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MODELLO DEL LAICO CRISTIANO
2 – SAN GIUSEPPE NEI SECOLI
Grande, eppure ancor oggi piuttosto sconosciuto. Il nascondimento, nel corso della sua intera vita come dopo la sua morte, sembra quasi essere la “cifra”, il segno distintivo di san Giuseppe. Come giustamente ha osservato Vittorio Messori: “Lo starsene celato ed emergere solo pian piano con il tempo sembra far parte dello straordinario ruolo che gli è stato attribuito nella storia della salvezza”.
La presenza di san Giuseppe lungo la storia della Chiesa è stato, infatti, qualcosa di sconcertante, e contrariamente a ciò che accadde per altri santi, egli, in questo senso, non ha avuto un eccessivo successo.
Dai Vangeli agli Apocrifi
La prima catechesi cristiana s’incontrò con la necessità di riflettere sugli avvenimenti antecedenti la Risurrezione del Signore, e il “Vangelo dell'Infanzia” – che narra gli avvenimenti evangelici prima della vita pubblica di Gesù – presentò Giuseppe come trasmettitore dell'ascendenza davidica, come “padre di Gesù” (così lo chiamava Maria), come sposo della Vergine, come mediatore del disegno di salvezza. Sebbene nei Vangeli non si registri neppure una sua parola, non è poi così poco ciò che di lui dicono i Vangeli. [Lo abbiamo visto !!!]
I cristiani, sentivano, però, il bisogno d’avere maggiori notizie dell'infanzia e della gioventù di Gesù, e per saziare la comprensibile curiosità, come portatori di certe idee a volte non troppo ortodosse, dal 200 d.C. iniziarono a redigere [anche se la loro divulgazione fu a volte un po' posteriore] gli “Evangeli Apocrifi”.
Questi erano prodotti ingenui – o, non tanto “ingenui”! – della fantasia. Preistoria di Gesù fino ai suoi nonni; fanciullezza di Maria nel tempio; le sue nozze accompagnate dal meraviglioso (Il bastone fiorito dello sposo); episodi e compagni di viaggio verso Betlemme, la fuga, la permanenza e il ritorno dall'Egitto… tutti questi spazi si riempiono d’una buona dose d’immaginazione.
Un altro punto sgradevole negli Apocrifi è il primo matrimonio e la conseguente vedovanza di san Giuseppe.
Furono essi (soprattutto i così detti “Proto-evangelo di San Giacomo”, “Pseudo-Matteo”, “Storia di Giuseppe il carpentiere”) i creatori di un san Giuseppe vecchio, molto vecchio – quanto più vecchio, meglio! – . Inoltre, lo presentavano vedovo, e, per di più, con sufficienti figli allorché si sposò con Maria, dopo quella sfida fra i pretendenti migliori fisicamente, socialmente ed economicamente, e... perché continuare...!?
Scrittori ecclesiastici e I Padri della Chiesa *
* Con tale nome si trovano designati – specie a partire della metà del secolo IV (350) – i principali scrittori ecclesiastici il cui insegnamento e la cui dottrina sono ritenuti fondamentali per la dottrina della Chiesa. (Ma 4 di loro, oltre che dottori sono santi: Agostino d’Ippona, Ambrogio, Girolamo e Gregorio Magno. Quelli orientali, pure 4 sono [greci] sono s. Atanasio dall’Alessandria d’Egitto, s Basilio, Giovanni Crisostomo e Cirillo d’Alessandria).
Orbene, i Padri della Chiesa e altri scrittori ecclesiastici, con maggior o minore vigore secondo i tempi, si scontrarono con problemi apologetici, che tentavano di risolvere. Era un ambiente, il loro, in cui, generalmente, il valore della verginità si stava imponendo, a volte come valore assoluto. E poiché nel Vangelo appaiono “alcuni fratelli di Gesù”, e si affermava che Giuseppe (sposo di Maria) ne era il padre, di ciò se n’approfitta-vano molto bene alcuni eretici dell'epoca..., era, quindi opportuno passare sotto silenzio la persona e il ruolo di Giuseppe o convertirlo in strumento di verginità. Certo alcuni – con maggior forza e pure con parole più belle (sant’Agostino) – s’impegnarono a valorizzare una paternità tanto reale quanto più verginale; altri, però, ripresero le posizioni apocrife e contribuirono a trasmettere l'immagine del vedovo e del vecchio, piuttosto che padre “normale” di Gesù, progenitore di coloro che erano chiamati suoi “fratelli di Gesù”.
Esempio, sant’Epifanio di Salamina (315-403) è una testimonianza ben qualificata di tale singolare apologetica: Giuseppe, padre solo in apparenza di Gesù, «in età avanzata e vedovo della donna che gli diede quattro figli (Giacomo, chiamato fratello di Gesù, perché educato con Lui, Simone e Giuda e Giovanni) e di due femmine (Anna e Salomè), questo Giuseppe, dico, già vecchio e vedovo, in virtù della sorte si vide obbligato a contrarre matrimonio con la santissima Vergine Maria»».
La “dimenticanza” del Medio Evo
Per vari secoli san Giuseppe non uscì da tale nascondimento. Furono i secoli medievali, di spiritualità monastica, in cui poco significato aveva il matrimonio di Giuseppe, ed ancor meno la sua paternità.
D'altra parte, la catechesi plastica – quella delle pitture e delle statue – s’incaricarono di diffondere e rendere popolare la figura di un Giuseppe che stava al margine della Natività, nelle adorazioni del neonato.
La sua figura è abbastanza grottesca, quando non addirittura comica: erano frequenti le rappresentazioni di un santo vecchissimo ed addormentato, assente a tutto o quasi: che portava una lanterna per la stalla e sempre in secondo piano; talvolta, che preparava addirittura i pasti.
La medesima immagine, tanto vicina al ridicolo, si ripeteva nei giochi, nelle rappresentazioni drammatiche religiose, nei canti eseguiti in chiesa nel periodo natalizio, in alcuno dei quali Maria lo chiama “Padre”, ed Anna “Reverendo Padre”! E poiché nelle società analfabete il migliore e quasi unico mezzo d’informazione erano le prediche, anche qui san Giuseppe non faceva granché bella figura; come per esempio in uno dei predicatori più popolari alla fine del 1300, san Vincenzo Ferrer. Questi, oltre al fatto di far pensare allo sposo le cose peggiori dinanzi alla gravidanza di Maria, il ritornello con cui dovunque lo qualifica è: “vecchio e povero”.
I Precursori e l'Umanesimo
Non tutti i predicatori, naturalmente, trasmettevano una simile immagine, che muoveva a compassione.
• I Francescani, in Italia, ed alcuni di prestigio come Bernardino da Feltre e s. Bernardino da Siena, propagavano un Giuseppe molto più evangelico, colmo di tenerezza e di dedizione a Gesù ed a Maria; e persino lo facevano patrono di quella specie di “Banca” primitiva e caritativa che erano i primi “Monti di Pietà”.
• Attraverso l'Europa apparvero in quel tempo anche i Carmelitani – originari dalla Palestina – che si professavano “Fratelli della Vergine” e che non tardarono a far proprie certe tradizioni circa il loro tratto familiare con la Sacra Famiglia nella loro culla primitiva del Monte Carmelo.
• Fu, però, dalla Francia che si fece sentire la voce di richiamo per un'attenzione sulla necessità d’una maggior presenza nella Chiesa del Padre di Gesù e sposo di Maria. All'inizio del 1400 una costellazione di apostoli si dedicò a simile missione.
È sufficiente ricordare il più insigne ed entusiasta: Giovanni Gerson (1363-1429), cancelliere dell'Università di Parigi, che dovette vivere da protagonista il difficile ritorno all'unità della Chiesa con la fine del nefasto Scisma papale d'Occidente. [Proprio nel Concilio di Costanza (1414-1418), questi proclamava la necessità di guardare a Giuseppe, di celebrare la festa delle sue nozze con una Messa e Ufficio che lui stesso aveva steso. Egli compose il primo poema dedicato a Giuseppe, la “Giuseppina” di 4.800 versi. Nelle sue considerazioni e sermoni sul Santo offre già i capitoli che saranno di fondamento a ciò che potremmo chiamare “la teologia” di san Giuseppe.
È indicativo il suo impegno per mutare l'immagine di Giuseppe “vecchio” per uno “giovane”, come per Maria, formulando gli argomenti che si convertiranno in un fortunato luogo comune. Gerson fu una personalità con un prestigio difficile da immaginare (gli si attribuì l'“Imitazione di Cristo”), e per secoli i suoi echi risuoneranno nella teologia, nella predicazione, nella spiritualità e nella mistica. Per coloro che in un modo o in un altro s'interessano di san Giuseppe, il riferimento a Gerson sarà inevitabile.
• L'Evangelismo presente nelle correnti umanistiche (cioè, che propugnava un ritorno al Cristo evangelico), si ripercossero nel nuovo modo di considerare san Giuseppe: dalla teologia alla predicazione ed alla devozione popolare (alquanto indietro, questa, e scossa soprattutto dai Francescani). L'iconografia rinascimentale cominciò a trattarlo con rispetto e dignità; e la stampa facilitò l'impulso decisivo che fece maggiormente conoscere sia Gerson, sia il primo trattato sistematico giuseppino, la “Somma delle doti di San Giuseppe” del domenicano Isidoro de Isolanis (1525) o l'altra “Giuseppina” di Laredo, uno dei maestri di santa Teresa d’Avila.
L'esplosione del Barocco
Ai tempi vicini al Concilio di Trento [1545-1563] l'attenzione delle “élites” si fuse con le predilezioni popolari. E fu precisamente s. Teresa d'Avila il detonatore in un ambiente in parte ereditato ed in maggior parte accelerato da lei in maniera sorprendente, sia per le sue calorose esortazioni ed esperienze riflesse nel cap. VI del libro della Vita, sia per la coerenza di dedicare i suoi monasteri a san Giuseppe (che non n’aveva nessuno fino a quello di Avila), per la dedizione del suo Ordine al Santo, che lo considerava quasi cofondatore. Là dove giunsero i libri di Teresa ed i suoi conventi di frati e di monache (e arrivarono molto lontano!) si poteva contare su centri d’irradiazione “giuseppina” incondizionata, con feste in cui i predicatori più celebri – come Bossuet – scioglievano lodi al Santo.
Libri ben scritti – come la tanto edita «Josefina» del carmelitano scalzo padre Graçián o il fortunato e immenso poema di Giuseppe di Valdivielso (anch’esso chiamato “Josefina”), solo per citare alcuni dell'incontenibile letteratura apparsa in Spagna nel sec. XVII –; sermoni, devozioni nuove (come quella dei «Sette dolori») sicurezza di protezione dinanzi alla morte, che i cristiani desideravano fosse come quella di Giuseppe; confraternite associative o devozionali o assistenziali (come quella dei bambini esposti)... portavano il suo nome; reliquie [non autentiche!] come quelle dell'anello dello sposalizio, il suo bastone fiorito, la sua cappa, (che si veneravano sia a Perugia sia a Parigi...); tutto, e molto di più, testimoniano che Giuseppe, dopo il Concilio di Trento, aveva rotto i silenzi delle epoche anteriori e occupava il primo posto nelle predilezioni spirituali di quasi tutti.
Segno di tale incontenibile esplosione possono essere l'iconografia, in cui appare un Giuseppe da solo, o accompagnato dal bambino Gesù, slanciato, forte e giovane. Episcopati, province, domini territoriali, persino nazioni intere lo proclamano loro protettore.
È ciò che successe con monarchia spagnola, ai tempi di Carlo II, in un patronato effimero che non poté affermarsi (come non aveva potuto quello di s. Teresa) per le resistenze procedenti dal Capitolo di Santiago di Compostela.
In altri luoghi non esistettero tali difficoltà; e così san Giuseppe fu patrono della Nuova Spagna dal 1525; del Belgio più tardi, dell'Impero Germanico, del Canada francese, della Baviera, di Genova; delle missioni cinesi.…
Il patronato non era solo territoriale; lo era anche personale, e molti seguirono l'esempio di s. Teresa nello sceglierlo come avvocato e protettore. Di fatto c'è una certa corrispondenza tra la propaganda teresiana e la frequenza con cui in certi luoghi (dalla Francia alla Polonia) si va imponendo ai bambini nel Battesimo il nome di Giuseppe, con tutte le conseguenze inerenti. Appena presente fino allora, dall'inizio del '600 s’inizia a chiamare Giuseppe o Giuseppina un numero sempre maggiore di bambini, fino a giungere a ciò che fu corrente in Casti-glia (la patria di Teresa): alla fine del secolo più del 12% avevano questo nome, una proporzione che non diminuirà fino al 1964.
• Contrastava con il fervore del clero (in tutti i suoi settori) e del popolo, l'attitudine di Roma. San Giuseppe, infatti, nonostante tutto, non disponeva di una festa universale, anche se lo si celebrava in forma privata, in quasi tutti gli Ordini religiosi e in diocesi speciali. Finché un Papa, Gregorio X riuscì, nel 1621, ad averla vinta sulle resistenze della Congregazione dei Riti, e a stabilire che la festa di san Giuseppe si celebrasse in tutta la Chiesa, persino come precetto. Nonostante la Messa e l'Ufficio divino fossero liturgicamente poveri e il precetto presto cessasse d’essere universale, non si pone in dubbio l'importanza di questo primo intervento pontificio.
Crescita e crisi
Contrariamente a ciò che si suole affermare, la corrente filosofica dell’illuminismo del 1700 non significò un freno a questa devozione, ma soltanto una depurazione. Com’era naturale, si posero in questione specifiche forme di pietà (determinate reliquie impossibili, maniere popolari di celebrare il Santo) che non erano in concordanza con il nuovo stile esigente e critico che stava nascendo.
In tal modo Giuseppe diviene più “evangelico”, e col dar valore al matrimonio ed alla famiglia, lo si propone come esempio cui rivolgersi, come avveniva per Gesù e Maria. Continua ad approfondirsi il suo modello di una “buona morte”, ed egli appare invocato nei testamenti, si creano “Confraternite giuseppine”; come non diminuisce di numero il nome di coloro che si chiamano Giuseppe, né la produzione editoriale di ogni genere.
Il momento culminate di tale crescita fu, tuttavia, l'Ottocento, nettamente “Giuseppino”. Pullularono devozioni e i cosiddetti” devozionari” che incontrarono la loro espressione più popolare nelle immaginette (di solito provenienti dalla Francia) che invasero il mercato.
Il nuovo tipo di vita religiosa, di presenza sociale nell'insegnamento e negli ospedali, cioè, le Congregazioni religiose moderne, guardò con predilezione a Giuseppe: delle (circa) 239 che portano il nome del Santo, l'immensa maggioranza è di questo secolo. Nelle case e nelle chiese s’iniziò a recitare la preghiera: «A Te, o beato Giuseppe...» per chiedere la protezione del Santo in “tempi calamitosi” (come si diceva allora). La preghiera proveniva dallo stesso Leone XIII, il Papa che promulgò l'unica enciclica esistente (1889) su san Giuseppe e che stabilì per tutta la Chiesa la festa della Sacra Famiglia durante il tempo Natalizio.
La decisione pontificia più indicativa fu, tuttavia, quella di Pio IX, che proclamò san Giuseppe Patrono della Chiesa Universale (1870), estendendo a tutta la Chiesa una festa che già tante Istituzioni celebravano privatamente da quando lo iniziarono nel '600 i Carmelitani Scalzi.Poco progresso, invece, si notò nella riflessione scritturistica e teologica, e neppure molto in quella liturgica, sempre a rimorchio della devozione.
Le innumerevoli campagne che dagli inizi del secolo si misero in piedi per ottenere la presenza di san Giuseppe nella Messa (nell'atto penitenziale, e soprattutto nel Canone) insieme a tanti altri santi – per lo più romani –, urtarono sempre contro la resistenza rocciosa della Sacra Congregazione dei Riti, decisa a non toccare in nulla ciò che da sempre era una venerata antichità. In verità, la presenza di san Giuseppe nel culto ufficiale e generale della Chiesa, è dovuto a decisioni personali di Papi devoti, contro l'opposizione dei corrispondenti Dicasteri.
Il contraddittorio secolo XX
• Tali inerzie e contraddizioni permangono nel secolo XX con il Concilio Vaticano II, come fulcro di mutamenti sostanziali, che non furono soltanto ecclesiali, ma pure sociali, di mentalità e di religiosità.
• Fino agli anni '60 si percepisce la continuità di forme devozionali anteriori. Ma dopo quegli anni, anche san Giuseppe è toccato dalle nuove correnti (forse più del clero che popolari), ed entra nella linea, a volte addirittura disprezzata, delle “devozioni” in generale.
• È vero che Pio XII, nel 1955, stabilisce la festa di “San Giuseppe Lavoratore”, però la sua attenzione era rivolta più al mondo del lavoro, al 1° maggio, che allo Sposo artigiano di Maria; e per di più tale Festa fu introdotta a spese di quella del “Patrocinio Universale”, soppressa in quel tempo.
• Nel 1962 Giovanni XXIII *– facendo proprie le proposte promosse dai Centri “Giuseppini” di Valladolid, Montreal (Canada) e d’Italia, e la petizione di mons. Benedetti (carmelitano scalzo prima di essere vescovo di Lodi – che in pieno Concilio ne aveva espresso il desiderio) decretava l'introduzione del nome di san Giuseppe nel Canone romano. Tale introduzione – in sé rilevante – fu però presto ridotta a ben poco con la riforma liturgica conciliare, che propose altre preghiere liturgiche che in sostanza annullarono quella del Canone romano.
• Fu invece l'investigazione teologica quella che maggiormente manifestò progressi. La teologia, che nel secolo passato (1900) enumera non pochi trattati su san Giuseppe, fu inizialmente di tipo scolastico. Verso gli anni '40 iniziò ad apparire la prima rivista d’investigazione specializzata, “Estudios josefinos” (Valladolid), cui si unì nel decennio successivo la sua replica canadese (“Cahiers de Joséphologie” – Montreal). Ambedue presentavano i lavori di “Società di studi” radicati nel “Centro Josefino” di Valladolid e nell'“Oratorio di San Giuseppe” a Montreal (Canada). Organizzati da Valladolid si celebravano Settimane di Studi, i cui prodotti erano speculativi o storici, ma a volte di singolare valore. Dal tempo del Vaticano II si è mantenuta la linea d’investigazione storica, sempre più però, secondo posizioni maggiormente biblici, evangeliche e pastorali.
• A questi due Centri se ne unirono altri in Messico, Cile, Polonia, vari in Italia, Malta e persino in Corea. Fra loro si organizzano, dal 1970, simposi internazionali, che hanno tentato – ed a volte ottenuto – di scoprire la presenza di san Giuseppe nel mistero di Cristo e nella vita della Chiesa.
• Come testimonianza popolare od espressioni della spiritualità di Congregazioni giuseppine, appaiono numerose riviste di divulgazione (una delle più antiche è il “Messaggero di S. Giuseppe” , Valladolid). Esistono luoghi di pellegrinaggi come quello dell'Oratorio di san Giuseppe a Montreal.
* Ai nostri giorni? Ora come ora, san Giuseppe non suscita tanti entusiasmi come prima. Si può affermare, che, indotta da altre cause, la devozione popolare verso di Lui è diminuita. [Nota. Perché nelle Litanie della Madonna non è inserita “Maria sposa?”], Si registra, invece, un rinnovato interesse, però soltanto fra minoranze, convinte della possibilità che san Giuseppe – sempre partendo dal mistero dell'Incarnazione – possa offrire per la riflessione teologica e per la vita cristiana, così com’è esposta nell’Esortazione apostolica di Giovanni Paolo II, "Custode del Redentore"
• * Non tutti sanno che papa Giovanni XXIII, nel salire al soglio pontificio aveva accarezzato l’idea di farsi chiamare Giuseppe, tanta era la devozione che lo legava allo Sposo di Maria. Nessun pontefice aveva mai scelto questo nome, che in verità non appartiene alla tradizione della Chiesa, ma il “papa buono” si sarebbe fatto chiamare volentieri Giuseppe I, se fosse stato possibile, proprio in virtù della profonda venerazione che nutriva per questo grande Santo.
•
A te, o Beato Giuseppe
A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio insieme con quello della tua santissima Sposa. Per quel sacro vincolo di carità che to strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, riguarda, te ne preghiamo con occhio benigno, la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potente aiuto soccorri ai nostri bisogni.
Proteggi, o provvido custode della divina famiglia l’eletta prole di Gesù Cristo; allontana da noi, o Padre amatissimo, la peste di errori e di vizi che ammorba il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta contro il potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore, e come un tempo salvasti dalla morte la minaccia alla vita del bambino Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità e stendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché a tuo esempio e mediante il tuo soccorso possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguire l'eterna beatitudine in cielo. Amen.
ALLEGATI
Letteratura apocrifa e san Giuseppe
La letteratura apocrifa (non riconosciuta dalla Chiesa come “rivelata”) intorno a Giuseppe sviluppò molti motivi leggendari, tuttavia non privi d'interesse per l'influsso che hanno avuto nella tradizione e nell'arte.
I principali Apocrifi che si occuparono del Santo sono: “Proto-evangelo di Giacomo” (sec. Il), “Pseudo-Tommaso” (probabilmente sec. III), “Pseudo-Matteo” (sec. V), “De nativitate Mariae”, “Evangelo arabico della Infanzia”, e in particolare la “Storia di Giuseppe falegname” (sec. IV o V).
I primi cinque Apocrifi abbracciano il solo periodo dell'Infanzia di Gesù. L'ultimo – “Storia di Giuseppe...” – pretende di raccontare la storia di Giuseppe per bocca stessa di Gesù in un colloquio con gli Apostoli. per la storia dell'infanzia, invece, segue per lo più il “Proto-evangelo di Giacomo” ed i Vangeli canonici; di proprio ha le notizie sugli ultimi giorni e la morte di Giuseppe, ed è interessante per le idee sull'oltretomba.
Secondo tali racconti, Giuseppe si unì in matrimonio una prima volta, all'età di 40 anni, con una donna per nome Melcha o Escha, con cui visse 49 anni; da lei ebbe 4 figli – quelli che più tardi saranno chiamati “fratelli del Signore” – [qualche apocrifo aggiunge 2 figlie]. il minore sarebbe Giacomo, presunto autore del Proto-evangelo che ne porta il nome e testimone dei fatti dell'Infanzia di Gesù.
Rimasto vedovo all'età di 89 anni, Giuseppe seguitava ad esercitare il suo mestiere di falegname in Betlemme sua patria. Qui fu ricercato dai sacerdoti del Tempio per essere dato in sposo ad una fanciulla di 14 anni per nome Maria. Ma, essendovi altri competitori, il sommo sacerdote affidò la scelta alla volontà divina, che si manifestò con il miracolo del bastone fiorito, e, – secondo lo “Pseudo-Tommaso” –, con l'apparizione della colomba sul capo di Giuseppe.
È noto l'influsso di tale episodio, specialmente della “verga fiorita” – del resto assai suggestivo per il suo simbolismo – nell'iconografia del Santo e nell'arte cristiana: si ricordi il celebre quadro di Raffaello “Lo Sposalizio”.
Due anni dopo seguì l'Annunciazione. Giuseppe era assente. Quando tornò, nella sua sposa erano palesi i segni della maternità. Oltre il turbamento del Santo, gli Apocrifi riferiscono l'episodio della prova dell'acqua amara (cf. Num. 5, 11 ss.), da cui risultò l'innocenza di Giuseppe e di Maria.
Seguono gli altri episodi della nascita ed infanzia di Gesù fino ai 12 anni (viaggio a Betlemme, fuga in Egitto, ritorno a Nazareth, ecc.), che corrispondono nella sostanza a quelli dei Vangeli canonici, ma con frequenti chiose ed amplificazioni, e con una esuberanza del prodigioso che cade nel ridicolo. Alcuni particolari non solo sono futili, ma poco riguardosi per Giuseppe: così, p. es., il ragionamento che gli si mette in bocca all'arrivo a Betlemme (“Proto-evangelo di Giacomo”, 17); a Nazareth egli viene a trovarsi più d'una volta in imbarazzo per l'indole vivace del fanciullo e per i suoi miracoli punitivi (“Pseudo Tommaso”, 3 ss).
Secondo l'apocrifa “Storia”, Giuseppe sarebbe morto all'età di 111 anni, dopo aver trascorso una ventina di anni con Gesù a Nazareth. Negli ultimi giorni l'infermo avrebbe sentito nausea del cibo e della bevanda, e sarebbe stato in preda a forte turbamento, ma Gesù l'avrebbe consolato, pregando il Padre ad inviare gli arcangeli Michele e Gabriele: questi ne avrebbero ricevuta l'anima alla uscita dal corpo, il quale, affidato alla custodia di due angeli, sarebbe rimasto incorrotto “fino al convito di mille anni”.
•• Quel che maggiormente urta negli Apocrifi, oltre i frequenti episodi frivoli, è l'asserita età decrepita di Giuseppe al tempo dello sposalizio con Maria. È una leggenda che si deve rigettare, quantunque abbia fatto presa nella fantasia popolare, fino ad oggi.
Forse in un primo tempo poté sembrare utile espediente per dimostrare ai semplici in maniera chiara la perpetua verginità della Madre di Dio. Ma si rivela subito paradossale, ad un'ovvia considerazione: non si sarebbe salvata la dignità ed onorabilità di Maria – dovendo restare un segreto la concezione verginale –, se il suo sposo fosse stato un vecchio decrepito di 90 anni; inoltre non poteva essere ritenuto padre di Gesù un vecchio di tale età. Era dunque necessario che tra Maria e Giuseppe, all'atto del matrimonio, non ci fosse un incolmabile distacco di anni. Queste ragioni hanno anche un solido appoggio nelle rappresentazioni più antiche (dei primi cinque secoli), nelle quali il Santo non è mai rappresentato in sembianza di vecchio, ma di giovane o di uomo maturo nel pieno vigore degli anni, per lo più senza barba. Solo più tardi, per l'influsso degli Apocrifi, si comincio a rappresentarlo con la barba e i capelli bianchi ed in sembianze senili.
Non è possibile, tuttavia, determinare esattamente l'età di Giuseppe al tempo del matrimonio con Maria: doveva probabilmente oscillare sui 30 anni. E se morì poco prima dell'inizio della vita pubblica di Gesù, doveva avere alla morte ca. 60-70 anni, tenuto conto che la vita nascosta di Nazareth durò ca. 32-34 anni.
La Morte di san Giuseppe (poesia)
Giuseppe muore... Nessuno ha detto come dovette morire...
È venuto senza rumore; ha lottato senza gloria;
Attore silenzioso d’una sublime storia,
scomparve un giorno per non più comparire.
L’abbiamo visto passare sullo sfondo della scena,
il Figlio di Dio sui suoi passi, la Vergine al fianco;
piallava di giorno; e gli angeli, di notte,
lo mettevano al corrente dei complotti dell’odio.
Alla partenza di Gesù, terminò il suo compito;
e su di lui ormai tacerà il Vangelo.
Una sera, dovette lasciare la sua pialla inutile
e coricarsi, con Maria al suo capezzale.
La notte scendeva, simile a quella notte lontana
in cui l’Angelo del Signore lo svegliò per fuggire...
Ritorna, questa sera, per aiutarlo a morire;
e Giuseppe sente la sua voce dolce e serena.
L’Angelo diceva: «Giuseppe, figlio di Davide, sono ancora io.
Riposa in pace, perché il Bambino e sua madre
non avranno più da temere pericoli sulla terra.
Ora possono vivere e morire senza di te».
Ma Giuseppe tardava ad addormentarsi. Senza dubbio
attendeva qualcuno che desiderava rivedere,
perché tendeva l’orecchio ai rumori della strada
e nei suoi occhi passava un barlume di speranza.
Si alza d’improvviso... Un passo rompe il silenzio;
la porta di casa si socchiude sulla notte,
e Gesù, superando la soglia della sua infanzia,
si avvicina a suo padre e si china su di lui.
Quanto dovette camminare per venire! La polvere
ricopre i suoi piedi nudi e sottolinea i suoi tratti.
Ma dal suo sguardo chiaro emana una luce
della quale gli occhi di Giuseppe si riempiono per sempre.
Maria ha sussurrato: «Sei tu Figlio mio!». E l’Angelo
si prostra. Gesù, curvo sull’infermo,
stringe suo padre; non si scambiano parole tra loro.
Gesù libera alla morte il suo primo combattimento!
E nell’ombra, la morte impotente s’attarda...
Ma il vecchio operaio non si aspetta, così tardi,
che suo Figlio gli renda un cuore giovane e forte: guarda
il divino viso e muore in questo sguardo.
Ah! Beato colui che, con anima fiduciosa,
dopo aver pregato, sofferto e lavorato,
una sera, si è sdraiato per fatica ed attesa,
e poi, in un bacio divino, se ne è andato!...
Georges D’Aurac www.biblisem.net/narratio/auracmj.htm