POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

domenica, ottobre 13

DIMENTICANZE, CENSURE E RESISTENZE NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO

Dimenticanze, censure e resistenze nel Sahel



Ci sono persone …. Che dicono ‘No’, quando la maggioranza annuisce con rassegnato disinteresse… 

Che alzano la fronte, quando la maggioranza la inclina… 

Che smettono di credere, quando il credo ufficiale si impone sulla maggioranza… (capitano Marcos)

Il tempo, lo sappiamo, fa il lavoro per il quale è stato inventato. Aiuta a ricordare, dimenticare e ricostruire il passato secondo l’interesse del presente. Qui a Niamey, la capitale del Niger, i primi giorni dagli arresti domiciliari del presidente riconosciuto dalla Comunità Internazionale, Mohammed Bazoum, erano tesi e concitati. Sembrava proprio, come molti hanno notato, il colpo di stato di troppo in questo Paese eppure avvezzo a questa maniera per riattivare la vita politica trovatasi in un’impasse. Nel passato era già accaduto che la guardia presidenziale, al servizio della sicurezza del presidente in carica, lo avesse invece liquidato in modo efferato. Accadde all’aeroporto militare di Niamey il 9 aprile del 1999 e sembra che lo stesso comandante della guardia fosse implicato. 

Abbiamo dunque fatto progressi. E’ bastato rinchiudere il presidente e la sua famiglia nella casa presidenziale perché il colpo di stato militare assuma forma e contenuti poi esplicitati. Chi si trovava nel Paese in quei giorni, ricorda il palpabile timore che le truppe della Comunità economica degli stati occidentali, Cedeao, intervengano per liberarlo. Il tempo, lo sappiamo, fa il lavoro per il quale è stato inventato. Ci si è in fetta dimenticati del presidente imprigionato per passare ad altre cose. Vero, in una recente tribuna, firmata da gente di prestigio, è stata chiesta invano la sua immediata liberazione. In generale si vive, nella capitale e fuori, come se l’illustre prigioniero, fosse scomparso, dimenticato. Con lui altre persone arrestate e detenute da allora per qualche legame reale o presunto con lui e affari attinenti alla sua persona. Scese, senza colpo ferire, la dimenticanza su questa vicenda che l’invisibilità mediatica facilita e amplifica. La dimenticanza ha poi contaminato la democrazia, la partecipazione del popolo e soprattutto la cancellazione dei poveri dall’agenda di chi detiene, al momento, il potere.

Ci sono persone ... Che hanno dei principi, quando la maggioranza inventa alibi… 

Che cercano la verità e la giustizia, mentre la maggioranza si perde. 

Che camminano per trovare, quando la maggioranza siede ad aspettare (capitano Marcos)

Figlia adottiva della dimenticanza è dunque la censura. Essa decide ciò, che personalmente, socialmente o politicamente, debba essere ancora ricordato oppure scomparire, inghiottito dal non accaduto. E’ il caso dell’autocensura nei mezzi di comunicazione, in buona parte degli intellettuali di spicco, nei capi religiosi in perpetua questua di potere, soldi e prestigio dovuto alla prossimità col regime. Ma la prima ad essere compita dalla censura è la giustizia che, funzionale ai detentori del potere, metterà in pratica il detto nel quale si afferma che è vero che ‘la giustizia è uguale per tutti’ ma è altrettanto vero che ‘non tutti sono uguali per la legge’. Lo scriveva opportunamente il novellista George Orwell nella sua metafora ‘la fattoria degli animali’. Accanto alla giustizia la censura contaminerà la politica, percepita come inutile, dannosa o quanto meno irrilevante quando c’è di mezzo l’agognata indipendenza e sovranità.

Ci sono persone... Che vegliano, anche se la maggior parte dormono… 

Che si sacrificano, mentre la maggior parte viene amministrata… 

Che si ribellano, quando la maggioranza obbedisce… (Capitano Marcos)

Il tempo, lo sappiamo, fa il lavoro per il quale è stato inventato. Si potrebbe affermare che è un ‘galantuomo’ perché seleziona ciò che si è in grado di ricordare, ciò che è degno di memoria e ciò che invece va posto nel magazzino sottochiave per la sua pericolosità. Ecco perché un autentico resistente riattiva la memoria ‘sovversiva’ di ciò che è stato e che continua ad essere destabilizzante per il sistema. Resistenti si nasce e si diventa allo stesso tempo. Può accadere per le circostanze o per scelta lungamente meditata e educata da anni di esilio dal pensiero dominante. I ‘resistenti’ si riconoscono, appunto, col tempo, solo garante in questo caso della serietà della resistenza. Uno sguardo differente sulla realtà, l’uso attento e oculato delle parole, la profonda libertà di pensiero e di credo quotidiano e, infine, il rifiuto alle lusinghe del potere che solo la prossimità coi poveri può garantire. Questo e altro offrono a questa insostituibile categoria di persone il diritto di parole e di silenzio. Il futuro del mondo passa tutto tra le le loro mani nude.

Ci sono persone... Che pensano in modo critico, mentre la maggior parte consulta il dogma di moda. 

Che lottano perché è il loro dovere, e non per essere parte della maggioranza… 

Che sono solo una crepa, quando la maggior parte si fanno muro. (capitano Marcos)

            Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024

 

IL CANTO DELLA FATA

 


Fata fatina


Fata fatina
la notte s’avvicina
la bacchetta
nella tua manina
per far sognare
una bambina.

Sogni scintillanti
le stelle
come diamanti
lucciole lucenti
giochi divertenti.

Fata fatina
dall’ala azzurrina
raccontami una storia
da imparare
a memoria
così che domattina
la possa narrare
alla mia bambina

Danila Oppio

sabato, ottobre 12

L'ANTICO GIARDINO PEREGO: "UN'OASI SEGRETA IN CENTRO. IMBRACCATA DALLA SPORCIZIA"

https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/lantico-giardino-perego-unoasi-segreta-in-centro-imbrattata-dalla-sporcizia-

L’antico Giardino Perego: "Un’oasi segreta in centro. Imbrattata dalla sporcizia"

Il Giardino Perego, antica oasi verde nel cuore di Milano, conserva tracce storiche come la statua di Vertunno. Apprezzato dagli abitanti del quartiere per la sua tranquillità, rappresenta un prezioso ricordo della Milano di un tempo.


ll Giardino Perego, antica oasi verde nel cuore di Milano, conserva tracce storiche come la statua di Vertunno. Apprezzato dagli abitanti del quartiere per la sua tranquillità, rappresenta un prezioso ricordo della Milano di un tempo.

Un piccolo gioiello verde fra i palazzi di via dei Giardini, non lontano da Montenapoleone. Un luogo che custodisce importanti tracce del passato, come la statua settecentesca di Vertunno, dio etrusco della vegetazione. Appartenente un tempo all’omonima famiglia di Cremnago, il Giardino Perego è una delle poche aree rimaste fra gli spazi verdi che ornavano i nobili palazzi del Borgonuovo. Fu costruito nel 1778, quando i Perego acquisirono gli orti di un ex monastero, dietro la loro dimora. Nel 1941 una fascia di parco divenne l’odierna via dei Giardini, mentre la parte a Nord rimase verde, ma convertita all’uso pubblico. E così è ancora oggi. "È un bello spazio, dove vengono molti lavoratori dei vicini locali, come me", racconta Alessandro Tartaglione, habitué del giardino. "È un parco ‘segreto’", aggiunge Nadia Petrescu, che viene tutti i giorni ad ascoltare podcast di filosofia. "Mi sento accolta e mi fa stare bene, anche se c’è un po’ di sporcizia vicino alle panchine". Non abbastanza, però, per deturpare la bellezza di questa oasi verde nel cuore della città, vestigia di una Milano perduta e da ricordare. IL GIORNO

Ogni tanto qualche giornale mi fa ritornare alla mia prima infanzia, come IL GIORNO, che mi ha riportato ai giochi con i miei piccoli amici. Mi dà dispiacere sapere che questo giardino sia imbrattato dalla sporcizia, mentre  ricordo il vigile urbano che passava ogni giorno per controllare che i ragazzini non giocassero a calcio sui prati e non pestassero l'erba e i fiori  che decoravano le aiuole. Avevo 6 anni quando ho iniziato a recarmi per giocare e mi riferisco a quasi 70 anni fa,  e l'ho frequentato fino a quando sono diventata mamma, portando di tanto in tanto i miei figli a passeggio, ma ho sempre abitato in quella zona, esattamente di fronte al cancello d'ingresso del giardino, per poi trasferirmi, moglie e madre, nella zona del quartiere Brera, ma non tanto lontano da questa deliziosa oasi! 
Avevo già scritto un articolo relativo a questo giardino, e lo trovate a questo link:


Danila Oppio
 

martedì, ottobre 8

RITORNO A CASA di PADRE MACCALLI A NIAMEY SEI ANNI DOPO di P. MAURO ARMANINO

Ritorno a casa. P. Maccalli a Niamey sei anni dopo

Dio non è serio ma fa le cose seriamente. Così diceva François, prete della diocesi di Niamey di origine togolese che da muratore si è messo a costruire cristiani. Proprio quello che l’amico e compagno di viaggio padre Pierluigi Maccalli ha cercato di fare come missionario in Costa d’Avorio prima e nel Niger poi. Rapito da elementi della nebulosa jihadista il 17 settembre del 2018 è tornato in terra nigerina, senza catene, la stessa data ma sei anni dopo. In una lettera di commento al suo soggiorno di dieci giorni a Niamey, ospite gradito e inatteso per la circostanza, scrive tra l’altro... ‘La popolazione locale (specie di Bomoanga) è presa tra due fuochi: da una parte le incursioni a carattere jihadista e dall’altra i militari che diffidano di tutti e rastrellano gente accusate di collaborazione. Tra di essi il mio catechista e suo fratello: sono da mesi in prigione con l’accusa gratuita di essere parenti alla lunga di un sospettato. La gioia del ritorno si è trasformata presto in amarezza e tutt’ora custodisco in cuore tanta tristezza. Confesso che l’incontrare tante persone care, dimagrite di peso e dal volto scavato dalla sofferenza, mi ha fatto tanta pena e mi ha molto rattristato’. 

Dio non è serio ma fa le cose seriamente. Così diceva François e l’abbiamo potuto constatare con l’amico Pierluigi. Proprio tra le zone più colpite dalla violenza religiosa, dove è stato rapito un prete, vandalizzata la nuova ‘Basilica dei poveri’, da dove la gente fugge perché minacciata...proprio di questa zona sono originari i due nuovi preti della diocesi. La loro ordinazione è stata il ‘pretesto’ per padre Maccalli per tornare, con le parole dell’ambasciatore italiano a Niamey, sul ...’luogo del delitto’! Tornato a casa piuttosto, faceva osservare Pierluigi che il ‘luogo del delitto’ lo ha vissuto come vittima innocente e inerme per oltre due anni. Ci si ricordava dei tre segni che ha portato con sé dalla prigionia nel deserto del Sahara: una piccola croce di legno, un rosario confezionato con stoffa di fortuna e un anello della catena che l’ha custodito ogni notte per il tempo passato in cattività. Ma c’è un quarto segno che Pierluigi non ha menzionato nel suo scritto post prigionia...’Catene di libertà’.

Dio non è serio ma fa le cose seriamente. Così diceva François, prete della diocesi di Niamey di origine togolese che da muratore si è messo a costruire cristiani. Ed è questo il quarto segno che Pierluigi ha portato a Niamey, dal 17 al 27 settembre scorso. Lui stesso, senza volerlo o saperlo è stato il quarto segno di libertà nel tornare a casa dalla gente che per lui ha sofferto, pregato, sperato e atteso. Il suo popolo rideva, ballava, piangeva e cantava come solo i poveri sanno fare quando fanno festa. Perché Pierluigi e il suo popolo erano tornati liberi e più nessuno potrà mettere in catene la speranza.



           
Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024

Padre Pierluigi Maccalli è stato per due anni prigioniero di estremisti islamici nel Sahel, dal 17 settembre 2018 all'8 ottobre 2020. Il suo rapimento ha segnato il mondo missionario legato alla Società Missioni Africane, l'istituto al quale appartiene.

sabato, ottobre 5

FRONTIERE, NAZIONI E SOLDATI NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO



Frontiere, nazioni e soldati nel Sahel

Le frontiere esistono dapprima nelle nostre teste. Da lì passano a governare i confini dei territori delle nazioni. Linee, puntini, muri, fili spinati, campi minati, documenti, fiumi, mari e deserti arruolati da chi prevale nei rapporti di forza del momento. Provate a lasciare Niamey, la capitale, raggiungete Dosso e poi arrivate al confine con la Repubblica del Benin, la città di Gaya. Da più di un anno, cioè dall’atipico colpo di stato di luglio, il ponte che attraversa il fiume Niger è chiuso al traffico. Sono le vecchie, antiche e sempre attuali piroghe che permettono il passaggio di decine di passeggeri da ambo le parti. Per passare si sommano le tasse dei doganieri, marinai, gendarmi, militari, consiglieri e trasportatori di mercanzie che i viaggiatori sono tenuti a sborsare per accedere dall’altra parte della frontiera. Le frontiere sono invenzioni che, prese sul serio, possono delimitare la mobilità dei poveri.

Per Benedict Anderson, storico e politologo sino-irlandese, le nazioni non sono altro che delle comunità politiche ‘immaginate’, limitate e sovrane. Questo perché solo una parte delle persone della ‘nazione’ potrà conoscersi fisicamente. Perché la nazione esista, con maggiore o minore fortuna, bisognerà inventarsi un futuro comune di cui il passato sembra portare le premesse. Stesso territorio, ideali, lingua, cultura e soprattutto un destino comune, differente dagli altri. Ben delimitato e orchestrato da valori, ideali e uno spirito che si apparenta all’assoluto. La nazione ‘immaginata’ può inventarsi nel nazionalismo che fa del popolo come tale una quasi-religione. Per la nazione, la ‘Patria’ (dal latino ‘Pater’, padre) si può e deve dare la vita se necessario. I cimiteri e le guerre che li hanno confezionati nella storia umana ne sono una metafora e un monito perenne.

Le frontiere esistono dapprima nelle nostre teste, Poi si disegnano e nascono con gli stati che delle nazioni dovrebbe essere l’espressione. Naturalmente ciò è complicato perché la realtà è multiforme e difficilmente si lascia ingabbiare da concetti. Tra nazioni, stati e frontiere c’è connivenza. Uno dei frutti della loro unione sono le guerre che, come sottolineato sopra, costituiscono una delle dominanti dei nazionalismi che si avvalgono dello stato per armarsi, difendersi o creare effimeri imperi. Tutto ciò appare come un’invenzione occidentale esportata di forza o di diritto altrove dove comunque esistevano forme di struttura sociale, politica, economica e militare. Altrove, infatti, le frontiere esistevano ma forse interpretate altrimenti. Etniche, linguistiche, religiose o semplicemente di fatto e più permeabili perché i muri, così come i campi di concentramento e detenzione, sono dello stato nazionalista una delle manifestazioni più emblematiche e conseguenti.

Il nazionalismo sottolinea in particolare un’identità e un destino comune, sufficientemente inventati anch’essi, per arruolare quanta più gente al proprio progetto egemonico. Il consumo locale, la patria e la sua salvaguardia e soprattutto il sovranismo, entità poco definibile al di fuori delle frontiere tracciate dalle ideologie, diventano altrettante parole d’ordine per la gestione del Paese o dello spazio che le frontiere delimitano. I cittadini saranno col tempo selezionati tra obbedienti, recalcitranti, militanti o refrattari da rieducare. Nell’Unione Sovietica dell’epoca staliniana si utilizzarono gli ospedali psichiatrici per i dissidenti che non ‘aderivano al progetto rivoluzionario della lotta proletaria per il comunismo’. Dalle nostre parti non siamo ancora così sofisticati e sono sufficienti le sparizioni e le auto-censure di chi teme di pensare differentemente l’appartenenza ad un popolo.

Le frontiere esistono dapprima nelle nostre teste. Poi si organizzano all’esterno e all’interno della nazione e dello stato. Per classi sociali, per i figli che studiano nel Paese e altri che vanno all’estero, per chi si cura sul posto e chi ha i mezzi per cliniche private altrove, per chi avrà un futuro nel sistema e chi ne sarà per sempre estromesso. Da cittadini, depositari cioè di diritti e doveri riconosciuti si dovrebbe diventare, secondo le testuali parole della autorità del momento, poliziotti, gendarmi, guardie o, in una parola, soldati. Tutto ciò contribuirà a creare nuove e inedite frontiere nella Regione.

C’è chi sogna, tuttavia, che le frontiere diventino ponti e i ponti frontiere, cominciando da Gaya.

                  Mauro Armanino, Niamey, ottobre 2024


sabato, settembre 28

NULLA DI NUOVO SOTTO IL SOLE (E LA PIOGGIA) DEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO

 

Nulla di nuovo sotto il sole (e la pioggia) del Sahel
Così scriveva il saggio tanto tempo fa quando, ancora con onestà, si osservava la condizione umana nella sua drammaticità. Oggi si preferisce piuttosto descriverla come spettacolo. Le vittime, così come i drammi che si ripetono nel Sahel e altrove, confermano che il ‘nuovo’ è già accaduto.  C’è forse qualcosa di cui poter dire ‘ecco finalmente qualcosa di nuovo’... ciò era già stato nel tempo che ci ha preceduto e di cui non si serba alcun ricordo. Vanità delle vanità, scriveva il saggio, tutto è vanità. C’è un tempo per tutto e tutto per un tempo, dice il saggio.  Un tempo per cercare e uno per perdere.
In questo contesto ‘vanità’ va interpretato come sinonimo di soffio, alito, bruma del mattino che svanisce con l’arrivo del sole. Vanità sono le inconsistenze che sono presentate al popolo come necessarie. Come vaghe promesse di un mondo e futuro migliore che, certamente, arriverà domani o comunque a breve. Questione di giorni, anni o generazioni ma che, senza dubbio, accadrà quanto prima. L’arte della guerra continua a trasmettersi e, peggio ancora, quando si prende Dio come ostaggio, si giustifica. C’è un tempo per tutto, dice il saggio. Un tempo per tacere e uno per parlare.
Non c’è nulla di nuovo sotto il sole del Sahel. Così sembra nell’accaparramento, gestione e conservazione del potere politico, economico e religioso. Da elites civili a quelle militari purché il popolo degli umili, cioè il popolo di sabbia, sia escluso, controllato e condotto nella direzione stabilita dagli ‘illuminati’ del momento. Vanità sono le parole che non hanno più nessuna relazione con la verità e diventano il mezzo per imprigionare la realtà nell’ideologia dominante. La menzogna si riproduce grazie alla complicità delle parole vendute al vento. C’è un tempo per tutto, scrive il saggio.
Un tempo per dare la vita e uno per morire. Un tempo per piantare e uno per sradicare. Un tempo per distruggere e uno per costruire. Un tempo per gemere e uno per danzare. Vanità delle vanità, tutto, diceva il saggio, è vanità. I regimi di eccezione, quelli di transizione, le monarchie, le repubbliche e le dittature che preparano la democrazia, per finire nelle mani dei detentori di denaro contante. Anche questa è vanità, direbbe il saggio. C’è un tempo per tutto. Un tempo per essere cittadini e un tempo per vivere come schiavi. Un tempo per strappare e un tempo per unire.
Non c’è nulla di nuovo sotto il sole del Sahel. Passano le stagioni e passano anche i diritti che si pensavano inespugnabili. Il diritto di pensiero, della mobilità, di associazione, di professare convinzioni politiche e religiose, il diritto all’informazione e soprattutto il diritto a una vita decente. Vanità delle vanità, tutto è vanità, immagina il saggio. Perché c’è un tempo per ogni cosa e ogni cosa per un tempo. Un tempo per la guerra e uno per la pace che è quanto il Sahel e il mondo hanno smarrito. Quest’ultima è come un sentiero che, smesso di percorrere, è andato smarrito. Solo coloro che camminano disarmati ne ricordano l’esistenza, la direzione e il segreto.
                Mauro Armanino, Niamey, settembre 2024 

sabato, settembre 21

DOV'È IL DOLORE, LÀ IL SUOLO È SACRO di PADRE MAURO ARMANINO


Dov’è il dolore, là il suolo è sacro

Per il dolore è come per l’ingiustizia. Non ci si dovrebbe mai abituare alla loro pervasiva presenza. Molto spesso il dolore è una conseguenza dell’ingiustizia. Entrambi sono a loro modo una rivelazione. Il dolore è una delle risposte, quella forse più immediata e drammatica, alla separazione tra la realtà e l’anelito alla pienezza di vita. Rivela un disagio, spesso incomunicabile, con se stessi, gli altri e il mondo. L’ingiustizia si esprime come un tradimento perpetrato alla persona che viene privata del primo e fondamentale diritto che è il riconoscimento della sua inalienabile dignità umana.

‘Dov’è il dolore, là il suolo è sacro’, scrisse il drammaturgo e poeta di origine irlandese Oscar Wilde. Il Sahel è dunque un luogo sacro e come tale andrebbe accolto e rispettato. Il suolo di cui parla il poeta non è solo quello geologico o geopolitico. Il primo suolo sacro è costituito dalle persone, i corpi, le speranze e l’immaginario che caratterizzano ogni umana avventura. Il dolore che non trova parole per raccontarsi perché indicibile e prezioso come un pianto di madre. Il dolore che sembra arrivare ancora prima di nascere al mondo. Il dolore dei poveri che lo trasmettono, in silenzio, da padre a figlio.

Il dolore della morte per la fame che, secondo l’Ufficio di coordinazione delle azioni umanitarie, mette a rischio la vita di 33 milioni di persone nel Sahel. Questa carestia è la conseguenza di crisi che, come il deterioramento della sicurezza, l’instabilità e il clima, minacciano i mezzi di sussistenza delle famiglie. La violenza dei conflitti armati obbliga milioni di persone a fuggire dalle case e dalle terre per cercare un futuro precario altrove. Una vita passata scappando da un luogo all’altro e da una guerra alla seguente. Sembra difficile trovare un dolore che somigli a quello raccontato dagli scampati.

Perché il dolore è una maledizione, un mistero, un silenzio, parole che non bastano, un miracolo non accaduto e un grido inascoltato. C’è un dolore collettivo che non è la somma dei dolori individuali e che neppure i libri di storia riescono ad evidenziare. Il dolore lo si porta dentro come fanno i padri che la vita ha reso curvi e fieri per non aver pianto davanti ai figli. C’è il dolore del parto e quello che sembra del tutto irriverente e sterile. Il dolore tace perché difficilmente trova una riva dove approdare con la sicurezza di essere compreso. Come quello dei bambini che pochi sanno decifrare. 

Il loro dolore, quello dei bambini, non ha ancora trovato un lessico capace di trasmetterlo alle generazioni che verranno. I bambini presi come ostaggi per farne mendicanti sulle strade delle città e per impietosire i distratti consumatori di beni. Obbligati a lavorare nei cunicoli scavati in terra in cerca di minerali preziosi per l’industria e il commercio dei grandi. Il dolore dei bambini strappati troppo in fretta dall’abbraccio delle madri e dal futuro che i consigli del padre non potrà più ascoltare. Un recente rapporto sul Sahel rivela che i bimbi costretti a fuggire da casa sono circa 1, 8 milioni. 

Il dolore del tradimento sofferto o perpetrato non ha ancora trovato un’unità di misura per stimarlo. Le conseguenze di scelte politiche funzionali alle ideologie dominanti aggiungono dolore ai poveri che il sistema di dominazione ha reso inutile periferia. Il dolore dei giovani a cui vengono espropriati, venduti e manipolati i sogni di un futuro possibile. L’accanimento globale contro i migranti che ne sono una delle espressioni più libere e pure, genera rivoli di dolore che, come fiumi sotterranei, prepara sorgenti nel deserto. Nessun dolore andrà perduto perché scritto sulla palma della mano, sacra, di una madre.

      Mauro Armanino, Niamey, Settembre 2024