciò che si vuole di questo ("Lager", ci sia pure una gran miseria, ma a chi ha voglia di lavorare, sia pur scarso di forze, si dà il mezzo di guadagnarsi qualche cosa; e non è forse questo un gran beneficio?

15 febbraio. Sono stata a distribuire i biglietti alle mie scolare nell' "Ausspeisung" ("Refezione"). Nella sala d'aspetto c'era una folla di ragazze, fra le quali passeggiavano i poliziotti che le custodivano, minacciando scapaccioni. C'era anche una ventina di monelli che litigavano tra loro, urtavano le ragazze e le facevano cadere. Vidi anche parecchie donne venute ad accompagnare le loro bambine. Era un chiasso, un baccano orribile. lo n'ero sgomenta e pensavo che tutto s'avrebbe dovuto fare per evitare quell' agglomeramento e quel disordine, e pure tutto si fa perché sia così. E fino a quando durerà? O madri tirolesi, tanto male si pensa di voi, che non vi si affida neppure una scodella di minestra per le vostre creature!

                             Il pane come di creta.

17 febbraio. Oggi giunsero in questo accampamento 400 prigionieri italiani. Avrei voluto vederli, ma non ho potuto. Chi l'ha visti dice che erano in cattivo arnese assai, ma che apparivano baldi e lieti.

18 febbraio. Oggi fummo invitate, noi maestre, ad andare nel magazzino per ricevere alcuni capi di vestiario: una mantella, una sottoveste, due paia di calze. Ci andammo volentieri, ma restammo mortificate quando ci presentarono le mantelle: erano corte, mal fatte, le peggiori che si possono vedere. Preferimmo prendere mantelli da uomo che ridurremo per noi, o cederemo ai nostri cari. Povere maestre! Noi vediamo le altre signorine che hanno qualche impiego nel "Lager", vestire elegantemente con roba che conosciamo, e per noi restano i rifiuti degli altri. Che cosa c'è nelle maestre tirolesi che aliena tanto da loro la simpatia e il riguardo? Sarebbero la leggerezza, la goffaggine, l'aspetto?

19 febbraio. La pagnotta di questa mattina era orribile, sembrava impastata di terra, ne ho mangiata una fetta per far tacere lo stomaco reclamante qualche cosa, e poi mi son sentita subito male. Stasera mi pare di aver la febbre; sono sfinita. La pagnotta che m'era rimasta l'hanno mangiata i miei genitori: erano tanto affamati che furono capaci di mangiarla.

20 febbraio. È venuta una mia scolara ad annunciarmi che aveva ottenuta la dimissione dalla scuola; mi ringraziò e mi domandò perdono se m'avesse recato qualche dispiacere. Care, buone creature, il solo dispiacere che ho da voi è il vedervi deperire, intristire, sfiorire in questo campo di miserie. E per questo, non siete voi che dovete domandar perdono.

21 febbraio. Mentre distribuivo i biglietti alle mie scolare nell' "Ausspeisung" ("Refezione"), la "Leiterin der Kinder" ("Direttrice dei bambini") passeggiava per la sala fra le bimbe che mangiavano. Teneva in braccio il suo cane e lo porgeva alle più piccole che volevano accarezzarlo. Quella vista mi urtò e pensavo che invece di affidare a quella dama l’”Ausspeisung" dei piccoli profughi, certi signori avrebbero dovuto piuttosto affidarle i loro cani. Stamattina ho ricevuto un pane tanto cattivo che mi pareva di masticare creta e lo inghiottivo piangendo. Ne presi un pezzetto e disperatamente l'ho alzato al cielo implorando pane, un po' di pane. Eppure, papà ha mangiato quel che m'è rimasto: stentava a inghiottirlo, ma lo stomaco voleva pur qualche cosa.

                                       "Miserere" 

22 febbraio. È il 47° anniversario di matrimonio dei miei genitori. Avrei voluto festeggiar questo giorno nel modo migliore, e non ho potuto far altro che far tacere il mio appetito, per serbare ai miei poveri vecchi un boccone del mio pranzo. Essi però lo trovarono squisito, mangiarono con piacere, più tranquilli e più contenti di chi siede ad un lauto banchetto. Certamente essi sentivano in quel boccone tutto l'amore della loro figliola che vive per essi, che vorrebbe aver una ricchezza solo per circondare di agi gli ultimi anni della loro vita travagliata!

23 febbraio. Ieri è venuta una donna a pregarmi di darle qualche cosa da mangiare, se l'avevo. Risposi che purtroppo non avevo nulla. Ella mi mostrò alcuni soldi che teneva in una mano e mi disse: "Le do questi soldi se mi dà un pizzico di crauti o una patata; non voglio mica per niente; e ancora mi farebbe una gran carità". Sono stata alle cucine, ma mi han detto di no, e mi han cacciata fuori dalla porta. E non posso più star sulle gambe, e a casa, in baracca, ho il mio vecchio che non sta bene e ha fame...

27 febbraio. È orribile, è straziante veder poveri vecchi che dopo aver lavorato tanto per allevar figli che ora servono la "patria", ora non hanno un boccone per rifocillarsi e tenersi vivi almeno fino al giorno in cui, se Dio vorrà, la guerra sarà finita e torneranno dai campi cruenti i figlioli che le loro preghiere avran protetto dal piombo.

28 febbraio. Anche oggi vennero da me parecchi a domandarmi per carità qualche cosa da mangiare. Ed è con angoscia rabbiosa che io devo sempre dire: "Non ho nulla". Devo far tacere il mio appetito per poter serbare qualche cosa ai miei genitori; come potrei dar un tozzo di pane anche ad altri? Stasera sono andata in chiesa. Si cantò il Miserere. O Signore, se lasciaste giungere al Vostro cuore le note dolenti del Re Davide, lasciate che vi giungano pur quelle dei miseri profughi! Più infelici di lui, non da una reggia, vi gridiamo "miserere", ma da povere baracche fra le cui pareti sconnesse, su miseri giacigli, intirizziti di freddo, languenti di fame, esiliati dal patrio suolo, implorano tregua, pane, liberazione.

4 marzo. Ho scritto ad alcuni, cui dovevo riscontro da un pezzo. Ed ho spedito alcune cartoline illustrate con vedute del "Lager". Fortunati quelli che le ricevono, che si fanno una languida idea della nostra situazione, senza poter intenderne tutta la miseria, tutto l'orrore, perché ancora non sanno ciò che vuol dire abitare nelle baracche. Noi, che disgraziatamente ci siamo, sappiamo qual vita atrocemente misera si faccia in queste stanze col pavimento sulla palude puzzolente, colle pareti ricche di fessure per le quali l'aria entra cruda e violenta, con focolare che, mentre potrebbe appena bastare per una persona, deve servire per parecchie famiglie, col sudiciume che necessariamente vi si agglomera.

6 marzo. Sono andata ad assistere al funerale di un mio parente, un buon uomo che negli anni passati mi aveva dato ospitalità nella sua cascina sui nostri monti, quando ci andavo col papà che raccoglieva legna nel bellissimo bosco vicino. Ci prestava i suoi utensili di cucina, ci vendeva latte, e la sera si stava un paio d'ore intorno al focolare a chiacchierare ...

7 marzo. Stasera mentre andavo a distribuire i biglietti per l'"Ausspeisung" ("Refezione"), alle mie scolare, vidi un bambino fra i 6 - 7 anni che se n'andava piangendo disperatamente. Mi avvicinai a lui, lo presi per una mano e gli domandai che cosa avesse. Mi rispose che era giunto tardi all' "Ausspeisung" e che la signora per castigo non gli dava la cena e la mamma non avrebbe nulla da dargli. Lo condussi dalla signora e la pregai di perdonargli e di dargli da mangiare. La megera, col suo cane in braccio, mi rispose che questo non sarebbe stato "Ordnung" ("ordine"), e che non gli avrebbe dato nulla. Condussi il piccino dall'Ispettore scolastico, un prete, e gli dissi la cosa. Egli rimproverò il bambino, e mi disse che l'agire della signora era giusto e che bisognava rispettarlo. Mandai a casa il bambino dicendogli: "Prega il Signore, pregaLo tanto che..." E tornai all' "Ausspeisung" dove la signora passeggiava fra le tavole col suo cane in braccio. Il suo cane non era certamente senza cena! E per il piccolo profugo senza cena neppure il Reverendo aveva pietà.

9 marzo. Oggi ha infuriato un vento impetuoso, e la mamma non s'è sentita di venir fin qui da me, per paura di esser gettata come l'altra volta a terra. È venuto papà, ma si sentiva così male, che mi disse volerei poco di più per sentirsi morire.

                      Al campo di Oberhollabrunn.

11 marzo. Ho pregato una mia collega di dirmi l'orario dei treni che partono da qui, perché domani andrò a Oberhollabrunn. Essa mi disse che difficilmente a Gramat Neusiedl si concede ai profughi di salire sul primo treno, e che avanti pochi giorni furono respinti con la graziosa apostrofe "Dreckige Gesellschaft" ("Compagnia sudicia")! Proprio così? Così dunque ci chiamano costoro? E possiamo amarli e direi loro patrioti? E quando arriverà il giorno in cui ci sarà concesso di ritornare ai nostri paesi, potremo salutar con riconoscenza questi luoghi? Se noi possiamo un giorno fuggire da questi paesi come Lot da Sodoma, nessuno si volterà a guardar il paese, nessuno imiterà la moglie del nipote di Abramo! E il fardello di memorie amare che trarremo con noi sarà ben più pesante delle casse in cui porteremo con noi le nostre cose.

12 marzo. Mi sono alzata alle 4 e mezzo. Alle 5 vennero il papà e la mamma a chiamarmi, e mamma mi portò un buon caffè. Poi essa tornò in baracca e papà ed io siamo andati alla stazione di Mitterndorf. Abbiamo preso il biglietto per Vienna e vi giungemmo alle 8. Col tram ci siamo portati nella "Nordwestbanhof" ("Stazione Nordovest") e dovemmo restarci ad attendere il treno per Oberhollabrunn fino all' l e mezzo. In un’ora siamo giunti alla stazione di Oberhollabrunn e lì cercammo dell'internato che volevamo trovare. Dopo aver ottenuto il permesso dalle Autorità competenti, siamo andati nelle baracche degli internati dove trovammo il pover'uomo. Non è possibile descrivere qual gradita sorpresa fu per lui la nostra visita. Ci trattenemmo con lui un’ora, poi ci affrettammo verso la stazione.

13 marzo. Siamo arrivati qui stanotte alle 2. Da Oberhollabrunn a Vienna abbiamo dovuto viaggiare su un treno così pieno di gente che non potemmo neppur entrare in un carrozzone e dovemmo restar di fuori. Moltissime signore cariche di gran sacchi di patate viaggiavano con noi. A Vienna la folla che voleva salire sui tram per recarsi alle stazioni era tale che quei carrozzoni erano stipati in modo da non poterei stare fra una persona e!' altra neppur un bastone, e molti supplicavano invano di poter salirvi. Aspettammo per un' ora un tram che potesse accoglierci. Papà rabbrividiva di freddo, si sentiva male. lo tremavo per lui. Finalmente, facendo forza, potemmo salire. Temevo di perdere il treno. Arrivammo alla stazione appena in tempo a prenderei i biglietti. Grazie a Dio, giungemmo a entrare in un carrozzone e alle 11 e mezzo arrivammo a Gramat-Neusiedl. E dopo due ore di pessima strada eravamo qui.


Tutto viene a mancare: anche quello che si credeva il più necessario.

14 marzo. Ho ricominciato la scuola. Sono tanto debole che mi sono accinta al lavoro con un po' di timore, eppure nello stesso tempo con tanto piacere. Mi sentivo bene fra le mie scolare; contenta di essere la loro maestra. E ho lavorato di lena, ma poi ero tanto stanca. Come andrà? Quanto resisterò? Desidero tanto un po' di forza, non foss'altro per poter studiarmi di render attraenti e utili le mie lezioni, e render la scuola gioconda e fruttuosa alle mie care fanciulle.

15 marzo. Il freddo è ritornato intenso. Ha nevicato e il vento ha infuriato. La scuola era fredda. Ho preso un mal di gola che mi disturba non poco.

16 marzo. Papà è venuto presto, prima ch'io mi alzassi, a portarmi il latte. Povero vecchio! Vuole portarmi lui il latte ogni mattina; viene svelto e fiero con la sua gamella, fa due parole poi va ad ascoltar la S. Messa.

17 marzo. Oggi la mamma si sentiva tanto male. È stata coricata quasi tutto il giorno nel mio letto. Il caldo della mia stanza e quel boccone che ho potuto darle, le hanno fatto bene e stasera stava meglio. Ma è debolissima. Il cibo che riceve in baracca è tale che, benché sia pochissimo, le fa male e deve astenersene; e da comperare non si trova più nulla. C'è da preveder poco di buono.

18 marzo. Durante la Messa una delle mie scolare più grandicelle mi domandò di uscire ché si sentiva male. L'accompagnai fuori, la condussi in scuola e la feci sedere finché ebbe riposato alquanto. Poi l’accompagnai alla sua baracca. Mi disse che da un pezzo non sta bene, che ha sempre mal di testa e che è tanto, tanto debole. Povera ragazza. Era pallidissima e sotto gli occhi azzurri spiccava un cerchio nero che diceva tante cose. lo pure sto poco bene. A stento sono stata in piedi durante le funzioni a sorvegliare le mie scolare. Avrei bisogno di stare a letto, di riposare, di mangiare ...

19 marzo. Qui la nostra condizione si fa sempre più misera. Non trovo più nulla da comperare per sostentare i miei genitori, e col solo vitto ordinario che ricevono non possono vivere.

21 marzo. A forza di raccomandarsi e pregare, la mamma ha potuto finalmente avere un kg di zucchero per 6 K. Il caffè è a 24 K, il burro a 20 K, la farina di frumento a 7, 8, 10 K, il granoturco da macinare a 4 K il kg. E bisogna pur comperarne se non si vuol morire di fame: perché con quel che si riceve dal "Lager" non si può reggere. La minestra della sera i miei poveri vecchi la bevono perché non è altro che un po' di broda, misurata con crudeltà.

22 marzo. C'è stata la Comunione generale degli scolari. Ognuno aveva con sé la propria gamella e il cucchiaio e con questi arnesi in mano, o appesi alla cintura, fanciulli e fanciulle si presentavano all'altare. Era commovente la premura che avevano di obbedire al predicatore che aveva tanto raccomandato di non far rumore con le gamelle. Era necessario aver con sé gamella e cucchiaio perché immediatamente dopo la sacra funzione dovevano andare all' "Ausspeisung" ("Refezione") a far colazione. Qualche gamella cadde a terra, qualche cucchiaio chiacchierò colla gamella, ma in generale gamelle e cucchiai furono custoditi per bene, in modo che il rumore fu minimo. E per riuscire a questo, l'attenzione dei piccoli profughi non fu poca; si vedeva chiaro ch'era più viva di quella che prestavano a ricevere il Sacramento. O Dio, le avete viste quelle gamelle?

23 marzo. Stavo per entrare in chiesa, quando incontrai le Suore cogli orfanelli. Mi avvicinai a quella d'esse che conosco e feci alcuni passi con lei, discorrendo di qualche cosa che ad entrambe sta a cuore. Essa mi disse con tutta persuasione: "Non può durare a lungo così. Deve finir presto". Fosse vero! Tornando verso la baracca dove abito, vidi una folla di donne che facevano chiasso davanti alla porta della "Werkstatte" ("laboratorio"). Perché gridavano e gesticolavano irate? Perché non avevano ricevuto la pagnotta ed erano affamate e la volevano. Ben presto furono costrette dai gendarmi e dai poliziotti a ritirarsi nelle loro baracche: qualcuna fu arrestata. Son brutte cose, brutte come la fame che è pur anche dolorosa, irritante, furibonda consigliatrice.

24 marzo. Non c'è più carbone; per riscaldare la stufa c'è solo un po' di legna verde e fradicia. Tutto, tutto viene a mancare; anche il più necessario: cioè quello che si credeva il più necessario. Papà rammenta con cupo rimpianto la tanta legna, il molto legname che con tante fatiche aveva accumulato nella nostra casa, e che con la casa è bruciato. Ah! Tutto distrutto, tutto bruciato quel che non è stato saccheggiato, e noi qui a languir di fame, a tremare di freddo, a mendicare un cencio per coprirei. No, vivaddio! no, mendicare no! Non vi porteremo i cenci onorati che ci hanno coperto le membra, che hanno sentito battere il nostro cuore quando ci faceste fuggire dal Tirolo; non ve li porteremo questi cenci per ricevere da voi la roba nuova che volete pagata a prezzo di sanguinose umiliazioni!

25 marzo. È freddo, nevica; e non c'è legna da riscaldare la stanza. Mi sono avvolta nella mia mantella (proprio nella mia, ché ho dovuto comprarmela io, e non rebbi già dal "Lager") e ho cercato di distrarmi leggendo un libro che una mia collega mi ha prestato. Questa lettura mi interessò tanto che alcune ore passarono in fretta. Un buon libro gioverebbe molto a far passare meno male qualche ora, a sollevar lo spirito, a riconfortare il cuore, ma non è facile l'averlo.  Nella fuga precipitosa dalle nostre povere case non ci fu possibile portar con noi dei libri; e il procurarcene dopo è impedito dalla censura: ne ordinai parecchi e tutti furono respinti: perfino I Promessi Sposi furono ritornati al mittente coll'accompagnatoria: "unzulàssigs ("inammissibile"). E così anche quel po' di lettura che si potrebbe fare con vantaggio dello spirito e del cuore ci è interdetta.

26 marzo. È freddo, si ha fame, e non c'è da riscaldarsi, e non c'è da mangiare. San venuti i miei genitori a trovarmi: erano intirizziti, affamati; ed io nulla avevo da dar loro. E sono stati qui un pezzo con me nella camera fredda, poi se ne sono andati lenti, curvi, cupi. E io sono andata nella mia scuola fredda, benché la stufa fosse tiepida, e ho lavorato, ma col cuore gonfio d'ira dolorosa, di sconforto disperato. Stasera dovrei scrivere alcune lettere. Ma io non posso scriver nulla a nessuno, perché dal cuore mi viene una parola sola, ch'io vorrei scrivere con una penna intinta nel sangue di tante vittime e lanciarla al cielo: vendetta.

30 marzo. Mamma è andata in cerca di un po' di farina, di un po' di burro, di qualche cosa da mangiare, ma non si trova nulla. Fino a pochi giorni fa si poteva avere qualche volta mezzo kg di farina di frumento, qualche quarto di burro, qualche po' di zucchero, qualche quarto di caffè; ora più nulla altro che granoturco, a 4 K il kg, e bisogna macinarselo.


PARTE TERZA

1917

DAL 31 MARZO AL 17 MAGGIO


Il gruppo delle maestre. Filomena Boccher è la prima a sinistra della prima fila in piedi. Al centro, seduti, l'Ispettore scolastico don Tiso e il dirigente Corradi (proprietà Boccher)


Al nostro fianco lo spettro della fame.

31 marzo. Dalla "Verpflegsgesellschaft des Barackenlagers " ("Società di sussistenza del carnpo") di qui ho ricevuto una notificazione in questi termini: "Es wird hiemit zu Kenntnis gebracht, dass am I. April alle Abonnements ùber K 3.50 in folge Drosselung der Mehl, Schlachtvieh und Fleischzuweisung nicht mehr aufrecht erhalten warden kònnen und bis auf Weiteres nur mehr Abonnement zu K 3.50 ausgegeben werden" ("Con questa si porta a conoscenza che il I aprile tutte le tessere oltre le 3 corone e 50, in seguito alla riduzione della farina, bestiame da macello e assegnazione di carne non possono più essere ritenute valide e fino a nuovo ordine vengono rilasciate solo tessere di 3 corone e 50"). Prima d'ora con 4 K al giorno ricevevo appena il necessario per vivere, ora non si può avere più neppure quello. Terribile vediamo al nostro fianco lo spettro della fame; già i suoi artigli lacerano il nostro stomaco vuoto. E qui dobbiamo stare per esser torturati dalla fame, mentre le nostre campagne che vorrebbero darci il pane, implorano invano le braccia che già avevano tratto dal loro seno tanto tesoro di biade, di grappoli, di frutta, quelle braccia che ora penzolano esauste, per contorcersi forse fra breve negli spasimi dell' agonia. Lasciateci andare almeno in una terra, che da quella che ci vide nascere non sia come questa tanto lontana! Lasciateci andare dove il nostro dolce idioma non sia un delitto! Noi vi manderemo di là la parte migliore delle nostre fatiche e il nostro perdono; ma lasciateci andare! Qual gloria vi verrà dallo spegnersi di tante vite nell'inedia? Vi abbiamo dato i nostri soldati; del loro sangue rigurgitano I campi di battaglia; lasciate andare le sorelle, le spose, le madri a piangere e pregare per essi sotto il cielo che primo loro sorrise, sotto il cielo, le cui dolci stelle sanno le veglie delle madri che ve li diede baldi, forti, valorosi! Per il sangue dei nostri soldati, lasciateci andare!

1°aprile. Una cucchiaiata di minestra che ho bevuta; un pizzico di crauti; un osso: ecco il mio pranzo, oggi. E poi una fame, un languore, una disperazione ... E l'ineffabile strazio di veder presso di me i miei genitori ancor più maltrattati, ancor più deperiti, ancor meno rassegnati; e non poter aiutarli, e non aver come altre volte un boccone da dar loro.

3 aprile. Ho udito che corrono voci buone per l'accampamento: da dove siano venute non so. Purché non siano nuove illusioni.

4 aprile. Sono stata a trovare le Suore nere. Gli orfanelli stavano facendo chiassosamente la ricreazione, e la giovane maestra sorvegliava con ammirabile pazienza i loro giochi col sorriso sulle labbra, con gli occhi vigili e dolci. Mi fecero entrare nella camera da lavoro, ove venne la Superiora. Il suo dire gentile e spiritoso, il suo modo di veder le cose e di ragionare mi faceva invidia. Essa non è affranta come me, ma non è neppur come me affamata e preoccupata. Mi ha compatita, mi ha raccomandato di distrarmi e di riposare, ma è convenuta con me che con quel solo che si riceve non si può sostenersi e che la condizione in cui ci troviamo è critica assai.

5 aprile. Sono andata un po' in chiesa e sono stata lì inginocchiata sul pavimento davanti al santo sepolcro. Ma mi sentivo poco bene; ho dovuto uscir presto. Se va di questo passo ci si dovrà presto piegare, per non rialzarsi più. Ciò che ho ricevuto da mangiare è stato tanto poco e così cattivo ch' è impossibile non indebolirsi e non sentirsi male. La pagnotta sembrava fatta di terra impastata con aceto e cotta al sole, la minestra l'ho bevuta, ed era un cucchiaio; la cena consisteva in un pizzico di crauti con 5 cm di sanguinaccio. Imploro la notte di esser breve perché col sole di domani mi giungano almeno due gocce di caffè. È orribile la fame; io la provo. Ma guai a chi ci infligge tal supplizio! È impossibile che tal patire non gridi vendetta al cielo! Come quel ricco Epulone deve venir pur per voi il giorno in cui invano implorerete una goccia d'acqua. Ah, che le vostre vittime diventino un giorno il povero Lazzaro del Vangelo!

6 aprile. Stavo per andare alla predica, quando vennero da me i miei genitori, affamati, irritati, scoraggiati. Sono stata qui con loro e mi sono studiata di confortarli: ma ahimè! qual conforto possono portare le parole, per quanto vengano da un cuore affettuoso, ad uno stomaco vuoto implorante pane, pane, pane! Il pane quotidiano che domandiamo al Signore verrebbe solo sui nostri dominatori? E a noi che lo imploriamo dal Cielo, perché al Cielo crediamo, non verrà che lo scherno di coloro che lo mangiano e solo a quello che mangiano credono? Affrettatevi, Signore, a soccorrerei, perché altrimenti noi soccombiamo. E se il pane dev'essere tutto per loro, date ci almeno la rassegnazione! dateci la calma necessaria per non morire imprecando.

7 aprile. Stamattina di buon'ora è venuto papà a chiamarmi per andare in Ungheria a cercar di comperare un po' di farina o qualche cosa per tenerci vivi. Il tempo era freddo, il vento soffiava impetuoso: io mi sentivo debole, quasi incapace di camminare: ho avuto paura e non sono andata, rimettendo il viaggio ad un altro giorno. Inoltre, fui avvertita che solo di trafugo si potrebbe portar generi dall'Ungheria, ché è proibito; e a più d'uno che aveva fatto il tentativo è toccato di essere arrestato dalle guardie, cui è stato costretto a consegnare la merce comperata a carissimo prezzo, perdendo denaro e fatica. E così son rimasta qui tutto il giorno, studiandomi di non muovermi per non esacerbare lo stomaco, desolata di non poter far nulla per soccorrere i miei genitori.

Tanto freddo, tanta fame.

8 aprile. Festa di Pasqua che altre volte sorgevi così luminosa e gioconda, tu giungi quest'anno velata di nero, terribile come uno spettro. Tu ci annunzi che la primavera è giunta, ma che non è giunto il tempo in cui la terra fiorisce per i profughi. Tu ci annunzi che la nostra dolce terra disgraziata implora il nostro ritorno e il lavoro delle nostre braccia, ma che la voce del cannone non lascerà giungere a noi la sua voce né a lei il nostro saluto, finché le vittime non avran raggiunto quel numero che Dio solo sa! Festa di Pasqua, altra volta nunzia di risurrezione, tu giungi quest'anno avvolta in gramaglie, e la croce che altra volta tu ci mostravi trionfante della redenzione di cui era stata strumento, noi la sentiamo grave e fatale premerei sul dorso chino nella schiavitù e nell'obbrobrio.

9 aprile. È venuto un nuovo ospite nella baracca dove stanno i miei genitori. E un soldato invalido di Vattaro. Stasera è venuto coi miei a trovarmi. Ha un braccio rovinato, con la mano inerte sostenuta da un apparecchio di cuoio fissato con ganci particolari. S'è trattenuto presso di me un pezzo e m'ha raccontato qualche cosa delle sue vicende. Suo padre è internato a Oberhollabrunn; ha un fratello sul campo e un altro in un ospedale militare. La madre è a Vattaro, in casa sua. Quando ero anch'io nel paese, essa era sempre gentile e cordiale con me: avrebbe mai preveduto che un giorno mi sarebbe capitato il suo figliolo in queste circostanze? E verrà il giorno in cui io tornerò in quel paese e ci troveremo ancora tutti insieme? Verrà il giorno in cui il nostro esilio non ci sembrerà più che un brutto sogno?

10 aprile. Ho ricominciato la scuola. lo battevo i denti per il freddo. E le scolare ne ridevano innocentemente. Ma esse pure erano pallide ed intirizzite e si raggomitolavano nei poveri fazzoletti. Freddo, fame, angoscia! I miei genitori non sanno rassegnarsi a morir qui né sanno sperar altro. lo mi guardo d'attorno e non odo che lamenti e imprecazioni, non vedo che lacrime e miseria. È venuta una povera donna a domandarmi un favore e mi ha detto che va nelle officine a lavorare per non stare in baracca a sentir sempre i figlioletti a domandarle da mangiare.

11 aprile. Anche oggi tanto freddo e tanta fame. In scuola, alle 12, mi sentii sopraffatta da una debolezza tale, che non sapevo più quel che mi facessi. E dovevo starei ancor un’ora. All'una potei venir a pranzo e trovai la solita minestra da bere, un boccone di carne che non si lasciava masticare, e un cucchiaio di salsa che non fui capace di affrontare. Rosicchiai quel pezzetto di pane che m'avevo serbato dalla colazione e poi andai a scuola. Una collega, nella quale m'imbattei, mi disse che si sentiva così affranta da non poter reggersi in piedi. Son venuti da me i miei genitori e mi han detto che la minestra di stasera puzzava da rivoltare lo stomaco. Abbiamo fatto macinare un po' di grano comperato a 4 K il kg e papà ha fatto la polenta; poi l'ha mangiata così senza companatico, e l'appetito gliel'avrebbe fatta mangiare tutta.

12 aprile. Dopo pranzo sono stata a trovare una ragazza nell'ospitale. Essa mi aveva scritto un biglietto in cui mi pregava d'andar da lei, che aveva da parlarmi. Ci sono andata e la ho trovata in piedi, ma si reggeva a stento. Mi disse che non sentiva altro che un gran sfinimento. Nella sala le malate erano 26; quasi tutte giovani.

13 aprile. Oggi è venuta nella scuola una signorina viennese che si interessa dei profughi e fa loro del bene. È una simpaticissima giovane dall' espressione intelligentissima e piena di signorile bontà. Ha voluto sentir le scolare leggere in lingua tedesca e ha promesso di adoperarsi perché le scolare possano avere una grammatica tedesca.

14 aprile. Che cosa scrivere? Sempre le stesse miserie, sempre più fame, sempre maggior nostalgia. Da qualcuno si dice che a casa non andremo più; i provvedimenti che si prendono per i profughi tendono tutti a stabilirli qui. Qui, sempre? Fino alla morte? È freddo; nella scuola rabbrividivo: oggi non hanno dato punto legna. Non legna da riscaldarci, non pane da sfamarci; e non è ancor tempo di lasciarci andare?

15 aprile. Stamattina, quasi spinta da un presentimento, sono stata in baracca a vedere dei miei genitori. Papà era coricato vestito; ed era tanto pallido che mi sono spaventata. Ieri aveva mangiato una certa pietanza che taluni dicono essere foglie di barbabietole in composta, altri dicono essere torsi di cavolo essiccati e ridotti in schegge, poi cotti. Questo cibo aveva fatto male al povero vecchio affamato; gli aveva cagionato mal di testa e diarrea, e stamattina il povero uomo sembrava disfatto. Si riebbe, prendendo prima un po' di caffè, avuto per grazia, e poi mangiando polenta.

19 aprile. Il capo-baracca ha detto alla mia mamma di presentarsi oggi al magazzino per ricevere qualche capo di vestiario; per ottenerlo però era necessario ch'essa consegnasse altrettanti capi usati: che non consegna la roba straccia non ha diritto di riceverne di nuova. Bisogna dunque concludere che chi più sciupa, più riceve, chi nulla sciupa, chi ha cura del suo vestito vien punito col non dargli nulla. La base di tal sistema, per chi pensa almeno un poco, è qualche cosa di demoralizzante, eppure si vuole così, quasi la roba da vestire fosse nei magazzini un ingombro tale che bisogna disfarsene istituendo una gara di sciupio. Tutti sentono il diritto di ricevere la loro parte di vestiario, ma chi sa molto sciupare riceverà anche la parte di chi risparmia.

Sconforto e consolazione.

20 aprile. Lunedì, mentre andavo in baracca a trovare i miei genitori, incontrai un pover'uomo di Roncegno. Egli mi disse che aveva tanta fame. Ieri mattina lo trovarono morto: morto di fame. Quello che si riceve non è più sufficiente a tener vivi; e perché non ci lasciano andar a cercare il pane dalla terra nostra? Perché non vogliono liberarsi di noi che abbiamo la pretesa di mangiare per vivere? . Oggi sono stata quasi tutto il giorno a letto. Il dott. Botteri, padre delle mie due scolare, è venuto per sua bontà, senza ch'io lo chiamassi, a vedere come sto. Ha detto che non ho mente altro che una certa influenza. Ed io sento bene che si tratta dell'influenza del freddo e della fame. Il rimedio sarebbe tanto semplice, ma l'averlo non è in mano nostra. M'ha confortata però assai la premura del buon medico, e le care visite di quattro mie gentili colleghe.

23 aprile. Ero ancora a letto quando è venuta la domestica di due mie scolare, mandata dalla loro mamma, a vedere se avevo bisogno di un po' di legna per riscaldare la mia camera. Fu una vera Provvidenza. La ragazza portò legna e carbone e mi accese essa stessa la stufa. Papà che era presente ne fu commosso e felice. lo non sapevo come esprimer la mia riconoscenza. Come ricorderò sempre tal beneficio, e penserò a quella buona signora con memore gratitudine! Lungo il giorno vennero parecchie mie scolare a trovarmi; mi fece tanto piacere il vedere con qual affetto timido e gentile mi domandavano come stessi: nei loro occhi leggevo il cuore affezionato e devoto, nelle loro parole udivo la voce del cuore. Grazie care, povere, buone figliole: a voi debbo l'amore che mi rende dolce il lavoro, soave la fatica, breve il tempo.

24 aprile. Sono stata a Vienna con papà. Siamo andati al Comitato di soccorso per i profughi e ho parlato per ottenere ai miei genitori il contributo di sostentamento cui hanno diritto, avendo ambedue figli militari. Ci venne negato finora col pretesto che al nostro mantenimento provvede lo stato nell' i.r. baraccamento di Mitterndorf ove ci hanno condotti. Lo stato provvede qui al nostro mantenimento! Poveri noi, se dovessimo vivere solo con quel sostentamento che riceviamo qui! Non si potrebbe vivere, si dovrebbe morire d'inedia.

25 aprile. Il cibo che riceviamo è ogni giorno più scarso e più cattivo. Questo trattamento ci fa pensare che un barbaro disegno è stato fatto su di noi: distruggere i Tirolesi italiani. Ci si fa soffrire la fame ed il freddo, ci si avvelena con broda che le bestie rifiuterebbero, si impedisce che ci giungano generi alimentari da altri luoghi: e son vane le suppliche che facciamo ripetutamente per ottenere il permesso di partire. Che si deve pensare? Il prezzo di quel poco che a stento e di trafugo possiamo procurarci cresce ogni giorno, tanto che non possiamo concederci il lusso di una fetta di polenta scussa ogni giorno. È un obbrobrio l'esser Tirolesi italiani! Un'infamia che ci leva il diritto di mangiare. Ma noi abbiamo fame, ma noi vi abbiamo dato il sangue dei nostri cari e quello dei nostri cuori, noi non abbiamo tradito; perché ci avete condannati a tal barbara schiavitù? Voi ci avete traditi, voi.

26 aprile. Oggi son ritornata nella scuola. Era freddo, le gambe mi reggevano a stento, sentivo tanta fame. Quando papà è venuto a trovarmi a mezzogiorno m'ha portato una lettera speditami dal Consiglio scolastico distrettuale, in cui mi si invita a riferire tosto dove sono occupata, da quanto tempo e per quanto tempo rimarrò possibilmente nel posto che occupo. Se questa domanda volesse dire che potrei esser trasferita altrove, che potrei rimpatriare! Questa sera una mia collega m'ha portato alcuni libri ch'io avevo ordinati ancora in autunno e che ho potuto avere solo ora per mezzo di una persona con la quale la signorina è in relazione. Ora ho almeno qualche cosa che mi aiuti nella scuola e me ne consolo. Ho sfogliato con interesse i bei libri pieni di pensiero e di utili cognizioni: mi pareva di sentir fra quelle pagine il tepore di un sole.

27 aprile. É l'onomastico dell'Imperatrice! Sono andata a sorvegliare la scolaresca durante la S. Messa celebrata per la gentile sovrana. Ma non potevo pregare. Pensavo: "Penserà essa mai che qui vicino alla ricca capitale ove siede sul trono, vi sono dei suoi sudditi torturati dalla fame, disprezzati, maledetti perché solo Italiani? Se lo sapesse, farebbe essa qualche cosa per soccorrerei, per liberarci? Il cuore mi diceva di sì; ma nello stesso tempo la vedevo tranquilla della nostra sorte, paga delle bugiarde relazioni di chi maltrattandoci e opprimendoci, pur grida alto che noi stiamo bene anche troppo.

Atroci commedie.

28 aprile. Stamattina alle 10, mentre stavo rosicchiando una fetta di pagnotta, udii che si suonava la banda. Aprii la finestra e vidi un gruppo di suonatori, cui seguivano otto bambine vestite di bianco con fiori gialli in mano. E poi venivano lentamente sei strane coppie; il Barone, l'ingegnere, un ufficiale, ciascuno dei quali teneva a braccetto una vecchierella vestita di nero e con una ghirlanda di fiori gialli in capo. Quelle tre donne chi potevano essere? Mestissimo il viso, bianchi i capelli, lentissimo il passo, sembravano tre fantasmi usciti da una tomba a veder che si facesse sulla terra, a dire che anche i morti fremono e piangono per il sangue che la dilaga. E dietro di esse venivano tre uomini vecchi e scheletriti, ciascuno accompagnato da una giovane signora: erano i mariti delle tre vecchierelle. Erano tre coppie che facevano le nozze d'oro. lo piansi. E gridai al cielo: "Cessi la commedia atroce!"

29 aprile. Papà è venuto a fare due passi con me. Tornammo presto nella mia camera. Aprii la finestra e ci appoggiammo entrambi al davanzale. Un brutto spettacolo venne tosto a rattristarci non solo, ma a riempirei il cuore di indignazione e di disprezzo. Due giovani tedeschi, ubriachi l'uno più dell’altro, passavano dinanzi alla cucina. A un tratto caddero l'uno sull'altro. Barcollando si rialzarono, e l'un d'essi si gettò supino su una barella che stava accanto al marciapiede. L'altro lo tormentava, e gli sputò nella bocca aperta. Per alcuni minuti durò un'atroce, sozza commedia. Intanto accorrevano i curiosi. Si tentò di rialzar quello che giaceva, ma era inutile. Allora fu trasportato altrove. Se fossero stati italiani quei due bruti, quale scandalo sarebbe stato per i bravi Tedeschi presenti! Ma erano dei loro e non si fece che sorridere. lo ringraziai Dio di non aver mai visto Italiani far tali brutali prodezze.

I nostri tiranni.

30 aprile. Si dice che domani ci sarà un cambiamento nella cucina: sarà in meglio? Sarà in peggio? Si potrebbe esser trattati peggio? Non lo crederei. A cena ho ricevuto un cucchiaio di miglio tutto bucce, e un pezzetto di carne come un uovo. Stasera una signorina m'ha detto che un tedesco impiegato in un magazzino di questo "Lager" ha espresso la sua meraviglia al vedere che gl'Italiani subiscono tal trattamento tacendo. Che gioverebbe il parlare? Di chi è la forza, di chi il potere? Sì, tacciamo ora, ma perché altro non possiamo fare; ma perché sappiamo che "a metter fuori le unghie il debole non ci guadagna" e in questo "Lager" nelle vostre mani, noi ci vediamo condannati. Ma forse Qualcuno ci libererà e Colui sarà il Protettore dei deboli, il Vindice degli oppressi. Deboli noi siamo e oppressi sì, ma i vostri titoli non sono alti come il sole; la nostra miseria e i nostri parimenti tingeranno di ignominia i vostri titoli.

1° maggio. Stamattina quando le ragazze andarono in cucina a prendere il caffè per le maestre, si disse loro che bisognava pagarlo; sicché per averlo demmo ciascuna i 28 centesimi richiesti. Così sarebbe stato per il pranzo e per la cena: non si avrebbe più ricevuto nulla colle solite tessere: bisognerebbe pagare ogni volta. Ne fui lieta perché pensavo che l'Amministrazione ci avrebbe dato invece il denaro corrispondente, e con quello avrei comperato qualche cosa non così cattiva come ciò che ci danno essi da mangiare. Ma di lì a un’ora venne un contrordine; per le maestre ci sarebbero le tessere e il trattamento solito. Una mia collega ed io andammo dall'Ispettore a domandar se non fosse possibile ricevere il denaro invece di quella miserabile "ménage" ("vivanda"). La risposta fu acre e offensiva: la ragione e la giustizia c'entravano per nulla. Grazie, illustre Ispettore! Non dimenticherò il quarto d'ora in cui così da vicino ho potuto ammirare il tuo cuore per i profughi.

2 maggio. Più d'una volta pensai di raccogliere quanto riceve da mangiare un profugo in un giorno, e di portarlo a Vienna per farlo vedere a qualche autorità e domandare se una creatura umana potrebbe vivere con un tal trattamento e mostrare a che si riduce il mantenimento di cui si fanno tanti elogi. Oggi ho saputo che un’altra l'ha fatto. E ho saputo che il cibo fu trovato scarso e cattivo. Lo Stato provvede al mantenimento dei profughi, sicuro: ma è chiaro come il sole che ciò che è destinato per noi non ci giunge, come una palla di burro non giungerebbe al destinatario, quando prima dovesse passare per 100 mani e sbocconcellata da 50 bocche, a dir poco. È un malcontento generale, uno smaniare angoscioso, un implorare incessante. Si ha fame, si è stanchi, si è malati, si è lo zimbello di coloro che succhiano il nostro sangue. Se il sangue di Abele bevuto dalla terra gridò vendetta al cielo, non griderà vendetta il sangue dei profughi, succhiato da questi barbari?

3 maggio. Oggi, appena incominciata la scuola, entrarono nella mia classe alcuni signori tedeschi, che non ho mai visto; ed erano accompagnati dal Barone che parlava loro con molta deferenza. Si fermarono un po' ad ammirare l'aula, poi se n'andarono, salutando gentilmente, ma senza pronunciare una parola in italiano. Basta guardarlo il Barone per esser persuasi che i maltrattamenti di cui siamo vittime non dipendono da lui: gli si leggono in viso la nobiltà e la bontà. Il guaio è che si fida dei suoi subalterni; e pur standogli a cuore il nostro benessere, non crede necessario controllare il modo in cui è curato. E intanto noi soffriamo ciò ch'egli è lungi dal supporre, e intanto quelli che godono la sua fiducia sono i nostri tiranni.

Si rimpatria: e la nostra ora giungerà?

5 maggio. Parecchie famiglie di Tenna hanno ottenuto il permesso di rimpatriare. Papà è in orgasmo, mamma vorrebbe ottenere il permesso essa pure. Non può più rassegnarsi a prolungare ancora questo soggiorno. lo mi sento proprio poco bene. Mi pare impossibile poter continuare la scuola. Ieri sera m'ero appena addormentata, verso le 11, quando sentii un movimento nella camera vicina; mi pareva che la mia collega si fosse alzata. Poi la udii parlare colla collega dell'altra camera. Indovinai dalle loro parole che c'era un incendio. Alzai la tenda della finestra e vidi oltre le baracche un fuoco altissimo. Mi vestii in fretta. Pensavo che la distruzione del "Lager" sarebbe stata imminente. In un lampo tutte le vie erano zeppe di gente. Ma ciò che bruciava non era che un fienile, e l'incendio durante la notte fu spento.

6 maggio. Ho comperato 10 kg di granoturco. Il prezzo è ribassato. Non ho speso che 36 K. Però della mia mesata mi resta ancor poco e bisogna averne abbastanza fino al 1° giugno. Potremo concederei il lusso di fare la polenta solo una volta ogni due giorni, ma spero che ciò sarà sufficiente per non morire di fame. Intanto Dio provvederà. Si discorre d'un prossimo rimpatrio di Vattaresi. Come maestra, appartengo anch'io a loro comune: perché non posso andarci? Bisogna aspettare il permesso delle Autorità; e quando penseranno a concedermelo? Delle suppliche fatte per ottenerlo non ho ancor ricevuto evasione. E poi, se non mi si concede di prendere con me anche i miei genitori, io preferisco morir qui piuttosto di abbandonarli.

7 maggio. Sono andata dalle Autorità del "Lager" a domandare se fosse possibile ottenere per me e per i miei genitori il permesso di ritornare a Vattaro. La risposta è stata poco incoraggiante. Ho fatto un’altra supplica al Capitanato distrettuale implorando. Ma chissà! Si crederà la mia domanda dettata da nostalgia capricciosa, e non si farà nulla per esaudirla? Ma i miei genitori come potranno regger qui ancora? Sono sfiniti, esasperati, affamati. Vivere agonizzando è un supplizio atroce.

8 maggio. Papà stamattina è andato a Gramat-Neusiedl a impostare la supplica. Pover'uomo! E ritornato tanto stanco, che gli pareva d'esser più morto che vivo. Lo devo ostentare speranza e tranquillità, per non toglier ai miei genitori il coraggio e la fiducia nell'avvenire. Ma devo fare uno sforzo che mi tortura.

9 maggio. Vacanza perché è il natalizio dell'Imperatrice. Ne ho parlato alle scolare, e ho detto loro qualche cosa della nostra giovane sovrana. Esse ascoltavano con attenzione, e facevano tesoro d'ogni parola ch' io dicevo loro. Prima non sapevano nemmeno quando fosse nata, dove e da chi: sapevano solo ch'è italiana (Zita di Borbone, figlia di Roberto, ultimo duca di Parma). lo avrei voluto saper loro dire di più. Eppure, le mie fanciulle erano tanto contente di quel poco che ho potuto dir loro, anzi vidi che ad esse sembrava molto, ed erano soddisfatte e contente, quasi altere di saper finalmente qualche cosa della loro Imperatrice: e si vede ormai che ne sono entusiaste.

10 maggio. Oggi mi sentivo meno bene del solito. E il cibo è stato peggiore. Papà e mamma sono irritatissimi e smaniano perché non prevedono di rimpatriar tanto presto. Sono andata in baracca a trovarli. Erano entrambi coricati. Alzatisi, mi dissero che si sentivano tanto deboli da non poter star su. Nella baracca pareva di non poter respirare: le finestre erano chiuse e sugli spaghi tesi fra le pareti c'era una quantità di stracci che gli altri ospiti ci avevano appeso, parte per asciugare, parte semplicemente per farne delle tende. Quanto d'igienico e di estetico vi siano in quei cortinaggi ognuno può vederlo, eppure si deve lasciar essere, se non si vogliono questioni. Oh, l'obbrobriosa schiavitù delle baracche! Non ci fosse altro guaio che quello di dover convivere con ogni sorta di gente, questo solo basterebbe a render la vita delle baracche un martirio.

11 maggio. È venuta a salutarmi una donna che parte per Vattaro. Quale angoscia non poterla seguire coi miei genitori! Quando giungerà la nostra ora? E giungerà? Parecchie delle mie scolare sono malate; anche di quelle che sembravano robuste. Oggi si dette loro il pranzo all'aperto, fra le 12 e l'una, sotto il sole che scottava. Stasera si lamentavano di mal di testa. L'igiene del "Lager" è qualche cosa di speciale che una povera maestra tirolese non può comprendere. Si provasse qualcuna a esprimer dubbi sull'opportunità di certi sistemi che si vogliono far valere dalla "Leiterin der Kinder" ("Direttrice dei bambini")! Se son rose fioriranno; e se non c'è per nulla il proverbio "dopo un anno, un giorno e un mese l'acqua torna al suo paese", verrà anche il giorno in cui la "Leiterin der Kinder" vedrà partire i suoi sudditi, e resterà qui tutta per il suo cane.

12 maggio. Oggi alle 10 son partiti quelli di Vattaro, rimpatriano. Con essi, anche quelli di Centa e di Bosentino. Dalla mia finestra guardai la folla che si avviava alla stazione accompagnata dall'Ispettore delle baracche e da parecchi poliziotti. Se ne andavano silenziosi, curvi sotto il peso dei fardelli gli uomini, con bimbi in braccio o per mano le donne. Nessuno sorrideva: eppure la gioia con cui avevano ricevuto il permesso era stata viva ed intensa! Nell'ora della partenza la loro gioia era oscurata dal pensiero di tanti poveri cari che non possono seguirli, e che di sotto le zolle del camposanto straniero par che gridino loro: "Ricordatevi di noi che soccombemmo nell'esilio! Ricordatevi con pietà di noi che anche morti gemiamo di nostalgia sotto questa fredda terra, su cui nessuno deporrà più né una lacrima né un fiore!"

14 maggio. Oggi sono stata al cinematografo con le mie scolare. Le proiezioni non erano punto adatte per una scolaresca. Fortuna che almeno hanno capito poco! Nell'accampamento non si discorre ormai più che di rimpatrio. Sulla porta della cancelleria del "Segretariato del popolo" sta scritto: "Dal 15 in poi si accettano domande di rimpatrio". Papà è in orgasmo, mamma è ansiosa. lo temo. E penso: "Quand'anche ci concedessero di rimpatriare, chi ci assicura che non abbiamo ad essere sbalestrati di nuovo dai nostri paesi? La guerra non è finita: sembra quasi che voglia cominciar adesso".

15 maggio. Stamattina due mie colleghe, sorelle, mi dissero ch'esse avevano ottenuto il permesso di ritornare con i loro genitori a Caldonazzo, dove l'una di esse era stata maestra. Erano contente, però non quanto avrebbero voluto esserlo. Stavo riordinando i miei bagagli, quando udii, dal corridoio, parlare di Roncegno. Uscii in fretta a domandare cosa ci fosse. Mi dissero che a quelli di Roncegno era venuto il permesso di rimpatriare. Non potevo crederlo e non era da credere. La notizia non era esatta. Stasera sono andata in baracca a mangiare la polenta coi miei genitori. Mamma è più malandata del solito. Devo studi armi di distrarla, di farle coraggio, di procurarle qualche boccone. Povera donna! Questa sera mi disse con un accento desolato: "Oh, nelle baracche mai più!"

16 maggio. Papà è andato al "Segretariato del popolo" per domandare del rimpatrio. Il segretario gli diede una risposta punto soddisfacente. Trovò la domanda inopportuna e voleva persuadere papà ad avere pazienza, ad aspettare, affermando che per intanto non ci sarebbero trasporti per rimpatrianti. Ma allora, perché ieri l'altro esporre quel cartello con scritto ha lettere cubitali "dal 15 in poi si accettano domande di rimpatrio? " Si vuol giocare di buffonate con chi soffre la schiavitù più obbrobriosa, qual è quella delle baracche, con chi patisce la fame, con chi a morir di fame non si rassegna? È venuta a trovarmi la mia collega che ha ricevuto il permesso di rimpatriare con la sua famiglia, ed era sgomenta perché fu avvisata che avrebbero dovuto pagarsi il viaggio, e la spesa è considerevole. Era sgomenta ed esasperata.

17 maggio. Le maestre si son fatte fotografare in gruppo. Sarà una memoria! La questione del rimpatrio si fa sempre più oscura. C'è speranza di poter rimpatriare? Sarebbe pericoloso? Si correrebbe il rischio di dover sloggiare un'altra volta? Sarebbe peggiore di qui la vita là? E d'altra parte si può vivere in questa condizione? Si può rassegnarsi a questa schiavitù? Ci sono dei momenti in cui la disperazione vorrebbe sopraffarci. Ma no. Bisogna pensare che, "l'uomo propone e Dio dispone", "che le cose possono cambiar d'aspetto quando meno lo pensiamo, e che quando la notte è più profonda l'alba è più vicina".

PARTE TERZA

1917

DAL 18 MAGGIO AL 29 GIUGNO



 Nozze d'oro ( proprietà A. Girardelli )

Infelici a vent'anni.

18 maggio. La mia più cara collega oggi era triste assai. Dopo scuola m'intrattenni un po' con lei e mi espresse il desiderio di fare una passeggiata con me, ché aveva bisogno di dirmi qualche cosa. Ci andai. Anzi tutto essa mi narrò, accorata, una sventura che aveva colpito la sua famiglia nello scorso inverno: una di quelle sventure, per cui il mondo non ha che crudele disprezzo!

19 maggio. Questa sera la maestrina venne da me, a pregarmi di imprestarle qualche libro da leggere. Le ho dato il meglio che avevo: avrei voluto darle un libro con le parole d'oro, un libro che la consolasse! Quando partì da me, erano le Il di notte. Dormirà, quella povera creatura? Alcuni mesi or sono, essa era una delle più robuste fra le mie colleghe: adesso è triste e pallidissima: io temo che il dolore la uccida. E non ha che vent'anni! lo so che cosa vuol dire essere infelici a vent' anni! Vuol dire non saper che sia giovinezza, vuol dire fasciare di nero tutta una vita.

                                        La scuola.

20 maggio. C'è stata una conferenza delle maestre. L'Ispettore scolastico ci fece varie comunicazioni, fra le quali quella che l'insegnamento della lingua tedesca è stato dichiarato dal ministero un oggetto obbligatorio in tutte le scuole cui provvede lo Stato. Poi si determinò quante ore sono da dedicare a ciascun oggetto. Nella mia classe, che è la quinta femminile, bisognerà dare due ore alla religione, sei alla lingua italiana, sei all'aritmetica, due alla storia naturale, due alla fisica, un’ora e mezza alla geografia, un' ora e mezza alla storia, un' ora al canto, e quattro ore alla lingua tedesca; in tutto 26 ore. Mi sembrano molte per le mie forze, e poche per il bisogno della scolaresca. Mi riesce pesante la scuola, soprattutto perché l'orario è compilato in modo da non concedermi mai una mezza giornata di vacanza.


"Porci Italiani!"

21 maggio. La giornata è stata burrascosa e fredda. In questo paese ci sono sbalzi frequenti di temperatura: ieri un caldo soffocante, oggi un freddo che penetra le ossa. Stasera sono stata in baracca a trovare i miei. C'era una puzza insoffribile.

22 maggio. Oggi ho potuto avere dal fornaio una pagnotta, grazie alla tessera cedutami da una gentile e pietosa signora, che ha potuto essa pure averla per grazia. Con sessanta centesimi la ho pagata, mentre quando qualcuno ne vendeva nell' accampamento, esigeva una corona e 80 centesimi. Ah, l'obbrobrioso strozzinaggio che passeggia in questo "Lager"! Le mie forze vanno diminuendo; sono indebolita e stanca a segno di dover temere una prossima fine. Mi sostiene il pensiero dei miei genitori: devo viver per essi.

23 maggio. M'è giunta evasione della supplica fatta al Capitanato distrettuale di Borgo, per ottenere il permesso di rimpatrio, ma non mi vien concesso. La risposta suona così: "La Sua domanda tendente ad ottenere il permesso di rimpatriare, non poté venir presa in considerazione". Me ne affliggo per i miei genitori. Oggi ho ricevuto anche una cassettina speditami già in marzo da Vattaro. Conteneva commestibili, e tutto è guasto. La lettera di porto non mi venne mai recapitata, e così la cassettina rimase finora alla stazione di Mitterndorf. Dopo pranzo, per ordine dell'Ispettore scolastico, ho condotto le mie scolare a raccoglier erbe mangerecce. Non trovavano che ortiche e qualche dente di cane. Ne raccolsero e poi le portarono alla cucina.


24 maggio. Stamattina sono andata dal fornaio per comperare una pagnotta, ma mi fu risposto in tono sprezzante: "Brot? Es ist kein Brot mehr !" ("Pane? Non ce n'è più!"), Me ne ritornai mortificata, e addolorata per i miei genitori cui oggi non posso dare neppure un pezzo di pane. A merenda oggi le maestre ricevettero 1/4 di litro di latte acido. Perché non darcelo prima che diventasse tale? Ci dicono "Schweine Italiener" ("Porci d'Italiani"), e ci trattano da porci. Stasera sono andata con una mia collega dalle Suore nere. Come le invidio! Anch'esse soffrono, ma non quanto me, ma non quanto gli altri profughi! Almeno esse non sono nella miseria, il necessario loro non manca, e non temono d domandare quanto loro occorre. Ma noi, ma i miei poveri genitori, con quel cibo" in quella baracca!


25 maggio. Sono tornata dal fornaio con la mamma, e usando un po' d'astuzia siamo riuscite a ricevere entrambe una pagnotta. N'ero felice. Oggi non si patirà fame. Grazie, mio Dio! È però umiliante dovere tanto industriarsi per carpire, pagandolo, un pezzo di pane! Ora sappiamo quanto esso costa.


                La vita nelle baracche: un martirio.


27 maggio. È venuto Giovannino. È arrivato alle 11 e mezzo. Mi è comparso nella mia camera carico di pacchi. Ha portato due bei panettoni, zucchero, biscotti e un bel pesce arrostito. Un po' dopo di lui, è capitato papà.

28 maggio. Stanotte Giovannino ha dormito nella mia camera e io sono andata in baracca. Qual notte! Le cimici ed altri insetti mi tormentavano; non potevo dormire. Alle 2 ero ancora sveglia. I letti delle baracche! I canili son migliori. Il bel rifugio che ha dato questo "Lager" ai profughi! Come possono viverci i miei genitori Come posso migliorare la loro condizione? È un orrore!

29 maggio. Ho ricevuto una cartolina da Vattaro. C'è qualcuno che ha pensato a favorire il mio rimpatrio. Non l'avrei sperato. Me ne consolo per i miei genitori, i quali aprono il cuore alla speranza. Che non restino delusi! La vita nelle baracche si fa sempre più dura. È un martirio. Dio benedica il pietoso che s'è ricordato di me, che farà qualche cosa perché io possa aver la grazia di condurre in patria i miei genitori! Il mio malessere fisico aumenta ogni giorno; il cibo, l'aria, l'ambiente, tutto mi fa male. Stasera non potevo inghiottire l'avena che ho ricevuto; papà che era presso di me andò in baracca, a dirlo alla mamma, e dopo un'ora ritornò colla polenta che mangiammo insieme.

30 maggio. Ho scritto un'altra supplica al Capitanato distrettuale di Borgo per ottenere il permesso di rimpatriare: avrà miglior fortuna delle istanze precedenti? Dio lo voglia per i miei genitori Lavoro, studio, veglio per la mia scuola: ma sento che la fatica è superiore alle mie forze che vanno diminuendo sempre più. E nessun conforto, nessuna soddisfazione, mai riposo. Ed ogni giorno spettacoli d'ingiustizia e di prepotenza che fanno fremer l'anima.



"Desideriamo di riaverla a maestra".

31 maggio. Ho ricevuto una lettera dal Capo-comune di Vattaro, in cui egli mi dice che colà si desidera riavermi a maestra e mi invita a fare una supplica per ottenere il permesso di rimpatriare assieme coi miei genitori, promettendomi di appoggiar la mia istanza. Dio lo benedica! Questa lettera m'ha fatto tanto bene e ha rallegrato i miei genitori. Una mia collega che ha letto la lettera m'ha invidiata, e mi ha detto: "È semplice e breve, ma ci si sente la stima e l'affetto". È vero. E io ne ringrazio Dio e la Madonna. La Madonna di Pinè, che alla vigilia della sua "Comparsa. ha ispirato qualcuno a curarsi di me e a mandarmi un conforto che ero ben lungi dal poter sperare. Non è fantasia, è realtà: alla Madonna di Pinè io dovrò la grazia di rimpatriare. Maggio è finito. L'ho cominciato senza osar di sperare, ma pure guardando supplichevole la Madonna. E prima che maggio finisse un caldo raggio di speranza è venuto a rallegrarne il tramonto: la speranza di rimpatriare. Che cosa mi porterà il prossimo mese? Una delusione atroce o l'effettuazione del desiderio vivo dei miei genitori? L'ultimo giorno di giugno scriverò su questo libro un “Grazie" o un "Fiat”? L'ultima pagina di questo mese la scriverò nelle baracche o nel mio quartiere a Vattaro? Il mio cuore palpita ansioso e vorrebbe divinare le vicende dei prossimi giorni. Comunque esse siano, la speranza non abbandoni i miei genitori ! E se potrò ricondurmeli in patria, ch'io non osi più dirmi infelice!

1° giugno. Stamattina papà è andato a Marienthal a impostare la lettera che ho scritto al Capo-comune. Ormai i miei genitori son pieni di speranza di poter rimpatriare. Perché non sento di più la felicità di aver potuto essere per i miei poveri vecchi l'aiuto nell' esilio e il sostegno per guidarli alla patria? lo dovrei esser felice, io dovrei ringraziare Iddio con la gioia più viva. lo così misera, io così debole, ho potuto essere per i miei genitori il raggio di sole, la stella della speranza, l'angelo della Provvidenza. Per me essi son vissuti, per me hanno superato le miserie dell’esilio, per me potranno forse liberarsi dalla schiavitù. Dio s'è servito di me per aiutarli, per confortarli. Ciò deve riempirmi il cuore della gioia più dolce, deve persuadermi che non sono infelice.

2 giugno. La premura che s'è presa il comune per ottenermi il permesso di rimpatriare deve valere qualche cosa. Quanto bene mi hanno fatto quelle parole, "desideriamo di riaverla a maestra", dette dalle autorità del paese! Se ritornerò in quella scuola come volentieri vorrò lavorarvi e quanto dolce mi sarà la fatica! L'abbandonare la scuola di qui però mi rattrista: il mio lavoro qui è poco fruttuoso, ma le mie fanciulle non saprei abbandonarle se non per la patria.

3 giugno. Sono andata due volte in baracca a trovare i miei genitori. Da una compagna di stanza essi hanno ricevuto un po' di paglia colla quale hanno riempito un po' di vuoto nei miserabili sacconi, e sono contenti come di una fortuna. La mamma attende con solerzia alla pulizia, pure le cimici sono numerosissime. Oh, la gran miseria! La giornata è stata burrascosa, il vento infuriava, e per via non si poteva salvar gli occhi dalla polvere. Tutto qui è contro di noi: acqua, terra, clima. Si poteva condurci in luogo peggiore? E perché si vuol tanto prolungare il nostro esilio? O speranza di rimpatrio, non abbandonarci! I miei genitori contano i giorni ... e affrettano col desiderio quello della liberazione. Verrà? Verrà presto? Nei prossimi giorni si vedrà.

Sola.

5 giugno. L'isolamento in cui mi trovo è strano, fra tante colleghe. Non mi trovo bene. che con una sola di loro; e quella, essendo del mio temperamento, se ne sta sola la maggior parte del tempo. Perché non mi trovo bene con le altre? Perché non cerco punto la loro compagnia? Prima di tutto, perché vedo che esse non cercano la mia, poi perché capisco che siamo di opinioni assai differenti circa troppe cose. lo vedo nel loro sguardo su di me una certa disapprovazione per il mio affaccendarmi per la scuola; forse loro sembra che il mio lavoro sia troppo, e dalle chiacchiere che fanno alcune tra loro capisco che la scuola per esse è una cosa affatto secondaria. Poi, mi troverei a disagio fra loro, perché sarei la più malvestita e la più triste, mentre esse vogliono essere eleganti e vogliono ridere. Oh, troppo, troppo si ride!

Indigenza, ingiustizie e fede.

6 giugno. Il termometro nella scuola oggi segnava 30° C. E bisognava star lì. lo non reggevo più, le scolare si addormentavano sui banchi. Il vitto qui si va sempre più riducendo a qualche cosa d'impossibile per tenere in vita. E un lamentarsi generale. Eppure, non c'è altro. Ora abbiamo finito il pane che ci aveva procurato Giovannino. Bisognerà comprar grano, seppur si troverà, costi pure 4 K il kg. La fame che abbiamo provato finora non è ancora stata quella che si teme abbia a venire. Ma la Provvidenza c'è. Bisogna confidare in Lei. Ci ha soccorsi materialmente finora, sarebbe un'ingratitudine non confidare in Lei anche per l'avvenire.

7 giugno. Festa del Corpus Domini! Si fece la processione anche in questo accampamento. Ci andai colla scolaresca. Ma che processione! La folla era grande, ma la devozione non poteva esser molta. La maggior parte delle persone che andavano in processione girarono tutto il "Lager" senza veder quasi mai il SS. Sacramento. Camminando sulla strada per cui sarebbe stato portato il Signore, io Lo pregavo di aprirla, colla Sua benedizione, per il rimpatrio. Lo pregavo di guardare nelle baracche e d'aver pietà di tanti, che ci vivono nella miseria, nel dolore, nella disperazione. Passò il Luogotenente, passò Maria Iosepha, passò Maria Teresa, passarono altri illustri visitatori, e il nostro stato restò miserabile, anzi peggiorò: che il SS. Sacramento passando fra le baracche lasci tracce più benefiche, segni il giorno della liberazione!

8 giugno. Oggi nelle baracche ricevettero a pranzo non minestra, ma acqua sporca. Ci furono lamentanze ad alta voce. Il cavalier Bonfioli, delegato dal Ministero a sorvegliare il trattamento dei profughi, andò in una cucina a vedere. Quando uscì, parecchie donne gli si presentarono, e piangendo gli dissero che con tal trattamento si sentivano morir di fame coi loro piccini. Il cavaliere ebbe buone parole e affabili sorrisi, ma non si mostrava persuaso della miseria che le infelici accusavano. Esse lo pregarono di por fine alloro patire e a quello dei loro bimbi, facendoli morire d'una morte meno lenta ...

9 giugno. Sono andata dal fornaio, provvista di una "Brotkarte" ("tessera del pane") gentilmente cedutami da una signora, per comperare una pagnotta. Mi fu rifiutata con un dispettoso: "Nicht mehr Brot, heute" ("Non ce n'è più, oggi"). Eppure, ce n'era lì ancora, ma non c'era per me, che porto scritto sulle labbra il delitto d'esser italiana. E stasera, a cena, ho ricevuto un solo boccone di polenta, e un po' di crauti nell'acqua acida, che rivoltavano lo stomaco. Per fortuna avevo ancora un po' di farina e la mamma ne ha fatto polenta, che abbiamo mangiata con una briciola di formaggio. Si dice che da qui innanzi non si potrà avere granoturco a nessun prezzo. E allora? La Provvidenza ci penserà ...

10 giugno. Sono andata con papà a Mitterndorf e abbiamo visto la processione del "Corpus Domini". Non ero capace di fare un atto di fede dinanzi all'ostensorio portato dal sacerdote tedesco. Possibile che il Dio di costoro sia il nostro Dio? Il Dio vero? Non è il Dio che adorano e temono costoro: costoro in cui non v'ha per noi briciola di carità, costoro che non vogliono darci un pezzo di pane, che ci chiudono le porte in faccia e ci respingono, poveri esuli spogliati e affamati!

11 giugno. Oggi, solo oggi, l'Ispettore scolastico ha avvertito le maestre che venerdì della corrente settimana si devono distribuire gli attestati. La scuola come tutto il resto in questo "Lager” è pure un campo del dispotismo. Si prescrivono orari impossibili, s'introducono innovazioni, si esigono prestazioni, senza mai far luogo a un'osservazione, a una domanda, a una lagnanza delle maestre. Esse devono sottoporsi a qualunque decisione di chi sta alla testa del "Lager", per quanto quella decisione cozzi con la pedagogia, colla didattica, coll'igiene, colla giustizia, col buon senso.

12 giugno. Ciò che riceviamo da mangiare è una crudele ironia al nostro stomaco, alla nostra fame. E c'è la prospettiva di un avvenire peggiore. Si dice che la campagna ha già sofferto molto per la siccità, e s'invoca la pioggia. Ma cosa han dato costoro quando la stagione è stata propizia e il raccolto abbondante? Ci han respinti, mentre porgevamo loro il nostro denaro implorando una patata.

13 giugno. Furono portati due campioni di stoffa per i vestiti delle maestre. Perché probabilmente ci daranno un vestito, che sarebbe il secondo che si riceve dopo più di due anni che si è qui. È roba di cotone, ma per noi basterà:. sarà meglio che nulla. E sembra che le maestre non abbiano diritto a nulla. Basta che lavorino, basta che siano sempre soggette, senza aver mai una mezza giornata di vacanza, basta che facciano la scuola con un orario sciagurato per aver gli scolari da condurre all' "Ausspeisung" ("Refezione") all' ora voluta dalla "Leiterin der Kinder" ("Direttrice dei bambini") che dice di aver studiato otto anni pedagogia e vuole che i pasti seguano immediatamente la scuola. Bella missione che hanno le maestre m questo "Lager”!

                           L'Imperatore travestito.

14 giugno. Ho udito raccontare questa cosa del nostro Imperatore, che se fosse vera, sarebbe bella. Pare che in lui vi sia qualche cosa di Giuseppe II. Si dice che sia andato travestito con barba e parrucca i n un caffè dove stavano facendo uno spuntino alcuni ufficiali, abbia ascoltato i loro discorsi, abbia osservato di che si ristoravano, e poi si sia dato a conoscere, pronunciandosi alquanto severamente. Se fosse vero! Se a qualcuno venisse pure l'ispirazione di venire in incognito in questo "Lager" e invece di lasciarsi condurre dove vorrebbero questi signori, andasse a guardare certe baracche, e vedesse che cosa si dà da mangiare ai profughi! Allora cambierebbero aspetto certe scene.

Equità.

15 giugno. Stasera è venuta da me la mia giovane e cara collega e mi domandò se anch'io avessi ricevuto l'aumento. "Che aumento?" le domandai. Mi rispose che alcune nostre colleghe avevano ricevuto un decreto che fissava loro un aumento mensile di salario. E quelle colleghe non hanno né maggior lavoro di noi, né migliori titoli. Anzi qualcuna di esse ha il minimo numero di ore di scuola. La mia povera collega era indignata. lo, non so come, restai quasi tranquilla. E sì che circa ai mezzi son la più sprovveduta, probabilmente. Pensai: "Ecco un motivo di più per sperar in quel compenso che darà il Signore!" D'altronde sono abituata a veder ingiustizie, e mi sembrano una cosa naturale.

16 giugno. Oggi ci siamo presentate, tutte le maestre cui non è stato aumentato il salario, all'Ispettore scolastico, e l'abbiamo pregato di spartire più equamente il lavoro, quando non si pensi di aumentare a tutte lo stipendio. Fra le maestre che ricevono maggior salario ve ne sono di quelle che hanno sempre vacanza il dopopranzo, mentre fra quelle che l'hanno minore vi sono maestre, fra le quali io, che hanno ogni giorno cinque ore di scuola, senza mai una vacanza. L'Ispettore prese in considerazione la nostra domanda e ci promise di far qualche cosa in nostro favore. Vedremo l'esito. Non mi aspetto però nulla di buono. L'ingiustizia ha il suo trono in questi paesi, e può scapricciarsi a suo piacere.

                          L'incendio della polveriera.

17 giugno. Stanotte alle 2 e mezzo si udì un fracasso terribile. Le finestre della mia stanza si apersero e la tenda si alzò da sé. Pareva terremoto, pareva si scatenasse orrendo un temporale. Guardai dalla finestra e vidi uno splendore sinistro verso mezzogiorno. La collega della camera vicina mi disse: "Deve' essere un brutto temporale". lo risposi: "È qualche cosa di peggio". Pensavo fosse un terribile incendio. Si sentivano di quando in quando scoppi fragorosi. Picchiarono all'uscio della mia camera. Era la mia giovane cara collega. Pallida e costernata, mi disse: "C'è qualche cosa di tremendo per aria; non si sa che cosa sia, non si sa che c'è da fare". Il fischietto dei pompieri zufolava sinistro. Una maestra corse fuori a domandare che fosse. Era scoppiata la polveriera a Blunau, a 20 km da Mitterndorf.

18 giugno. Anche la temperatura ci fiacca. Da un mese non piove. L'erbe son già tutte bruciacchiate; il raccolto è in pericolo. La fame si farà più acuta, ma ce l'hanno fatta soffrire anche quando il raccolto era abbondante.

19 giugno. La giornata è stata penosa per il calore e l'afa che tolgono il respiro. C'è bisogno che piova, che l'aria si rinfreschi. Pure nessuno sa invocarla la pioggia; perché sarebbe benefica ai nostri ospitanti, cui non sappiamo più augurare nessun bene. Il disprezzo di cui ci hanno satollati e il fiele di cui ci hanno abbeverati ci han gonfiato il cuore di amarezza e di sfiducia. Vogliono averci schiavi: come amarli da fratelli? Come non desiderare di sfuggir loro? Come non desiderare ch'essi provino un poco di quel che noi proviamo?

20 giugno. Si dice che il disastro cagionato dalla polveriera incendiata, à Blunau, sia terribile. Molti feriti e molti morti. Si paga 4 K all'ora chi si presta a seppellire i cadaveri. Pare che la disgrazia non sia stata accidentale. Si dicono cose che fanno temere avvengano altri disastri. La disperazione fa fare brutti tiri. E disperata è anche la condizione in questo "Lager". Guai se Dio non ci libera presto. Finora i disagi san stati molto gravi; ora sono estremi. Questa notte nella baracca non si poteva dormire per le cimici. Oggi abbiamo portato fuori le letti ere per lavarle con acqua bollente. Era un brulichio enorme di quegli schifosi insetti. Come dormire con tal tortura? Mentre stavamo facendo la pulizia passò vicino l'Ispettore superiore seguito dalla banda musicale ...

                              Oppressori e oppressi.

21 giugno. Onomastico di monsignor Brugnolli, la prima autorità ecclesiastica dell’accampamento. L'ho visto accompagnato da altri sacerdoti, passar sorridente, presso la baracca delle maestre. Ho visto un regalo che gli fecero. Egli può ben rassegnarsi all' esilio. Accomodato bene di abitazione, ben nutrito, ben servito, ben pagato. Può aver lena di predicare rassegnazione agli altri. Ma non vidi al suo seguito quei tre sacerdoti che sono sempre seri e taciturni: e quell' assenza mi parve significativa molto. Per via ho incontrato una mia conoscente di Roncegno che mi disse aver ricevuto notizia della morte d'un suo figlio sul campo. Gliene restano due: oh, finisca la guerra!

23 giugno. La mamma d'una mia scolara è venuta a dirmi che la signorina cui io l'avevo consigliata di rivolgersi perché volesse preparar la sua figliola alla scuola magistrale, s'è rifiutata. Le ho promesso di intercederle io questo favore, e ci sono riuscita. La signorina è una bravissima maestra molto istruita, ed è figlia della mia maestra Camilla Toller in de Manincor. Esitava ad assumersi tale impegno, per diversi motivi, ma finalmente accondiscese. E così la mia scolara ora incomincia a prepararsi al magistero. Può far buona riuscita, perché è intelligente e seria, ma mi fa pietà. Se io avessi una sorella che avesse inclinazione a studiare per diventar maestra, farei di tutto per persuaderla di prefiggersi un altro ideale. Il pane di una maestra coscienziosa è bagnato di troppe lacrime, e quelle lacrime sgorgano dal suo cuore quasi sempre incompreso e derelitto.

24 giugno. Neppur con la tessera è possibile a noi ricever, pagandolo a qualsiasi prezzo, un tozzo di pane. Stamattina sono andata dal fornaio e presentando la tessera e il denaro ho pregato sua moglie di darmi una piccola pagnotta. Con cipiglio sprezzante mi rispose un secco: "Nein" ("No"). Son tornata in baracca fremente. Mio Dio, veder i miei genitori affamati e non poter procurar loro un pezzo di pane! Il pane è per i Tedeschi; i profughi non ne hanno diritto. Ma chi siamo noi? Non siamo che lo zimbello, la vittima dei Tedeschi. Qui, nell' accampamento, le migliori baracche, i migliori mobili, i migliori vestiti sono per i Tedeschi che si dicono necessari al governo dei profughi tirolesi italiani, e per noi non c'è che fame, disagi e disprezzo. Ah, questi tedeschi non sono qui per i profughi, ma i profughi son qui per impinguare a loro spese i Tedeschi.

25 giugno. Bisognava che venisse la guerra, bisognava che per forza ci conducessero qui per aprire gli occhi e per farci conoscere chi siamo noi di fronte ai Tedeschi. Siamo i pezzenti, siamo gli schiavi, siamo le vittime. Ed essi sono i ...barbari. I nostri cari sanguinano sui campi di battaglia, e molti son morti, morti per costoro. Morti per difendere un suolo che a noi non vuol dare una tomba precoce. Morti per la libertà di coloro che ci tengono nella più obbrobriosa schiavitù. E Voi, Dio giusto, Voi sarete l’alleato di questi barbari?

26 giugno. L'Ispettore scolastico ha avvisato le mie scolare che domani andranno a confessarsi. Qualcuna delle più grandicelle se n'è mostrata poco contenta, e qualcuna con un sorrisetto che non sapeva di giocondità ha bisbigliato: "Perché ci mandano così presto a confessarci? Che cosa abbiamo da dire? Non si fa altro che patir la fame"! lo raccomandai come meglio potevo di ubbidire, ma non potevo fare a meno di convenire con le mie scolare che il male ch' esse facevano non aveva tanto bisogno d'esser confessato, come il male che subiscono. I maltrattamenti esasperano sempre; ma sovente anche pervertono l’animo, e tanto più quando chi maltratta passa per un paladino della giustizia, della moralità, del buon costume. Dio non voglia che, come le pianure della Galizia, han bevuto il sangue dei nostri connazionali, il suolo di questo "Lager" non beva la fiduciosa religiosità dei profughi tirolesi.

29 giugno. Festa di S. Pietro, la "sagra" di Roncegno. È la seconda volta che la passiamo nell' esilio. E di Roncegno che n'è? Un giornale tedesco dice che sembra sia stato abitato dai Cosacchi tanto è mal ridotto, e siccome chi lo ridusse così furono i Tedeschi, bisogna concludere che i Tedeschi sono gente civile come i Cosacchi. Povero papà mio! Egli esclama spesso con gran amarezza: "Io credevo che venissero a difenderei e son venuti a rovinarci. Basta, basta". Il suo fervido patriottismo si è spento in un oceano di amarezza: l'esilio, i maltrattamenti, il saper la sua casa saccheggiata e distrutta gli hanno insegnato, ora che ha i capelli bianchi, di quale terribile illusione fu vittima.




PARTE TERZA

1917

DAL 30 GIUGNO AL 15 AGOSTO


Il "Lager" nuovo ( proprietà Boccher )

Un barbaro disegno: sterminarci.

30 giugno. La debolezza fisica prodotta dalla fame e dai disagi è tale, che par di non poter far a meno di soccombere fra pochi giorni. Eppure, le Autorità non muovono un dito per toglierci da questo ambiente; gli è che tenendoci qui non fanno che raggiungere il loro scopo: sterminarci. Che n'è della mia speranza di rimpatriare? Alla mia supplica non è ancor venuta evasione e forse non verrà mai. Ci si nega il diritto di ritornare nei nostri paesi; ci si nega perfino il diritto di andare in cerca di un alloggio meno obbrobrioso di questo campo di maledizione. C'è da fremere quando nella scuola si deve far leggere La costituzione. "La costituzione accorda a tutti i sudditi la perfetta uguaglianza in faccia alla legge, la libertà individuale, di coscienza, di culto e di stampa, l'inviolabilità del domicilio e della proprietà, e il diritto di associazione e di riunione". Ma intanto noi siamo gli schiavi di costoro ed essi i nostri tiranni; ci hanno trascinati a forza in questi barbari paesi, hanno saccheggiato e distrutto le nostre case, hanno devastato le nostre campagne, ci hanno tagliati fuori da ogni civile consorzio, ci affamano, ci tengono prigionieri e irridono beffardamente, insolentemente, la miseria in cui ci hanno gettati. Deve venire il giorno in cui i pochi superstiti fuggiranno di qui e arriveranno sotto il loro cielo; vedranno il barbaro scempio e fremeranno, ma ringrazieranno Iddio di averli liberati; e se un' altra volta la guerra vorrà strapparli dalle loro zolle, essi si scaveranno una fossa e ci si seppelliranno vivi, piuttosto che cadere ancora in sì barbare regioni.

1° luglio. Ho comperato 3 kg di farina di granturco a 5.60 K il kg. E trovarne!

Oh, poter fuggire!

2 luglio. Sono andata al cinematografo con la scolaresca. E ne son ritornata stanca, nauseata. Evitavo di guardare le mie scolare perché non volevo leggervi l'impressione che possono aver avuto da quelle proiezioni sciocche e spudorate, L'Ispettore scolastico non ci trova nulla di male; e forse non ci sarà realmente; ma io vorrei sapere che cosa c'è di bene. E se non c'è nulla di bene, perché vi si conduce tante povere creature a vedere quelle insulsaggini? Solo perché per un’ora dimentichino gli stimoli dello stomaco?

3 luglio. Il cuore domanda ansioso mille cose, ma la risposta la darà il futuro, il futuro che ci spaventa col triste messaggio della fame, coi bagliori incessanti della guerra che non si vuol finire. Oggi ho ricevuto un cibo che faceva paura per la qualità e per la scarsezza: non ci dev'esser presto più nulla. Tre delle mie colleghe sono ammalate di sfinimento; le altre son pure tutte deperite. Si dice che a vederle entrare e uscire di chiesa con la scolaresca, sembrano spettri ambulanti.

4 luglio. Sono affatto sprovvista di vestiario e sono andata all'Amministrazione a domandarle di concedermi verso pagamento alcuni metri di roba. L'impiegato mi rispose che ha dal Barone l'ordine severissimo di non vendere stoffa ai profughi, che vengono vestiti gratis, molto meno alle maestre. Ma dove sono, quanti sono i vestiti ricevuti? Due in due anni!

5 luglio. Sono stata al magazzino a domandare 5 metri di tela per farmi due bluse. Bisognò presentarsi a una serie d'impiegati tedeschi e alla signorina direttrice, pure tedesca, da cui sembra tutti dipendano. Il fare sprezzante e autoritario della giovane direttrice mi urtò: si sa quanto arbitrariamente disponga della roba ivi accumulata, e a me negò due metri di fodera. Si capisce: i profughi tirolesi non furono condotti qui per salvarli; le spese che si fanno, e che devono esser enormi, non sono devolute che nella minima parte al bene dei profughi: il meglio che fanno è riempir le tasche dei Tedeschi che godono tutti i privilegi, mentre la maggior parte dei profughi muore d'inedia.

6 luglio. Tornando dalla scuola ho visto l'Ispettore del "Lager" che parlava con monsignore. Stavano l'uno di fronte all'altro ossequiosi e si parlavano sorridenti. Certo avran trattato gl'interessi dei profughi: potevano anche congratularsi a vicenda del bene che fa ciascuno di essi! Se monsignore credesse che son anime che costano il sangue di Cristo, farebbe qualche cosa perché la moralità fosse meglio difesa nei covi delle baracche; e se l'altro non fosse venduto ai nostri oppressori e avesse una scintilla di carità non dico, ma un po' d'umanità, provvederebbe a che i profughi fossero più umanamente trattati.

8 luglio. È venuta da me una povera donna a pregar mi di scriver per lei qualche cartolina ai suoi figli militari. Non ha mai voluto che sapessero nulla del suo soffrire in queste baracche, ma stavolta mi ha detto di scriver almeno a uno che non ne può più. Mi faceva una grande pietà. Ha tre figli militari; ed è qui che patisce la fame. Ha fatto parecchie suppliche per ottenere di andare in Tirolo presso una sua sorella che abita in un paese fuori della zona di guerra. Ma non ricevette risposta. Mi raccontò quanto soffre, oltre che per la fame, per il disagio in cui si trova nella baracca, con persone colle quali il convivere sarebbe difficile anche in tempi normali. "Oh poter fuggire, poter fuggire!" sospirava la povera donna.

9 luglio. Ho ricevuto una cartolina da una persona di Vattaro, la più autorevole, che m'interroga circa l'esito della mia supplica per il rimpatrio. lo non ho ancora ottenuto evasione e temo che l’attenderla sia vano. Per lasciar partire di qui e ritornare nei nostri paesi, ci vuole il permesso del Capitanato distrettuale cui si appartiene; il Capitanato deve dipendere dal comando militare e questo non vuoi favorire il rimpatrio dei profughi, perché questi, per vivere, consumerebbero generi alimentari che mancherebbero all' esercito. E i generi alimentari che si risparmierebbero qui, quando noi fossimo via, non si contano? Si sa bene che questi non son da contare, perché si riducono a un quantitativo tale che per un pollo sarebbero insufficienti. E così ci si tiene qui prigionieri a morire di fame.

            In Parlamento una voce in difesa dei profughi.

10 luglio. La signora addetta a sorvegliare l'igiene nelle baracche e che sembra abbia il compito di badare in modo speciale alle scolare, ha detto che il 60% delle ragazze che si trovano in questo "Lager" sono ammalate di tisi prodotta dalla mancanza di nutrimento. Il tempo è freddo; tira un vento come da noi in novembre. Ho ricevuto poco da mangiare e non ho potuto assaggiar neppure quello; non sapevo indovinar che cosa fosse quella roba verde, non mi son fidata di mangiarne: mi faceva schifo e paura. La mamma ha cotto un po' di fagioli comperati a 5 K il kg; non s'è potuto condirli, ma li ho mangiati.

11 luglio. Sono stata dal Segretario del popolo a domandargli informazioni in tema di rimpatrio. Me l'ha detto francamente che non è prevedibile nulla. Bisogna star qui: perché? Non varranno a nulla le parole del nostro deputato don Gentili in favore dei profughi? Egli ha detto in Parlamento: "In generale l'approvvigionamento degli evacuati è insufficiente. Specialmente nei baraccamenti dell'Austria inferiore le condizioni esigono immediato rimedio, altrimenti sono da temersi le più gravi conseguenze. Rendiamo attento il governo che qui si deve una volta cambiar sistema, se esso non vuole assumersi la responsabilità, che migliaia e migliaia periscano a poco a poco, ma irremissibilmente".

12 luglio. Papà è andato in Ungheria per cercar qualche cosa da mangiare. Non portò nulla. Era stanco, mortificato ed esasperato. Nei negozi non si vede più nessun genere alimentare. E la guerra durerà ancora quanto? E quanto ancora ci terranno qui? Mia cugina m'ha scritto dal Tirolo che ivi la campagna è bella e promette molto. Ma noi ci costringono a star qui a morire d'inedia. Si dice che il nostro mantenimento costa tanti milioni al giorno: perché non si liberano di noi e non risparmiano tanta spesa, mandandoci via, liberandoci?

13 luglio. Stasera v'era agitazione in una sezione del "Lager". Un certo numero di baracche rifiutò la minestra perché non era che acqua sudicia con qualche fetta di cocomero che vi nuotava, e domandarono altro da mangiare. La minestra non fu distribuita, ma altro non ricevettero. E così in quelle baracche stasera non si ebbe cena. Che la fame non faccia fare qualche tiro?

14 luglio. Dai giornali, pare che al Parlamento si discuta con molto calore su provvedimenti per i profughi. Dio benedica tutti coloro che alzano la voce in nostro favore e che lavorano per ottenere il nostro rimpatrio! Le vittime più infelici della guerra sono i profughi.

15 luglio. Anche stasera abbiamo fatto la polenta. È un lusso che non possiamo permetterei tutti i giorni; ma di quando in quando, bisogna averla, per poter far coraggio a dilavarsi poi lo stomaco per alcuni giorni con la minestra del "Lager". Stasera ho incontrato un sacerdote che mi ha domandato come va, come stanno i miei genitori, e che cosa spero in tema di rimpatrio. M'ha salutata dicendomi: "Durchhalten, durchhalten" ("resistere, resistere"). Anche lui ne ha abbastanza dell’esilio. Corrono voci piene di speranza di rimpatriare; fossero vere! D'altronde sembrerebbe una necessità anche per chi ci vuol qui. Se non avessero più da darei da mangiare, perché trattenerci? Vorrebbero trattenerci finché la fame fa fare da qualcuno qualche brutto tiro? Non son pochi quelli che dicono: "Bisogna appiccar fuoco alle baracche per liberarsene".

16 luglio. Stasera si vendeva birra. La mamma ha espresso il desiderio di berne, e io sono andata subito a prenderne. L'ha bevuta tanto volentieri e le pareva d'esser una signora. lo ero felice di aver potuto accontentarla. È stata qui con me un pezzo. Pioveva, lampeggiava e tuonava, si faceva buio, ma la mia stanza mi pareva piena di sole, tanto ero consolata di aver potuto riconfortare lo stomaco della mia mamma.

17 luglio. Sono stata nel "Lager nuovo" a salutare una famiglia di Roncegno (fam. Baldessari). Il padre militare ha ottenuto il permesso di trasportare la sua famiglia nei dintorni di Trento, ed è venuto a prenderla. La mia mamma, ancor più di me, invidiava quei fortunati. Anche oggi ho ricevuto pochissimo cibo e talmente cattivo che faceva schifo. Condimento non ce se ne sente, e gl'ingredienti sono misteriosi. Non si sa che cosa sia. Ma mi fu almeno concessa la grazia di trasportare la scuola della mattina fra le 9 e le Il, invece che fra le Il e l'una. Grazie alla cessazione dell’”Ausspeisung" ("Refezione"), cui dovevo condurre le scolare all'una, è stato possibile il cambiamento d'orario per la scuola.

18 luglio. A scuola una mia scolara si sentiva male. Non voleva che io lo sapessi, perché temeva la mandassi a casa, ed essa non voleva andarci perché aveva paura che la sua mamma, che è ammalata, si mettesse in apprensione. Uscì un momento, ma non poteva reggersi, era pallida come un cadavere, mi disse che a pranzo aveva ricevuto "mosa cruda" e che le aveva fatto male. Ci danno un cibo da porci: come si può non ammalarsi, non soccombere? Grazie a Dio, il modo brutale con cui siamo trattati è stato fatto conoscere ai nostri deputati; i quali, al Parlamento, hanno alzato la voce in difesa dei profughi. Ed oggi, sul giornale, si legge: "L'approvvigionamento negli accampamenti dei profughi è insufficiente e soprattutto nell'Austria inferiore, in modo speciale a Mitterndorf, se non si pone un rimedio, si finirà in un disastro". (Bollettino del Segretariato per richiamati e profughi n.ro 101 venerdì 13 luglio 1917).

Dalle proteste alla rivolta.

19 luglio. Il delegato del Comitato di soccorso per i profughi del Tirolo meridionale, cav. Bonfioli Cavalcabò, viene nell'accampamento due volte in settimana a sorvegliare il trattamento dei profughi. Viene e va, lasciando sempre il tempo che trova. Molti vanno a parlargli, protestano contro i maltrattamenti che subiscono, pregandolo di patrocinare la loro causa circa sussidi militari e domande di rimpatrio. Egli ascolta, si mostra benevolmente incredulo, sorride, promette qualche cosa, e se ne va soddisfatto. Oggi gli si presentò anche papà, e fra il resto gli disse che per non lasciar morire i miei genitori di fame, mi privo di tutto il denaro che ricevo e che soffro la fame pur io. Che le maestre possano soffrire la fame e che la soffrano, il "Cavaliere" lo negò vivacemente, e asserì che sono trattate bene, benissimo. Intanto a guardarci, noi maestre ci facciamo paura a vicenda, tanto siamo incadaverite.

20  luglio. Lo scrivere su queste pagine mi diventa ogni giorno più difficile e penoso. Che cosa scrivere? Val la pena di notare ogni giorno dell’esilio? È sempre la stessa miseria, la stessa fame, la stessa schiavitù. Anche il lavoro nella scuola mi riesce pesante, opprimente. Oggi il termometro segnò quasi sempre 30°. Non avevo forza né di parlare né di reggermi, e ancor meno di pensare. Anche le mie scolare erano stanche e svogliate. Perché far continuare la scuola in questa stagione? Stasera le maestre si son radunate e hanno concluso di far una domanda in iscritto all'Amministrazione per ottenere due mesi di vacanza. L'anno scorso ci furono concesse solo due settimane: come ottener quest' anno due mesi? Non lo spero; pure, forse ...

21 luglio. L'istanza è stata scritta in lingua tedesca e firmata. Alla maestra goriziana non piacque. Le parve una pretesa l’aver accennato alla legge che concede ai maestri le vacanze estive. Disse che se il Barone noterà quella parola, respingerà la supplica. Ed essa dice così con cognizione di causa: conosce il Barone, alloggia nella sua villa, ravvicina ogni giorno, è fidanzata con suo nipote; conosce il suo temperamento. Può indovinare la maestra goriziana, dicendo che non c'è da parlar di legge in tempi di guerra: quasi non c'era più da parlar nemmeno di Costituzione. Quante cose ci ha insegnate la guerra! E quante cose ci ha insegnato il soggiorno di Mitterndorf: quante idee si son cambiate in fatto di patriottismo!

22 luglio. Una mia giovane collega mi ha invitata nella sua camera, per dirmi una cosa che le avevano riferito, e di cui in mia compagnia vorrebbe esser testimonio per poterne parlare a chi di dovere. Si dice che i signori Tedeschi dell'Amministrazione fanno i bagni di sole in un luogo punto riparato dalla vista dei passanti, molti fanciulli e fanciulle dei nostri vanno a vedere lo spettacolo, che è sconcio; e pare che fra gli spudorati bagnanti ci sia anche la maestra goriziana, favorita dal Barone. Se una maestra tirolese facesse qualche cosa di simile, clero e popolazione e autorità si leverebbero a protestare e chissà qual processo ne seguirebbe; e perché di colei si tace e si esita a credere? Bisogna venire al chiaro della cosa, e poi riparlarne con qualcuno.

23 luglio. Bisogna dire che in questi paesi l’educazione e la moralità hanno tutt'altri principi di quelli che si facevano valere nel nostro Tirolo. E, a sentir costoro, sono i Tirolesi italiani i maleducati, i porci. Queste parole sono gli epiteti che assai di sovente, per non dire quotidianamente, ci affibbiano. Dio ci liberi dalla religiosità, dalla moralità di costoro! Apriti, apriti, in nome di Dio, via del rimpatrio, e lasciaci tornare alle nostre rupi, alla fede nel bene, alla purezza dei costumi, alle gioie di un lavoro fecondo! Siamo nauseati di questa religiosità da parata, da questa spudoratezza insolente; siamo stanchi del dispotismo feroce che ci opprime.

24 luglio. Nelle baracche stasera portarono una cena tale che non si poteva proprio qualificare altro che "acqua sporca". Molti la rifiutarono; molte donne con bambini si unirono nella contrada maggiore del "Lager", gridando il loro malcontento, la loro fame. lo passai in mezzo alla folla in compagnia del mio papà: il cuore mi batteva forte e sulle labbra volevano salirmi parole che mi sarebbero forse state fatali. Ma tacqui. E deplorai con amarezza che fra quella folla in rivolta non ci fosse più ordine, più dignità, più energia! I poliziotti s'industriavano a persuadere i rivoltosi a entrare nelle baracche e si disposero in fila per impedire che passassero fino alla palazzina dell'Amministrazione. E ci riuscirono. I signori dell'Amministrazione rimasero indisturbati e tranquilli.

Esperienze che illuminano.

25 luglio. Ho ricevuto una cartolina da Vattaro che mi ha consolata. Mi si scrive che il Consiglio scol. locale ha mandato un suo conchiuso alle autorità, domandando che io sia loro mandata di nuovo a maestra. Papà mi portò tutto felice la cartolina. M'ha detto che oggi sta bene. Una notizia buona fa bene! E chi m'avrebbe detto che proprio due persone che sembravano le più rudi del paese, che io avrei creduto non curanti di me, sarebbero state quelle che più avrebbero lavorato per ottenermi il rimpatrio, e che da esse, nel mio esilio, avrei ricevuto la dimostrazione più schietta d'interessamento e di stima? Quante esperienze in questi ultimi anni! Ch'esse non vadano nell' oblio, ch' esse m'illuminino nella via che ancor mi resta da percorrere!

26 luglio. Stamattina mi sono alzata presto, per scrivere qualche lettera che una persona porterà ai destinatari nel Trentino, senza che la censura abbia il disturbo di leggere. Tre anni che non si può scriver nulla senza che la censura non si prenda le nostre lettere, per lasciarle poi andare, mutilate, un qualche giorno! E per noi, poveri profughi, non basta una censura; ce ne sono due: la "k.u.k. Zensur" ("imperial, regia censura") e la censura che si fa qui nel "Lager" prima di lasciar partire le lettere. Per schivar almeno questa si fanno sacrifici per impostar lontano da qui: papà fa un viaggio di tre ore fra andata e ritorno. Ora comprendiamo cosa vuol dire schiavitù! E per impararlo bisognò venire qui ...

27 luglio. Oggi le cucine dell'accampamento furono visitate da una commissione composta dal Commissario barone Imhof. dal delegato del Comitato profughi di Vienna cons. Bonfioli Cavalcabò, dall'Ispettore sup. Cesare Loss e da tre signori che i profughi non sapevano chi fossero. Quando uscivano dalle cucine, dappertutto v'erano donne che li attendevano per dir loro qualche cosa. Una spiritosa signora trentina presentò ai signori la minestra che aveva ricevuto per il pranzo e domandò se quella roba si dà ai profughi perché possano vivere: era solo acqua sudicia. Quei signori non si alterarono; lasciarono che la signora parlasse fino a un certo punto; poi le dissero che tacesse, perché l'avevano udita abbastanza. Altre donne fecero lagnanze disperate, ma gli eroici cavalieri non si turbarono. Partirono, e il tempo che era resterà.

28 luglio. Una mia giovane collega mi ha invitata ad andare un po' a passeggio con lei che aveva qualche cosa da dirmi. Quella povera creatura mi fa un'intensa pietà. E sopraccarica di croci; la debolezza fisica cagionata da un'insufficiente nutrizione e dal troppo lavoro le fanno sentire doppiamente il peso del doloroso fardello che deve portare. Piangeva e invocava la fine delta sua povera vita. E non ha che vent’anni!

Sevizie al piccolo profugo.

29 luglio. Una donna del mio paese mi ha raccontato un fatto atroce di cui è stata testimone ieri mattina. E con lei c'erano molti altri che asseriscono la stessa cosa. Barbarie! Un fanciulletto profugo tirolese, di 12 o 13 anni, passando presso un melo dei Tedeschi, alzò la mano verso l'albero e forse avrebbe spiccato un frutto se ci fosse arrivato. La padrona dell’albero gli piombò addosso, l'afferrò per la nuca, lo batté, lo malmenò tanto che quando lo lasciò in libertà era più morto che vivo. Nessuno ebbe il coraggio di strapparglielo dalle mani. Barbari e vigliacchi i nostri tiranni, ma vigliacchi anche quei Tirolesi che videro l'orribile scena e non si slanciarono sulla belva per strapparle dagli artigli la vittima! Gli è che ci san qui solo donne scheletrite e bambini, e uomini vecchi o inabili: gli altri sanguinano per difendere il suolo su cui non ci si concede di vivere.

30 luglio. Un'altra circostanza atroce della barbarie usata da quella Tedesca col piccolo profugo. Mi fu detto da un testimonio oculare del brutto fatto che quella tigre dopo d'aver malmenato il fanciulletto, lo gettò in mezzo ai suoi cani che gli fecero una "festa" tale da farlo quasi morir di spavento. Nessuno s'azzardò a farsi avanti per liberare il fanciullo, perché tutti avevano paura d'essere assaliti dai cani aizzati. Furono chiamati due soldati, e questi accorsero e strapparono il fanciullo da quelle belve. Non ci sarà più bisogno di leggere Gli Annali della S. Infanzia per udir sevizie usate ai bambini nei paesi pagani; basterà pensare al nostro soggiorno nell' accampamento di Mitterndorf presso Vienna! Una folla di profughi affamati oggi gridava e imprecava davanti al caffè dove i signori Tedeschi giocavano al biliardo.

Termina la scuola.

1° agosto. Il mese di luglio è passato, senza realizzare le nostre speranze, senza migliorare la nostra infelice condizione. Quanto durerà ancora così? "Il delittuoso macello continua: milioni di madri hanno perduto i loro figli, milioni di figli i loro padri, milioni di sciancati e d'invalidi empiono gli ospedali e rattristano i superstiti fin qui sfuggiti al pericolo. E mentre cade il fiore della gioventù per una infeconda battaglia, mentre il sangue scorre a fiumi e il mondo va cambiandosi in un vasto cimitero, la miseria, la denutrizione, la fame crucciano, abbattono gli abitanti del retroterra. Ovunque grida disperate di soccorso, perché manca il pane, perché la debolezza uccide. E non si può nemmeno prevedere la fine di questo inferno". (L'Eco del Litorale, n.ro 470, 1° agosto 1917). Ho distribuito gli attestati alle mie scolare. Hanno bisogno di vacanze, ma rincresce loro di abbandonar la scuola. Povere care fanciulle! Dopo scuola, tornata nella mia camera, trovai sul tavolo un grazioso regaletto: su un bel fazzoletto fino posava un piccolo apparecchio per caffè, e lì accanto c'era un foglietto fiorito con un’affettuosissima lettera. Grazie, mie care buone dolci figliole. Sembra voi sappiate quanto per voi ho lavorato, quanto bene avrei voluto farvi, come, mi dispiace di non aver potuto fare di più per voi! È venuto l'Ispettore scolastico ad avvisarci che la scuola durerà ancora per un tempo indeterminato. lo ci sto volentieri, ma con 32° non si può far molto. Farò almeno qualche cosa per dimostrare alle mie scolare il mio affetto per loro.

3 agosto. La banda musicale va suonando per l'accampamento. Davanti alla palazzina del Barone sventola la bandiera. Che cosa vuol dire? Che si abbia riportata qualche vittoria? Lo non oso domandarlo. Sento nel cuore un’amarezza angosciosa. Penso ai milioni di caduti, le cui ossa fremerebbero se udissero il tripudio di questi gaudenti. Penso agl'infelici che piangono i loro morti, e li piangono nell' esilio, nella schiavitù, straziati dalla fame, sanguinanti nella miseria. Le note balde e festose mi penetrano il cuore come spilli: penso a mio fratello ch'è in viaggio verso l'Isonzo ...

4 agosto. Oggi è stato l'ultimo giorno di scuola. Ho salutato le mie scolare col cuore stretto di tenerezza piena d'angoscia. Parecchie di esse le ho avute scolare due anni; le maggior parte le ho avute solo quest' anno. Ho detto loro quel che m'è venuto dal cuore, ma nel cuore non ho più l'affetto dei primi anni di scuola. Salutando queste mie scolare pensavo agli scolari e alle scolare degli anni scorsi in Tirolo; e, malgrado tutte le dimostrazioni di affetto avute da queste, pensavo con rimpianto ai baci e alle lacrime delle mie figliole lontane; pensavo a quei miei primi scolari che l'ultimo giorno di scuola mi salutarono piangendo e domandandomi perdono. E mi addolora il pensiero di non aver potuto far di più del bene, a quei poveri montanaretti, a quelle povere villanelle.

7 agosto. Una signora (Botteri), mamma di due mie scolare, ieri sera è venuta con le sue figliole a trovarmi e mi ha voluto dare con squisita delicatezza un bel pane bianco. (Il dott. Botteri era autorizzato a effettuare visite anche ad ammalati del paese di Mitterndorf; chiedeva in compenso unicamente generi alimentari). Stamattina l'ho portato esultante in baracca e l'ho fatto vedere a papà. Son 25 mesi che non assaggiamo pane bianco. Papà era contento, ma non sa se potrà mangiarne per intanto: è ammalato da alcuni giorni.

8 agosto. Sono andata a Marienthal per comperare un po' di vino per il papà. Ho supplicato l'ostessa di darmi vino buono, dicendole che era per un povero ammalato. Ricevetti ¾ di litro d'un vino che non so se papà potrà berlo e ho dovuto pagarlo 3 K e 90 h; dunque, in ragione di 5 K e 20 h il litro. Restai afflitta, mortificata, e con grand' amarezza nell' anima.

9 agosto. Sono andata a Vienna a comperare qualche cosa da ristorare papà: una bottiglia (3/41) di vino Malaga per 17 K; una bottiglia (1 l) di vino Serravalle per 9 K e 50 h; una bottiglietta di melissa; una bottiglietta di olio di ricino; una scatola di bicarbonato di sodio; un po' di cremar tartaro e alcune capsule. Ho speso in farmacia circa 45 K ma ero felice di portar qualche cosa che poteva far bene a papà. Per me ho comperato un libro: "Ferien vom Ich" ("Ferie dall'Io"), di Paul Keller. Per la mamma ho comperato un tostino: ha ancora 1/4 di kg di caffè portato dal Tirolo: potrà utilizzarlo. Sono arrivata in baracca contenta e ho trovato papà migliorato.

L'Illustre Esiliato.

10 agosto. Ieri mentre ero assente, è venuta la Superiora dell'Orfanotrofio a cercare di me, e ha incaricato una mia collega di dirmi che desiderava vedermi. Oggi sono andata a domandarle in che posso servirla. Essa mi ha pregato di accompagnarla fino a Heiligenkreuz ove desidera andare per far visita a Sua Altezza, il nostro Principe Vescovo (mons. C. Endrici, Vescovo di Trento). Acconsentii ben volentieri, purché papà vada migliorando. Oggi sta un po' meglio. Forse il pericolo più grave è passato.

12 agosto. Oggi ho fatto i preparativi per il viaggio di domani. Sono andata dalle Suore per combinar l'ora della partenza, e poi sono andata in baracca per dare ancora un’occhiata a papà. Egli mi assicura che posso andarmene tranquilla, che si sente benino.

13 agosto. Siamo partite da Mitterndorf stamattina alle 6. Siamo arrivate a Vienna alle 7 e mezzo. Trovammo subito il palazzo della Nunziatura e la Superiora domandò a che ora poteva avere udienza. Le fu risposto che Sua Eccellenza l'avrebbe ricevuta alle 10. Intanto andammo in una chiesa ad ascoltare la S. Messa. Poi siamo andate a prendere il caffè, abbiamo passeggiato un poco, e all' ora stabilita siamo andate alla Nunziatura. Il portinaio aprì, un valletto ci introdusse nell' anticamera ove io mi sedetti e la Suora fu fatta passare in un’altra sala dalla quale fu chiamata dal Nunzio nel suo salotto. Tutto era addobbato con arte e con lusso, io avrei voluto vedere camminare su quei lucidi pavimenti certi pescatori di Galilea ... Mentre aspettavo la Suora, osservavo gli sfaccendati e azzimati valletti che oziavano beatamente, e pensavo: gli Apostoli avrebbero adoperato questi bellimbusti?

14 agosto. Abbiamo pernottato a Vienna. Stamattina alle 7 siamo partite per Heiligenkreuz. Giungemmo col tram, facemmo due chilometri a piedi fino a Mòdling, e da qui col tram andammo fino a Hinterbrùl. In men che mezz' ora giungemmo a Gaaden con la carrozza. Da Gaaden, attraversando un bosco per un comodo sentiero, arrivammo a Heiligenkreuz. Trovammo l'abbazia dei Cistercensi; domandai dove si trovasse Sua Altezza il Principe Vescovo di Trento. Mi fu indicata la porta per cui si doveva entrare, l'alloggio per cui si doveva passare, la stanza n. 9. Il Vescovo ci accolse con grande bontà e ci fece entrare nel suo appartamento, quanto diverso da quello del Nunzio Apostolico a Vienna! Prima diede udienza alla Suora e poi anche a me, benché non Gliel'avessi domandato. E davanti a Lui io mi sentivo davvero dinanzi ad un Apostolo: la Sua bontà e le Sue parole mi fecero un gran bene.

15 agosto. Partimmo ieri da Heiligenkreuz alle 3 e mezzo pomeridiane e arrivammo a Vienna ch'era già notte. L'ultimo treno per Mitterndorf era partito. Dovemmo pernottare nella capitale. Stamattina, col treno delle 7.21 abbiamo fatto ritorno. Ho accompagnato la Suora fino alla sua abitazione poi son corsa in baracca a vedere che fosse di papà. Stava benino. Gli diedi ciò che m'aveva dato il cappellano del Vescovo da portargli: formaggio, carne, pane, un po' di torta. Restò commosso, ed era contento. Io ripenso alle brevi ore passate ieri a Heiligenkreuz, rammento l'Augusta Persona del nostro Principe Vescovo, sento posarsi dolce e divina sul mio capo la Sua benedizione, e prego Iddio per il trionfo dell'Illustre Esiliato. Stasera abbiamo mangiato la polenta accompagnata dal formaggio del Vescovo. E la mamma diceva: "Mi par di far nozze".


PARTE TERZA

1917

DAL 16 AGOSTO AL 19 OTTOBRE

 

Una classe di scolari: Carlo Murara è in terza fila, il secondo da sinistra (proprietà P. Murara )

Devozione al Sovrano.

16 agosto. Stasera nell' edificio scolastico si fece una festicciola in omaggio all'Imperatore, di cui domani è il natalizio. Furono invitate tutte le principali autorità del "Lager" e i corridoi erano zeppi di scolaretti e scolarette. Una mia scolara recitò una lunga affettuosa poesia in italiano, una bambina recitò pochi versi in tedesco, alcuni orfanelli dissero pur essi auguri affettuosi all'Imperatore. Si cantò un inno da un coro di scolari e scolare; le note soavi sembravano sgorgare da piccole urne d'argento, vibranti d'intimo affetto, di illimitata devozione al giovane, buono, glorioso Sovrano. Tutti fecero del loro meglio, ma non fu applaudita che la bimba che recito in tedesco.

17 agosto. È il giorno natalizio dell'Imperatore. I principali edifici dell'accampamento sono imbandierati; la banda musicale suonando festosa, girò per le vie, e i bimbi in folla la seguivano. Pieno di miserie è questo campo; inenarrabili dolori struggono tanti poveri profughi; maltrattati ed oppressi gemiamo da lunghi mesi nella schiavitù. Eppure, oggi, sulle labbra di tutti, si arresta il lamento; dagli occhi non sgorgano che lacrime di commozione; i cuori palpitano di fedele amorosa devozione al nostro Sovrano. Noi sappiamo ch'egli è buono e che ci ama e che profonde generose elargizioni per noi; sappiamo che il nostro patire non è voluto da lui, ma dai barbari ch'egli ancor non conosce.

Per poco che duri così, faremo un altro rimpatrio.

18 agosto. Sono andata al magazzino a prendermi la stoffa per un vestito. Prima di tutto ho dovuto presentarmi alla direttrice del laboratorio delle sarte "Mimmi Braun". Stava fumando una sigaretta e sullo scrittoio, dinanzi a cui stava sdraiata come una sultana, c'erano delle magnifiche pere. Udita la mia domanda, mi rinviò a un’altra signorina tedesca, la quale mi parlò con tanta superbia ch'io esclamai: "Io credevo che la nostra sovrana fosse Zita d'Asburgo, ma mi pare che qui voglia essere un’altra. Ce ne ricorderemo". Gl'impiegati tacquero e non risero. Ebbi finalmente la stoffa, e me n'andai implorando dal Cielo una fine al dispotismo tedesco in questo "Lager".

19 agosto. Le Autorità hanno deciso di levare da questo accampamento qualche migliaio di profughi e di trasportarli a Deutschbrod in Boemia. Una deputazione è andata a vedere come ci si sta. La risposta non è stata incoraggiante. Pare che si tratti di passar dalla graticola alla brace. Tutti temono, tutti esitano a decidersi. Quando si credeva fosse giunto il momento di andare in Tirolo, ci si prepara un soggiorno in Boemia.

20 agosto. Sono assai indebolita fisicamente e il cibo che ricevo è insufficiente per la quantità, pessimo per la qualità; quello che ricevono i miei genitori è inqualificabile e da comperare si trova ormai pochissimo e questo a prezzi, cui le mie entrate non reggono: burro a 29 K il kg; zucchero a 9 K; farina di granoturco a 6.50 K; pane a nessun prezzo.

21 agosto. Son venute tre monache canossiane nell' accampamento. Pare siano state qui invitate per affidar loro le cucine, ma son già partite. Torneranno? Le direttrici tedesche delle cucine cederanno il campo alle monache? Ora che generi alimentari non ce ne son presto più, si vogliono affidar le cucine per i profughi alle monache, perché esse facciano miracoli. Ad ogni modo, sarebbe pur tempo che l'affare delle cucine passasse a mani più pulite e più coscienziose.

23 agosto. Da alcuni giorni il cibo mi fa più nausea del solito. La carne puzza orribilmente, la minestra è tutto sale e acqua, la verdura è una sudiceria. lo mi sforzo di mangiare perché ho fame, ma mangio con schifo e poi mi sento male. Ho saputo che le Suore canossiane esitano ad assumersi l'incarico delle cucine in questo accampamento. Intanto si dà ai profughi un cibo sempre peggiore, sempre più insufficiente.

24 agosto. Giornata afosa, in cui l'anima mia si sente oppressa perfino dall' atmosfera. Papà stasera mi disse: "Colla debolezza che abbiamo, non occorre pensar al rimpatrio in Tirolo; per poco che duri ancor così, faremo un altro rimpatrio!"

28 agosto. Quelli di Vermiglio andranno in Tirolo; non nei loro propri paesi potranno ritornare, ma si spartiranno in alcuni comuni della Val di Sole e di Non. I miei genitori desiderano con un'ansia che mi sgomenta di poter essi pure rimpatriare, ma ohimè, la Patria vuol altrimenti! La Patria cui tutto abbiamo sacrificato.

29 agosto. È freddo; soffia un vento impetuoso. Papà è venuto stasera a portarmi una fetta di polenta. Avevo tanta fame, e dalla cucina non avevo ricevuto che un po' di ricotta acida e un cucchiaio di broda verde ed insipida. Colla polenta ho calmato lo stomaco affamato e poi ho fatto lezione a due ragazzette che vengono da me tutte le sere. Avrei tanto bisogno di riposare, ma non mi è concesso mai. O devo rifiutarmi alle preghiere delle mie scolare, o devo sacrificarmi. Se avessi forza, lo farei volentieri, ma ridotta come sono, non lo potrei. Aspetto con ansia un evento che cambi la nostra condizione, migliorandola o rendendocela più propizia a vivere più umanamente. Oggi ho potuto avere una tessera per pane; sono andata dal fornaio, ma mi fu rifiutato un pezzo di pane con disprezzo: "Niente pane!". E io risposi: "Gott vergelte es Ihnen!") ("Dio La ricompensi").

                                     Pellegrinaggio

30 agosto. M'è giunta oggi anche una cartolina da mio cugino Luigi Roner ch'è prigioniero in Russia. lo gli avevo scritto ai 4 marzo e l'ha ricevuta ai 3 giugno; egli mi ha scritto ai 4 giugno e l'ho ricevuta ai 25 agosto; poi m'ha scritto ai 30 giugno e ho ricevuto oggi. Povero prigioniero! La dolorosa Via Crucis che ha fatto! Fu ferito alla testa da una granata il 25 luglio 1916; con la testa fasciata attraversò la Russia e fu condotto in Siberia, dove Dio solo sa quanto ci soffra. La grossa striscia nera con cui la censura ha coperto qualche periodo, non impedisce di indovinare qualche cosa. Egli mi scrive: "Quando verrà quella sospirata pace? Pare che Dio non ci sia più". C'è, sì; oh, venga la Sua ora!

1° settembre. Una mia scolara è venuta a dirmi che la sua famiglia ha ricevuto il permesso di rimpatriare, e che partirà lunedì. Era tutta contenta; gli occhi le splendevano di gioia. Va a Bosentino. E noi, quando torneremo a Vattaro? Sul giornale d'oggi ho letto che l'autorità politica in un imminente decreto intenderebbe dichiarare liberi per il rimpatrio di profughi molti paesi, tra i quali anche Vattaro. Ma chissà! A condurci qui sono stati solleciti; ma a lasciarci liberi esitano.

3 settembre. Sono stata dalle Suore. Mi hanno invitata ad andare insieme con loro e con gli orfanelli a fare un pellegrinaggio alla Madonna di Lanzensdorf. È la seconda volta che m'invitano. La prima volta non ci sono andata; questa volta non saprei qual pretesto accampare per non acconsentire all'invito, d'altronde tanto gentile e caritatevole. Ma io provo una gran ripugnanza a muovermi, a girare per questi paesi: preferirei star rinchiusa tutti i giorni nella mia stanza. Qui in mezzo ai miei pochi libri, alle poche cose care che mi restano, sento meno acuta la nostalgia; fuori, nelle vie, per la campagna, l'aria mi opprime, la terra mi scotta sotto i piedi, la natura mi sembra nemica.

5 settembre. Sono stata a Lanzensdorf colle Suore e con gli orfanelli. V'è in quel paese un santuario di Maria. Il sacerdote che era venuto con noi celebrò la S. Messa cui assistemmo più con nostalgia che con devozione. Qual differenza da quel Santuario a quelli dei nostri paesi! Mi trovavo perfino a disagio. Attiguo alla chiesa c'è un convento di frati. Ne ho visto uno con una pipa in bocca passare per la via. Di tedeschi, neppure uno di quei frati s'avvicinò a noi. Ma ce n'era uno che era confinato là per motivi politici: un albanese che sapeva l’italiano e non il tedesco. Questi s'avvicinò gentilmente e cordialmente al nostro sacerdote tirolese, alle Suore e agli orfani, e ci accompagnò fino alla stazione di Himberg. Qui vedemmo prigionieri italiani e parlammo con loro.

Ogni giorno partono profughi alla spicciolata: quelli che rimangono …

6 settembre. Oggi si celebrò la S. Messa, cui assistette la scolaresca. Incomincia un nuovo anno scolastico. Le maestre san quasi tutte punto di lena. Una mia collega mi disse che mentre si cantava il " Veni Creator" essa si sentiva stringere il cuore di dolorosa apprensione. lo non so che cosa sarà di me: sento solo che san presso a soccombere, se Dio non s'affretta a venire in mio aiuto. Troppo, troppo pesante è la croce che grava sulle mie spalle! Perché è una di quelle croci che non solo pesa, ma schiaccia, ma impedisce perfino di rivolgere lo sguardo al Cielo.

7 settembre. Ho incominciato la scuola. Si sono presentate 30 scolare: ce ne sono di Vallarsa, di Terragnolo, di Sacco, di Noriglio, di Vermiglio, di Roncegno, di Marter.

8 settembre. Da tre giorni non vado in baracca. Vien qualche volta la mamma a portarmi qualche cosa. E io sto qui: non ho voglia di condurre a passeggio il dolore che mi strugge. Sto qui sola: io non ho nessuno in cui possa confidare, da cui possa sperare una parola di conforto: nessuno!

9 settembre. Da una persona influente nel "Lager" oggi mi fu detto che forse si tarda tanto a concedermi il permesso di ritornare a Vattaro col pretesto che ci sia qualche sospetto politico su di me. Ancora questo dovevo sentire. Basta, io non so più che cosa fare.

10 settembre. Stasera sono andata dalle Suore dell'Orfanotrofio e mi ci sono fermata a lungo. Si parlò di scuola, di maestre, di miserie. lo ascoltavo la Superiora e ammiravo e invidiavo la serenità e la calma con cui sa prender le cose. Soprattutto sa esser buona senza tormentarsi, sa lavorare senza affaccendarsi, sa fare il bene senza preoccuparsi.

11 settembre. Alla mia collega G. P. è giunto il permesso di rimpatriare. Ha presentato la supplica dopo di me ed ebbe già evasione. lo attendo con ansia penosa ...

12 settembre. Anche la mia collega Anna de Manincor, figlia della mia maestra, ha ricevuto oggi il permesso di ritornare a Trento. lo aspetto sempre invano.

13 settembre. Oggi sull’Eco del Litorale ho letto: "A Roncegno non c'è più villa, non c'è più albergo, non c'è più casa, che non rechi il segno del tremendo flagello. Essa offre oggi l'aspetto d'un paesaggio pompeiano e gli splendidi vigneti, un tempo così fecondi, giacciono abbandonati".

14 settembre. È partita la mia collega Anna de Manincor. Va a Trento. Va a trovare la sua mamma, le sue sorelle, la sua città natale. Era felice. Da due anni è stata allontanata da Trento. Ora il poter ritornarvi le pare un sogno. La ho salutata col cuore in sussulto e le ho dato un baciò da portare alla sua mamma, alla mia maestra di una volta. E per me, per i miei genitori, quando verrà 1'ora della liberazione? Eppure, qualche cosa deve accadere che renda la nostra posizione più chiara. I Vermigliani hanno già preparati i bagagli da un paio di settimane; pareva sarebbero partiti da un giorno all' altro e invece sono ancor qui. Perché? Nessuno lo sa. Partiranno presto? Non si sa.

17 settembre. Stasera la mia scolara di Vermiglio mi ha detto che lunedì partirà il primo convoglio di Vermigliani. Ieri a Vienna una persona che fa parte del "Comitato pro fuggiaschi" m'ha detto che crede possibile l'ottenere ch'io rimpatri qualche sospetto per politica.

20 settembre. Ogni giorno partono profughi alla spicciolata. A vederli andarsene, se non felici, lieti almeno d' esser liberati dal "Lager", quelli che sanno di dover rimanere li seguono collo sguardo pieno di nostalgia. Ci sono però di quei profughi, per i quali l'ora del rimpatrio non è la più desiderabile. Tanti poliziotti, tanti capi-baracca, tanti capi sezione, che qui fanno sfoggio di autorità, e che senza lavorare son mantenuti assai meglio degli altri, costoro non invocano certo l'ora del rimpatrio. Qual è il loro compito? Far tacere la moltitudine e dir bene dell'amministrazione del "Lager". Quando passo davanti alla baracca dei poliziotti e li vedo sorridenti e spavaldi oziar sulle panche, mi domando se non sarebbe tempo che dessero il cambio a certi poveri soldati che da tanto tempo son sul campo.

Verso il terzo inverno di esilio.

21 settembre. La finestra della mia stanza guarda sul cortile che sta davanti alla cucina del Barone. Oggi si portò fuori un recipiente pieno di bucce di mele e si pose in terra, poco distante dalla mia finestra. In un attimo il recipiente fu circondato da ragazzetti che si misero a mangiare avidamente quelle bucce. Povere creature! I frutti dei campi bagnati dal sudore dei vostri padri, altri li ha goduti; e voi ora siete qui affamati e vi par gran ventura poter impadronirvi di un po' di roba che era destinata per i porci. Più disgraziati del figliol prodigo, voi poveri innocenti, conducete qui una vita più stentata, più angosciata di colui; perché non vi dà speranza il pensiero di un padre cui ancora ricorrere: i vostri genitori sono più affamati di voi.

22 settembre. La Superiora dell'Orfanotrofio mi ha mandato per mezzo di un ragazzo un pacchetto. Era un bel po' di zucchero che ho portato subito alla mamma. Poi sono andata a ringraziar la Suora. Mi ha fatto una gran carità a regalarmi quello zucchero: da comperare si trova a stento; e se c'è, bisogna pagarlo a 9 K il kg.

23 settembre. Da un mese do lezione di lingua tedesca a una scolaretta di Vermiglio che partirà presto. Oggi è venuta la sua mamma a salutarmi. Voleva ch'io le dicessi   quanto doveva darmi per le mie lezioni, e pur avendola io assicurata che non volevo nulla, essa volle darmi alcune corone. Ed insistette, e con tanta umiltà, con tanta riconoscenza, con tanta delicatezza che non potei rifiutare il gruzzoletto. Stasera sono andata un po' a passeggio con la mamma per il "Lager". Essa vede che non questo punto bene e fa quanto può per tirarmi avanti. Non un ditale di vino, non un cucchiaio di latte, non un gocciolo di caffè si può avere. Solo una porzione di salsa di pomodoro e pochissima pasta senza condimento stasera a cena.

24 settembre. Oggi l'Ispettore avvisò le maestre che tenessero nota degli scolari assenti; perché le assenze verranno punite dall'Amministrazione ritirando per ciascun giorno i 20 centesimi che ricevono i profughi quale sussidio. Tale punizione gioverà certamente a render la frequentazione più regolare, ma non già più proficua. Le classi non sono ancor stabilite, perché a far ciò si aspetta che siano partiti i Vermigliani, ma si dice che i treni sono impediti dai militari ed essi son sempre qui. Si dice che verrà data una forte offensiva in val di Fiemme, presto. Ah, ma la pace, la pace non verrà dunque più? E la nota del Papa sarà stata una voce gridata al deserto?

25 settembre. La mia collega Domenica Girardelli è venuta a trovarmi e m'ha portato un pezzo di torta che le hanno mandato dal Tirolo. S'è fermata un poco presso di me e discorremmo di scuola. È così giovane ed è ormai così stanca! Essa mi disse: "Mi sento una spostata: non posso rassegnarmi a continuare con una scuola tale. Piuttosto domanderei altro impiego". Povera cara collega! Dio ti libererà un giorno da questo "Lager" e tu andrai a lavorare in un paesello laggiù nel nostro Trentino; ma non illuderti! La croce che ora grava sulle tue spalle, non la lascerai qui: la porterai con te. E la sentirai sempre più dolorosamente, perché quanto più si va innanzi negli anni, tanto più si sente la responsabilità del proprio ufficio e sempre più si sente la difficoltà del proprio lavoro e la noncuranza altrui.

26 settembre. Sono stata a passeggio con gli scolari. Tornai in baracca stanca, irritata, dispiacente per il cattivo contegno della maggior parte di quei ragazzi. Eppure, non si può farne loro gran colpa. Sono affamati, nervosi, consci della barbarie di cui son vittime, ribelli contro quanto si vuol loro imporre anche per loro bene. E quel ch' è peggio hanno una vera mania per il vandalismo. Le finestre delle scuole e di altri edifici pubblici sono bersaglio delle loro sassate; rendono inservibili le fontane; sfondano i reticolati; calpestano le aiuole; rubano nelle cucine, nei negozi, dappertutto ove arrivano. Ai rimproveri e alle ammonizioni, rispondono con certe domande cui una povera maestra non sa che rispondere alla sua volta: "E a noi non hanno rubato tutto in Tirolo?" "Perché non ci lasciano andare e non si liberano di noi?" "Se noi siamo vandali, che cosa sono quelli che hanno distrutto le nostre case?"

27 settembre. Nella baracca dove si trovano i miei genitori oggi son venuti altri ospiti: ora nella stanza son nove: tre uomini, due donne, tre ragazze, un bambino: tre famiglie.

I nuovi venuti sembrano buona gente, e si sono subito mostrati deferenti e cortesi verso i miei genitori; pure il convivere in una sola stanza tre famiglie che prima non si conoscevano, non è la cosa più bella.

28 settembre. Si dice che per intanto i passi restano chiusi per chi volesse recarsi in Tirolo. Devono esserci laggiù dei gravi, violenti combattimenti. La mia collega che doveva partire il 24 corro è ancora qui, né sa quando potrà andarsene. Intanto non si può presto più tirare avanti. Solo per gran favore la mamma ha potuto comperare un po' di patate a 1 K il kg. Ma ce ne vorrebbero delle corone! E io non ne ricevo abbastanza per sfamar neppure me stessa.

29 settembre. Le baracche sono state costruite per i profughi, e qui i profughi sono tirolesi italiani. Ma non tutte le baracche sono uguali e non tutte ammobiliate nella medesima maniera. Ci sono quelle ove i poveri profughi sono costretti a viverci ammucchiati, e dormire sui miserabili pagliericci privi di lenzuola, mal riparati dal freddo nell'inverno, tormentati dalla caldura e dalle cimici in estate. E vi sono baracche con le linde stanzette bene ammobiliate: coi letti elastici, abbondante biancheria e molte coperte: anzi si vedono coperte fin sul pavimento e di coperte son tappezzate le pareti. In ogni stanza c'è un letto o tutt'al più due. E queste stanze per chi sono? Per gl'impiegati tedeschi, d'ambo i sessi, che son qui numerosi, a far denari col pretesto che sono necessari per il buon andamento dei lavori.

3 ottobre. Benché monotoni, passano rapidi i giorni. Passano i giorni; è prossima l'apertura delle scuole in Tirolo; da Vattaro non m'è più giunta notizia. Che cosa posso ormai più sperare? Non c'è che rassegnarsi a un terzo inverno di esilio, come i poveri soldati superstiti dovranno rassegnarsi a una quarta campagna invernale.

Incomincia la scuola regolare.

4 ottobre. Sono venuti a pesar gli scolari: una signora, una signorina, un uomo addetto alla "Croce Rossa". I poveri ragazzi, che da tre anni non bevono latte, son magri e nervosi. Salivano sulla bilancia con una cert'aria sdegnosa che diceva: "Dateci da mangiare e pesateci poi". Le fanciulle, quasi tutte esili e pallide, la maggior parte coi sintomi della tubercolosi, sorridevano mestamente. lo peso 56 kg; Il di meno che prima dell’esilio.

5 ottobre. La mia mamma ha ricevuto un vestito per l'inverno, tanto leggero, tanto misero, che sembra dato per beffarsi della povera donna che aveva bisogno di qualche cosa di meglio. Era indispettita, esasperata, mortificata. lo penso di portare quel vestito a Vienna e farlo vedere al "Comitato profughi". Intanto oggi sono andata dalle Suore e ci ho trovato un conforto. La Superiora aveva ricevuto una lettera da Sua Altezza il Principe Vescovo, e in essa l'Augusto Pastore rammentava con bontà anche la povera maestra. Ed io ripenso con affettuosa e riverente tristezza alla paterna venerabile figura del nostro Vescovo, e mi pare un sogno il ricordo di quel giorno in cui m'inginocchiai davanti a Lui e ricevetti la Sua benedizione là nell' abbazia di Heiligenkreuz.

6 ottobre. Oggi s'è finita la scuola provvisoria. Lunedì incomincerà la scuola regolare. Anche quest' anno avrò la quinta classe femminile. Le ragazze, quando lo seppero, diedero segni vivissimi di gioia e qualcuna in modo tale che io mai l'avrei immaginato. Ed ora, anche il rimpatrio non ha più per me l'attrattiva di prima. Qui ho molto da soffrire, ma la scuola mi dà un conforto che non mi darebbe quella dov' ero prima. Ho sessanta giovinette, fra i 12 e i 14 anni, tutte piene di buona volontà, felici di essere nella classe quinta, vivaci e affettuose. L'orario quest' anno l’ho regolare e così la scuola non mi costerà la fatica dell’anno scorso.

7 ottobre. La festa del S. Rosario! Com' era bella e devota nel mio paese! Era una delle feste più belle dell’anno, una delle maggiori solennità. Qui nell'esilio le feste son quasi più tristi degli altri giorni, forse perché ci fanno sentire vieppiù la nostalgia.

8 ottobre. Primo giorno del nuovo anno scolastico. La scuola era affollata. In parecchi banchi c'erano tre fanciulle per ciascuno, mentre potrebbero starcene solo due. Si mostrano buone e volonterose ...

10 ottobre. Sono andata e tornata due volte dalla baracca dei miei genitori. Hanno cotto le patate e le abbiamo mangiate insieme. E una rarità poter aver patate ora. Si dice che sia proibito il venderle e il comprarle senza tessera. Il "negoziante" che c'è nella mia baracca parte la mattina presto e torna la sera con alcuni kg di patate, ch' egli nasconde alle guardie non so come; qui le vende a 1 corona il kg, ma solo per piacere, a chi vuole; e gli altri lo pregano invano. Dover mendicare una patata, col denaro in mano, è terribile.


                          Il fatto di Wagna.

11 ottobre. L'Eco del Litorale narra un fatto luttuoso avvenuto nell'accampamento di profughi di Wagna. Ai 4 corr. ci fu in quell' accampamento una dimostrazione di donne e di fanciulli contro i gendarmi. Un gendarme, vedendosi assalito dalle grida e anche dai sassi, fece uso dell’arma contro le donne e i fanciulli; tirò un colpo di fucile, ed un fanciullo di circa dieci anni, certo Pudi da Pola, cadde a terra col petto squarciato e morì dopo brevi istanti. Una commissione parlamentare, formata dai deputati dr. De Gasperi, Pittoni, Gostincar e Kruschka assieme ai deputati del Friuli dr. Faidutti e dr. Bugatto, si recò a Wagna a fare un'inchiesta sopralluogo.

12 ottobre. Ai 9 corro nella seduta del "Comitato profughi" i fiduciari delegati diedero relazione del fatto di Wagna, che fu vivamente discusso. Indi si presero parecchi deliberati, fra i quali:

1) la Camera dei deputati prende a conoscenza la relazione della commissione fuggiaschi sui fatti avvenuti il 4 ottobre nell'accampamento di Wagna deplorando vivamente l'uso delle armi, per cui cadde vittima un ragazzo innocente e chiede l'inizio immediato d'una inchiesta giuridico-militare contro il gendarme;

2) la Camera dei deputati deplora vivamente l'ulteriore impiego di organi dell' autorità negli accampamenti dei fuggiaschi, i quali non conoscono la lingua degli stessi.

13 ottobre. Ieri sera c'è stata un’adunanza di Valsuganotti, i quali si misero d'accordo per lavorare energicamente affinché gl'impiegati tedeschi che ci sono nel "Lager" vengano licenziati e sostituiti da profughi italiani. Oggi "L'Eco del Litorale" narra atroci particolari intorno al fatto di Wagna. "Dall' esame necroscopico della salma del piccolo ucciso si volle venire alla deduzione che dalla ferita stessa si riconosce che il bambino stava levando un sasso da terra, mentre invece alcuni testimoni che gli stavano vicini nel momento fatale, escludono assolutamente che egli abbia gettato sassi; anzi una fanciulla che gli corse dappresso, appena colpito, dichiara che egli cadde a terra colle mani in saccoccia. Il nome della vittima è Antonio Pudi, di padre zaratino e di madre sebenicana; padre e quattro fratelli sono in guerra, due sorelline piangono colla madre la sua morte prematura".

14 ottobre. Oggi si radunarono in quattro commissioni tutti i profughi per eleggere dal loro seno un rappresentante su ogni cento individui. Costui dovrebbe poi prender parte all' amministrazione dell’accampamento, finora esercitata da soli tedeschi. Se son rose fioriranno! C'è da temere che questa innovazione non sia che un pugno di polvere negli occhi dei profughi o un bell'osso gettato in bocca ad un cane per farlo tacere. Quando quelli che ora "menano la malta" avranno ammesso all'amministrazione anche Italiani, avranno forse soggezione a fare il proprio tornaconto? E non potranno farlo ancora? Il "Lager" non è per il bene dei profughi: è per l'interesse dei Tedeschi: essi sono i figli, noi gli schiavi.

15 ottobre. Nell' Eco del Litorale del 14 corro si descrivono le condizioni insostenibili di Wagna e si soggiunge che ivi tutti gli uffici pullulano di impiegati e specialmente di signorine tedesche non fuggiaschi, i quali occupano dei posti che potrebbero essere benissimo affidati a delle povere fuggiasche. I magazzini, le officine, i laboratori sono in mano dei Tedeschi. Il corpo dei pompieri è formato esclusivamente di militari tedeschi esonerati e di prigionieri russi. La differenza nelle paghe e nel trattamento fra impiegati tedeschi e impiegati italiani sarà argomento d'un apposito articolo. Di questi giorni il Luogotenente Clary visitò l'accampamento di Wagna, dove volle personalmente convincersi della situazione. Parlò con parecchi profughi e con la madre del piccolo ucciso Pucli.

16 ottobre. Le condizioni di Wagna sono insostenibili, si capisce. E i fatti ivi avvenuti sono atroci. Ma le condizioni di Mitterndorf sono migliori? Qui non si ebbe a deplorare un bimbo ucciso da una palla, ma i bimbi maltrattati, disprezzati, spenti lentamente, si potrebbero contare a centinaia. Anche qui i magazzini, le officine, i laboratori pullulano di Tedeschi e Tedesche. Per essi son le migliori baracche. E mentre migliaia di profughi mancano di lenzuola e hanno pochissime coperte, le stanze dei Tedeschi ne son tappezzate. Per essi vestiti e scarpe di lusso a richiesta, per noi neppur zoccoli quando ne abbiamo bisogno; neppur pochi metri di stoffa, pagandola.

                                       I Vermigliani.

17 ottobre. Partirono i Vermigliani. Sono andata ad accompagnare la mia collega fino alla stazione. Erano 500 profughi che rimpatriavano. Rimpatrieranno? Non subito, non del tutto per ora. Ma vanno nel Trentino ... La banda li accompagnò alla stazione e suonò. lo mi sentivo il cuore stretto. Guardavo quei rimpatrianti, ma nel viso di ben pochi scorsi un po' di gioia: andavano curvi sotto i loro fardelli e molti piangevano, e si voltavano e facevano cenni d'addio verso il cimitero. Oh, quante, quante famiglie già numerose, ora son ridotte a pochi individui che partono piangendo i morti che rimangono! Il Commissario barone de Imhof e l'ingegnere salutavano affabilmente, porgevano ai profughi la mano, certi che questa loro aristocratica degnazione li compensi di tutte le ingiustizie, di tutti i maltrattamenti qui subiti.

(La popolazione di Vermiglio ottenne il permesso di rimpatrio in seguito all'alto elevato numero di decessi che la decimarono. Si prese a cuore la sorte dei Vermigliani il dotto Botteri, che, scortato, si recò a Vienna a perorare la loro causa presso le persone e gli uffici competenti).

18 ottobre. Tornata dalla scuola, stasera, ho trovato sul tavolo un graziosissimo panierino pieno di belle mele, con una letterina affettuosissima scritta dalle mie scolare di Vermiglio. Care fanciulle! Esse hanno voluto, prima di partire, preparare una sì dolce soddisfazione alla loro maestra. Mi pregano d'accettare il piccolo dono, assicurandomi che il loro cuore avrebbe desiderato far di più. E mi promettono di portar con sé nella cara patria il ricordo affettuoso e riconoscente della maestra che le ha amate tanto. Dio vi benedica, figliole! Da voi sole ebbi sollievo e conforto nell' esilio; per voi mi fu giocondo il lavoro, dolce la fatica. Vi saluto con affetto materno. Andate; salutate per me l'aria della patria e ditele che anelo a respirarla.

19 ottobre. Il cappellano di Vermiglio (don Saverio Mochen) è venuto nella baracca delle maestre a salutarle, ché domani partirà con la sua gente. È il sacerdote che più s'è accaparrata la stima dei profughi: quello che più li ha edificati, quello che più ha lavorato per le loro anime. Sempre a disposizione di quanti avevano bisogno della sua parola e del suo aiuto, egli attese in modo particolare con ammirabile carità a visitare gl'infermi e al confessionale. Sempre serio e tranquillo, raccolto e devoto, cortese e caritatevole, umile e dignitoso, ognuno vedeva in lui l'uomo di Dio, innamorato di Cristo, felice del suo amore; tutto cuore per il suo prossimo; senza fiele, senza pretese, senza debolezze; pieno di comportamento, di riguardo, di attenzioni per chiunque. Dio lo benedica! Oggi fu visto piangere con chi piangeva i suoi poveri morti. Tutti piangevano la sua partenza. Oggi è morto un tale del mio paese: questa morte m'ha impressionata; m'ha avvertita ancora una volta che è pazzia l'arrabattarsi per questo mondo, che vale "è la pietà che l'uomo all'uomo più deve".



PARTE TERZA

1917

DAL 21 OTTOBRE AL 31 DICEMBRE


Veduta parziale del baraccamento (proprietà P. Murara)

Ansiosi di andare

21 ottobre. Mamma fa già i preparativi per la partenza, papà è ansioso di andare, ma il permesso di partire non l'abbiamo ancora e chissà se giungerà! In caso dovrebbe arrivare presto, perché il tempo di cominciare la scuola dev'essere prossimo. Intanto ho da lavorare per la scuola che mi fu assegnata qui, e il pensiero di dover abbandonarla non mi rallegra, perché ci ho già preso amore e le scolare sono diligenti e affezionate. Ma il pensiero dei miei genitori mi spinge ad invocare il rimpatrio per loro e per me.

24 ottobre. La giornata è stata fredda, piovosa, buia; È venuta una mia collega a trovarmi (Anna de Manincor). È ritornata ieri dal Tirolo. Ha passato un mese a Trento, in permesso. È ritornata perché ha qui suo padre. Mi ha parlato di Trento e della vita laggiù, quanto differente da quella che si trascina qui! Disse che malgrado la penuria di tutto, che regna anche colà, pure ci si vive assai meglio di qui. "Almeno - diceva - là si può procurarsi qualche cosa di più e di meglio e si può vivere secondo i nostri usi. E l'occhio si riposa sui prati verdi, si ricrea sulle ubertose campagne, si conforta alla vista dei nostri bei monti; mentre qui, in questa enorme palude, ci sentiamo mancare il respiro, laggiù l'aria si beve!

25 ottobre. Papà ed io siamo andati durante il giorno in un paesello qui vicino, Moosbrunn. Andando per lo stradone non si impiegherebbe più di una mezz' ora per arrivarci, ma ci fu detto dalla guardia che custodiva il passaggio, che per di lì non ci possono passare che Tedeschi. E così noi dovemmo fare un lunghissimo giro per andare in quel paese: dovemmo costeggiare tutto il reticolato che cinge il "Lager", attraversare le paludi, saltar fossi. Papà uscì in un'imprecazione. E diceva: "A noi non si permette neppur di passare per le pubbliche strade, ed essi son entrati nelle nostre case a rubare, a devastare ". Tornammo stanchi e col cuore rincrudito.

26 ottobre. La partenza del convoglio che doveva oggi trasportare in patria qualche centinaio di profughi è stata sospesa. Perché? Non si sa. E qui è pazzia il domandare un perché delle disposizioni che si prendono riguardo ai profughi. A una ragazza che abita coi miei genitori nella medesima stanza, oggi giunse una lettera di una persona ch'è rimpatriata in questi ultimi giorni. Si scrive che l’accetto fatto ai profughi fu cordiale e generoso, e ch'essi, laggiù in Tirolo, non soffrono la fame che soffrivano qui. Papà ora è più che mai esasperato di non poter ancora partire di qui.

27 ottobre. Son venute le Suore canossiane cui si affiderà la cucina dei profughi, cominciando col 1° novembre. Siano le benvenute. Fossero venute prima, prima che nei magazzini fossero stati serviti i Tedeschi! La gente ora non le invocava però più, perché da circa un mese furono introdotti dei notevoli miglioramenti nelle cucine dei profughi, benché fossero in mano dei Tedeschi. Con quale scopo furono questi miglioramenti, tutt'a un tratto introdotti? Non si sa, ma si potrebbe pensare che lo scopo sia stato di far provare ai profughi che le Suore non faranno nulla di più di quanto fecero i Tedeschi in questo ultimo tempo.

28 ottobre. Sono andata in baracca con un pacco di giornali vecchi e ho tappezzato le pareti, perché dalle larghe fessure non entrasse troppo liberamente l'aria. Si dice che fra pochi giorni partiranno parecchi convogli di profughi. Papà è eccitatissimo. Gli ho promesso, per consolarlo, che ora lavorerò per sollecitare il permesso di rimpatrio per noi.

29 ottobre. Sono andata in cancelleria a domandare se si ritiene possibile ch'io riceva evasione della supplica fatta per ottenere il permesso di ritornare a Vattaro. L'impiegato mi fece alcune domande, poi mi disse che era pronto a stendere una legittimazione per me, ma a stendere anche per i miei genitori aveva qualche difficoltà. Pure, lette le lettere con le quali sono invitata in quel paese assieme ai miei genitori, fece anche per essi le legittimazioni. Ora verranno mandate a Trento e se lì si ratificassero potrebbe darsi che in due settimane ci giunga il permesso di partire da qui. Lo desidero soprattutto per i miei genitori. L'esilio è diventato per essi tanto doloroso, ch'è un’angoscia l'udir le loro nostalgiche espressioni. Per essi imploro il rimpatrio; per essi più che per me.

31 ottobre. "Bella è la speranza, ma rende più crudele il disinganno. Il non aver sperato è meglio". Mi ricordo d'aver letto molti anni or sono queste parole, quando la mia anima, ancor giovane allora, voleva sperare ad ogni costo. No, io non ho più coraggio di dire a nessuno: "Spera!" Ma questa santa parola mi vien sussurrata, in fondo al cuore, da una voce arcana, che mi soggiunge: "Cadono nella polvere le speranze riposte quaggiù, ma fioriscono di gioie elette le speranze nel Cielo. Il Padre di lassù, non t'ha portata in braccio con tenerezza attraverso a tanti triboli? Non t'ha conservati finora i tuoi cari? Non t'ha concessa la felicità di raddolcire la loro vita? Non t'ha sostenuta e protetta?"

Tra quelle semplici croci di legno.

1° novembre. Festa di Ognissanti! Quante dolci e serene memorie si risvegliano nel mio cuore! Ricordo quei giorni passati in patria nella mia casetta, ove ogni anno volevo trovarmi in questa ricorrenza. Molte volte il tempo era cattivo, ma ciò non mi tratteneva dal correre al mio paesello, ai miei genitori. Veniva anche Giovannino, si pranzava riuniti e giocondi; poi, papà ed io andavamo in chiesa. Dopo i vespri ci univamo alla processione che si recava sul cimitero a pregare per i poveri morti. Ci inginocchiavamo sulla tomba della povera nonna, pregavamo e facevamo la nostra piccola elemosina. Oggi sono andata in chiesa; poi, invece di andare al cimitero, son corsa in baracca a trovare i miei genitori, e ho ringraziato Iddio che me li ha lasciati, che me li lascia ancora.

2 novembre. Giorno pieno di tenerezza accorata, di mestizia presaga; di pia memoria de ‘morti, di mesto affetto per i vivi. Sono andata con papà a fare una visita al cimitero. Girammo tra quelle semplici croci di legno straordinariamente vicine l'una all'altra. Qualche tumulo era adorno di fiori, ma la maggior parte erano nudi, e su di essi erano disegnate delle croci formate dai sassolini bianchi. Poveri morti! Quanti di voi, prima di morire, piangeste, pensando che sareste stati sepolti in queste terre inospitali!

Quanti di voi siete rimasti qui soli! E i vostri cari son ritornati in patria, donde vi salutano piangendo; ai nostri monti essi han portato il vostro saluto, alla nostra terra il vostro bacio. E i nostri morti e la nostra dolce terra sventurata gridano invano: "Rendeteci tutti i nostri figli".

Fa tanto freddo e non c'è legna.

3 novembre. Oggi ho cominciato a preparare i bauli. Eppure, non so ancora se ci lasceranno partire. Ma papà e mamma sperano assai.  ... Son venute due mie scolarette a salutarmi, ché vanno in Tirolo. Son di Arco. Mi hanno detto che lì c'è la Madonna delle Grazie, e che la pregheranno di cuore per me perché presto possa rimpatriare pur io.

4 novembre. Onomastico del nostro Imperatore! Gli edifici principali dell’accampamento sono imbandierati e nelle povere baracche migliaia di cuori pronunciano il nome dell'Imperatore nostro, lo benedicono, parlano di lui con affetto filiale, con felice orgoglio, con fulgide speranze nei cuori a lui devoti, in lui e nella sua bontà fiduciosi.

6 novembre. Fa un gran freddo. Non mi furono dati che cinque tizzi per riscaldar oggi la stufa. In baracca non hanno ricevuto punto legna. Che sarà di noi quest'inverno? Fame e freddo, freddo e fame.

7 novembre. Nella scuola il termometro segnava otto gradi. Le scolare non potevano scrivere, ché avevano le mani intirizzite.

8 novembre. Anche oggi la scuola era fredda. L'Ispettore scolastico ha detto che si tagliò un bosco per fornire di legna il "Lager", ma che non ci son treni per condurla. Soggiunse che probabilmente chiuderà le scuole.

9 novembre. Una giornata freddissima. Nella stufa della mia classe il fuoco è durato poco: neppure una mezz'ora. Le mie scolare erano tutte raggomitolate nei loro scialletti: e nei cari poveri visucci io leggevo: freddo, fame, sfinitezza.

10 novembre, La giornata è stata molto fredda. Sto poco bene. È venuta la mia cara collega Domenica Girardelli a trovarmi. Ho messo un po' di legna, ricevuta in elemosina da un bambino, nella stufa, e siamo state lì vicine, chiacchierando. Poi la luce si spense e restammo lì un poco ad aspettare che ritornasse, ma invano.

11 novembre. S. Martino! La sagra del villaggio dove io avevo la scuola. Oggi invece ricevo di là una cartolina, fra le cui righe leggo la miseria che vi regna. lo ripenso alle sagre festose del paese, le torte che si vedevano portare di qua e di là, i canti, il chiasso, l'allegria che si faceva in quei giorni.

15 novembre. Alle mie giovani colleghe che devono andare a Trento per fare gli esami di abilitazione, oggi son venuti i passaporti. Se non che giunse all'Amministrazione dell’accampamento un telegramma, che avverte essere chiuso il passaggio per il Brennero. Stasera non c'è punto luce elettrica. Una piccola candela stearica costava 80 h, e ora non si riceve se non si ha la tessera.

16 novembre. Oggi non si fece scuola nella prima, seconda e terza classe, perché non c'è legna per riscaldar i locali. Nella mia scuola la stufa rimase fredda la maggior parte del giorno, pur ci si dovette stare.

17 novembre. L'uomo che abita nella stessa stanza dei miei genitori oggi è andato in Ungheria e comperò alcuni kg di granoturco. Spese circa 100 K ma fu arrestato dalle guardie, che gli tolsero tutto il grano, e lo lasciarono poi in libertà senza rifondergli nulla di ciò che aveva speso. Il pover'uomo tornò in baracca dispiacente assai. È proibito portar generi alimentari dall'Ungheria in Austria. Di contrabbando vien però portato qualche cosa. Ma il più delle volte i contrabbandieri vengono arrestati e rimangono senza merce e senza denari. E ciò che si riesce a portare vien poi venduto a prezzi che son esorbitanti per chi ha bisogno di farne provviste, e son ben poco per coloro che lo procurano con tanto rischio.

18 novembre. Oggi, in chiesa, si cantò il "Te Deum" per ringraziare Iddio di aver salvato il nostro Imperatore dal pericolo di annegare.

20 novembre. Anche la scuola era tanto fredda. lo sento bene che così non posso tirare innanzi: ho le ossa tutte indolenzite, e quando vado in cucina a prendermi la "ménage" ("vivande"), quel tepore mi dà una sensazione strana, che mi fa quasi paura. Poco cibo, punto legna; tanta fame, tanto freddo.

21 novembre. È stato celebrato un solenne ufficio funebre per il defunto Imperatore. La chiesa dell’accampamento era parata a nero e davanti all' altare s'ergeva un catafalco coperto di drappo nero e circondato di piante sempreverdi. Alla funebre cerimonia assistettero le principali autorità dell’accampamento.

22 novembre. È tanto freddo. Non si distribuisce legna. Nel magazzino non ce n'è. Un maestro trentina, il mio collega, che ora fa parte dell’amministrazione di questo accampamento, ha detto che il Commissario, barone de Imhof, ha offerto cento corone di premio per ogni due vagoni di legna che venissero qui condotti: con tutto ciò, la legna non viene. Accorrerebbero sette vagoni di legna al giorno e ne arrivano qui soltanto due, che portano appena la legna necessaria per la cucina e per qualche stanza privilegiata. Ora si stanno tagliando degli alberi che sorgono lungo le strade fra Mitterndorf e Moosbrunn: quella legna sarà verde; ma se ce ne danno, bene o male brucerà. Quest'inverno vuol essere orribile.

23 novembre. L'Eco del Litorale del 21 corro pubblica un fatto raccapricciante. Il titolo è: "Come il conte Ugolino". Nella città di Trieste, un bimbo di 12 anni, Vittorio Rosso, che abitava in via Cunicoli 7, il 20 corr. volle morire bevendo dell’acido fenico. Prima, scrisse alla sua mamma queste parole: "Cara mamma, io ti saluto. Sono nudo e crudo, ho fame e perciò vado alla morte. Il tuo figliolo Vittorio". Tra i fiori, fra il verde, in un giardino ha voluto morire. Anche la sua maestra era morta violentemente.

Papà è andato dove stanno tagliando gli alberi.

24 novembre. Papà è andato dove tagliano gli alberi per fame legna da distribuire ai profughi, e ha raccolto qualche ramo che ha portato in baracca. E ci siamo riscaldati. Il sorvegliante però non voleva permettere che papà s'impossessasse di quel po' di legna e solo dietro insistente preghiera del pover'uomo, gli ha concesso, per questa volta, di portarsela via.

25 novembre. La cena di ieri, che non si sapeva cosa fosse, m'ha fatto male. Stamattina ero sfinita dai violenti dolori di stomaco. Con un po' di caffè che ci avevamo portato dal Tirolo, la mamma mi preparò una tazza di quella magica bevanda che ora noi non si potrebbe qui più avere, a nessun prezzo. E subito il dolore s'è calmato.

26 novembre. Ho comperato 6 kg di grano di segale a 3.80 K il kg. Lo macineremo e poi ne faremo polenta alcune volte, e calmeremo per qualche giorno la fame. Inoltre, la mamma abbrustolisce un po' di quel grano per farne caffè. Di quello coloniale non troviamo più di comperarne. Anche lo zucchero si può avere assai difficilmente, e ora è a 15 K il kg. Di quando in quando comperiamo una pagnotta: pesa 85 decagrammi e costa 4 K o 4 K e mezzo. Dio non voglia che giunga presto il giorno in cui non si trovi più da comperare nessun genere alimentare. C'è da temere. E con tutto ciò la guerra dura: fino a quando durerà? Si parla di vittorie, si vocifera d'un armistizio con la Russia, si vuol sperare la pace; ma ohimè, noi non proviamo che fame e freddo, freddo e fame!

27 novembre. Quando sono entrata in scuola, stamattina, il termometro segnava 3°. In tali condizioni l'esito della scuola non corrisponde al sacrificio; eppure, bisogna adattarsi, bisogna sprezzare la propria salute, perché si possa dire: "Si fa scuola in stanze riscaldate". Non importa che il riscaldamento sia irrisorio. Ma nella stanza dell'Ispettore c'è un bel caldo e quando chi fa la legge sta comodo non importa che chi deve ubbidire stia al supplizio.

29 novembre. Ho ricevuto, dal Consiglio scolastico distrettuale di Trento, un decreto col quale vengo invitata a ritornare al più presto a Vattaro a riprendere la condotta di quella scuola. Ora non so quello che avverrebbe se io fossi costretta a ritornare a Vattaro, e non potessi prender con me i miei genitori. Avvenga quel che si vuole: io non posso e non voglio lasciarli.

30 novembre. No: io non partirò di qui senza i miei genitori. Condividerò con essi l'esilio fino all'ultimo momento. Per essi mi sono resa prigioniera in questo baraccamento, per poter esser al loro fianco e per aiutarli; solo con essi gusterò la gioia del rimpatrio. Rammento vivamente il dolore che provai nei primi mesi del mio esilio, quando i miei genitori erano ancora a casa. Mi ricordo lo straziante desiderio che sentivo di rivederli, appena pochi giorni dopo la mia precipitosa partenza. Che non avrei fatto per poter retrocedere, per ricongiungermi ad essi! Sentivo che per quanto dolorosa fosse stata la nostra sorte, pure sarebbe stata dolce a condividerla; ma, lontana da essi, senza nessuna speranza di rivederli presto, mi struggevo d'angoscia. Rivedevo il mio papà seguirmi col mestissimo sguardo dalla finestra della stanza dove nacqui; rivedevo la mamma pallida e accorata lasciarsi cadere di mano la carta con cui stava per accendere il fuoco; sentivo ancora le sue labbra tremanti posarsi calde sul mio viso, sulle mie labbra singhiozzanti. Piangevo di giorno, piangevo di notte, piangevo nella camera forestiera che mi ospitava; piangevo in chiesa, ove non sapevo pregare che con le lacrime; piangevo andando per le vie, ove la gente che incontravo mi guardava diffidente e sprezzante, bisbigliando: "Welsche..." ("straniera"). E quando ebbi la notizia che i miei poveri cari avevano dovuto partire da Roncegno e prendere anch' essi la via dell’esilio, pur spasimando d'angoscia per loro, mi consolai pensando che allora avrei almeno potuto raggiungerli, che non ci divideva più la ferrea barriera. E li raggiunsi. E dopo un viaggio il cui orrore solo i profughi di guerra possono immaginare, trovai papà che passeggiava cupo per una via che non vidi, trovai la mamma seduta su di un letto in una baracca! Oh, la felicità di rivederla, di baciarla! Oh, il suo viso irradiato di felicità nel ravvisarmi!

1° dicembre. Da alcuni giorni non riceviamo più legna. E fa tanto freddo. Papà è andato dove si tagliano alberi e ha portato in baracca un gran pezzo di legno. Ho incontrato per via il mio caro povero vecchio curvo sotto il peso che sarebbe stato non lieve per un giovinotto. Quando gli fui vicina, egli posò a terra il grosso pezzo e si fermò alcuni minuti a riposare, stanco, ma felice e fiero della sua provvista. Un giovane medico dell'accampamento, che usciva in quel mentre dall'ospitale, si fermò a guardarlo meravigliato che un uomo così vecchio portasse un tal carico, e gli disse in italiano: "Come fa a portare quel tronco?"  Papà lo guardò fiero, mise sulla spalla il legno e proseguì la sua via dicendo questa sola parola: "Così". "Bravissimo" gli disse il signore, e guardò con simpatia e con rispetto il caro vecchio, che se n'andava. E oggi s'è fatto fuoco e ci siamo riscaldati.

2 dicembre. Colla legna portata ieri da papà abbiamo tenuto il fuoco sempre acceso nella stufa, e siamo stati lì a riscaldarci. Una mia collega, tornata oggi da Trento, mi ha detto che in Val Lagarina ci sono stati gran combattimenti, che ci furono molti morti e che a Trento ci sono molti. feriti.

3 dicembre. Stasera ha nevicato. Son tornata dalla baracca dei miei genitori col mantello decorato tutto di bianche stelluzze rabbiose.

4 dicembre. L'Ispettore scolastico mi ha permesso di far vacanza perché nella scuola il termometro non voleva segnare più di 3°, benché la stufa fosse assai riscaldata. lo volai in baracca, e sono stata tutto il giorno presso la stufa, insieme coi miei genitori. Abbiamo consumata quasi tutta la legna, ma papà spera di poter domani andar a prenderne. Di fuori il vento infuriava, ed entrava per le larghe fessure nella baracca; pure eravamo contenti di quel po' di caldo che ci dava la stufa nutrita con la massima parsimonia. Alle 6 tornai nella mia stanzetta; per via, mi pareva che il vento mi togliesse il respiro: mi portava in faccia il nevischio, mi rovesciava il cappuccio, mi faceva paura.

È venuto, c'è il permesso di rimpatrio! ...

5 dicembre. Il permesso di rimpatrio coi miei genitori! L'ho ricevuto finalmente. Dio sia benedetto! Signore, Vi ringrazio! Il dotto Sternschuss, direttore della cancelleria, mi ha mandata una citazione, perché mi presentassi. lo stavo trepidante ad aspettare che cosa m'avrebbe detto: temevo assai che il permesso fosse giunto per me sola. Invece disse: "È venuto il permesso di rimpatrio per Boccher Nicolò, Boccher Rosa, Boccher Filomena". Mi pareva di sognare. Sono   volata in baracca a partecipar la notizia ai miei genitori. Essi non espressero la loro gioia con parole, ma il loro viso, qual gioconda e intensa commozione diceva! lo devo ringraziare ben di cuore il Signore, che mi ha concesso la felicità di poter, dopo 27 mesi di esilio, annunziare ai miei poveri cari vecchi la loro liberazione.



...ma continuano il tormento e l'immensa desolazione.

7 dicembre. Il mal di capo è aumentato, e le ossa san tutte indolenzite. Ho mangiato pochissimo. I miei genitori sono assai impensieriti e afflittissimi. Mamma m'ha fatto prendere l'olio di ricino e il "pagliano", Se ora venisse l'ordine di partire non potrei mettermi in viaggio. Dopo aver tanto invocata rara di lasciare questo campo di miserie, ora devo desiderare una dilazione della partenza.


10 dicembre. Papà è venuto di buon mattino a portarmi il caffè. Avrebbe voluto trovarmi guarita e invece m'ha trovata quasi peggio. Lungo il giorno son venute tre delle mie scolarette a trovarmi. M'hanno portato un po' di legna e un po' di carbone "rubato". Così oggi ho potuto riscaldare la camera e sento che un po' di caldo è la medicina di cui ho più bisogno. Le povere fanciulle sono state qui un pezzo con me e mi raccontarono le loro vicende. A tutte e tre è morto il padre, ed esse me ne parlavano con affetto, e si vedeva che godevano della pietà e dell'interessamento che loro dimostravo.

12 dicembre. È caduta tanta neve. È venuta rabbiosa, lanciata dal vento. E nelle baracche non hanno ricevuto un tizzo di legna. Lo mi affliggo per i miei genitori, e temo che debbano ammalarsi. I marciapiedi, che sono di legno, sono stati qua e là levati dai profughi, per bruciarli, ché non vogliono morire di freddo. Anche la baracca della lavanderia è presto distrutta; quasi tutte le assi furono strappate, malgrado la vigilanza delle guardie e le minacce delle autorità dell’accampamento. La povera gente è costretta a questi eccessi, e i signori che gliene fanno un delitto sono essi colpevoli. Perché non si provvide legna a sufficienza mentre era tempo?

14 dicembre. Oggi è stata distribuita della legna. Nella stanza dei miei genitori ricevettero quattro fascine. Le portò papà. Poi era stanco, sfinito, ma contento.

15 dicembre. Un vento furioso. Fa paura. Papà è venuto a trovarmi. Era stanco e triste. Mi disse che a stento aveva potuto arrivare fin qui: il vento quasi lo faceva cadere.

16 dicembre. È venuta la mamma a trovarmi. Mi portò una fetta di polenta di segale. E mi disse che lei e papà ne avevano mangiata tanta, benché quasi scussa. lo pensai che dovesse aver bisogno di un gocciolo di caffè. Andai alla "cantina" a prendere la mia porzione e pregai la Tedesca alla cassa di darmene una seconda. Essa prese sgarbatamente il denaro ch'io le davo e poi fece una gran brontolata, dicendo ch' era una pretesa domandar due caffè stante la gran carestia di zucchero. lo tacqui e non pensai nemmeno a ribattere una parola; mi pareva così naturale che a me non si volesse dare ciò che i Tedeschi ricevono a loro piacere.

17 dicembre. I miei genitori hanno ricevuto l’ordine di spogliare le pareti della baracca perché sarebbero venuti due uomini a imbiancarle. Durante restate, quando le cimici passeggiavano in processione sulle pareti, non si pensò a far nulla per togliere quella miseria; ora ch'è tanto freddo e che non c'è legna sufficiente per riscaldar tanto la stanza che le pareti asciughino presto, ora si vuol lavare le pareti e imbiancarle. Bisogna dire che i provvedimenti di questi signori sono proprio studiati a danno e a tormento dei profughi. La mamma staccò irritata dalle pareti le carte con cui le avevo tappezzate, e diceva: "Finirà anche questa schiavitù".

19 dicembre. Nella baracca dirimpetto a quella dove abitano i miei genitori c'è una famiglia di Folgaria: padre, madre, e tre figliole. Una di queste oggi è morta. Aveva 18 anni; era una bella ragazza, dianzi fiorente di salute. Alcuni giorni or sono accusò malessere; stette cinque giorni a letto; oggi è morta. Si dice trattarsi di una polmonite. La desolazione dei genitori e delle sorelle è immensa. Avessero potuto tenerla almeno riguardata e al caldo la povera cara! Dovevano strappare delle assi qua e là, mentre i poliziotti voltavano gli occhi, per fare un po' di fuoco nella baracca tutta fessure. E lo facevano con l’ardire che dà la disperazione.

21 dicembre. Sono stata dalle Suore dell’orfanotrofio a far loro gli auguri per le prossime feste. La Superiora mi disse che ho una cera molto triste, e poi parlando del gran freddo e della mancanza di legna, asserì che in quest'inverno i poveri vecchi che ci sono nelle baracche morranno tutti. E ripeteva che morranno tutti. Quelle parole mi passavano l’anima. Giungerò io in tempo a condurmi via i miei cari? Dio mio, non negatemi questa grazia. Oggi ho saputo che ieri morì all'ospedale una giovinetta di Roncegno. Aveva 17 anni. Oh, "Lager" fatale, quante vittime hai fatto! Vivo in una trepidazione angosciosa. Conto i giorni che restano di questo terribile dicembre.

              Da due prigionieri russi un presagio di pace.

22 dicembre. Anche oggi ho dato ai miei cari tutta la legna che ho ricevuto per la mia stanza. E così si tira avanti. Oh, ch'io possa a forza di attenzioni e di tutte le cure per me possibili, sostenere questi poveri vecchi e conservarmeli a godere giorni migliori!

23 dicembre. Nell'edificio scolastico oggi si fece una piccola festa per l'albero di Natale. Presso l'albero stava un piccolo presepio, e lì davanti, due fanciulle e due bimbi recitarono un dialogo; poi una bambina declamò una poesia a Gesù Bambino. Si cantò "Stille Nacht, heilige Nacht" ("Notte quieta, notte santa"); queste parole, in questa lingua, mi davano trafitture: avrei voluto piangere: mi sapevano di patria lontana e perduta... Assistevano il Commissario de Imhof, l'ingegnere superiore, altri signori e signore.

24 dicembre. Vigilia di Natale. Quanto triste! Ai miei genitori fu intimato di cambiar alloggio, di andare in un'altra stanza. Essi non vorrebbero sgomberare perché sperano di poter presto sgomberare definitivamente per andare in Tirolo. Ma fu loro intimato che cambiassero alloggio, minacciandoli che altrimenti non avrebbero più ricevuto la "ménage" ("vivande"). lo sono andata a cercare l'Ispettore per domandargli una dilazione, ma mi fu risposto che la Vigilia di Natale non dà udienza.

25 dicembre. Natale! Il terzo Natale nell'esilio. Quanta amara dolcezza in questo giorno, qui. Sono stata quasi tutto il giorno in baracca dai miei genitori. Era tanto freddo. Ci riscaldavamo come si poteva allo scarso fuoco che ci fu possibile tenere. Mamma teneva fra le sue mani le mie e io mi sentivo quasi lieta malgrado la nostalgia che mi opprimeva.

26 dicembre. Papà ha fretta di far fagotti. Oggi s'è portato in baracca i vestiti che gli avevo tenuto nel mio baule. Il sacco gli pareva troppo piccolo e sì che ce ne sta della roba! Vorrebbe aver la forza di un giovane per portarsi via sulle spalle tutto quel po' di cose che abbiamo, e deludere così i ladri che vuotano i bauli dei poveri profughi.

28 dicembre. Da una settimana non riceviamo legna ...

29 dicembre. Mi giungono in gran copia affettuose letterine delle mie scolare, con molti begli auguri. Mi fa tanto piacere il vedermi così ricordata dalle mie care fanciulle vicine e lontane, e il loro affetto mi compensa di tante cose.

31 dicembre. Ultimo giorno dell’anno! Benché grave di dolore e di stenti è passato veloce il 1917, ed io non ho che da ringraziare Dio di avermi sostenuta con la sua paterna Provvidenza e di avermi conservati i miei cari. Quest'ultimo giorno dell'anno ci è stato reso meno freddo e meno triste dalla visita inaspettata di due prigionieri russi che non conosciamo, s'intende. Papà, mamma ed io stavamo presso la stufa rattizzando con parsimonia il fuoco, quando due poveri russi, che lavoravano come falegnami in questo "Lager", entrarono senza picchiare nella nostra baracca, portando ciascuno della legna. La gettarono sul pavimento senza parlare; la spaccarono e poi ne misero quanta poterono nella stufa. I miei genitori ridevano e i due uomini si scaldavano le mani. Porsi loro da sedere e domandai se capissero tedesco. Fecero cenno di no. "È italiano?" domandai. "Poco italiano si", rispose uno. Io dissi: "Buona Russia!" "Sì, buona Russia, mangiare tanto pane. Austria poco pane", soggiunse l'altro. "Pace con la Russia?" chiesi. "Pace sì, dire, scritto pace no ", rispose il Russo. Stentava ad esprimersi ma intendeva e parlava come poteva, bonariamente, con un certo sorriso furbo eppur cordiale. Quando si furono riscaldati, partirono salutando gentilmente. E io nel mio cuore li ho benedetti: con la legna che ci hanno lasciato siamo stati al caldo tutto il giorno. La visita dei due poveri prigionieri russi in quest'ultimo giorno dell’anno mi parve di buon augurio per l’anno che sta per spuntare: mi parve un presagio di pace.


PARTE QUARTA

1918

DAL 17 GENNAIO AL 19 MAGGIO

Si parte piangendo i morti che rimangono nel cimitero dell'accampamento sotto le croci di legno straordinariamente vicine l'una all'altra (proprietà A. Girardelli)



Finisce la guerra, crolla l'impero.

La consolazione per il rientro è offuscata dall' angoscia per i morti e i paesi distrutti.

È l'ora del tanto atteso rimpatrio.

Dopo cinque giorni di viaggio la famiglia Boccher giunge a Vattaro.

Il paese è pieno di soldati di diverse nazionalità che vanno e vengono: sono prossime le linee del fronte dove sta per finire una guerra che ha già assunto la dimensione di un' immane tragedia.

Mitterndorf, addio!

17 gennaio. Sono stata a Vienna con una mia collega. Nella "Zollergasse" c'era una gran folla di gente tumultuante: facevano una dimostrazione contro la guerra.

24 gennaio. Una mia collega è venuta a dirmi che un impiegato della cancelleria l'ha incaricata di avvertirmi che i passi per il rimpatrio in Tirolo sono aperti. Mentre andavo in baracca per portar la notizia ai miei genitori ho incontrato il signor C. C., addetto alla cancelleria d'evidenza, e mi ha detto che posso presentarmi al direttore per ottenere il permesso di partire.

25 gennaio. Una giornata primaverile. Ho tenuto le finestre aperte e ho cominciato a far bagagli. Sono contenta, ma anche agitata. Il viaggio mi fa paura. Sento che prossimamente avrò pur non poco da rimpiangere. Sono andata dal direttore della cancelleria e mi ha domandato. quando voglio partire. "Più presto che è possibile" risposi. Può partire anche subito, - soggiunse. Dissi che partirei lunedì. Il direttore fu d'accordo.

27 gennaio. È l'ultima domenica che passo nel "Lager". Mi dispiace di abbandonare la mia scuola, le mie care giovinette. Il direttore mi ha detto che partirò mercoledì.

29 gennaio. Sono andata a prendere i passaporti, e mi furono consegnate tutte le carte necessarie. Ci furono date 80 K quale sussidio profughi per 8 giorni. E l'ultima sera che passo in questa stanzetta. Fra queste povere pareti di legno ho tanto lavorato, tanto sofferto, ci ho passato tante ore penose ed anche ore tranquille. Addio, povera cara stanzetta! Addio, cara lampada che hai visto il mio lavoro di tante notti vegliate sui libri! Addio! Me ne vado lungi da voi, ma vi rammenterò di spesso. Sono stata a salutare qualcuno. Possa l'augurio delle anime buone valere presso il Signore, perché benedica il mio viaggio e io possa ricondurmi i miei genitori vivi e sani sotto il patrio cielo!

30 gennaio. Siamo partiti da Mitterndorf. La mia carissima collega Domenica Girardelli mi aiutò a preparare i bagagli; alcune delle mie scolare mi aiutarono a portarli alla stazione. Vennero pure alla stazione i nostri compagni di baracca e alcune persone di Roncegno che ci aiutarono a mettere i bagagli nel carrozzone. Anche la signorina Santolini venne alla stazione a salutarmi, e le fui grata di tanta gentilezza, lei così aristocratica, lei fidanzata al nipote del Barone, lei così sdegnosa con le maestre tirolesi, lei goriziana. Quando salimmo sul carrozzone era già buio; avvenne una confusione per i bagagli, che non mi riusciva di trovarli tutti, e stavo in gran pena. Due uomini che m'avevano promesso di aiutarmi a trasportarli dalla "Sùdbahn" (“stazione Sud") alla "Westbahn" ("stazione Ovest"), quando fossimo giunti a Vienna, erano passati nell'ultimo carrozzone del treno, trasportando seco parte dei nostri bagagli. Mi feci coraggio, e passando di carrozzone in carrozzone, giunsi a loro. Si decise di scendere a Meidlingen, sobborgo di Vienna. Qui ci ritrovammo e non mancava niente delle mie cose. Ma pesavano troppo, ed era impossibile trasportarli alla "Westbahn" senza pericolo di perdere qualche cosa. Ci fermammo alla stazione di Meidlingen, e passammo la notte nella sala d'aspetto. Ivi semplificai i bagagli, riponendo i pacchi nei sacchi; li cucii per bene, e preparai tutto in modo da poter far il trasporto la mattina seguente. Passammo la notte chiacchierando, mangiando di quando in quando un boccone, e facendo or l'uno or l'altro di noi un sonnellino. La notte passò meglio di quanto avremmo potuto sperare.

31 gennaio. Io e papà, all' alba, abbiamo trasportato in tre riprese i nostri bagagli alla stazione "Westbahn". Abbiamo impostato come "Reisegepack" ("bagaglio di viaggio") quanto non ci sentivamo di portare. Poi siamo andati a prender la mamma. Mentre aspettavamo il momento della partenza, papà e mamma stavano seduti in un cantuccio della sala d'aspetto e sbocconcellavano un pezzo di pagnotta. Una signorina tedesca, bella giovinetta sui 15 anni, si avvicinò a papà e gli porse sorridendo due belle lucaniche. Il pover'uomo le prese ringraziando con gioia. Grazie gentile fanciulla! Dio ti benedica. All'una partimmo da Vienna. Entrammo in un carrozzone, già quasi pieno. A stento trovammo posto da sederci. Quelli che v'erano già, tedeschi, non volevano incomodarsi, stringendosi un po’, per far posto a noi. Mamma si sentiva a disagio e brontolava. Quei cortesi volevano che deponessimo le nostre cose sul pavimento, e sulle reti che stavano sopra i nostri posti essi avevano i loro bagagli. Doveva esser così, perché essi erano tedeschi e noi italiani. Arrivammo a Salisburgo ch'era notte. Dovemmo scendere per salire su un altro treno. La macchina non funzionava bene. Il treno dovette sostare più di un ora, poi andava lento, e di quando in quando si sentivano scossoni. Arrivammo a Innsbruck che era già mezzogiorno.

1° febbraio. Una bellissima giornata. Pare primavera. All'una partimmo da Innsbruck. I carrozzoni erano riscaldati, mentre dianzi avevamo viaggiato in carrozzoni freddi e con vetri rotti. Arrivammo a Trento alle 10. Scendemmo dal treno col cuore riboccante di gioia. All'uscita potevamo appena camminare che lo spazio era tutto occupato da soldati, quali in piedi, quali sdraiati per terra. Qualcuno di essi, visto che eravamo profughi rimpatrianti, ci rivolse parole di simpatia: erano italiani! Ci aiutarono ad aprirei il passo, ci diedero una mano per sostenere i bagagli, e bisbigliavano: "Poveri profughi, poveri profughi". Cercammo alloggio in città ma non ne trovammo che in "polizia". Qui fummo ricoverati in una stanza che doveva esser, di solito, il primo alloggio di arrestati. Vi passammo bene la notte. Papà e mamma si coricarono sul pagliericcio che stava steso per terra, li copersi, e poi mi adagiai ai loro piedi. Dormimmo tranquilli fino al mattino.

                     In cammino verso Vattaro.

2 febbraio. Siamo andati dalla mia maestra di quando ero bambina: dalla mia carissima maestra Camilla Toller in de Manincor. Avevo da portarle i saluti di suo marito e di sua figlia, confinati a Mitterndorf, e dovevo consegnarle un pacchetto a nome d'un maestro trentino. La buona signora mi accolse con affetto materno. Mi baciò tante volte, mentre io piangevo. Salutò cordialmente i miei genitori, e volle che ci fermassimo da lei a desinare. Fu un pranzo squisito per noi profughi. Oh, mai, mai dimenticherò questa tua carità, cara maestra mia, tanto buona! Dio te ne ricompensi, rendendo presto al tuo amore la figliola tua e tutti i tuoi cari.  Partimmo da Trento alle 4, e ci avviammo a piedi alla volta di Vattaro. Ma la mamma era già tanto stanca. Camminava adagio e bisognava far sosta di frequente.

Arrivammo a Valsorda ch'era già notte. Domandammo alloggio in una casa, ove si faceva osteria. Avevano disponibile una camera con un solo letto, ma ci accomodammo ivi alla meglio. Prima però andammo in cucina, bevemmo un bicchier di vino, e mangiammo del pane e lucanica che avevamo portato con noi. C erano anche molti soldati. Uno di essi ci si avvicinò e attaccò discorso con me. Era slesiano. Disse che ero fortunata a saper la lingua tedesca e che dopo la guerra la lingua italiana sarà tenuta in nessun conto. Io risposi che la lingua tedesca non la possiedo perfettamente e che probabilmente in questi paesi la dimenticherò. Quando ci ritirammo nella camera destinataci, il soldato salesiano ci seguì e si mise a improvvisare un giaciglio per il papà. Lo accomodò meglio che poteva, con cura premurosa, e uscì augurandoci cordialmente una buona notte.

3 febbraio. Ci siamo alzati alle 8, abbiamo preso un po' di caffè, e poi domandammo il conto alla padrona di casa. Non volle pagamento che per quello che avevamo preso; dell’alloggio non richiese nulla. La ringraziammo riconoscenti e riprendemmo il cammino. Papà e mamma stentavano a tirarsi avanti. Quando eravamo poco distanti da Vigolo, incontrammo un soldato trentino. Ci guardò con simpatia e disse a papà:


"Stanco nonno?"

"Sì", rispose papà.

"Profughi?" chiese il soldato.

"Sì".

"Siete affamati?"

"Un poco"

"Avrei una pagnotta, laggiù in quella casa",

soggiunse accennando a una casa non molto distante; se mi aspettate, faccio due salti e ve la porto. Rispondemmo cogli occhi. Ci sedemmo lungo la strada. In pochi minuti il buon soldato era di ritorno con una pagnotta e marmellata. Lo ringraziammo, commossi. Egli ci salutò cordialmente e se ne andò. Stavamo ancor lì seduti, mangiando quel pane regalatoci con tanta bontà, quando il nostro soldato si avviò correndo verso di noi. Quando fu abbastanza vicino da farsi udire, ci chiamò e ci fece segno con la mano di seguirlo. Andammo subito, e ci condusse nella casa donde aveva presa la pagnotta. Egli aveva pregato la padrona di casa di darei da desinare. Ci fecero sedere a tavola. Una ragazza stava cuocendo la polenta. Quando fu pronta ce la scodellò, ci diede carne e crauti eccellenti e ci incoraggiò a mangiare, con gran cordialità. Noi eravamo commossi e felici. Quando avemmo mangiato a sazietà, ci accomiatammo, ringraziando vivamente, benedicendo in cuor nostro quella buona gente. Una ragazza volle accompagnarci e aiutarci a portare le valigie. Che Dio benedica il gentile soldato e quelle buone ragazze! Arrivammo a Vattaro alle 4. Ci presentammo al Capo-comune, dalla cui famiglia avemmo un accetto, se non cordiale, sufficientemente cortese. Domandai che ne fosse della mia abitazione e delle cose che vi avevo lasciate. Si misero a ridere. Poi dissero che l'abitazione era tuttora abitata dai soldati, e mi raccontarono, sempre ridendo, lo scempio che era stato fatto delle mie cose. Io fremevo. Andai subito a vedere la mia abitazione. C'erano molti soldati che fumavano, vociavano, bestemmiavano. Uno di essi, vedendo che volevo entrare e vedere le stanze, mi domandò: "Viene a portarci del pane?" Altro che pane ci avevo lasciato, e non v'era più nulla! La stufa della camera da letto era stata abbattuta, e in mezzo v'era una pietra sulla quale ardeva un piccolo fuoco, con molto fumo. Scappai, maledicendo quei vandali. Ritornai presso i miei genitori, nella casa del Capo-comune. Di lì a poco venne a salutarmi la maestra che m'aveva supplita nella scuola di Vattaro durante la mia assenza e che è venuta a riaprire la scuola in questi giorni. Disse ch' essa aveva raccolto un po' delle mie cose e me le avrebbe consegnate, ma che purtroppo il meglio mancava. "Ma non si poteva sottrarre le mie cose al ludibrio dei soldati?" domandai. Le mie parole furono trovate irragionevoli certamente, perché mi si rispondeva negativamente sempre ridendo. "Pazienza", dissi; "speriamo che cambieremo padroni". La maestrina, a questa mia uscita, abbassò gli occhi e fece il viso scuro. Tutti tacquero. Partita la mia collega fui avvertita dalla padrona di casa che non dovevo lasciarmi udire con certe espressioni, quale quella scappatami dianzi da bocca: la maestra, che è amica degli ufficiali, avrebbe potuto riportar loro le mie parole, e allora ... Ah sì, meglio tacere! Tacere, e pregare perché Dio faccia suonar presto l'ora della giustizia!

Il paese è pieno di soldati.

4 febbraio. Ho una camera grande, ma tetra e fredda. Lo rimpiango la mia stanzetta di Mitterndorf, ma mi consolo vedendo che i miei genitori la preferiscono assai alle baracche. Mamma ha dovuto star coricata tutto il giorno. È tanto stanca, e sente male alla schiena e alle gambe.

6 febbraio. È venuto Giovannino! Oh, la gioia di rivederci nei nostri paesi, non più nella miseria delle baracche! E poter raccontarci le nostre vicende, senza dover aver riguardo ai testimoni delle nostre parole, come avveniva nelle baracche!

9 febbraio. La mia collega, che fa da dirigente, mi portò l'elenco degli scolari e delle scolare che avrò quest'anno. Lunedì dovrò cominciare la scuola. E sentirei tanto bisogno di riposar ancora un po' di giorni.

10 febbraio. Ho incominciato la scuola. In qual aula! È la stanza della domestica del Curato. Ha una sola finestra; il pavimento è battuto; i banchi ci stanno appena; appena si può muoversi. Di quando in quando un soldato apre l'uscio, guarda, e se ne va. Al secondo piano sono acquartierati i soldati.

14 febbraio. Ho ricevuto dal Consiglio scol. distrettuale un decreto in cui mi s'incarica di sostituire nella dirigenza scolastica il maestro E. D. ora prigioniero in Russia.

17 febbraio. Il paese è pieno di soldati. Ve n'erano molti anche in chiesa. Mi fanno ribrezzo.

19 febbraio. Stamattina mi sono accorta che parecchi dei miei piccoli avevano le tasche piene di proiettili. Li avevano presi nella stanza dei militari che sono acquartierati nel piano di sopra. Raccolsi tutta quella roba in un sacchetto, che potevo poi appena alzare. Li ammonii di non far più tal cosa. Mi dissero che gli scolari più grandi ne avevano ben di più. Andai nella classe della mia collega per avvisarla di guardare che cosa avessero in tasca i suoi scolari. Prima che io aprissi la bocca, due di essi si alzarono e dissero alla mia collega: "Noi vogliamo la nostra maestra". E accennarono con affetto a me. lo arrossii' e soffrivo per l’altra, ma nello stesso tempo mi sentii superba di quella dimostrazione. Domandai loro se avessero proiettili in tasca. Essi li trassero fuori subito e me li diedero lieti, come mi facessero un regalo.

20 febbraio. I miei piccoli mi dissero che dietro la porta del cesso c'era da parecchi giorni una granata. Mi affrettai a interrogare un soldato, il "Quartiermeisters" ("responsabile dell’alloggio"), se quella cosa era proprio granata. "Ja" ("Si"), rispose, "sehr gefahrlich" ("molto pericolosa"). E la portò via. Ma come mai era lì?

5 marzo. Per sostentarci abbiamo dovuto ricorrere a una famiglia di contadini benestanti, dai quali, durante lo scorso mese, abbiamo ricevuto un po' di patate, di farina, e altri generi alimentari. Oggi ho pagato il conto: ho dovuto pagare la farina gialla a corone 4.50, le patate a corone 1.20, le rape a l corona, l'orzo a corone 3.50, le castagne a corone 2.80 il kg, e il vino, che sembra aceto, a corone 4 il litro: 98 corone in tutto. E un centinaio di corone le ho spese nel negozio della "famiglia cooperativa", per generi di prima necessità. Di stipendio non ho che 104 corone mensile. Il sussidio profughi non l'abbiamo ancor ricevuto.

7 marzo. Mi è venuto l'avviso che i miei bagagli impostati a Mitterndorf il 30 gennaio sono giunti finalmente a Pergine.

8 marzo. È arrivata in paese una moltitudine di militari. Sono ungheresi. Non intendono né italiano né tedesco. Vennero a domandarmi alloggio. Risposi che m'era impossibile, perché ho soltanto una camera. Andarono in cucina e, trovatala spaziosa, vi deposero i loro carichi e dissero di voler star lì. Invano protestai, dicendo che la cucina l'adoperavo io; 25 di quei figuri la riempirono e se la ridevano della mia inquietudine e delle proteste della mia mamma. Allora trasportai nella camera gli oggetti di cucina che più mu premevano. Avevo ancora da prepararmi la cena, ma mi era impossibile avvicinarmi al focolare. Essi presero della legna che stava m un angolo e cominciarono a far fuoco. Papà si lamentò e fece loro cenno che non voleva bruciassero tanta legna. Uno di essi trasse la baionetta, minacciandolo. Io corsi dal telefonista e lo pregai di far rapporto della cosa alla gendarmeria di Caldonazzo. Fu subito fatto. Dopo un paio d’ore, quando i non desiderati ospiti s'erano già coricati sul pavimento, venne in fretta un ufficiale, al quale da Caldonazzo era giunta l'eco del mio rapporto. Fece una predica in tono severo agli intrusi, che stavano zitti, poi se ne andò. Nessuno si è mosso.

9 marzo. Un gendarme è venuto a vedere se ci fossero ancora soldati nella mia abitazione, ma per fortuna sono partiti stamattina di buon'ora.

11 marzo. Sono andata a Pergine col carrettiere, per prendere i miei bagagli. Di cinque colli impostati a Mitterndorf, ne sono giunti solo tre. Gli altri due mancano. E ho la prova che furono aperti e vuotati dai ladri, perché qua e là si rinvennero cartoline e qualche giornale che in essi io avevo riposti. Non bastava che mi derubassero di quanto avevo dovuto lasciare qui; bisognava che mi spogliassero anche di ciò che con tanti sacrifici m'ero procurato durante l'esilio.

13 marzo. Papà ed io siamo andati a Caldonazzo, per farci fare il "certificato d'Identità per la circolazione locale". Siamo rimasti atterriti alla vista delle macerie in cui si è ridotta la così bella borgata. E pensavo che altrettanto fosse di Roncegno. No, io non mi sento di andare a vedere Roncegno: la vista di Caldonazzo mi basta ...

17 marzo. È ritornato il Curato dalla Moravia, ove è stato profugo.

18 marzo. Sono andata a Pergine a presentare la nota degli oggetti contenuti nei colli smarriti e la domanda di risarcimento.

28 marzo. Papà ed io siamo andati a Trento per sollecitare il sussidio profughi. Dio, che via Crucis l Dal "Comitato profughi" al Capitanato; dal Capitanato al "Comitato profughi"; e poi di ritorno senza un soldo. Non soffriamo proprio la fame, ma le privazioni son molte. Non ho potuto ancor comperarmi una lettiera e un materasso, e mi corico sull' elastico posato sul pavimento. Non abbiamo lenzuola. Il comperarne è impossibile. Ritorno dalla scuola sfinita, e posso aver da mangiare solo un po' di polenta e latte. Pure, in confronto della broda di Mitterndorf, polenta e latte sono cibi squisiti: bisogna ringraziare Iddio, finché ne possiamo avere.

31 marzo. Pasqua! Ma non è Pasqua gioconda. La casa è piena di soldati: sembra una caserma. Vanno e vengono. Qualche volta vengono di notte. Passando davanti all'uscio della mia stanza molti mettono la mano sul saliscendi per aprire; poi, sentendo ch' è chiuso, passano via. Si acquartierano sul solaio, ma la mattina quando esco trovo spesso soldati coricati sul corridoio: fanno ribrezzo e pietà.

4 aprile. Sono andata a Trento ancora per sollecitare il sussidio profughi, che non vuol venire. Sono andata sola e a piedi.

12 aprile. Ogni giorno partono dal paese soldati e ne sopraggiungono degli altri. Si parla d'un'imminente offensiva austro-ungarica contro l'Italia.

                            La pelliccia e il lenzuolo.

18 aprile. Sono ricorsa ad un mugnaio, padre d'una mia scolaretta, per avere un po' di farina. Non mi lasciò andare colle mani vuote. Ma mi disse che anch'egli si trova in circostanze critiche, perché riceve pochissimo da macinare. Pure mi promise che secondo le sue forze mi avrebbe aiutata. Così oggi abbiamo fatto una bella polenta. Un soldato, molto dissimile dai suoi camerati, perché è cortese e aiuta qualche volta papà a spaccare la legna, faceva tanto di occhi alla polenta, mentre la mamma la dimenava. Indovinando la sua fame, gliene offersi una fetta quando fu cotta. Il povero soldato la prese colla gioia d'un bambino, e poi portò una bella pelliccia pulita, dicendo: "Fùr den Vaterh!" ("Per il padre!") lo esitavo ad accettarla, ma egli volle che la prendessi.

6 maggio. Abbiamo ricevuto finalmente il sussidio profughi che ci spettava per i mesi scorsi: 1704 corone. Papà era tanto lieto: ha ripreso coraggio, sta meglio.

7 maggio. Oggi un bambino mi ha portato una cartolina che il suo babbo gli aveva mandato tempo fa. C'era scritto: "Caro figlio ricevi un saluto da questo mesto mio cuore e un bacio afettuoso da tuo padre e si buono e ubbidiente alla mama se vorai che il Signore ti ridona ancora il tuo povero padre. A Dio"). Ho letto quelle righe, ho guardato il piccino, e poi ho abbassato in fretta gli occhi trattenendo a stento le lacrime.

15 maggio. Ho letto sull'"Eco del Litorale" del 12 corr.: "Congresso tedesco. Ieri a Sterzing si tenne il primo congresso popolare tedesco, insieme all'assemblea del "Volksbund" ("Società popolare"). Fu, in fondo, un riflesso del comizio borghese tenutosi ad Innsbruck; anche gli oratori furono gli stessi: l'archivista prof. Majer e il pittore Majer. Ma l'ordine del giorno votato a Sterzing ha qualche postulato nuovo che mette conto conoscere, se non altro per la sua discrezione. Sentite dunque. Il congresso popolare tedesco esige:

1) una pace degna dei grandi sacrifici e dei successi delle armi delle potenze centrali alleate;

2) di fronte all'Italia, confini naturali che proteggano meglio il Tirolo e l'Austria ed annettano all'Austria antiche colonie tedesche;

3) sviluppo dell' alleanza coll'Impero germanico fino all'unione economica e militare;

4) lingua dello stato tedesco e luogotenenze tedesche in Austria; nessuno stato slavo separato, né a nord né a sud;

5) unità ed indivisibilità del Tirolo da Kufstein fino alla Chiusa di Verona; negazione assoluta di qualsiasi autorità del cosiddetto Tirolo italiano;

6) lotta inesorabile contro l'irredentismo italiano;

7) né amnistia né reintegrazione per i felloni italiani;

8) confisca dei loro patrimoni impiegandoli ad alleviare i danni di guerra, specialmente a provvedere i combattenti tirolesi fedeli allo Stato;

9) un vescovo tedesco sulla cattedra di Trento; clero amico dei tedeschi nella diocesi trentina;

10) trasformazione completa delle scuole tirolesi, introducendo il tedesco come materia obbligatoria;

11) migliore amministrazione specialmente dell' approvvigionamento, perché il Tirolo non sia costretto a patire la fame e a mendicare fuori paese;

12) pro-movimento dell'associazione alpina germanica-austriaca, base del movimento forestieri;

13) vasti provvedimenti a favore degli operai.

19 maggio. È venuto un giovane soldato tedesco di maniere gentili a domandarmi se volessi comperare un lenzuolo. "Dove l'ha rubato?" gli domandai. "Non l'ho rubato", rispose; "l'ho preso al Piave". "Davvero? " - "Sì. È un bel lenzuolo grande. Vado a prenderlo e gliela farò vedere". E pochi minuti dopo ritornò col lenzuolo che era grande e bello davvero. La mamma disse: "Si vede che è roba italiana".

Io lo toccai, quasi accarezzandolo con accorata tenerezza. Ma tacevo. Il soldato mi guardò e disse: "Dobbiamo partire stasera; non lo porterò con me perché è pesante: lo vendo". "Quanto domanda?" chiesi. " 18 corone". Gliele diedi e presi il lenzuolo. Ho fatto male? Sia. Ma quel lenzuolo l'ho voluto.


Nessun commento:

Posta un commento