POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

lunedì, aprile 7

MODELLO DEL LAICO CRISTIANO – SAN GIUSEPPE 5 confenenza di Padre CLAUDIO TRUZZI – MODELLO DI ORAZIONE


MODELLO DEL LAICO CRISTIANO  – SAN GIUSEPPE

5 –  MODELLO DI ORAZIONE


TRIANGOLO D'AFFETTI

«Maria, se pensiamo alla tua vita di Nazareth, dobbiamo immaginarti strettamente legata sia a Gesù che a Giuseppe. Tu eri la regina della casa, come lo è ogni madre. Eri il centro degli affetti umani di Gesù in quanto Dio fatto uomo, che, man mano che “cresceva in età, sapienza e grazia”, sperimentava un sempre più ricco rapporto con te, “piena di grazia”: infatti egli solo era su misura tua di “benedetta fra le donne”, egli che viveva poi un più grande immenso rapporto con il Padre nello Spirito, dentro la Trinità.

Tu e il tuo Gesù sentivate un affetto profondissimo verso Giuseppe: tu in quanto sposa vera e non finta, an-che se sempre vergine; Gesù in quanto figlio non naturale, ma sotto il profilo spirituale, morale e psico-logico, veramente accettato dal tuo sposo, con un'accettazione anche per lui verginale e con una fede da santo (o “giusto”, come biblicamente usavate dire voi). Nel vostro sacro triangolo (Gesù-Maria-Giuseppe) noi vediamo, aiutati dalla Chiesa, uno splendido e inesprimibile mistero di affetti umani e di doni divini.

INCONTRO DEVOTO E AMOROSO CON MARIA

Se guardiamo a Giuseppe, come modello esemplare della nostra vita di preghiera, scopriamo di aver molto da imparare dalla sua devozione a Gesù ed a Maria.

Da lui possiamo imparare prima di tutto ad onorare la Madonna, perché nessuno la onorò, venerò ed amò come lui. Egli fu veramente un grande devoto di Maria, nel senso più forte della parola. In lei vide la crea-tura santa, sacra a Dio, e la ragione della sua fedeltà e del suo affetto era proprio l'elezione di cui questa creatura era stata oggetto da parte di Dio. 

Le rimase accanto fin quando lei ebbe bisogno di lui e della sua presenza, e il suo dipartirsene fu un estremo atto di devozione e d’amore: come aveva preparato la dimora terrena per Gesù e per Maria, così eccolo andarsene per primo, quasi per preparare loro la dimora eterna. Quando Gesù tornò al Padre, certamente la prima creatura umana che gli andò incontro fu Giuseppe.

Giuseppe c’insegna, poi, la devozione ed il servizio al Signore e alla Madonna. 

Abbiamo tanto bisogno di tradurre la nostra devozione in servizio, in un'operosità dove, invece di perseguire il nostro tornaconto, cerchiamo solo il compimento dei disegni di Dio e la sua gloria. Facendo così diventiamo i collaboratori del Signore, diventiamo veri strumenti nelle mani di Dio per l'avvento del suo Regno.

Da Giuseppe impareremo anche ad onorare la Madonna proprio nelle cose che lei preferisce. 

Prima di tutto il servizio di Gesù benedetto e, poi, quel silenzio, rispetto, nascondimento con cui lei stessa accolse il mistero del Figlio di Dio e col quale fu custodita dal suo Giuseppe. Quando egli si rese conto delle meraviglie che Dio operava nella vergine sposa, non le rivelò a nessuno, non andò a pavoneggiarsi con le sue grandezze. Custodì tutto nel segreto del cuore, come la sua sposa Maria, che conservava per sé il mistero del Figlio suo.

Si deve intendere così la nostra vita se vogliamo che il mistero di Gesù, Maria e di Giuseppe diventi la nostra ricchezza, quel piccolo paradiso terrestre dove noi, giorno dopo giorno, custodiamo la beata speranza della gloria.

«Gli devono essere affezionate specialmente le persone di orazione – sottolineava santa Teresa –, perché non so come si possa pensare alla Regina degli angeli e al molto da lei sofferto col Bambino Gesù, senza ringraziare san Giuseppe che fu loro di tanto aiuto. Chi non avesse maestro da cui imparare a far orazione, prenda per guida questo santo glorioso e non si sbaglierà» (S. Teresa, Vita 6, 6-8).

UN SILENZIO CONTEMPLATIVO   

Giuseppe è stato il protettore di Gesù e di Maria, come? Tacendo.

Se il Signore avesse affidato a noi questo compito, quanto chiasso avremmo fatto! Come avremmo complicato la nostra e l'altrui vita, credendo di dover fare tanti decreti, tante leggi, prendere misure, informare... Niente di tutto ciò, invece. Giuseppe ha soltanto servito i misteri del Signore in una solitudine silenziosa, che è il segreto della sua contemplazione. Nell'umile silenzio che riuscì a creare in sé, ed intorno a sé, poté contemplare, indisturbato ed in pace, il suo Signore.

Se pensiamo alla vita di Giuseppe, sentiamo che il nostro cuore si rasserena, il nostro spirito è sommerso nella pace. Poiché questa disposizione è ad un tempo: abbandono, fiducia, speranza, amore, fedeltà e motivo di perseveranza, di continuità nella pratica del bene e della virtù. 

Soltanto le anime pacifiche sono veramente perseveranti.

Di solito, i “contemplativi” più ammirati dagli uomini non sono autentici; i contemplativi veri autentici sono coloro che riescono a nascondersi, a non far parlare di sé, a passare inosservati, a restare un segreto di Dio.

Nei riguardi di san Giuseppe, infatti, il giudizio degli uomini è stato pressappoco questo: «Quello là, chi se ne occupa? Insignificante; può scomparire quando vuole!» ...

Ma essere presenti per Dio solo, essere vivi soltanto per Lui! Quante cose può insegnarci l’umile carpentiere su questo punto! Chi volesse stendere la vita di questo santo, si troverebbe presto disperato, non saprebbe che cosa scrivere. Quando s’inizia a parlare di lui, sembra di dover raccontare tante cose e poi ci si accorge di non poter parlare di nulla, perché tutto quello che lui è, lo è per il suo Dio e basta. Non ha scritto diari spirituali: si è chiuso nell'adorazione in un misterioso silenzio e ha servito il Signore così. Non per nulla è il custode della più alta e sacra verginità, quella di Maria, e della sua “immacolatezza” del Figlio di Dio. 

E come lo è stato? Lo ripetiamo: Non mettendosi a dire: «Qui ci sono io, che li difendo entrambi», ma scomparendo. Ha custodito la santità di Gesù e di Maria scomparendo agli sguardi di tutti, fuorché di loro due.

••   Giuseppe, questo amabilissimo patrono della vita spirituale, ci aiuti ad essere molto presenti soltanto al cuore e agli occhi di Dio; e quanti più numerosi saranno a dimenticarsi di noi, tanto meglio, perché in questo nostro scomparire agli occhi di tutti ed agli stessi nostri occhi, il nostro io sappia perdersi nell'adorazione umile e silenziosa della infinita grandezza dell'unico Dio e Signore nostro.

UNA VITA DI PREGHIERA

Giuseppe il “maestro” di Teresa

Maestro di orazione, san Giuseppe? Sembra un paradosso. Nel Vangelo dell’Infanzia di Gesù, tutti o quasi tutti i personaggi sfilano pronunciando una preghiera esemplare: Zaccaria, Maria, Elisabetta, l’anziano Simeone, gli angeli, ecc. Tutti... meno Giuseppe. 

Uomo giusto, uomo buono, dev’essere forzatamente anche l’uomo del servizio, e del... “silenzio”, senza il suo “Benedetto sia il Signore, Dio d’Israele”, e senza il suo “Magnificat”, senza “Benedetta tu fra tutte le donne”, e “Ed ora, lascia o Signore che il tuo servo se ne vada in pace”, oppure “Gloria a Dio nell’alto dei cieli”...

Perché allora, una persona che di orazione se ne intendeva – Teresa – propone Giuseppe, e in maniera chiarissi-ma, come “Maestro di preghiera”? La Santa, infatti, non potrebbe esser più categorica: «Chi non trovasse maestro che le insegnasse orazione, prenda questo glorioso Santo come Maestro, e non sbaglierà strada» (Vita, 6, 8).

Bene! Sembra che Teresa fosse giunta a tale convinzione, non per mezzo di libri o teorie particolari, ma per propria esperienza. Che esperienza? Ce la racconta lei stessa in uno dei primi capitoli della sua “Autobiografia”.

Teresa è giovane, nel fiore della vita. Ha venti tre anni. È monaca carmelitana nel monastero dell’Incarnazione di Avila. Da tre anni ormai è monaca. Improvvisamente si ritrova inferma. Una malattia terribile che la riduce, in quattro giorni, in coma e che le lascia in eredità la paralisi: 

«Credo che potessi muovere soltanto un dito della mano destra», scrive. 

«Per cambiarmi di posto dovevo sollevarmi su un lenzuolo tenuto all’estremità da due persone» (Vita, 6, 1).

Provvidenzialmente, poco prima aveva letto la storia biblica di Giobbe! Ebbene, in questa storia, raccontata e commentata da quell’insigne scrittore che fu papa san Gregorio Magno, Teresa, non solo apprese ciò che fosse la pazienza, ma pure come pregare dalla profondità di sofferenze indicibili: pregare elevando la voce a Dio come Giobbe; gridare a ruota libera dall’oscuro tunnel di un dolore insopportabile ed incomprensibile; poter dire a Dio di tutto, persino enormità; poter pregare persino con grida, se fosse il caso.

Otto mesi di paralisi totale furono un tunnel molto lungo; e lasciarono il segno. E fu lì, immersa in questo stesso tunnel, che accadde...: Teresa s’incontrò con la luminosa figura di san Giuseppe.

Che contrasto fra il gesto silenzioso di quest’uomo ed il clamore di Giobbe! 

Due facce di una stessa medaglia. Di fronte al torrente di preghiere interminabili che sgorga dalle labbra di Giobbe, il silenzio profondo di Giuseppe: silenzio nella profondità del dubbio, silenzio di un uomo che si ritrova al centro di un crocevia del mistero, un mistero tanto umano da un lato, tanto straordinario e misterioso dall’altro.

Qui Teresa si rende conto della profondità e della forza di una preghiera fatta... in silenzio. 

Contemplare, non parlare; accettare... per poter servire. 

Dinanzi a Gesù e Maria, che cosa poteva fare Giuseppe se non ... contemplare? 

Vale a dire: guardare, ed osservare da vicino e non stancarsi di guardare, né di amare...

Fra la forma di pregare che Teresa già conosceva – fatta di ragionamento e di parole – e quella che ora le insegna san Giuseppe – intrecciata unicamente di guardi silenziosi, però intrisi d’amore –, Teresa non dubita un istante e sceglie la seconda formula. 

È san Giuseppe senza dubbio che l’anima e la inizia in simile stile di orazione silenziosa, raccolta, contemplativa, che d’allora in avanti caratterizzerà la sua orazione. 

–  Una orazione senza parole, perché parlare non è il forte di questo Santo.

–  Un’orazione di raccoglimento, perché è proprio il silenzio ciò che attrae chi prega in tal maniera verso quel punto focale che sono Gesù e Maria;

–  ed un’orazione contemplativa, giacché si tratta di uno sguardo impregnato di vicinanza e di affettuosità.

Una contemplazione che, però, non conduce ad un quietismo sterile; al contrario: «Alzati, ascolta Giuseppe, prendi il Bambino e sua Madre e fuggi in Egitto, perché la vita del Bambino è in pericolo». 

E Teresa commenta: «Persone di orazione...: non so come possano soffermarsi sulla Regina degli Angeli nel tempo che trascorse col bambino Gesù, senza ringraziare san Giuseppe, per come fu di loro aiuto» (Vita, 6, 8).

Tale processo orazionale, che dalle parole passa al silenzio, dalla contemplazione alla lotta, fu la sintesi della preghiera teresiana. Teresa, infatti, aveva già, come monaca, una vocazione contemplativa. Ma ebbe pure la fortuna d’essere curata da Giuseppe, non soltanto da quella terribile infermità, ma da quelle frequenti deviazioni in fatto di preghiera, che chiamiamo: loquacità ed alienazione.

Quanto tutto terminò, Teresa aveva 26-27 anni. Ritornò ad essere una giovane monaca gioviale; tornò al illuminare di sorrisi la vita di chi la circondava. Ed iniziò il suo “cammino di orazione”, tenendo questo benedetto Santo come... “maestro”.

A spiegare simile efficacia concorrono molti motivi che sono propri della persona e della vita del Santo. 

–   Il buon Dio affidò a san Giuseppe una missione: quella di custodire Gesù e sua Madre, e noi sappiamo che il mistero di Gesù e di Maria sono legati a fini ben precisi: la gloria di Dio e la salvezza del mondo.

Una vita di preghiera, d’incontro con Dio, deve, quindi, rispondere a questi medesimi fini: ogni anima è amata da Dio affinché lo glorifichi, riamandolo con una totale e perfette fedeltà. Non è perciò strano che il Santo custode del mistero di Cristo e della Vergine sia un intercessore particolarmente valido, affinché ogni anima realizzi i medesimi fini e gli stessi desideri del Signore.

–  Ma ecco un'altra ragione per cui il patrocinio di Giuseppe si rivela particolarmente prezioso nella vita spirituale.

Vita spirituale significa, soprattutto, vita d’intimità con il Signore, di familiarità con Gesù e con Maria. 

Ora, chi visse per primo tale intima familiarità e per primo ne fece l'esperienza glorificante è stato Giuseppe, che da quando nacque Gesù gli fu vicino, con una presenza attenta e continua. Chi meglio di lui, allora, ci può insegnare a diventare intimi di Gesù e di Maria? E cos'è la vita d’orazione se non questa familiarità con il Signore?

•• Per entrare in intimità con qualcuno è necessario conoscersi a fondo, non avere segreti l'uno per l'altro. Così fu Giuseppe per Gesù e di Maria. Può offrirci, quindi, l'esempio della sua stessa vita per vivere l'intimità propria dell'orazione. Noi vorremmo, invece, che la familiarità con Gesù e con Maria fosse per il godimento nostro, per la nostra soddisfazione. Vorremmo che fosse sulla nostra misura, conoscerli e capirli come pare a noi. 

Giuseppe, nonostante sia stato costituito in paterna autorità sulla famiglia di Nazareth, ci dimostra, invece, che la familiarità con il Signore ha un prezzo: quello di lasciar fare a Dio a modo suo.

È stupendo quest’esempio del santo Patriarca che, pur essendo capo di casa, è semplicemente a servizio, con una familiarità fatta d’abbandono e continua dedizione. 

Lui non misura la vita di Gesù e della Vergine sulle sue esigenze, ma pone la sua vita a servizio delle loro. Non parte per l'Egitto quando fa comodo a lui, ma quando l'interesse di Gesù lo richiede.

Abbiamo tanto bisogno, noi che vorremmo essere la misura della nostra vita, d’imparare da Giuseppe a permettere che il Signore sia Lui questa misura, con le sue scelte e i suoi piani su ciascuno di noi.

Da “Il cammino di fede di san Giuseppe” (Ed. ocd, p. 39ss)

Preghiere a san Giuseppe

–  Per la famiglia

San Giuseppe, sposo di Maria, tu hai conosciuto come noi la vita familiare. Il tuo amore reciproco è rivolto naturalmente verso il Figlio di Dio divenuto figlio tuo. E come noi, hai dovuto far crescere il tuo amore in mezzo alle gioie e alle difficoltà.

San Giuseppe, proteggi oggi la nostra famiglia. Aiutaci a comprendere. 

Fa' in modo che l'orgoglio o l'egoismo non feriscano mai i nostri sentimenti. Rendici sempre più fedeli verso i nostri incarichi  e verso i ritmi delle nostre giornate e fa' in modo che ci si possa avvicinare al Figlio di Dio sempre vivo nel cuore di tutte le famiglie. Amen. 

Oratorio San Giuseppe di Mont-Royal


– Per i Bambini che devono nascere

O glorioso san Giuseppe, protettore della Santa Famiglia, proteggi nel seno della loro madre tutti i bambini piccoli che il Buon Dio chiama alla vita, come tu stesso hai protetto Gesù nel seno verginale di Maria.

O san Giuseppe, gloria della vita di famiglia, prega perché rinasca l'amore ed il rispetto del dono della vita 

nel nostro Paese. Amen.

                       Centro Manale - Ciney - Belgio

 

– Per l'educazione dei Bambini

San Giuseppe, sposo di Maria, tu hai impiegato tutte le tue forze a nutrire e ad educare Gesù, questo bambino che Dio ti ha affidato.

Insegnaci come educare i nostri figli con amore e serietà, con intelligenza e tatto. 

Trasmettici la calma e la pazienza che bisogna dimostrare davanti alle loro debolezze. 

Dacci la saggezza e la forza di intervenire accanto a loro come si deve e quando ce n'è bisogno. 

Rendici capaci di risvegliare la fede, trasformaci in genitori che pregano con i loro bambini e che camminano con loro verso il Regno. Amen.                      Oratorio San Giuseppe di Mont-Royal 


– Modello dei lavoratori

Glorioso san Giuseppe, modello di tutti quelli che sono votati al lavoro, donami la grazia di lavorare con spirito di penitenza per l'espiazione dei miei numerosi peccati; di lavorare con coscienza, ponendo il culto del dovere al di sopra delle mie inclinazioni; 

di lavorare con riconoscenza e gioia, osservando come un bravo dipendente, e di sviluppare attraverso il lavoro i doni ricevuti da Dio; 

di lavorare con ordine, pace, moderazione e pazienza, senza mai indietreggiare davanti alla stanchezza e alle difficoltà; 

di lavorare soprattutto con intenzioni pure e con distacco da me stesso, avendo continuamente davanti agli occhi la morte ed il conto che dovrò rendere del tempo perso, dei talenti inutilizzati e delle vane compiacenze legate al successo, se funeste all'opera di Dio.

Tutto per Gesù, tutto per Maria, tutto a tua imitazione, o santo patriarca Giuseppe!

Tale sarà il mio motto nella vita e nella morte.  Amen.


–  Preghiera di un giovane

San Giuseppe, il Figlio di Dio stesso, ti ha scelto per essere suo padre, la sua guida e il suo protettore durante l'infanzia, la sua adolescenza e la sua giovinezza. 

Lui ha voluto essere condotto da te lungo tutto il cammino della sua esistenza terrena. 

Tu hai compiuto il tuo ufficio con grande fedeltà.

Anch'io ti affido la mia giovinezza. 

Nel nome di Gesù, io ti chiedo di essere la mia guida ed il mio protettore,  

oso dire “mio padre” lungo il pellegrinaggio della mia vita. 

Non permettere che io m’allontani dal cammino della vita che è nei comandamenti di Dio. 

Desidera tu essere il mio rifugio nelle avversità, la mia consolazione nelle pene, il mio consigliere nei dubbi, fino a che salirò al Cielo, dove esulterò in Gesù mio Salvatore con te, a tua Santissima Sposa Maria e tutti i santi. Amen.

–  Per un malato

Misericordioso san Giuseppe, tu sei la speranza dei malati, e tutta la Potenza di Gesù è nelle tue mani. Dunque, per te non c'è niente di impossibile. 

Ascolta con benevolenza quelli che t'invocano in questo giorno per le membra sofferenti della Chiesa. 

Noi ti preghiamo, addolcisci le pene di colui che ti raccomandiamo in modo particolare.

Dagli la grazia di una totale sottomissione alla divina Volontà. 

Ma mostragli anche la tua bontà trasmettendogli la pazienza e ridandogli la salute, con la grazia di condurre una vita santa e completamente gradita a Dio. 

Buon san Giuseppe, non farci pregare invano, ma degnati, per mezzo di questo nuovo favore, di accrescere la nostra fiducia e la nostra riconoscenza verso di te e verso la divina bontà. Amen.

                Centro Manale - Ciney - Belgio


–  Uomo di vita interiore secondo il cuore di Dio

San Giuseppe, io vorrei essere, come te, 

un uomo che non cerca ma che fa solo la volontà di Dio; 

un uomo che osserva solo Dio; un uomo che ama il silenzio e agisce nel silenzio, che pensa e parla davanti a Dio, che non discute mai con Dio, 

che vive d'interiorità, un'interiorità unita a Dio, che si eleva senza fine verso Dio con tutto il suo spirito, con tutta la sua anima, con tutto il suo cuore, con tutte le sue forze; 

un uomo che eleva il mondo verso il suo Creatore; un uomo che ama ardentemente Gesù, che vive e muore per Lui, che onora la sua verginale Madre e sa rispettare tutte le donne grazie a Lei.  Amen.


San Giuseppe Patrono della Chiesa universale

O beato Giuseppe, che Dio ha scelto per portare il nome e svolgere il ruolo di padre agli occhi di Gesù, 

tu che sei stato dato da Lui come sposo purissimo a Maria sempre Vergine e come capo della Santa Famiglia sulla terra, 

tu che il Vicario di Cristo ha scelto come Patrono ed Avvocato della Chiesa universale, fondata da Cristo Signore stesso, con la fiducia più grande possibile io imploro il tuo aiuto potentissimo per questa stessa Chiesa che lotta sulla terra.

Ti supplico, proteggi, con una sollecitudine particolare e con quest’amore veramente paterno di cui ardi, il Pontefice romano, tutti i vescovi ed i preti uniti alla Santa Sede di Pietro.

Sii il difensore di tutti quelli che penano per salvare le anime che sono angosciate ed immerse nelle avversità di questa vita.

Fa' in modo che le persone si sottomettano spontaneamente alla Chiesa 

che è il mezzo assolutamente necessario per ottenere la salvezza.

Degnati di accettare, santissimo Giuseppe, il dono che ti faccio. 

Mi voto completamente a te, affinché tu voglia essere, sempre, per me un padre, un protettore ed una guida lungo il cammino della salvezza. 

Dammi un cuore puro, un amore ardente per la vita interiore. 

Fa' che io stesso segua le tue tracce e che rivolga tutte le mie azioni alla grande gloria di Dio, unendole agli affetti del Divino Cuore di Gesù e del Cuore Immacolato della Vergine Madre.

Prega infine per me, affinché io possa partecipare alla pace ed alla gioia 

di cui tu hai goduto un tempo, morendo così santamente. 

Amen.


sabato, aprile 5

Sabbia, vento e tempesta. 14 anni di polvere nel Niger di Padre MAURO ARMANINO


 Porta del non Ritorno

Sabbia, vento e tempesta. 14 anni di polvere nel Niger

Ci siamo intesi subito fin dall’inizio. La sabbia sembrava offrire più che una metafora del Paese ‘scoperto’ al mio arrivo, un 5 aprile del 2011. Conoscevo la sabbia della riva del mare Mediterraneo e, con minore cordialità, quella analoga dell’oceano Atlantico durante il soggiorno in Costa d’Avorio e Liberia. Un breve passaggio nel Benin mi ha fatto conoscere la ‘Porta di Non ritorno’ degli schiavi detenuti prima del viaggio verso le Americhe. Il monumento in questione è piantato nella sabbia di fronte al mare. Non si tratta però della sabbia che avrei esperimentato nella capitale Niamey, coi migranti e in generale durante il soggiorno nel Paese.
La vita, la storia, le migrazioni, la politica e i colpi di stato che hanno caratterizzato il transito in questione sono, della sabbia, simbolo, espressione e contenuto. Troppe volte, ascoltando le storie dei migranti di ritorno dal ‘Sud di Lampedusa’, non rimaneva che lei, la sabbia, sulle piastrelle dell’ufficio. I migranti di ritorno custodivano le loro borse, troppo spesso vuote e le loro storie, mescolanza di dolore e delusione che anni di tentativi, irti di ostacoli nel deserto, avevano reso un’avventura irripetibile. La sabbia rimane, muta e fedele, come unico testimone del vissuto quotidiano di migliaia di migranti che avrebbero voluto diventare cittadini di un mondo dove le frontiere non siano muri e reticolati. Immaginavano che un mondo differente fosse possibile e a portata di ‘migrazione’ per accorgersi, invece, che il mondo antico si era attrezzato per respingerli al mittente col pretesto dell’illegalità. La sabbia ricorda, a tutti gli umani, che essa li genera e che a lei, alla sabbia, torneranno lasciando Paesi, città, palazzi, monumenti, conquiste, imperi e confini creduti eterni.
Il vento, invece, mi è apparso più tardi e a seconda delle stagioni. Solo col tempo si è fatto visibile, consistente, reale, pervasivo e seconda particolare metafora del soggiorno nel Paese fino a diventare insostituibile narrazione del vissuto. I nomi, i volti, le storie, gli avvenimenti e persino le speranze è al vento che sono affidate per arrivare dove avrebbero voluto. Il vento porta lontano i pensieri, i desideri e soprattutto le parole con le quali si vorrebbe imprigionare la realtà. Le ideologie e le religioni, quando ad esse si accodano e di esse si avvalgono, sono patetici e talvolta drammatici strategie per ingabbiare la realtà e farla a propria immagine. Fortuna arriva il vento, imprevisto e imprevedibile, a scombinare i piani di controllo delle vite dei poveri da parte dei potenti che si immaginano di poter governare il mondo. Il vento senza direzione, scopo apparente e finalità incerta si offre come un simbolo di libertà in movimento volto a scompaginare le dittature militari.
La tempesta arriva improvvisa. Un vento forte, la sabbia e, con rapidità, anche il sole si oscura di rosso profondo e poi scende la notte in pieno giorno. Ci si abitua col tempo ma la prima volta la sorpresa e il timore impressionano l’immaginazione. Quanto durerà la tempesta di sabbia e quando tornerà infine la luce del sole ad illuminare il mondo. Siamo nel 2015 il mese di gennaio. Le chiese e istituzioni cristiane (e in parte interessi francesi) sono attaccate a Zinder e Niamey. Era un venerdì e un sabato mattina dopo la pubblicazione controversa di una vignetta dal giornale satirico francese del profeta dell’Islam, ‘Charlie Hebdo’. Erano scoppiati disordini in varie parti del mondo e nel Niger, complice una situazione politica tesa, si era arrivati all’estremo. Le comunità cristiane d’un colpo rifiutate, perseguitate, ferite e stigmatizzate. Una tempesta sulle strade quel giorno e, tre anni dopo, il rapimento dell’amico e confratello Pierluigi Maccalli ad opera dei gruppi terroristi armati di interpretazione islamica. Due lunghi anni di prigionia nel deserto tra solitudine e condizioni di vita estreme fino alla liberazione avvenuta, assieme ad altri prigionieri, nel 2020. 

LIBRO DI PADRE MACCALLI  

Catene di libertà, scrisse Pierluigi nel libro-diario dei due anni di prigionia nel deserto del Sahara. Soprattutto per ricordare, in conclusione del libro citato, di imparare a ‘disarmare le parole’ perché da esse, armate, scaturiscono le guerre e tutto ciò che ferisce la dignità della persona. Maccalli è tornato a salutare la gente che ha pregato per lui nel tempo della prigionia solo per accorgersi che, nel frattempo, la situazione legata ai gruppi armati era drammaticamente peggiorata. Intere zone e regioni del Paesi e e delle Tre Frontiere, il Niger, il Mali e il Burkina Faso sono letteralmente ostaggio dei gruppi armati che dettano la legge delle armi per applicare la loro versione dell’Islam. La tempesta continua perché a tutt’oggi migliaia di persone sono straniere, sfollate nella propria terra. Solo rimane la fuga per salvare i figli e portarsi dietro la paura di altre eventuali minacce ed esazioni finanziarie. 



Ecco perché è la polvere, in definitiva, quella che meglio descrive, rendendolo opaco, il vissuto. Ha ragione lo scrittore, poeta e filosofo della Martinica, Edouard Glissant quando afferma che c’è il diritto, per le persone, le culture (e Dio), all’opacità. La polvere invade, leggera, incontenibile, non misurabile, la vita vissuta nel quotidiano. Si adatta, infiltra, giace, penetra, si accomoda, giace e si ferma dappertutto quanto basta. Le relazioni umane, la politica, l’economia, le promesse dei commercianti di futuro e gli imprenditori di guerre. Pensieri, parole e religioni più o meno rivelate non ne sono immuni. Sembra detenere la chiave dell’eternità anche per la sua pervasiva e inafferrabile presenza. La polvere attraversa gli anni, marca con la sua opacità cose, persone, fatti e avvenimenti. Si afferma come contributo alla verità della vita, mistero nascosto da una leggera coltre di polvere di infinito. 

        Mauro Armanino, Niamey, 5 aprile 2025


sabato, marzo 29

QUANDO LE PAROLE (RI)FONDANO LA REALTA' NEL SAHEL di PADRE MAURO ARMANINO

il generale Abdourahamane Tian

 Quando le parole (ri)fondano la realtà nel Sahel    

Il primo colpo di stato nel Niger è stato operato nel 1974 da un gruppo di miltari riuniti sotto il segno del Consiglio Militare Supremo, CMS condotto dal colonnello Seyni Kountché, capo di stato maggiorer delle Forze Armate Nigerine. Il gruppo ha rovesciato il primo presidente del Paese, Diori Amani la cui sposa fu uccisa al momento del putch. Il secondo golpe è sopraggiunto nel 1996. Un altro gruppo di ufficiali, guidati dal capo di stato maggiore delle Forze Armate Nigerine, operando in nome del Consiglio Nazionale di Salvezza, CNS, ha rimosso il presidente Mahamane Ousmane, eletto tre anni prima. Il colonnello Ibrahim Baré Mainassara che prese il potere per la circostanza fu assassinato all’aeroporto di Niamey nel 1999 dal terzo colpo di stato. Un gruppo di militari, riuniti nel Consiglio di Riconciliazione Nazionale, CRN, diretto dal capo della guardia presidenziale, il comandante Daouda Malam Wanké, mise fine alla sua vita e al suo potere.

Nel febbraio del 2010 si registra il quarto colpo di stato diretto dal Consiglio Supremo per la Restaurazione della Democrazia, CSRD, con a capo il comandante Djibo Salou, responsabile di una compagnia militare di Niamey. Il presidente esautorato fu Tandja Mamadou, militare in pensione che aveva tentato di andare oltre i due mandati presidenziali canonici. Arriviamo al quinto colpo di stato, in meno di cinquanta anni, effettuato contro il presidente Mohamed Bazoum il 26 luglio del 2023. Operato dal capo della guardia presidenziale e attuale capo dello stato, il generale di brigata Abdourahamane Tiani, a nome di un gruppo di militari sotto il nome del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria, CNSP. Ogni volta, i militari hanno giustificato i golpe col pretesto di una deleteria gestione di governo economico, sociale, politico e securitario, per l’ultimo putch.  

Dal Consiglio Militare Supremo si passa al Consiglio Nazionale di Salvezza per andare al Consiglio di Riconciliazione Nazionale e sfociare nel Consiglio Supremo per la Restaurazione della Democrazia. L’ultimo in ordine di tempo, come citato, è il Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria. Di Consiglio in Consiglio, Supremo o comunque Nazionale soprattutto con la Patria, ultimo concetto per ridefinire o meglio, rifondare la sovranità nazionale. Consigli militari e dunque affidati alle canne dei fucili per convincere e soprattutto conservare il potere. Mentre ci si basa sulla carta della transizione o rifondazione per i prossimi 60 mesi, con possibilità di ulteriori variazioni, il presidente spodestato è ancora prigioniero nel palazzo presidenziale con la sua signora. Quando il fine giustifica i mezzi è opportuno preoccuparsi perché tra i due esiste un’inscindibile complicità.

L’attuale regime militare al potere preferisce parlare di ‘rifondazione’ dello stato, della repubblica, della vita politica e soprattutto del cittadino. Rifondare è l’azione di fondare di nuovo e soprattutto in ambito politico designa l’azione per la quale si punta a rinnovare i principi sui quali si basa un’organizzazione o un sistema. Rifondare per adattare alla nuova situazione esistente. La carta riposa, tra l’altro, su un certo numero di valori e principi, tra i quali il patriottismo, la disciplina, il civismo, l’inclusione, la solidarietà, la fraternità...l’integrità, l’onore, il rispetto del bene comune, la tolleranza, il dialogo e il perdono. Poi la giustizia, la riconciliazione, la dignità, il lavoro, l’onestà e il coraggio. Tutto ciò era già stato detto, scritto e professato nelle precedenti costituzioni ma la rifondazione presume che quanto costruito finora era fuori luogo oppure non compiuto. Tra nuovo e antico ci sono loro, i militari dalle attraenti uniformi che, di Consiglio in Consiglio, rifondano le parole.          

 


      Ex Presidente Mohamed Bazoum


             Mauro Armanino, Niamey, marzo 2025 


giovedì, marzo 27

ALESSANDRO NASTASIO: UN ILLUSTRE LOMBARDO - NEL FINITO L'INFINITO di Roberto Di Pietro


ALESSANDRO NASTASIO: UN ILLUSTRE LOMBARDO

Alessandro Nastasio è maestro di chiara fama nel campo delle arti figurative in genere, ormai riconosciuto e quotato a livello internazionale. Si ha pertanto il piacere di proporre, nell'ordine, alcune salienti notizie biografiche relative a questo esimio artista e un elenco cronologico delle sue mostre personali, perlomeno alcune fra quelle considerate di maggior rilievo:

A) Nasce a Milano nel 1934, dove tuttora risiede e intensamente lavora nel suo Atelier di Via Eustachi, 22.

Fin dal 1947, il pittore albanese Ibrahim Kodra ne intuisce le eccezionali inclinazioni al dipingere e lo avvia alla ricerca concreta di un proprio originale iter espressivo in quel campo specifico. 

Presso l'Accademia di Brera, dal 1952 frequenta la Scuola Libera del Nudo sotto la guida di Aldo Salvatori, fino a conseguire (nel 1966-67) la cattedra di professore in "Belle Arti" ed intraprendere, congiuntamente alle proprie attività autonome, una trentennale carriera di docente di educazione artistica presso diversi istituti.

Nel 1960 frequenta l'Atelier di Giorgio Upilio, dove operano Giacometti, Lam, Fontana, De Chirico, dei quali ha la preziosa possibilità di studiare da vicino le distinte tematiche ispiratrici e modalità tecnico-lavorative.

Affina ed estende progressivamente le proprie capacità ad altri settori del figurativo collaborando dapprima con il maestro Tullio Figini (grazie al quale ha modo di apprendere i segreti della fusione rinascimentale 'a cera persa', e il vantaggio di potersi incontrare con artisti del calibro di Manzù, Crocetti, Manfrini, Minguzzi, Fabbri...); e in seguito, con la fonderia De Andreis di Quinto de Stampi, dove operano Marino Marini, Giò Pomodoro, Rudy Wach, Strebelle, Negri e Rosental. 

Nel 1965 la galleria P. Lucas di New York lo nota, lo propone come grafico e lo segnala presentandolo personalmente a Salvador Dalì.

Una profonda dimestichezza con i testi sapienziali dell'antichità (dalla Bibbia e i Vangeli, ai Rig-Veda, le Upanishad, Jalaloddin Rumi...) lo induce a volerne trarre spunto, attraverso gli anni,  per innumerevoli illustrazioni sotto forma di xilografie, acquetinte, acqueforti, linoleografie... unanimemente giudicate di alto valore tecnico e particolare pregnanza sul piano mistico-evocativo. Peraltro, da una concomitante spinta verso la ricerca del "bello utile" e delle relative concrete applicazioni nel quotidiano, nascono ora geniali soluzioni decorative, ora imponenti opere pittoriche di monumentale portata (perlopiù commissionate da gestori di edifici di pubblico interesse e/o famose chiese/basiliche italiane), di volta in volta realizzate in stretta collaborazione con celebri architetti -- fra i quali Figini e Pollini, De Carli, Gardella, Faranda, Selleri, Ponti.  

 B) La sua prima mostra personale risale al 1957, alla Pinacoteca di Latina.

Successivamente ha esposto in numerose gallerie e spazi pubblici italiani ed esteri, fra cui si citano: 

Biblioteca Sormani, Milano (1960, 1964, 1978);

Galleria Michaud, Firenze (1963, 1964);

Galerie Maurice Bridel, Losanna (1965);

Max G. Bollag Modern Art Center, Zurigo (1968, 1972, 1976);

Galleria d'Arte Moderna Villa Palestro, PAC, Milano (1969);

Museo Civico Arengario, Monza (1970);

Museo Municipale, Campione d'Italia (1973);

Phyllis Lucas Gallery, New York (1974);

Diogenes International Galleries, Atene (1974)

Palazzo dei Diamanti, Ferrara (1977) ;

Galleria Ducale, Vigevano (1977);

TWS Gallerie Isa Smith, Stoccarda (1978);

Biblioteca Comunale, Milano (1978);

Theater der Altstadt, Stoccarda (1979);

Galleria Michelangelo, Firenze (1979;

Galleria Porto di Ripetta, Roma (1979)

Antichi Arsenali della Repubblica, Amalfi (1980);

Gall. Planula Elissar, Beyrouth, Libano (1983);

Galerie Le Coin, Osaka, Giappone (1984);

Università Bocconi, Milano (1987); 

Renitenz Theater, Stoccarda (1987)

Museo Nazionale della Repubblica Turca, Konya (1988);

Teatro Chiabrera, Savona (1988)

Centro Culturale San Fedele, Milano (1989)

Galleria Rinaldo Rotta, Genova (1991)

Galleria Ada Zunino, Milano (1991 - prima mostra personale interamente dedicata alla scultura in unico esemplare -  e 2002);

Comune di Rozzano, Cascina Grande (1992);

Galleria Am Jakobbsbrumen, Stoccarda (1993);

Istituto Italiano di Cultura, Madrid (1994);

Collezione Civica d'Arte, Palazzo Vittone, Pinerolo (1995);

Museo di Crema (1996);

Istituto Italiano di Cultura, Nairobi (2000);

Istituto Italiano di Cultura, Addis Abeba (2001);

Daimler-Chrysler MKP/MBP, Stoccarda (2003)

(Precisi ulteriori aggiornamenti all'anno in corso non  sono stati reperibili ai fini di questa nostra pubblicazione.)

NEL FINITO L'INFINITO

(Un afflato olistico nell'arte di Alessandro Nastasio)

   Che si affidi a pitture, sculture, mosaici, vetrate policrome, pannelli xilografici, collages o  quant'altro di strumenti espressivi appaiano di volta in volta più idonei, e che il soggetto prescelto sia ora scopertamente "religioso" (da una trasumanata effigie del Cristo, al mistero di un' Ultima Cena, a un memorabile Pater Noster illustrato, invocazione dopo invocazione, su tavole di bronzo fuso a cera persa...) ora, per contro, la vivace stilizzazione di un Cancan di primo acchito equivocabile per mero "dionisiaco" senza ulteriori risvolti, il peculiare atto creativo di questo artista di multiforme genialità credo si riveli ovunque e immancabilmente improntato ad una spontanea  compresenza di sensibile e spirituale che definirei "olistica": di terrestre respiro nel superno, di celeste nel mondano, e quindi di perenne/sconfinato nel contingente, come sostanza stessa delle passioni e del linguaggio materico volto a raffigurarle. Di qui, in un inseparabile nesso tra "invenzione" e "tecnica", tra ispirazione ed esercizio, in tutta quanta l'opera di Alessandro Nastasio traspaiono gallerie/cunicoli/varchi di reciproca interrogazione circa le umane sorti, presenti e ultraterrene, dove la mimesis, suggerita dal Pensiero e subito sottoposta al lavorio immaginifico delle metafore che ne discendono, propone in ogni caso a se stessa (e al suo fruitore) il peso di una prossimità concettuale che al tempo stesso è distanza in quanto istintiva tensione mistica verso il "sur-naturel" -- a voler mutuare un termine piuttosto efficace a un'estetica per molti versi analogamente "bifronte" come può dirsi quella baudelairiana. Per cui se, da un lato, le realizzazioni compositive del nostro rinviano in genere ad una sentita impossibilità di "imitare il naturale" ricalcandolo (specie laddove l'artista lo percepisce svilito da segni di discutibile "incivilimento": e ad esemplificare questa vena critica forse basterebbero, dopo Uovo cosmico, simbologia della creazione, del 2002, due titoli nastasiani di per sé eloquenti come Perdita di identità e Non è colpa dello specchio se le facce sono storte, risalenti all'anno immediatamente successivo), d'altro canto ogni sua iniziativa artistica palpabilmente trasuda la duplice "naturalezza" di sottostanti genuine intime motivazioni e, insieme, di un autentico "goût du travail": ovvero l'imprescindibile piacere di una artigianalità plastico-scenografica ansiosa -- e sempre magistralmente capace -- di contemperare l'etereo e il concreto, l'estro visionario e la manualità destinata a tradurlo in poetica della materia rivisitata e rivivificata. Nell'agone del postmoderno -- in cui troppo spesso si danno per Arte le più o meno originali produzioni di qualche talentuoso homo faber nel migliore dei casi in grado di scendere a patti con materiali variamente plasmabili ma da ultimo destinati a rimanere inerti, non di rado prigionieri della loro stessa opaca fisicità -- il nostro può ben dirsi raro modello di vero Artista: demiurgo indagatore/risolutore di una dualità estetica dove l'infinito (pensiero poetante della natura naturans) e il finito (strumento raffigurante della natura naturata) si integrano ad ogni passo, anzi indissolubilmente si immedesimano. 

   Ma a monte di questo suo non comune esito artistico, a me Alessandro Nastasio lascia indovinare un percorso interiore ugualmente singolare e in qualche modo emblematico. "L'infinito (chi lo asserisce e lo insegna è Rabindranath Tagore: il "gran vegliardo" alla cui autorevolezza di poeta/pensatore/pedagogo non a caso il nostro ha esplicitamente voluto dedicare un recentissimo tributo personale in veste di artista/filosofo egli stesso) non è oggetto di rarefatta speculazione intellettuale, esso è reale e concreto come lo sono la luce e il calore del sole.  In India la maggior parte della letteratura è di carattere religioso proprio perché Dio, per noi, non è un Dio lontano: Egli abita giorno e notte le nostre case, tutte le nostre cose quotidiane, non meno che i nostri templi."  Ebbene, a me pare indizio significativo che, già parecchi anni fa, Nastasio scegliesse di denominare suggestivamente una sua opera I Novantanove Nomi di Dio; non saprei dire quanto consapevole fosse allora il nostro di richiamarsi così, indirettamente, per molte affinità intuitive di fondo, a quell'illustre poeta orientale Kabir (1400-1517), allievo dell'altrettanto celebre Ramananda e all'epoca attivissimo mediatore religioso fra induisti, musulmani e cristiani, i cui Bijak (Canti) furono tradotti da Tagore perfino in bengali, affinché anche gli allievi della sua famosa scuola potessero godere della profonda lezione spirituale che per quel tramite poetico viene trasmessa. In effetti, gli insegnamenti del Kabir 'ecumenico' sono appassionatamente elogiati e ribaditi da Tagore nel contesto di "Personality": volume in cui, quattro anni dopo aver conseguito il Nobel, egli volle compendiare sei delle sue conferenze più provocatorie ad orientamento psicosociofilosofico, nel complesso concepite come vademecum di "riflessioni per l'uomo occidentale".     

   Ad implicito commento di tanta parte di pensiero trasfigurato che l'arte di Nastasio sottende (e qui come non rammentare, fra l'altro, fra il 1982 e il 1998, nell'ambito di una serie di sculture poi raggruppate sotto il titolo rappresentativo di "Contraddizioni", alcune proposte quali L'Albero della Vita,  La Vita e la Morte allo Specchio,  Qualche luce nell'Uomo?, o Spirito celeste, uomo solare, o ancora Processo di solarizzazione...) mi piace perciò riprendere per esteso uno dei Bijak che figurano tra i fondamentali citati da Tagore in quel medesimo libro suddetto:


Ritmica scocca il battito della vita e della morte:

l'estasi zampilla e tutto lo spazio s'irradia di luce.

Là si suona musica non suonata, è la musica d'amore di tre mondi:

Là dove, a milioni, ardono le fiaccole del sole e della luna;

Là dove il tamburo rimbomba e l'amante si dondola nel gioco;

Là dove echeggiano canti d'amore e, a scrosci, ne piove la luce.


   D'altra parte, il Nastasio assiduo frequentatore e intenditore di simbologia di matrice anche diversa da quella schiettamente biblico-evangelica, mi pare qua e là ispirato anche su quest'altro versante complementare: a mio personale sentire, fin dal lontano 1977 ne scaturivano mirabili esemplari di 'poesia concreta' sulla cui recondita allusività esoterica qui sono indotto a voler riflettere. E penserei in particolare alla stessa strutturazione scultorea di Preghiera celeste/Alfabeto e Crollo di un alfabeto: opere entrambe segnatamente connotate da quella certa simbolica "verticalità spaziale" per Tradizione riconducibile alle alterne sacre epifanie dello Spirito/Verbo dall'alto verso il basso, e viceversa. Non diverso torna a presentarsi l'impianto formale di un'altra scultura, datata 1989, Parole logorate dal tempo, che, ben potendosi idealmente riallacciare alle due cronologicamente anteriori, in definitiva viene a suggerirmi quanto radicato ed accorato sia il perdurante cogitare filosofico di Nastasio intorno al primigenio valore della Parola Divina in rapporto ad un Suo deplorevole costante processo degenerativo di frantumazione, di desemantizzazione e/o totale travisamento nella sempre più accomodante, ormai fatua interpretazione contemporanea del miglior significato del "luminoso/numinoso" vivere su questo nostro "atomo opaco del male".

  Dichiaratamente stimolato dalla diffusa polisemia della mia silloge poetica "Il vero, il bello...l'anello che non tiene", oggi l'amico Alessandro così mi scrive: "Carissimo, difficile è capire l'intreccio tra Verità e Bellezza, e tra ragione e fede. A detta di Agostino, 'la verità abita nell'uomo interiore'. Se non è pensata, è nulla."

Roberto Vittorio Di Pietro

domenica, marzo 23

MODELLO DEL LAICO CRISTIANO – SAN GIUSEPPE - 3 conferenza – DEVOZIONE e LEGGENDE - Padre CLAUDIO TRUZZI OCD


MODELLO DEL LAICO CRISTIANO – SAN GIUSEPPE
3 – DEVOZIONE e LEGGENDE 

Un argomento “di peso” in favore di san Giuseppe – TERESA di Gesù
Si tratta della testimonianza di santa Teresa di Gesù, che, scoprendosi liberata da una grave infermità, secondo lei per intercessione di san Giuseppe, scrive la pagina che maggiormente influì, a partire da lei, per l’estendersi della devozione al santo Patriarca.
«Non fui mai portata a certe devozioni che alcuni praticano, specialmente donne, nelle quali entrano non so quali cerimonie che io non ho mai potuto soffrire, e che a loro piacciono tanto. Poi si conobbe che non erano convenienti e sapevano di superstizione. Io invece presi come avvocato san Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi in cui era in gioco il mio onore e la salute dell'anima mia.
Ho visto chiaramente che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare. Non mi ricordo finora di averlo mai pregato di una grazia senza averla subito ottenuta. Ed è cosa che fa meraviglia ricordare i grandi favori che il Signore mi ha fatto e i pericoli di anima e di corpo da cui mi ha liberata per l'intercessione di questo santo benedetto. 
Ad altri santi sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in questa o in quell'altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso san Giuseppe estende il suo patrocinio su tutte. 
Con ciò il Signore vuole darci a intendere che, a quel modo che era a lui soggetto in terra, dove egli come padre putativo gli poteva comandare, altrettanto gli sia ora in cielo nel fare ciò che gli chiede. 
Ciò han riconosciuto per esperienza varie altre persone che, dietro mio consiglio, gli si sono raccomandate. Molte altre gli si son da poco fatte devote per aver sperimentato questa verità» ...
«Procuravo di celebrarne la festa con la maggior possibile solennità... Per la grande esperienza che ho dei favori di san Giuseppe, vorrei che tutti si persuadessero ad essergli devoti. Non ho conosciuta persona che gli sia veramente devota e gli renda qualche particolare servizio senza far progressi nella virtù. Egli aiuta moltissimo chi si raccomanda a lui. È già da vari anni che nel giorno della sua festa gli chiedo qualche grazia, e sempre mi sono vista esaudita. Se la mia domanda non è tanto retta, egli la raddrizza per il mio maggior bene». «Chiedo solo, per amor di Dio, che chi non mi crede ne faccia la prova, e vedrà per esperienza come sia vantaggioso raccomandarsi a questo glorioso patriarca ed essergli devoti».  (Vita 6, 6-8). 
È il testo classico cui attingono coloro che vogliono parlare del glorioso Patriarca. Dell'efficacia del suo patrocinio non si potrebbe dir di più e di meglio, né con espressioni più infocate e convincenti.
L'Ordine del Carmelo fu sempre devoto di san Giuseppe. Per testimonianza di Papa Benedetto XIV, il Carmelo «fu l'Ordine che portò dall’oriente in occidente la lodevole usanza di onorare s. Giuseppe con solennissimo culto». Il Breviario carmelitano recava l'ufficio proprio del Santo fin dal 1480; e il Capitolo Generale tenuto in Parigi nel 1456, ordinava che la sua festa fosse celebrata nell'Ordine con pompa solenne.
Alla fine del 1700, infatti, si contavano, nel solo Ordine del Carmelo, più di centocinque chiese dedicate a san Giuseppe; e quando nel 1847 Pio IX estendeva alla Chiesa universale la festa del Patrocinio di san Giuseppe, il Carmelo celebrava già questa festa dal 1680, accordatagli da Innocenzo XI il 6 aprile dello stesso anno.
Teresa fece di tutto per diffonderne e rassodarne il culto. In suo onore eresse il primo monastero della Riforma (in Avila). Delle sue altre 17 case, 12 ne volle dedicate proprio a san Giuseppe. E lasciò scritto tra i suoi avvisi: 
«Benché tu abbia molti santi per avvocati, sii devota in modo particolare di san Giuseppe che può molto presso Dio» … Qualunque grazia si domandi a san Giuseppe verrà certamente concessa; chi vuol credere ne faccia la prova affinché si persuada”, sosteneva. «Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso san Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare…». (cap. VI dell’Autobiografia). 
Difficile dubitarne. Fra tutti i santi, il Falegname di Nazareth è quello più vicino a Gesù e Maria: lo fu sulla terra, a maggior ragione lo è in cielo. Perché, sia pure adottivo, di Gesù è stato il padre, di Maria lo sposo. 
È stato scritto: «O Maria, rinunciando ad altri aspetti dei vostri costumi, che noi non seguiamo più, vogliamo ripetere, che Giuseppe è stato vero sposo tuo nell'amore più concreto e insieme casto; è stato con te padre terreno e educatore di Gesù, ha fatto da segreto e forte baluardo umano durante la vostra vita, in Egitto e a Nazareth. Giustamente nella Chiesa lo si onora come il Santo per tutte le necessità: diremmo l'uomo dell'“emergenza” (a partire dall'emergenza-base dell'Incarnazione di Gesù), il modello per i lavoratori (egli risulta l'“homo faber” di cui parlano volentieri i dotti di oggi: colui che maneggia, costruisce, forgia, pialla ecc.), per i poveri che sudano, per i perseguitati che debbono abbandonare la loro terra».
Sono davvero senza numero le grazie che si ottengono da Dio, ricorrendo a lui. Patrono universale della Chiesa per volere di Pio IX, è conosciuto anche come “patrono dei lavoratori”, nonché dei moribondi e delle anime purganti; ma il suo patrocinio si estende a tutte le necessità. 
Giovanni Paolo II confessò di pregarlo ogni giorno. Additandolo alla devozione del popolo cristiano, nel 1989 stese in suo onore l’Esortazione apostolica Redemptoris Custos [Custode del Redentore], aggiungendo il proprio nome alla lista di devoti suoi predecessori: il beato Pio IX, Pio X, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI. 
•  Sotto la sua protezione si sono posti Ordini e Congregazioni religiose, associazioni e pie unioni, sacerdoti e laici, dotti e ignoranti. 
Forse non tutti sanno che Papa Giovanni XXIII, nel salire al soglio pontificio aveva accarezzato l’idea di farsi chiamare Giuseppe, tanta la devozione che lo legava al santo falegname di Nazareth.
 Nessun pontefice aveva mai scelto tale nome, che, in verità, non appartiene alla tradizione della Chiesa, ma il “papa buono” si sarebbe fatto chiamare volentieri Giuseppe I, se fosse stato possibile, proprio in virtù della profonda venerazione che nutriva per questo grande Santo.
•  A lui sono dedicate più di cinquecento parrocchie in Italia ed un centinaio di cattedrali in quarantacinque nazioni: dall'Angola al Congo, passando per l'Argentina, il Brasile, il Canada, le Filippine, il Messico, gli Stati Uniti, il Venezuela, e tante altre ancora. 
•  Basta d'altronde osservare le statistiche dei nomi più utilizzati per rendersi conto che Giuseppe è nelle prime posizioni in tutti i Paesi cristiani: in Italia è il primo in assoluto e anche il femminile “Giuseppina” segue in graduatoria subito dopo gli altrettanto prevedibili Maria e Anna. Cosicché non è casuale la ricchezza di tradizioni popolari, nate in decine di località italiane e spesso trapiantate dagli immigrati all'estero come memoria viva delle lontane radici. E, di per sé, perfino la consumistica "Festa del papà" – inventata dall'industria delle cravatte e dei “dopo barba” – documenta il forte richiamo unanimemente associato allo sposo della Madonna e al padre “putativo” di Gesù.
•  Nel 1909 Pio X approvò le “litanie di san Giuseppe”, alla cui recita il Manuale delle indulgenze associò l'indulgenza parziale. [cfr. Litanie di san Giuseppe, in allegato, pag 5].
•  A san Giuseppe è attribuita una speciale protezione in ogni circostanza della vita: più in particolare, egli viene però indicato come il patrono della “buona morte”, poiché nel momento del suo trapasso fu assistito da Gesù e da Maria. 
In memoria di ciò, sono a lui intitolate pie associazioni come l'“Arci-sodalizio della Buona Morte”, avviato nel 1648 dai Gesuiti a Roma, e l'“Unione del Transito di san Giuseppe” per la salvezza dei morenti”, fondata nel 1913 nella parrocchia romana di san Giuseppe al Trionfale dal beato don Luigi Guanella. 

LEGGENDE e narrazioni sul Santo
La più nota leggenda è quella intitolata: “San Giuseppe e il suo devoto”, nella quale egli minaccia d’abbandonare il Paradiso qualora il suo protetto non sia fatto entrare da Dio. Lo studioso Giuseppe Tammi ne individuò ben undici versioni, comprese la spagnola e la canadese. E Il noto autore napoletano Eduardo De Filippo inserì l'episodio sia nel poemetto “De Pretore Vincenzo”, sia nell'omonima commedia.
A partire dal 1400 furono scritte numerose sacre rappresentazioni, relative in particolare alla ricerca natalizia dell'alloggio da parte di Giuseppe e di Maria, tuttora messe in scena, con la partecipazione di attori non professionisti. In Sicilia è caratteristica la rappresentazione della “Fuga in Egitto”, specialmente nella versione scritta in versi dal poeta Archinà intorno al 1850 e musicata dal canonico La Porta.
  All'origine di uno dei pii esercizi in onore del Santo (“I Sette dolori e gioie di san Giuseppe”), c'è fra' Giovanni da Fano, [vissuto tra il 1469 e il 1539], che fu tra i promotori del nuovo ramo francescano dei Cappuccini. Da un confratello dell'Osservanza (un ramo dei Francescani) egli ricevette la confidenza di altri due “frati minori”, salvati da una sicura morte in mare per intercessione di san Giuseppe. Egli quale si rivelò ai due naufraghi con queste parole: «Io sono san Giuseppe, degnissimo sposo della beatissima Madre di Dio, al quale vi siete tanto raccomandati». Quindi il Santo garantì loro di aver «impetrato dalla infinita clemenza divina che chiunque dirà ogni giorno, per tutto un anno, 7 Padre nostro e 7 Ave Maria, meditando sui sette dolori che io ebbi nel mondo, otterrà da Dio ogni grazia che sia conforme al suo bene spirituale».
–– La preghiera consiste nel ripetere le seguenti sette invocazioni a san Giuseppe (secondo la formulazione attribuita al beato settecentesco Gennaro Sarnelli), al termine di ciascuna delle quali si rivolge la richiesta: «Assistimi paternamente in vita e in morte», e si recitano appunto 1 Padre nostro ed 1 Ave Maria. 
La pietà cristiana ha prodotto lungo gli anni altre varie pratiche legate al Santo, oltre quelle accennate: Rosari, Corona a san Giuseppe, Settenari, Novene (fra cui quella detta “delle Chiavi di San Giuseppe”), Le sette domeniche, Suppliche..., oltre a molte preghiere per chiedere grazie e ringraziare.

FESTA DEL 19 MARZO
Come altre feste del calendario, anche questa di san Giuseppe ha una propria storia che l'ha portata, dopo un periodo “glorioso”, ad essere molto ridimensionata, proprio mentre il Santo festeggiato ha avuto un'ulteriore proclamazione d’importanza nella vita della Chiesa (oltre al 19 marzo, il 1° maggio: san Giuseppe lavoratore) ed una continuata vitalità nella devozione dei fedeli. 
– Ci pare interessante e persino istruttivo preporre una rapida visione storica di questa festa, inserendola nell'evoluzione di tutte le celebrazioni della Chiesa.
1 – Tante feste: perché?
* Innanzi tutto, è interessante conoscere come la Chiesa abbia fissato, nel corso di duemila anni, le sue feste solenni con il precetto, cioè l'obbligo della partecipazione alla Messa e dell'astensione dai lavori “servili”, vale a dire quelli degli artigiani e degli operai.
L'imperatore romano Costantino – che nel 313 d.C. aveva concesso ai Cristiani la libertà di esercitare il loro culto – otto anni dopo stabilì per legge che le domeniche e le altre feste fossero tali anche per la società civile. Allo scadere dello stesso secolo, il Concilio di Laodicea ripeteva per i cristiani l'obbligo di partecipare alla celebrazione Eucaristica e di riposare in domenica e nelle feste comandate.
Il numero di tali feste variò molto nel tempo: erano 11 nel VII secolo, arrivarono a 41 nel XII sec., per raggiungere le 45 nel XIII secolo. Le feste, insomma, si moltiplicavano al passo dello sviluppo della società europea: ogni regno, provincia e città, diocesi e parrocchia desiderava festeggiare il proprio santo patrono.
– Alcuni storici criticano per questo la Chiesa: sostengono che, in tal modo, la produzione dei campi e delle botteghe calava e la scarsità delle merci faceva salire i prezzi; nello stesso tempo l'ozio favoriva le cattive abitudini e molti festeggiamenti si sviluppavano con elementi magici e superstizioni (come avviene ancora in qualche festa patronale, dove sussistono antiche usanze).
– Altri storici lodano invece la Chiesa, che con le molte feste sottraeva, almeno un po', contadini e artigiani allo sfruttamento dei padroni, alla fatica e alle prestazioni gratuite dovute ai signori feudali. Ed inoltre, cosa ancor più importante, ogni festa imponeva la “tregua di Dio”, la cessazione, cioè, d’ogni combattimento o razzia in tempi in cui le lotte tra i signori erano incessanti e producevano devastazioni ovunque.
Certo, i fedeli erano confusi, non conoscendo neppure quali fossero esattamente le feste da osservare e il calendario giusto. L'ignoranza generale favoriva il diffondersi di storie leggendarie ed impediva di cogliere la relazione stretta tra festa, santità e preghiera comunitaria.
Solo la riforma liturgica di san Pio V, nella seconda metà del Cinquecento, mise un certo ordine nel numero e nella regolamentazione delle feste, riducendo la possibilità di vescovi e sovrani di proclamare festività a loro piacimento. Fu poi il decreto di papa Urbano VIII, nel 1642, a stabilire un elenco preciso delle feste riconosciute dalla Chiesa universale.
2 – La festa di san Giuseppe 
Prima del Seicento, san Giuseppe era festeggiato in molte città e regioni, con giorni di precetto che vale-vano in sede locale, ed il cui numero era in continua crescita. 
Si ha notizia che a Bologna, già nel 1129 c'era una chiesa dedicata al nostro Santo, e la festa era celebrata solennemente e con manifestazioni popolari di giochi. Nel ducato di Milano, fin dal Quattrocento si celebrava il 19 marzo, e fu “di precetto” dal 1498. Il doge di Genova, Ottaviano Fregoso, stabilì che dal 1519 il 19 marzo doveva essere festa solenne e di precetto. E altrettanto avveniva in altre regioni e città dell'Italia.
In Spagna, Valencia e Granada onoravano san Giuseppe pubblicamente fin dalla fine del '400, ed ancor prima era nata la devozione in Olanda e in Francia. Lo stesso Gerson (grande propagandista del culto di san Giuseppe in Francia), fu sorpreso di scoprire, ai primi del '400, che in tutte le chiese e le cappelle d’Avignone, il culto del Santo era già praticato in forma solenne, come avveniva per le più importanti feste religiose, e ciò sembra sia dovuto alla volontà precisa di un papa, Gregorio XI, che la suggerì per tutta la Chiesa universale. 
A Roma, papa Sisto V la inserì nel calendario romano alla data fissata del 19 marzo. E sempre a Roma, in seguito, nel 1540, una trentina di falegnami romani s’unirono e fondarono una Confraternita intitolata al Santo che aveva esercitato il loro mestiere e con cui aveva assicurato il pane a Gesù e Maria. Costituirono una piccola chiesa presso l'antico carcere mamertino (Roma), e fra gli scopi si diedero quelli di promuovere il culto del Santo e di far celebrarne solennemente la festa.
*    Festa di precetto
Finalmente, quando le insistenze di molti prelati, di studiosi, di religiosi e laici, di sovrani e di popolo, si fecero un unico coro, la Santa Sede raccolse il desiderio di tutti. 
I Cardinali della Congregazione dei Riti sottoposero a papa Gregorio XV una richiesta: «Piaccia a Vostra Santità di comandare che il giorno della festa di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria beatissima Madre di Dio, sia d'ora in poi, ed in perpetuo, giorno di precetto, e che tutti i fedeli si astengano in tale giorno dal lavoro servile». Il Papa approvò e firmò il decreto: era l'8 maggio 1621.
L'elenco delle feste ufficiali della Chiesa fu stabilito da papa Urbano VII. Il 13 settembre 1642 pubblicò infatti la Costituzione “Universa per Orbem” allo scopo di mettere ordine tra le festività. La lista dei giorni da considerarsi “di precetto” era ancora nutrita: 35, oltre le domeniche. Fra queste c'era il 19 marzo per san Giuseppe, come pure le feste dei santi patroni della nazione e del luogo. Nessuno poteva, in avanti, istituirne di nuove, se non la Santa Sede. Nel medesimo decreto era resa universale la festa del Corpus Domini].
*   Festa di precetto, soppressa
Nel 1624 il Canada, con voto popolare, aveva proclamato Giuseppe patrono della Chiesa che stava nascendo in quel paese. In Italia, Napoli e Torino si posero sotto la protezione del Santo nel 1690 e 1696. L'Austria lo dichiarò patrono della Boemia nel 1655, e nel 1676 tutto l'Impero fu posto sotto la sua tutela. Il regno di Baviera gli fu dedicato nel 1664. In Asia, i gesuiti chiesero la protezione di Giuseppe su tutte le loro missioni nell'Indocina e in Cina.
Possiamo concludere che il bisogno di dedicare una solennità al nostro Patrono si rafforzò proprio in un secolo che tendeva invece a ridurre il numero delle feste.  Questo dimostra quanto fosse importante.
Nel secolo seguente (1800), infatti, gli Stati europei seguirono piuttosto le ispirazioni laiche e illuministi-che, e, di conseguenza, i Papi furono costretti a ridurre nettamente le feste di precetto – compresa quella del 19 marzo – per molte parti d'Europa. 
(L’eccezione avvenne con Benedetto XV, che nel 1917, proprio durante la Prima guerra mondiale, stabilì che la festa [19 marzo]] di san Giuseppe facesse parte delle 10 feste di precetto della cattolicità). 
Purtroppo, le esigenze della produttività industriale e la concorrenza fra gli Stati provocarono ulteriori richieste d’abolire le festività infrasettimanali, religiose e civili, data la cattiva abitudine di cittadini di fare i cosiddetti “ponti”, in altre parole d’assentarsi dal lavoro pure nei giorni intermedi. [Ma la “moda” non è per nulla sparita, anzi! Niente Messa, ma, sì, agli scioperi ed altre manifestazioni! La coerenza!!!].
E così la Santa Sede autorizzò l'Italia (ed il Messico) a non considerare più festivo il 19 marzo. Conseguenza? Questo impedisce al popolo di ricevere un'istruzione più profonda su san Giuseppe nel giorno a lui dedicato.
•  Le tradizioni legate al 19 marzo sono molteplici in tutta Italia, e in varie regioni il sentimento popolare manifesta una specifica condivisione con le sofferenze della Santa Famiglia attraverso un gesto di solidarietà.
– In Sicilia viene generalmente accolta in famiglie una persona anziana e bisognosa. Nel Molise si invitano a pranzo una coppia di sposi e un giovane – in rappresentanza di Giuseppe, Maria e Gesù – e si servono a tavola speciali dolciumi chiamati “cauzione di san Giuseppe”, ad indicare l'intercessione del santo verso i suoi devoti.
– In Puglia si svolge la cerimonia della “mattra”, che consiste in una serie di tavole imbandite appositamente per i poveri e gli anziani. Nel meridione d'Italia, e anche in alcune zone d'emigrazione italiana, in questo giorno s’inforna il cosiddetto “pane di san Giuseppe” – a forma di barba, bastone e corona (simboli del Santo), ma anche di animali – che il capofamiglia divide con i commensali durante il pranzo e che vengono poi donati a quanti entrano in casa: una volta erano i poveri del paese, oggi sono bambini festanti.
Un'antica tradizione contadina prevedeva invece la conservazione di qualche pagnotta, che in occasione dei temporali veniva divisa in quattro parti, ciascuna lanciata in direzione di un punto cardinale per invocare la protezione di san Giuseppe dal maltempo che poteva causare gravi danni alle colture.
LITANIE di San Giuseppe

Signore, pietà – Cristo, pietà – Signore, pietà  
Padre celeste, Dio   
Figlio redentore del mondo, Dio   
Spirito Santo, Dio   
Santa Trinità, unico Dio  

Santa Maria  
San Giuseppe  
Inclita prole di Davide   
Luce dei Patriarchi   
Sposo della Madre di Dio 
Custode purissimo della Vergine   
Tu che nutristi il Figlio di Dio  
Solerte difensore di Cristo   
Capo dell'Alma Famiglia 
O Giuseppe giustissimo   
O Giuseppe castissimo  
O Giuseppe prudentissimo   
O Giuseppe obbedientissimo   
O Giuseppe fedelissimo   
Specchio di pazienza  
Amante della povertà   
Esempio agli operai   
Decoro della vita domestica   
Custode dei vergini  
Sostegno delle famiglie   
Conforto dei sofferenti   
Speranza degli infermi  
Patrono dei moribondi   
Terrore dei demoni   
Protettore della S. Chiesa  

Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo   
Ascoltaci
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo   
Esaudiscici
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo.
Abbi pietà di noi