ZIBALDONE DEI PENSIERI
Stralcio dalle prime pagine e commenti di Danila Oppio
In molte opere di mano dove c’è
qualche pericolo (o di fallare o di rompere ec.) una delle cose più necessarie
perché riescano bene è non pensare al pericolo e portarsi con franchezza. Così
i poeti antichi non solamente non pensavano al pericolo in cui erano di errare,
ma (specialmente Omero) appena sapevano che ci fosse, e per franchissimamente
si diportavano, con quella bellissima negligenza che accusa l’opera della
natura e non la fatica. Ma noi timidissimi, non solamente sapendo che si può
errare, ma avendo sempre avanti gli occhi l’esempio di chi ha errato e di chi
erra, e però pensando sempre al pericolo ( e con ragione perché vediamo il
gusto corrotto del secolo che facilissimamente ci trasporterebbe in sommi
errori, osserviamo le cadute di molti che per certa libertà di pensare e di
comporre partoriscono mostri, come sono al presente, per esempio, i romantici)
non ci arrischiamo di scostarci non dirò dall’esempio degli antichi e dei
Classici, che molti pur sapranno abbandonare, ma da quelle regole (ottime e
Classiche ma sempre regole) che ci siamo formate in mente, e diamo in voli
bassi, né mai osiamo alzarci con quella negligente e sicura e non curante e
dirò pure ignorante franchezza, che è necessaria nelle somme opere dell’arte,
onde pel timore di non fare cose pessime, non ci attendiamo di farne delle
ottime, e ne facciamo delle mediocri, non dico già mediocri di quella
mediocrità che riprende Orazio, e che in poesia è insopportabile, ma mediocri
nel genere delle buone cioè lavorate, studiate, pulitissime, armonia
espressiva, bel verso, bella lingua, Classici ottimamente imitati, belle
imagini, belle similitudini, somma proprietà di parole, (la quale soprattutto
tradisce l’arte) insomma tutto, ma che non sono quelle, non sono quelle cose
secolari e mondiali, insomma non c’è più Omero Dante l’Ariosto, insomma il
Parini il Monti sono bellissimi, ma non hanno nessun difetto. (LEOPARDI)
Mi soffermo un attimo su questa parte, che vista con gli occhi della
scrittura odierna, appare ampollosa e ripetitiva, con quei franchissimamente e facilissimamente decisamente eccessivi, di una spesso mancata punteggiatura, (volutamente
mancata?) quell’imagini che pare un
errore di stampa ma che appartiene all’autore.
Quel che invece appare chiarissimo è il pensiero del Poeta-filosofo sul
modo di poetare troppo studiato, elaborato, che però manca di spontaneità, anche
di fantasia, ma soprattutto mancante di quei difetti che fanno dell’artista un
genio! Geniale il nostro Giacomo!
Quanto scrive qui Leopardi, pare di riviverlo ai giorni nostri.
L’inciviltà che progressivamente avanza a seguito di una precedente civiltà,
che deturpa le menti, che manca di fantasia, l’illusione che fa dell’uomo un
essere pensante, la speranza che tiene in tensione gli animi, l’ardore. Della
Ragione che annebbia i sentimenti che non si riescono più ad esprimere
artisticamente. E non è il caso di ripetere
quanto sostiene l’autore. Duecento anni fa lamentava le stesse situazioni che
si stanno verificando oggigiorno. O che si erano presentate ai tempi
dell’Impero Romano, della Magna Grecia e, in epoche più recenti, di tutti
quegli imperi nati da guerre espansionistiche, come quelle volute dall’Impero
Napoleonico o Britannico. Ma anche dell’Italia con le sue Colonie. Che è
rimasto? E lo stesso decadimento è avvenuto nell’arte, in tutte le sue forme. (Recentemente ho scritto di Marina Abramovic
e della sua installazione a Palazzo Strozzi, potrebbe essere definita in vari
modi, forse novità, fuorché opera d’arte). Si tratta dei corsi e ricorsi
storici. Cadute e risalite, ma più spesso veri e propri cedimenti. E in queste
due pagine Leopardi ne fa un tratto molto chiaro. Così come vanno oggi le cose,
direi che siamo arrivati alla frutta. A parte qualche rara eccezione che appartiene a uomini
carichi di umanità, di sapienza, di buon senso e di vero senso dell’arte.
Per ora ho espresso il mio pensiero che collima perfettamente con quello
dell’autore dello Zibaldone.
Ho notato espressioni linguistiche tipiche dell’epoca in cui visse, oggi un
po’ arcaiche, ma anche altre, che sono tuttora attuali nel parlato odierno.
“…un popolo oltremodo illuminato non diventa mica civilissimo…!
“ non importava un fico… Noi avremmo aggiunto “secco”.
Vi suggerisco di meditare su queste sue due pagine e soprattutto sulle
due righe finali dello scritto leopardiano.
Danila Oppio
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