POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

sabato, luglio 26

TU CHIAMALE SE VUOI, EMOZIONI. DAL SAHEL ALL'OCCIDENTE di Padre MAURO ARMANINO

Tu chiamale se vuoi, emozioni.

 Dal Sahel all’occidente

Ogni volta mi dico che è l’ultima. L’ultima missione, l’ultimo Paese e l’ultimo popolo da lasciare. La storia si ripete e, senza saperlo o volerlo, cado nella stessa trappola. Si parte per un tempo, si vorrebbe e dovrebbe rimanere per sempre e poi, al solito, si torna. C’è una partenza in senso inverso. Dall’italico occidente al Sahel, dal Porto Antico di Genova alla porzione di Sahel riservata al Niger. Dalla sponda del Mediterraneo alla sponda del Sahara per un viaggio durato quattordici anni e qualche mese. Si passa, nel frattempo, dal Paese stampato sulla cartina geografica e dai confini ben definiti al Paese reale. Le strade, i volti, le storie di sabbia e i nomi di vento si mescolano come solo la polvere sa fare con consumata maestria. Ogni volta mi dico che è l’ultima e, senza capirlo, si rende recidiva.

Fuggitivo, disertore, traditore, mercante, mercenario e allo stesso tempo creatura di sabbia attraversato dall’unica fragilità che accomuna gli umani che si chiama vita. I ricordi delle persone seppellite nel cimitero cristiano di Niamey. Ogni volta lo stesso pensiero che si affaccia alla mente perché una parte di me rimane in quella terra benedetta dalle lacrime di coloro che rimangono. Migranti con un nome imprestato dal destino, bambini che partono ancora prima di aver cominciato il viaggio e alcuni rifugiati che scoprono nella sabbia del camposanto la penultima dimora che, senza saperlo, cercavano. Nelle valigie di ritorno c’è tutto e non c’è nulla di quanto vissuto, amato, tradito e, in questo caso, abbandonato. Si affacciano alla memoria le parole che si avventurano nel deserto.

Quanto è cambiato degli occhi e dello sguardo, nel frattempo, degli avvenimenti che accadono, passano, permangono e sono pronti a riapparire alla prima occasione propizia. Il passato non si accumula ma si seleziona e si organizza nella memoria del vissuto che si scava nei volti che indicano il cammino da seguire. ‘Se hace camino al andar’, camminando si scopre la via, scriveva Antonio Machado nell’altro millennio di un altro continente. Ci sono infatti ferite che non dovrebbero mai essere guarite perché solo aperte tengono desta l’attenzione ai protagonisti del transito in questo Paese e cioè i poveri. Inventano la storia che nessuno legge e raccontano storie che pochi ascoltano. Eppure, proprio e solo in loro scorre l’unica e decisiva trasformazione del mondo. 

Le centinaia di migranti dalle avventure inverosimili, le comunità cristiane perseguitate, le chiese bruciate, il rapimento e la lunga prigionia dell’amico Pierluigi Maccalli, l’insicurezza per i contadini dei villaggi, il golpe dei militari e la retorica di una sovranità nazionale ad uso e consumo del potere. Le decine di dibattiti pubblici e l’amicizia con alcuni militanti della società civile che non si è fatta espropriare. Il cammino imprevedibile con una comunità di periferia e infine la nostalgia del tempo che, sostengono in molti, è il secondo nome di Dio. Soprattutto però il privilegio di guardare la realtà dal sud, dalla Grande Periferia del mondo. Sono luoghi di verità che non permettono alle ferite di rimarginarsi col rischio di dimenticare il silenzioso grido dei poveri.


Padre GIGI MACCALLI con Padre MAURO ARMANINO 

Si parte dal sud, senza sapere se il net funziona, quando ci sarà prossimo blackout, l’appuntamento mancato senza dire nulla, lo stupore della pioggia, gli asini re della strada e i semafori a stagioni coi bambini da ogni parte si cammini e l’eleganza dei poveri nei giorni di festa. Ogni volta mi dico che è l’ultima e allora parto e poi cado nella trappola che la sabbia sapientemente nasconde. Torno soprattutto col NO che l’amico e compagno di viaggio Moussa Tchangari, attore storico della società civile di Niamey, ha ripetuto a chi voleva accaparrarne l’adesione al sistema. Si trova in galera dal 3 dicembre dell’anno scorso con le mani nude e libere di scrivere l’unica parola per la quale si può dare anche la vita. Si tratta della dignità che nessuno potrà rubargli e che, con riconoscenza, ho deposto nel mio bagaglio di ritorno.


Ho raccontato la mia storia di perdono al Papa...Padre Maccalli con Papa Francesco

                 Mauro Armanino, Niamey, luglio 2025

sabato, luglio 19

I MIRAGGI DEL SAHEL di PADRE MAURO ARMANINO

I miraggi del Sahel

In senso proprio il miraggio è un fenomeno ottico che si verifica, in condizioni particolari, su ampie superfici piane, per cui è visibile l’immagine di oggetti lontani, apparentemente riflessi in una distesa liquida posta in basso o che sembra galleggiare in alto. In senso figurato il miraggio si presenta come una prospettiva tanto allettante quanto ingannevole, qualcosa di illusorio, un sogno irraggiungibile e irreale. Entrambi i sensi della parola miraggio sono attualizzati nell’affascinante e complesso spazio saheliano. I migranti, commercianti e contrabbandieri trasfrontalieri che attraversano, spesso senza ritorno le zone desertiche, fanno esperienza del senso proprio. Si possono notare in lontananza sorgenti d’acqua, laghi e fiumi inesistenti. Il resto dei popoli del Sahel, invece, incappano spesso e volentieri nel senso figurato del termine. Le promesse di sicurezza, benessere, giustizia e buon governo si rivelano come effimere illusioni, sostenute e nutrite da un’efficace propaganda totalitaria.

In un non lontano passato si sentiva il sordo e inconfondibile tuono dei ‘Mirages’, i Miraggi, ben noti caccia francesi all’opera nel Sahel. Al momento sono i droni che operano nel silenzio e, dopo la cacciata dei militari francesi, altri sono i militari sul posto. Noti o meno noti si trovano i mercenari russi del gruppo Africa Korps, soldati cinesi per evitare problemi all’oleodotto di loro proprietà, mercenari turchi e qualche centinaio di militari italiani ufficialmente adibiti all’addestramento degli omologhi nigerini. Sullo sfondo permane comunque la collaborazione mai rinnegata con le forze statunitensi che, tra l’altro hanno formato alcuni dei militari che hanno preso parte all’ultimo colpo di stato. La promessa di debellare in tempi rapidi le varie formazioni dei gruppi armati di ispirazione ‘djihadista’ si è gradualmente rivelata un tragico miraggio che continua a sfornare vittime, militari e civili nello spazio saheliano. I cimiteri e i lutti nazionali non si danno tregua alcuna.

Le bandiere dei tre Paesi federati del Sahel centrale, Niger, Burkina Faso e Mali, così numerose e fiammanti dei giorni del golpe e nelle varie tappe di costituzione dell’Alleanza degli Stati del Sahel, AES, sono sbiadite, sfilacciate o dimenticate alle rotonde della capitale. Persino i tricicli che, numerosi, esibivano con fierezza la bandiera nazionale, si trovano adesso oberati di mercanzie, passeggeri e animali da macello. La promessa e l’ambizione di una rapida, totale e radicale sovranità nazionale, autentico ‘mantra’ dei regimi militari dei Paesi citati, lasciano gradualmente il posto allo smarrimento, allo sconcerto e la disillusione del quotidiano, molto più complesso del previsto. Da un paio di mesi i funzionari statali non ricevono il salario, i prezzi elevati dei prodotti di consumo di base e l’ostinata chiusura della frontiera col confinante Benin, hanno trasformato il tutto in un miraggio senza limiti. La demolizione, infine, di negozi, abitazioni e laboratori informali, ha completato il disastro sociale.

Malgrado le retoriche panafricaniste, monetariste e antimperialiste dei Paesi in questione, il miraggio dell’Occidente non si è spento e sono ormai migliaia i migranti e richiedenti asilo ‘parcheggiati’ in insufficienti centri di accoglienza e di transito. Le espulsioni sistematiche e disumane dei militari algerini, tunisini e le milizie libiche non lasciano scampo a coloro che si trasformano in ostaggi di un sistema di compravendita umana. L’isolamento diplomatico ed economico del regime che ha chiuso i conti con numerose organizzazioni internazionali, ha comportato una brusca riduzione degli aiuti esteriori. Persino ‘potenze umanitarie’ come l’Alto Commissariato per i Rifugiati e l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, delle Nazioni Unite, sono in difficoltà finanziaria con ricadute drammatiche su migranti, richiedenti asilo e rifugiati. L’illusione di gestire con umanità questi movimenti di persone si rivela una missione impossibile. Il Paese ospita migliaia di sfollati interni.


Per convertire i miraggi non c’è terapia migliore della realtà che com’è noto è sovversiva. Chiamare le cose col loro vero nome è un gesto rivoluzionario, scriveva Rosa Luxemburg, filosofa socialista.

                         Mauro Armanino, Niamey, luglio 2025

sabato, luglio 12

QUANDO L'IPOCRISIA E' AL POTERE di PADRE MAURO ARMANINO





"Rappresenta  il messaggio insito nel dipinto: giustizia e pace si baceranno c'è scritto nel Salmo 84 .L'abbraccio ed il bacio tra Maria, madre di Gesù ed Elisabetta, madre di Giovanni Battista, è stato splendidamente raffigurato dal pittore francese Arcabas, da tutti riconosciuto come il maestro dell'arte sacra contemporanea 

Quando l’ipocrisia è al potere

Tutto o quasi assomiglia ad una grande finzione ben orchestrata.’Fingere’ è infatti l’etimologia greca della parola ipocrisia come atteggiamento con cui si ‘finge’ di avere sentimenti, opinioni, virtù morali che in realtà non ci abitano. Ciò per trarre in inganno gli altri sulle proprie reali intenzioni e trarne i benefici. Ci si spaccia dunque per benefattori, salvatori della patria, onesti fautori del bene comune, politici integerrimi e incorruttibili e soprattutto venditori di fugaci promesse di rinnovamento, rifondazione o novità. Non raramente si prende Dio come garante o ostaggio di quanto affermato dietro giuramento. Dalle parole mercenarie, svendute o, banalmente, manipolate, nasce l’ipocrisia.
Nel Sahel abbiamo la sabbia e la polvere che da essa è generata. La polvere si deposita nottetempo oppure nei momenti e luoghi meno opportuni. Si infiltra sorniona o, più raramente, domanda il permesso prima di entrare per accomodarsi nelle case e nelle cose. Si adagia e adatta ad ogni superficie e circostanza. A modo suo la polvere è democratica perchè non fa differenze di classe, religione o genere. Non è politicamente corretta perché assume un ruolo destabilizzante tanto nei regimi civili che in quelli militari. Ricorda agli imperi, alle diplomazie e agli strateghi che prima o poi dovranno fare i conti con lei. La polvere è il colore delle civiltà, della barbarie e dell’ipocrisia.
L’ipocrisia è l’applicazione e l’estensione della polvere alla vita personale, sociale e politica. Polvere e ipocrisia vanno assieme e si completano in una secolare complicità. Affinità elettive potremmo dire perchè un elemento abbisogna dell’altro per portare a compimento la propria peculiare identità. Ci sono infatti le grandi ipocrisie, le finzioni, le farse che si sviluppano nella diplomazia tra Paesi, nelle istituzioni internazionali, nell’uso della giustizia a seconda delle convenienze del momento. I premi Nobel per la pace affidati a guerrafondai, le guerre umanitarie e le giustificazioni per usare le armi contro inermi popolazioni civili. Non si tratta che di ipocrisie che la polvere copre di legittimità.
Arriviamo alle finzioni che, essendosi installate nella durata, sono state naturalizzate. In questo particolare ambito vanno inseriti buona parte dei politici, dei religiosi e degli intellettuali. Mentire, che non è una delle forme per applicare l’ipocrisia, non desta scandalo, stupore o sconcerto perché, com’è noto, le loro promesse impegnano solo chi le ascolta. I mezzi di comunicazione, con qualche lodevole eccezione, appartengono al settore citato perchè ciò che si comunica sarà funzionale al sistema che li finanzia. Inutile il codice deontologico che obbliga a cercare e trasmettere la verità.
Il sistema sanitario internazionale, di cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità è l‘espressione, non fa che confermare tristemente quanto appena rilevato. Chi finanzia questo ente onusiano ha il diritto e dovere di imprimere i finti orientamenti che organizzano i ‘loro’ interessi globali. Il sistema capitalista è nato dalla drammatica ipocrisia chiamata sfruttamento e così pure le ideologie che nel frattempo hanno dilaniato il mondo di guerre. Il nazionalismo, nelle sue diverse varianti, nasce e si perpetua con finzioni che continuano a mietere vittime e inneggiano agli eroi, morti con onore.
La grande ipocrisia e quella particolare non potrebbero vedere la luce senza le finzioni quotidiane che, in maniera capillare, attraversano persone, relazioni umane e la struttura sociale nel suo insieme. Parole, scelte, giudizi e azioni nella vita diaria, così come la polvere di cui sopra, sono spesso marcati da ‘micro-ipocrisie’ alle quali non si dà più importanza tanto sono parte del paesaggio. L’abbandono dei valori che reggono la democrazia, la censura della dimensione spirituale della persona, la riduzione di tutto e tutti a beni commerciali, costituiscono e perpetuano il quotidiano tradimento della non negoziabile dignità umana. Questo ed altro non sono che forme di ipocrisia.
Rovesciare il potere dell’ipocrisia non è difficile come si crede. Basta lasciar soffiare fratello vento di verità che, cominciando dalle parole, inventa un mondo libero dove pace e giustizia si baciano.

     Mauro Armanino, Niamey, luglio 2025


sabato, luglio 5

MITOLOGIE SAHELIANE MA NON SOLO di PADRE MAURO ARMANINO


           Mitologie saheliane ma non solo

Viviamo di miti e cioè di racconti o narrazioni che offrono credibili spiegazioni della realtà che ci circonda. Sono caratterizzati da eroi, dei o personaggi fantastici che influiscono sull’interpretazione del mondo e dettano scelte, comportamenti e visioni credibili della realtà. Ogni epoca e cultura, anche quelle ritenute ‘scientifiche’ o ‘tecnologicamente avanzate’, ha i suoli miti, evidenti o impliciti, riconosciuti o mascherati da apparente razionalità. Nella vita reale sono i miti accettati o subiti che orientano buona parte delle azioni che compiamo. I miti sono anche ciò che possono manipolare la realtà onde renderla funzionale al tipo di mondo e dunque di potere che ogni narrazione perpetua.

In Africa uno dei miti che va per la maggiore è quello della durata ‘divinamente voluta’ dei mandati presidenziali. La componente mitica del potere, pensato come espressione di un’elezione dai contorni divini, fa supporre che il capo non cerchi che il bene e la difesa del popolo. Non casualmente si allungano o trasformano la durata dei mandati che le costituzioni opportunamente avevano regolato per evitare abusi di potere. Quindi si cambia la costituzione o si inventano sistemi per aggirarne i limiti fino, se necessario, al colpo di stato istituzionale o a quello che passa attraverso le armi. Quest’ultimo mezzo apre la via al secondo e altrettanto allettante mito: quello della violenza e dunque delle armi che aiutano a tradurla in pratica come mezzo di trasformazione o di conquista del potere. Dietro questo mito si trova quello dei sacrifici umani che, soli, garantirebbero le fondamenta dello stato, della nazione e la sua identità. I cimiteri, le fosse comuni, i monumenti e le feste nazionali sono solo alcune delle espressioni di questo mito fondatore della storia. La facilità con cui si fabbricano, commerciano, usano e prosperano gli armamenti non è casuale. Il mito della potenza, nato con lo stato e da esso nutrito, non ha memoria. Il mese prossimo si  ricorda  che si realizzò la prima esplosione atomica a Hiroshima. Questa tragedia è volutamente dimenticata.

Mi permetto di inserire un testo col quale avevo partecipato ad un concorso indetto dalle Edizioni Pragmata di qualche anno fa, che richiedeva 100 parole per una foto / 100 palabras por una foto, ovvero si trattava di un Drabble, e che avevo titolato FUNGO MALEFICO:

Da anni desideravo rivedere la spiaggia di Marebello. Calma piatta, mentre i miei piedi, gonfi di atavica stanchezza, si lasciano accarezzare dalle languide onde del mare, che s’infrangono sulla battigia.

Arriva da lontano un vortice rabbioso, un ululare sordo, minaccioso, s’avvicina. Quella sua forma a fungo ricorda lo spaventoso evento del 1945 quando, il mattino del 6 agosto, alle ore 8,16, L’Aeronautica Militare Statunitense sganciò la bomba atomica “Little Boy” sulla città giapponese di Hiroshima, seguita, tre giorni dopo, dal lancio dell’ordigno "Fat Man su Nagasaki. Quanto dolore hanno provocato un ragazzino e un ciccione! La natura ricorda ancora, ribellandosi.

Danila Oppio

Questo racconto è pubblicato in una raccolta che si trova qui:


I regimi militari, che sembrano accompagnare la vita politica di una parte consistente dei Paesi del Sahel, sono anch’essi visti come ‘mitica’ soluzione alla corruzione del sistema politico organizzato attorno ai partiti e alle costituzioni. Sarà l’uniforme, le armi tenute in riserva, l’apparente o reale disciplina che sembrano incarnare, i militari come via di salvezza per il popolo si afferma come un altro mito che riesce ad aggregare ideali, giovani e aspirazioni sopite. La disciplina e l’uomo forte, dallo statuto simile a quello dello sceriffo gemellato con l’idea del re tradizionale, offrono ai militari una riserva quasi inesauribile di fiducia del popolo. I miti sono spesso e volentieri militarizzati e armati.

Infine, è la nazione, intesa come popolo che si identifica dentro uno spazio geografico e culturale prescelto per l’eternità, uno dei grandi miti creati della modernità. I confini, le bandiere, l’esercito, la cultura e la religione formano, così si pensa, un tutto omogeneo e coerente, frutto di una mitica discendenza fatti di eroi, navigatori e santi. Le competizioni sportive con l’inno nazionale, cantato con la mano sul cuore dagli atleti, rappresenta quanto di più emozionante ci sia nella vita. La nazione mitizzata si afferma come unico ambito identitario, e garanzia per usufruire dei diritti inerenti al cittadino. Alle frontiere si fa esperienza, spesso drammatica, di questo mito nazionale. 

Al confine, infatti, i ponti spesso diventano muri, reticolati, zone di non-diritto o di commercio transfrontaliero. I fiumi, i mari e i deserti si trasformano troppe volte in cimiteri non custoditi. Il mito che ne assicura il supporto simbolico sembra godere di un futuro assicurato. Ecco perché smitizzare l’immaginario ereditato e fare dei poveri e oppressi la propria ‘patria’ è l’unico sentiero da seguire.



              Mauro Armanino, Niamey, luglio 2025

sabato, giugno 28

LA GUERRA DI CUI NON SI PARLA di Padre MAURO ARMANINO

Donne venditrici di sabbia

La guerra di cui non si parla

Miete più vittime delle altre registrate nel mondo. L’anno scorso i conflitti armati riconosciuti tali erano 61. Quest’unica guerra uccide più che tutte i conflitti messe assieme. Si tratta della povertà o, se vogliamo, della miseria che porta con sè, troppo spesso nel silenzio, milioni di persone. Un pò come le cosiddette ‘morti bianche’ cioè quelle sul lavoro. Un’altra vera e propria battaglia quotidiana che vede come protagonista chi non è certo di tornare a casa dopo esserne uscito per lavoro, il mattino. Si calcola che l’anno scorso le ‘morti bianche’ hanno raggiunto i tre milioni.

La povertà è peggio perché per gli economisti si perde nelle statistiche mentre per la gente è una sparizione continua che passa inosservata. Ad essere cancellati sono i poveri. Le tracce della miseria durano a lungo perché coinvolgono i bambini, le donne e i giovani. La miseria è il frutto più immediato di guerre, movimenti forzati di popolazione, avversità climatiche ma soprattutto di classi politiche ammalate di potere e spogliamento del popolo nel più breve tempo possibile. Cause esterne, interne e purtroppo ‘eterne’ si perpetuano perché abbiamo smarrito la vergogna.

Sembra davvero scomparsa, la vergogna, dal lessico e soprattutto dal volto, le parole e le azioni. Si tratta di un sentimento, innato e allo stesso tempo culturale, che manifesta l’inadeguatezza tra ciò che è giusto e il nostro agire e sentire. La crescita, tutta occidentale, dell’individualismo e del fin troppo citato relativismo, non possono che produrre l’esilio della vergogna. Gli atti, le scelte, le parole e financo l’abbigliamento non tengono più in conto lo sguardo dell’altro. Il ‘principio responsabilità’ è stato spazzato via dall’utilitarismo capitalista che tutto mercifica e traduce, senza vergogna, in denaro.

Investire somme abissali, destinate a servizi sociali, in armi, ordigni letali studiati e programmati allo scopo di uccidere il ‘nemico’ fa ormai solo vergognare i pochi irriducibili ‘idealisti’. Nel frattempo, nel Sahel imperversa la vulnerabilità alimentare per milioni di persone, l’indigenza al quotidiano, la carenza di strutture educative e sanitarie. Mancano dispositivi che facilitino l’ingresso dei giovani nel mondo lavorativo. Irréductibles. La classe politica non si vergogna di nulla e così gli intellettuali attirati dalla retorica che sembra promettere loro un futuro. Persino i leader religiosi, senza vergogna, puntellano il sistema fatiscente.

Il Fondo Monetario Internazionale, che non è un ente di beneficenza, ha rilasciato un documento che, prendendo in considerazione il Prodotto Interno Lordo dei Paesi, stila la lista dei dieci Paesi col reddito pro capite più basso in Africa. Con tutti i limiti che questa operazione sappiamo comporta, rimane utile affacciarsi su questa strana e drammatica classifica che nasconde ciò che mostra ed evidenzia ciò che nasconde. Ci sono numeri che offuscano le cause e facilitano l’azione di sminamento del sentimento di vergogna che dovrebbe toccare i politici per primi.


Senza sorpresa, l’Africa sub-sahariana domina la classifica. I conflitti cronici, la debolezza istituzionale e una élite politica sempre più spesso militarizzata, non sembra in grado di offrire alternative coerenti ed efficaci alla precarietà di vita dei popoli che dovrebbe servire. Nell’ordine della lista si trova il Sudan del Sud, lo Yemen, il Burundi, la Repubblica Centrafricana, il Malawi, il Madagascar, il Sudan, il Mozambico, la Repubblica Democratica del Congo e il Niger, Paese nel quale ho il privilegio di trovarmi. Tutto ciò dovrebbe far vergognare chi profitta della miseria degli altri per arricchirsi o per illudere i poveri con vuote e false promesse di un domani migliore. 

Finché la vergogna non ritornerà ad essere una materia di insegnamento nella grammatica della vita quotidiana, sarà difficile cambiare lo sguardo sul mondo.

                         Mauro Armanino, Niger, giugno 2025


sabato, giugno 14

L'OMERTA' DEI BUONI di Padre MAURO ARMANINO

L’omertà dei buoni 

Era ciò che più dispiaceva a Norbert Zongo, giornalista del Burkina Faso barbaramente ucciso a causa del suo impegno per smascherare la violenza della menzogna nel suo Paese. Temeva l’omertà dei buoni, il loro colpevole silenzio, più che le azioni dei malvagi. Difficile dargli torto, soprattuto dopo la pubblicazione del recente rapporto realizzato dall’Istituto di Ricerca sulla Pace di Oslo, in Norvegia. L’anno scorso, nel mondo, sono stati registrati 61 conflitti, divisi in 36 paesi. L’Africa resta il continente più toccato con 28 conflitti implicando almeno uno Stato, segue l’Asia, il Medio Oriente, l’Europa e le Americhe. Il numero dei morti è stato, sempre secondo il documento, di circa 129 mila vittime.

L’omertà appare come una forma di solidarietà tra consociati, volta alla copertura di condotte delittuose celando l’identità di chi ha commesso un reato o comunque tacendo circostanze utili per le indagini. In altri termini possiamo parlare di riserbo assoluto per complicità spesso per timore di vendetta. Norbert Zongo non aveva torto a temere l’omertà dei buoni consociati a proteggere soprattutto la propria innocua e banale tranquillità di vita. Essa non va confusa con chi è preso come ostaggio dai gruppi armati che operano nel Sahel, designato come il teatro della violenza di gruppi ‘islamisti’ militanti più letale in Africa per il quarto anno consecutivo. Si parla di 10 400 morti.

Resta da evidenziare, rispetto all’aumento dei conflitti armati  nel mondo, la lista aggiornata dei Paesi produttori di armi che, non casualmente sono membri del Consiglio di (In) Sicurezza delle Nazioni Unite per grazia divina. Stati Uniti (43 per cento della produzione mondiale), Francia, Russia, Cina, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna, Corea del Sud e Israele. In questo ambito l’omertà diventa assoluta e coinvolge i partiti politici, i sindacati, la società civile, i credenti, i cittadini qualunque e le autorità religiose. Si coprono condotte delittuose come l’anti etico e vergognoso aumento delle spese per gli armamenti che coinvolge Paesi e continenti senza differenze politiche, ideologiche o religiose.

L’amico Ouoba di Makalondi, a un centinaio di chilometri da Niamey, non ha potuto raggiungere la capitale perché gli autisti temono attacchi dei gruppi armati. Qualche giorno fa un veicolo è stato bruciato e la gente viaggia ormai solo con la scorta armata. Droni, aerei, blindati, nuove reclute formate alla guerra e armi per combattere e ‘neutralizzare’ il nemico sembra l’unica narrazione del momento nel Paese. Lo ribadisce peraltro anche il testo del nuovo inno della Confederazione degli Stati del Sahel...’Soldati lo siamo tutti...Intrepidi e sovrani... per la parola e per le armi... col sangue e il sudore tu scriverai la storia’. Come comprovato dall’esperienza proprio questa è una storia che si ripete da troppo tempo . Come abbandonare definitivamente il mito della violenza sacrificale.

Spezzare la copertura di azioni delittuose, ossia l’omertà dei buoni non è impossibile. Un esempio è il discorso d’addio del capo redattore del New York Times, John Swinton. Afferma che i giornalisti non sono altro che... ‘Marionette e vassalli di magnati che si nascondono dietro la scena. Tirano le fila e noi danziamo... Il lavoro del giornalista consiste a distruggere la verità, a mentire senza limiti, a pervertire i fatti e gettarsi ai piedi di Mammona: siamo dei prostituti intellettuali’. L’omertà è spezzata.

Intanto l’amico Ouoba scrive in un sms che farà di tutto per arrivare domani a Niamey.




GIUSTIZIA E PACE



Cresimandi

                Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025

venerdì, giugno 13

LUNA DI FRAGOLA, OLEANDRO E FOTO DI PADRE NICOLA GALENO OCD DA BAMBINO - Poesie di PADRE NICOLA E FOTO




LUNA PIENA DELLE FRAGOLE . GIUGNO 2O25

commento di una corrispondente di Padre Nicola Galeno OCD

Deliziosi e tenerissimi questi versi ispirati da una materna luna che veglia solitaria sul nostro sonno che ci priva di un luminoso spettacolo. Grazie per aver generosamente colto il plenilunio con le sfumature di un’intimità preziosissima. NP



E non può mancare una foto di Padre Nicola quando era un bambino che indossava un saio legato a Sant'Antonio di Padova, che i suoi genitori avevano confezionato per ringraziare il Santo che lo aveva guarito dalla malattia. E infatti gli avevano anche dato come nome di Battesimo quello del Santo: Antonio!



sabato, giugno 7

SACRIFICATI di PADRE MAURO ARMANINO

Sacrificati

Nel Niger e in altri Paesi si celebra oggi il memoriale del sacrificio di Abramo. In Africa Occidentale questo giorno è chiamato Tabaski, nome di derivazione berbera che significa, appunto, festa. Le religioni chiamate monoteiste hanno in Abramo un comune antenato nella fede soprattutto per la sua dichiarata obbedienza e disponibilità a sacrificare il figlio della promessa. Isacco per la Bibbia e Ismael per il Corano è l’erede che all’ultimo momento è stato salvato dal sacrificio cruento ad opera del padre Abramo. E’ infatti un capro, secondo rispettivi libri ‘santi’ ad essere sacrificato al posto del figlio amato. Più d’un commentatore ha visto in questo episodio la condanna definitiva dei sacrifici umani sostituiti dagli animali. Nel caso si trattava di un ariete, un capro o qualcosa di molto simile.

In questi ultimi giorni alcune strade della capitale Niamey erano decorate da migliaia di capri parcheggiati il più vicino possibile dalle auto in transito onde facilitare l’acquisto e l’imbarco immediato della vittima prescelta. La transazione è in funzione della grandezza dell’animale, del prezzo e soprattutto dalle ridotte disponibilità finanziarie attuali dei fedeli. I tempi sono duri per mancanza di opportunità lavorative, la liquidità è occasionale e i debiti per la sopravvivenza si accumulano. Il divieto di vendere una parte degli animali all’estero non ha affatto facilitato l’economia di chi aspetta tutto l’anno questo momento per mettere da parte qualcosa per la famiglia. La vista della quantità di animali in lista d’attesa per la vendita sacrificale della festa può destare sentimenti particolari.

I proprietari degli animali li nutrono fino alla fine per renderli più presentabili e appetibili agli acquirenti. I ‘piccoli ruminanti’, come sono qui chiamati, forse non pensano neppure lontanamente a ciò che li aspetta. Sacrificati, sgozzati, liberati dalle interiora e stesi aperti su paletti di legno debitamente incrociati. Poi la legna è deposta per la cottura con le braci che produce l’aria di fumo infiltrata dal tipico sapore della carne rosolata. Per loro, gli animali, sarà tardi per capire come l’insieme era stato predisposto per il sacrificio rituale e che, tutto era già scritto fin dalla nascita. Nati per essere sacrificati per un giorno di festa, degli altri beninteso. La vista dei capri sacrificati genera anche tristezza perché non può non far pensare alle moltitudini sacrificate.

Purtroppo, i sacrifici di animali non hanno affatto sostituito quelli umani. I due generi sacrificati continuano affiancati, umani e animali, senza troppe resistenze dei comuni cittadini, risparmiati, per ora. La crescita rilevante della fabbricazione, vendita, commercio e uso delle armi prepara altri e numerosi sacrificati al sistema di spossesso globale della vita. La vergogna di quanto è accaduto e sta accadendo in quella particolare terra che è Gaza è fin troppo dolorosamente noto per continuare a chiudere gli occhi. Così per i sacrificati da interessi di potere e economici nel Sudan e nella Democratica Repubblica del Congo di cui si è, da tempo, perso il conto. Nel Sahel dove da anni i contadini sono ostaggi di gruppi armati di un’ideologia religiosa e politica necrofila che affonda le sue radici nell’assenza di uno stato degno di questo nome. I sacrificati in Europa per una guerra che troppi desiderano continui per meri interessi economici e geopolitici. 

I capri sacrificati di Niamey non sono che una metafora degli umani sacrificati su altari che talvolta non hanno scelto oppure hanno contribuito a costruire per ignavia o distrazione. Tutto potrebbe cambiare un giorno, senza armi in mano, con un semplice ‘no’ ai tiranni di turno.

                Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025















sabato, maggio 31

I SOGNI CONFISCATI E LA FORESTA di PADRE MAURO ARMANINO


I sogni confiscati e la foresta

Foto reperite nel web

Sono entrambi originari della Costa d’Avorio ed è per me come un piacevole ‘giocare in casa’. Non si dimentica mai il primo amore. Sbarcato in questo Paese nel millennio scorso, dal 1976 al ’78, la prima volta nel continente africano. Il ritmo della lingua, i luoghi e lo stile sono riconoscibili ad occhio e orecchio nudo. Traoré di mestiere panettiere e pasticciere nella città di Man, nel nord ovest della Costa d’Avorio. Partì l’anno scorso, coi suoi 32 anni e una famiglia lasciata a casa, per inventarsi un futuro diverso e più luminoso di quello che si trova tra le mani che impastano povertà e nulla più. Derubato come tutti i migranti dai gruppi armati nel Mali, raggiunge l’Algeria e lavora prima come panettiere e poi, al solito, in un cantiere edile ‘cinese’ della capitale. Al momento di ritirare il frutto del suo lavoro arriva ‘casualmente’ la polizia che spoglia i migranti di tutti gli averi, li arresta e li deporta a Tamanrasset in un centro di detenzione. Da lì, lui e gli altri saranno condotti al confine col Niger, in un luogo desertico che bisognerà attraversare per raggiungere la prima cittadina abitata, Assamaka.

Ali ha invece 19 anni. Non ha potuto terminare la scuola elementare e fatica a leggere e scrivere in francese. In Costa d’Avorio era apprendista riparatore di frigoriferi e climatizzatori. Vorrebbe imparare meglio il mestiere e mettere da parte il capitale per viaggiare in Europa, dove i sogni si infrangono sulle coste, o ancora prima di raggiungere il mare. Per questo passa un paio di settimane in Tunisia. Il tempo di essere deportato in Algeria e da lì, come Traorè suo compatriota, gettato nella fascia di deserto che non separa affatto l’Algeria dal Niger. Lui e Traoré mettono assieme i sogni confiscati dal sistema che stima né utile né sopportabile accettare chi non si adegua alle norme stabilite di sparizione programmata dei giovani per luogo di nascita. Ali e Traoré sono tra le migliaia di giovani che inventano, tessono, rischiano sogni non esportabili o delegabili ad altri. Assumono il rischio dell’incomprensione, della persecuzione e financo dell’eliminazione dei giovani che osano un futuro fuori dalle regole stabilite dal sistema dominante. Diventano, malgrado loro, rivelatori di violenza.

La stessa che accompagna da decenni la Democratica Repubblica del Congo, ex Zaire di Moboutu Sese Seko dittatore liquidato poi dai Grandi. Ousmane di 23 anni, imbianchino senza lavoro. Abbandona la capitale dove ha il dubbio di essere inghiottito dal nulla per la nascita in una famiglia numerosa e andare, con un sogno nascosto negli occhi, a sfidare il Mediterraneo. Sarà invece il mare di sabbia, il Sahara, nome che significa, per l’appunto, mare che pone una barriera invalicabile al suo andare. Passato il deserto algerino sarà catturato, spogliato degli averi e imbarcato, assieme agli altri e come pacchi postali sul camion fino alla frontiera di sabbia col Niger. Ousmane e i due ivoriani passano qualche giorno ad Assamaka, saturata con migliaia di migranti espulsi dall’ Algeria, la Tunisia, la Libia e il Marocco. L’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, a nome delle Nazioni Unite, è in difficoltà per accogliere, nutrire e ricondurre i migranti ai rispettivi Paesi di origine. Questa è la ragione per la quale i tre amici hanno raggiunto fortunosamente la capitale Niamey. Scampati dal deserto, Traoré Ali e Ousmane non vogliono chiudere i loro giorni in un labirinto umanitario che assomiglia fin troppo all’anticamera dell’inferno.

I sogni confiscati dal sistema non vanno affatto perduti perché sono come semi che seppelliti nel letame dei potenti, a loro insaputa, crescono e prosperano. Senza darlo a vedere e, ispirati da innumerevoli poeti scomparsi, si sono messi assieme. Stagione dopo stagione e albero dopo albero si è andata formando una foresta che nessuna cartina o rilevamento dall’alto potrà identificare. La foresta dei sogni confiscati offre riparo e cittadinanza alle utopie e a quelle che alcuni bollano come ‘illusioni’. Dentro la foresta si trovano gruppi di bambini che giocano con gli animali e inseguono farfalle di ogni tipo. Al centro del bosco c’è una sorgente d’acqua perenne che disseta i sogni e li affida, come preziosa eredità, al vento cha passa ogni mattina di buonora.


             Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025



domenica, maggio 25

SPAZIO FRANTZ FANON - Psichiatra, antropologo, filosofo e saggista francese . Foto ricevute da Padre Mauro Armanino e altre reperite nel Web

Momenti di preghiera e riunioni a Niamey (NIGER)


Frantz Fanon

Frantz Fanon è stato uno psichiatra, antropologo, filosofo e saggista francese, nativo della Martinica e rappresentante del movimento terzomondista per la decolonizzazione.Nascita: 20 luglio 1925, Fort-de-France, Martinica, Morte: 6 dicembre 1961, Bethesda, Maryland, Stati Uniti




sabato, maggio 24

LA FEBBRE DELL'ORO NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO


La febbre dell’oro nel Sahel

Partito dal Paese più ‘giovane’ del mondo, il Sud Sudan, James si è prefisso di cercare l’oro ovunque si trovasse.  Parte dalla capitale Djuba nel 2021 e passa nell’altro Sudan per raggiungere il Ciad. Lavora per qualche mese in una zona aurifera e riesce a mettere da parte qualche centinaio di migliaia di franchi locali. Di ritorno dalle miniere è derubato dai banditi di quanto aveva faticosamente risparmiato. Arriva in Libia e vi rimane il tempo necessario per capire di andare dove l’oro è a portata di mano, per esempio nel confinante Niger. James si impegna per seguire il cammino dell’oro e ne trova quanto basta per decidere di partire. Ma solo per essere derubato da banditi o da ‘terroristi’ che gli portano via il ricavato di altri mesi di arduo scavo nelle miniere della zona. Non gli rimane che andare ancora più lontano e tentare la sorte nel confinante Burkina Faso.

Lavora duro per sei mesi e la somma accumulata passa il milione di franchi che gli sono sottratti da elementi dei gruppi armati che finanziano l’insurrezione nel Sahel anche grazie al sostegno dell’oro. Conoscono le zone, le piste, i passaggi e James può dirsi fortunato se ha salvato la vita. Gli hanno preso tutto quanto possedeva, soldi, borsa da viaggio e i documenti che gli rimanevano dopo tutti questi viaggi. Stavolta è l’oceano Atlantico a sedurlo perché raggiunge  prima il Togo e poi il Benin. Senza più nulla in tasca riesce in qualche modo a percorrere lo stesso cammino a ritroso. I militari del Burkina lo accompagnano alla frontiera col Niger. Sbarcato da una settimana nella capitale del Paese, Niamey, non esita a presentarsi presso le agenzie delle Nazioni Unite. Senza documenti di viaggio o d’identità appare nell’ufficio ‘migranti’ con un foglio che porta la scritta ‘Cattedrale Zongo’.

Accanto al nome della cattedrale c’era quello del sottoscritto e dunque James può raccontare la sua storia affascinante e tragica di cercatore d’oro. Non ha casa, cibo, lavoro, documenti e solo gli rimane la storia vissuta e il desiderio di tornare al suo Paese di origine con la complicità delle apposite istituzioni delle Nazioni Unite. James è consapevole che le locali autorità esigono documenti in regola e continua a sostenere che finora in Africa si poteva viaggiare così, liberamente e senza documenti particolari. E’ accampato presso l’Ufficio Polivalente delle Nazioni Unite per i rifugiati e richiedenti asilo i cui bisogni superano largamente le reali possibilità del Servizio. Convivono all’aperto altri sudanesi, centroafricani, somali e cittadini originari dell’Etiopia, Yemen e Palestina. Un’intera cartina geografica dei disastri provocati da interessi, guerre, lotte di potere, armi e follia geopolitica.

James rimane imperturbabile e anche quanto racconta di essere stato derubato dal ricavato dell’oro sembra come parlare di avvenimenti ineluttabili. La persona che ha attraversato il Sudan, il Tchad, la Libia, il Niger, il Burkina Faso, il Togo, il Benin e il ritorno nel Niger non è la stessa di prima. Lui stesso è stato attraversato dalle frontiere dell’oro e dei banditi che l’hanno derubato del lavoro e del tempo. James vuole tornare al suo Paese di origine, il Sud Sudan, malgrado il Paese sia tutt’altro che stabile, ma non gli importa. Afferma sottovoce che l’oro che cercava lontano si trovava dentro di lui.


             Mauro Armanino, Niamey, maggio 2025