La pittrice canadese Maud Kathleen nasce nell’Ohio del Sud, il 7 marzo del 1903. Fin dalla nascita soffre di artrite reumatoide che le causa forti dolori, limitandola nei movimenti. La malattia condiziona la sua vita. Probabilmente anche a causa degli atteggiamenti vessatori dei suoi coetanei, a quattordici anni decide di abbandonare gli studi.
La ragazza vive la sua giovinezza isolata, i genitori la circondano di attenzioni, la madre, Agnes, molto amorevole, le trasmette la passione per la pittura. Insieme si dipingono ad acquarello cartoline di Natale, per poi rivenderle. Questa piccola attività diventa un modo per contribuire al sostentamento della famiglia.
Maud a pochi anni di distanza perde i suoi genitori, nel 1935 il padre, John Dowley e nel ’37 la madre Agnes. Il fratello maggiore, Charles, divenuto erede universale, la costringe a ritirarsi nella casa di una zia a Digby.
Non ci sono gioie per Maud che, con il suo carattere mite, continua ad essere travolta dagli eventi. Dopo una relazione con il giovane Emery Allen, nasce Catherine, ma Emery non si assume nessuna responsabilità e Maud è costretta a dare in adozione la sua unica figlia, con la quale non si ricongiungerà mai.
Maud, nonostante tutte le avversità, mantiene una grande forza d’animo e sente sempre di più il bisogno di crearsi una vita indipendente. Risponde così a un annuncio di ricerca di una domestica. Maud si reca a casa di Everett Lewis, un venditore ambulante di pesce. In realtà non era una vera e propria casa, ma una piccola baracca, composta da un’unica stanza e un sottotetto, che serviva da camera da letto. Nella casa non c’era nessun comfort, non c’erano né acqua né elettricità, solo una stufa a legna che serviva per riscaldare e cucinare.
Ma Maud in quella umile dimora trova tutto ciò che desidera: la libertà.
Lentamente il rapporto tra Maud ed Everett si trasforma, finché decidono di sposarsi. Maud dipingeva, dipingeva continuamente. I suoi colori invadono la piccola dimora, ogni angolo viene dipinto, in ogni superficie c’è una traccia del passaggio dei suoi pennelli: sui vetri, le porte, le finestre, le mensole, le pareti.
La coppia vive poveramente, in una casa fredda che fa peggiorare le condizioni di salute della pittrice, ma Maud non si arrende e instancabile continua a lavorare e a dipingere. Fuori dalla baracca appende un cartello con scritto: “Painting for sale”.
Si sparge la voce e le persone raggiungono l’umile casa per comprare i suoi quadri, e per ordinarne altri. Per la maggior parte della sua vita lavora così, nell’anonimato, fino a quando nel 1964 il quotidiano nazionale di Toronto, lo Star Weekly, le dedica un articolo portando all’attenzione del pubblico l’arte di questa artista unica.
"Maud Lewis – scrive Stefania Delendati – una delle artiste folk canadesi più conosciute, aveva qualcosa di speciale. È stata un esempio del trionfo dello spirito umano sulle avversità, un modello di resilienza, parola che oggi va di moda e che lei, non conoscendola, ha messo in pratica con naturalezza. Una donna intensa, appassionata e particolarissima, delicata nel corpo e dotata di una forza mentale eccezionale. Chi si trova davanti alla ricostruzione della sua minuscola casetta, stenta a credere che una persona con i suoi problemi di salute abbia potuto viverci per oltre trent’anni".
Dopo l’articolo dello Star Weekly, nel 1965 arriva il documentario della CBC-TV, la intervistano nella sua casa e così diventa nota in tutti gli Stati Uniti, anche il presidente in carica, Richard Nixon, le commissiona un paio di dipinti
I suoi dipinti sono contraddistinti da una vivacità di colore e da una semplicità di forme, ritraggono scene di vita quotidiana, bucolici paesaggi disseminati di alberi, fiori, animali. Sono solitamente di piccole dimensioni, essendo Maud limitata nei movimenti. La sua arte commuove profondamente, come colpisce la semplicità di questa coppia che vive con umiltà e dignità.
L’artista dovette arrendersi alla malattia il 30 luglio del 1970. Everett fu ucciso da un ladro, che si era introdotto nell’abitazione, nel 1979.
Dopo la morte di entrambi i coniugi Lewis, la casa iniziò a deperire. Ma, grazie alla sensibilità di alcuni cittadini dell’area di Digby, la casa è stata poi consegnata alla cura della Art Gallery della Nuova Scozia ad Halifax, che l’ha restaurata e trasformata in casa museo con la galleria permanente dei dipinti di Maud.
Note
1 1. Il 4 ottobre del 2018, la figlia di Maud, Catherine, ormai diventata nonna, si è recata nella casa museo, con il figlio e i nipoti. Il figlio Benoit ha raccontato che Catherine parlava molto di rado della sua vera madre. Ma quel momento di ricongiungimento è stato per tutti una grande emozione: https://atlantic.ctvnews.ca/maud-lewis-descendants-have-special-homecoming-at-n-s-art-gallery-1.4122360
2 Negli ultimi anni, i suoi dipinti sono stati venduti all'asta con un costante aumento dei prezzi. Due dei suoi dipinti sono stati venduti a più di $16.000. Il prezzo d'asta più alto è di $22.200 per il lotto 196 "A Family Outing". Il quadro è stato venduto all'asta di Bonham a Toronto il 30 novembre 2009. Un altro dipinto, "A View of Sandy Cove", fu venduto nel 2012 per $20.400. Un dipinto ritrovato nel 2016, "Portrait of Eddie Barnes and Ed Murphy, Lobster Fishermen", in un negozio dell'usato in Ontario è stato venduto in un'asta online terminata il 19 maggio 2017 a un prezzo di $45.000
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maud Kathleen Lewis
Nel 2016 è uscito il film Maudie - Una vita a colori, diretto da Aisling Walsh con protagonisti Sally Hawkins e Ethan Hawke, che racconta la storia della sua vita
Il museo di Maud: https://artgalleryofnovascotia.ca/maud-lewis
prima immagine: Maud Lewis di fronte a casa sua. Foto di Ron Cogswell. Fonte Flickr. CC BY 2.0
seconda immagine: La casa di Maud Kathleen Lewis. Foto di Jock Rutherford. Fonte Flickr. Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic license.C’era una casetta piccolina in Canadà”: era quella di Maud Lewis
«Maud Lewis – scrive Stefania Delendati – una delle artiste folk canadesi più conosciute, aveva qualcosa di speciale. È stata un esempio del trionfo dello spirito umano sulle avversità, un modello di resilienza, parola che oggi va di moda e che lei, non conoscendola, ha messo in pratica con naturalezza. Una donna intensa, appassionata e particolarissima, delicata nel corpo e dotata di una forza mentale eccezionale. Chi si trova davanti alla ricostruzione della sua minuscola casetta, stenta a credere che una persona con i suoi problemi di salute abbia potuto viverci per oltre trent’anni».
Halifax, capitale della provincia della Nuova Scozia nel Canada Orientale. Presso l’Art Gallery of Nova Scotiadella città c’è un’opera bizzarra. Si tratta di un’esuberante casetta di legno, decorata con disegni a colori vivacissimi. Disegni semplici, fiori e animali, eppure non infantili ad osservarli bene, anche se richiamano alla gioia pura che soltanto i bambini possono provare.
Prima di diventare un’installazione artistica, quella minuscola abitazione che sembra uscita da una favola è stata per trentadue anni l’abitazione di una pittrice folk semi-sconosciuta di nome Maud Lewis.
Il cinema ha contribuito a svelarne l’esistenza fuori dai confini canadesi, nel 2016, quando al Toronto Film Festival ha debuttato Maudie – Una vita a colori, intensa pellicola biografica che narra la vicenda umana di questa piccola straordinaria donna con disabilità. Un’esistenza poverissima e ai margini, caratterizzata dal sorriso e dalla serenità che sapeva trasmettere con le sue opere e – afferma chi l’ha conosciuta – dal suo modo di essere timido e dolce.
Il cognome da nubile di Maud era Dowley, nacque il 7 marzo 1903 in Nuova Scozia, probabilmente a Yarmouth. I genitori, John e Agnes, non disponevano di grandi risorse e potevano offrire poco alla loro bambina, venuta al mondo con gravi problemi fisici.
L’artrite reumatoide la costrinse a convivere dalla più tenera età con un dolore costante, la malattia le deformava le dita, le incurvava le spalle, il mento restava premuto contro il petto, l’andatura era claudicante. Era più piccina dei coetanei, a scuola il suo aspetto la rendeva una vittima prediletta di bullismo. Maud ne soffriva, si sentiva a disagio, ragion per cui abbandonò gli studi a quattordici anni.
Cominciò a trascorrere molto tempo da sola, ma non era infelice. I genitori la circondavano di cure amorevoli e, malgrado le difficoltà, le insegnavano che anche lei aveva delle potenzialità. La mamma dipingeva cartoline di Natale che rivendeva per raggranellare qualche soldo, fu lei ad impartirle le prime lezioni di disegno. Maud seguì le orme materne con i biglietti augurali, un formato piccolo scelto per necessità, perché le grandi tele erano impossibili da “affrontare” con i limitati movimenti delle sue braccia (nella sua carriera produrrà solo cinque quadri di sessanta centimetri per novanta).
La casetta di Maud Lewis, fedelmente ricostruita nell’Art Gallery of Nova Scotia di Halifax (Canada).
Quando le mani devastate dall’artrite non le consentirono più di suonare il pianoforte – altra sua passione – colori e pennelli diventarono gli unici amici. Resterà questo il periodo più sereno della sua vita, perché poi, dalla metà degli Anni Trenta, l’esistenza di Maud prese una piega drammatica.
Nel 1935 morì il papà, seguito due anni dopo dalla mamma. Il fratello maggiore, Charles, reclamò per sé l’eredità di famiglia, estromettendo la sorella che, rimasta senza alcun mezzo di sostentamento, fu costretta a trasferirsi a casa di una zia, nella cittadina di Digby.
Nella medesima contea si trova Marshalltown, una comunità rurale dove abitava Everett Lewis, venditore ambulante di pesce. Scapolo quarantenne, rozzo e semianalfabeta, aveva bisogno di una governante tuttofare e mise un annuncio in un negozio locale. Un giorno sentì bussare alla porta della sua microscopica dimora, andò ad aprire e si trovò davanti Maud. Quello scricciolo fragile, somigliante a un folletto, era interessato ad accettare l’impiego come domestica. Fino ad allora aveva conosciuto soprattutto la solitudine e l’emarginazione, Maud aveva voglia evidentemente di riscatto e indipendenza.
Non è dato sapere quale alchimia scattò tra i due, sta di fatto che nel 1938 diventarono marito e moglie.
La casa coniugale era l’angusto capanno di Everett, un’unica stanza con soffitta, il tetto spiovente per difendersi dalle gelide tempeste atlantiche, senza elettricità né acqua corrente, una stufa in ghisa alimentata a legna serviva per riscaldare e cucinare. Al piano di sopra si andava la sera, per dormire, salendo sulla scaletta scricchiolante almeno quanto le ossa di Maud.
La giovane sposa trasformò quel tugurio nel suo studio, tra quelle mura squallide dipingeva le cartoline che poi vendeva ai clienti del marito a venticinque centesimi l’una, quando lo seguiva nel quotidiano giro del pesce.
Le scene di vita quotidiana riprodotte con colori brillanti ebbero un successo immediato e la incoraggiarono a prendere sul serio quello che fino ad allora era stato un passatempo. Everett le comprò il primo set di colori ad olio e le tagliò piccole tavole di legno su cui disegnare. Non si sa se lo fece per amore o perché aveva fiutato l’affare. I conoscenti, anni dopo, lo descriveranno come un uomo avaro che, per risparmiare, aveva rimosso le batterie dalla radio, impedendo a Maud di ascoltarla, e nascondeva i magri guadagni delle cartoline sotto le assi del pavimento o in vasi sepolti nel terreno.
Ad un certo punto il progredire dell’artrite non permise più a Maud di svolgere i lavori domestici, se ne occupava Everett, lamentandosi. Appollaiata su una sedia accanto alla finestra, lei creava intanto il suo mondo fantastico. Dipingeva ogni superficie disponibile nella casupola, finestre, porte, carta da parati, la stufa, il lavabo, perfino le teglie per i dolci, nulla sfuggiva al suo traboccante estro artistico. Le pareti divennero un paradiso terrestre di foglie, boccioli, uccelli e farfalle; l’intera casa un inno alla gioia che nessuno si sarebbe aspettato, conoscendo la dolorosa quotidianità dell’artista. E possiamo immaginare quanta fatica le costò decorare quegli spazi, lei che teneva il pennello con la mano contorta, sorreggendola con l’altro braccio.
Il passaparola attirò un numero crescente di curiosi a Marshalltown, civico 1 in una stradina sterrata e isolata ai margini dell’Highway, la principale arteria viaria della Nuova Scozia occidentale. Sul ciglio della strada era affisso un cartello, Dipinti in vendita, la gente svoltava all’interno e per due o tre dollari, al massimo cinque, si portava a casa un dipinto gioioso.
Maud stendeva un primo strato di bianco, disegnava le linee guida e infine dipingeva, estraendo la pittura pura dal tubetto, senza mischiare o sfumare i colori. La prospettiva era infallibile, le veniva spontaneo, non aveva mai frequentato alcuna accademia d’arte. Traeva ispirazione dalla sua infanzia, dai rari viaggi in città e dal paesaggio che intravedeva dalla finestra: «Dipingo tutto a memoria, non copio molto, perché non vado da nessuna parte, faccio solo i miei disegni».
Nei quadri di Maud le persone sorridono felici su carrozze vivacemente equipaggiate, i buoi portano al collo campanacci da cui pare uscire il suono, gli alberi sono un tripudio di fiori, i bambini pattinano, le barche galleggiano sull’acqua mentre i gabbiani volano placidi sul mare. I soggetti prediletti erano i gatti dallo sguardo allegro, occhi spalancati su campi di tulipani
Un’altra nota opera di Maud Lewis.
Il passaparola trasformò Maud in una celebrità. Nel 1964 il giornale di Toronto, «Star Weekly», pubblicò un articolo su di lei, e nel 1965 la CBC-TV le dedicò un documentario.Dopo la trasmissione, divenne una figura di culto in Canada, i suoi dipinti si vendevano anche a dieci dollari, un’inezia considerando che nel 2017 un quadro della Lewis è stato battuto all’asta per 45.000 dollari e un piccolo originale autenticato ne vale fino a 2.000.
La sua notorietà raggiunse gli Stati Uniti e durante la sua presidenza alla Casa Bianca, Richard Nixon le commissionò due dipinti. Era lei il capofamiglia, quella che portava a casa il pane, ma non pareva affatto farci caso. Il suo piacere più grande restava l’atto creativo in sé, vedere la felicità negli occhi di chi guardava i suoi disegni e con essi tornava ad apprezzare il piacere delle cose semplici.
Durante i suoi ultimi cinque anni di vita, un flusso costante di persone si affacciava alla porta della sua casa, tutti erano intrigati dal suo spirito e da quello stile pieno di vitalità, dal suo vivere solitario. Solitario sì, ma anche insalubre e per nulla adatto ad una donna nelle sue condizioni di salute.
Nel 1969 fu un continuo pellegrinaggio avanti e indietro dall’ospedale. Confinata permanentemente in casa, quando non era ricoverata, rimaneva nel solito angolo davanti alla finestra, dipingendo ogni volta che poteva. Morì nel nosocomio di Digby, il 30 luglio 1970, per le conseguenze di una polmonite. Il suo apparato respiratorio era rovinato dalla costante esposizione alle vernici e al fumo della legna.
Aveva sessantasette anni, venne coricata in una bara per bambini e sepolta in una tomba per indigenti. Un finale ingrato per quella che ormai era una figura di culto in Canada.
Dopo la sua scomparsa alcuni truffatori – tra cui, si dice, il marito – produssero dei falsi con l’intento di speculare sulla fama dell’artista, una pittrice prolifica che aveva lasciato centinaia di opere, un’icona del movimento popolare per la quale la domanda del mercato era aumentata.
Fortunatamente non tutti miravano al vile denaro. Dal 1979, anno della morte di Everett per mano di un ladro, la casetta cominciò ad andare in rovina. Nella contea molti la consideravano un monumento, e così un gruppo di cittadini fondò la Maud Lewis Painted House Society, un’organizzazione che aveva lo scopo di raccogliere fondi per ristrutturare quella dimora dipinta con amore. Resisi però conto che l’impresa avrebbe richiesto molto più denaro di quanto sarebbero riusciti a racimolare, nel 1984 la casa venne venduta alla Provincia della Nuova Scozia e consegnata alle cure della Art Gallery of Nova Scotia, smontata, restaurata e rimontata all’interno della galleria, dove tuttora si trova come parte permanente della mostra di Maud Lewis.



Nella posizione originaria, a Marshalltown, vi è invece una replica dell’abitazione in acciaio, mentre nel 1999, pochi chilometri più a Nord, sulla strada per Digby, un pescatore in pensione ne ha costruito una copia fedele, completa degli interni.
Chi si trova davanti all’originale o a uno dei suoi “cloni”, stenta a credere che in quello spazio ristretto abbia potuto vivere una persona per oltre trent’anni. Maud era una “finta semplice”, mi si passi la definizione, come le sue opere, evocative e nostalgiche, che risultano infantili soltanto ad un occhio poco attento, perché in realtà hanno composizioni sofisticate e denotano un acuto spirito di osservazione.
Aveva qualcosa di speciale, è un esempio del trionfo dello spirito umano sulle avversità, un modello di resilienza, parola che oggi va di moda e che lei, non conoscendola, ha messo in pratica con naturalezza. Una donna intensa, appassionata e particolarissima, delicata nel corpo e dotata di una forza mentale eccezionale.
* Il presente testo è già stato pubblicato su Superando.it, il portale promosso dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), e viene qui ripreso per gentile concessione.
Il signor Everett assume come governante Maudie, una donna molto fragile ma dall’anima profonda. L’uomo ben presto si innamora di lei. Tratto dalla vera storia di Maud Lewis.
La felicità è racchiusa in due cose: una finestra davanti agli occhi e un pennello fra le mani. Maud, fragile nel fisico ma lucidissima nella mente, riesce nonostante l’artrite deformante a vivere un’esistenza artistica e coniugale appassionata e appassionante.
Ispirato alla biografia della pittrice folk Maud Lewis, Maudie è il classico melò che vibra esclusivamente grazie alla performance toccante della sua interprete protagonista. Mai come in questo ruolo che la vede ripiegata nel corpo deforme ma vibrante nello sguardo, Sally Hawkins riesce a illuminare ogni singola inquadratura in cui è presente.
Fin dalla scena iniziale è sufficiente il suo occhio attento a sbirciare la mano deformata che stringe faticosamente il pennello mentre è sorretta da un braccio sofferente, per raccogliere l’intensità dedicata al personaggio dall’attrice inglese: un mondo unico e parallelo alla “normalità” è racchiuso in quell’attimo, sintomo di una forza straordinaria nel senso letterale del termine.
A farle da specchio è l’interpretazione intensa di Ethan Hawke nei panni del marito Everett Lewis: rozzo commerciante, semi analfabeta, solitario e certamente problematico, l’uomo sposò Maudie prendendosela in casa prima come donna di servizio e poi come moglie.
Più che l’universo artistico di questa donna particolarissima, il film di Aisling Walsh si concentra sulla storia d’amore fra i due, coppia di “freak” confinati nelle terre gelide dell’Ontario costiero, capaci di intendersi attraverso una “diversità” fatta di codici in miniatura, proprio come la fragile corporatura di Maudie. La commozione non manca nel corso della pellicola, specie verso un finale piuttosto ovvio e da nota biografia. Resta la convinzione che senza Sally Hawkins in questo film non esisterebbe.
Termino qui, ma ci sarebbe molto altro da scrivere su questa forte donnina, capace di trovare il modo per rendere speciali i suoi giorni, pur se colmi di dolore.