POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

sabato, luglio 5

MITOLOGIE SAHELIANE MA NON SOLO di PADRE MAURO ARMANINO


           Mitologie saheliane ma non solo

Viviamo di miti e cioè di racconti o narrazioni che offrono credibili spiegazioni della realtà che ci circonda. Sono caratterizzati da eroi, dei o personaggi fantastici che influiscono sull’interpretazione del mondo e dettano scelte, comportamenti e visioni credibili della realtà. Ogni epoca e cultura, anche quelle ritenute ‘scientifiche’ o ‘tecnologicamente avanzate’, ha i suoli miti, evidenti o impliciti, riconosciuti o mascherati da apparente razionalità. Nella vita reale sono i miti accettati o subiti che orientano buona parte delle azioni che compiamo. I miti sono anche ciò che possono manipolare la realtà onde renderla funzionale al tipo di mondo e dunque di potere che ogni narrazione perpetua.

In Africa uno dei miti che va per la maggiore è quello della durata ‘divinamente voluta’ dei mandati presidenziali. La componente mitica del potere, pensato come espressione di un’elezione dai contorni divini, fa supporre che il capo non cerchi che il bene e la difesa del popolo. Non casualmente si allungano o trasformano la durata dei mandati che le costituzioni opportunamente avevano regolato per evitare abusi di potere. Quindi si cambia la costituzione o si inventano sistemi per aggirarne i limiti fino, se necessario, al colpo di stato istituzionale o a quello che passa attraverso le armi. Quest’ultimo mezzo apre la via al secondo e altrettanto allettante mito: quello della violenza e dunque delle armi che aiutano a tradurla in pratica come mezzo di trasformazione o di conquista del potere. Dietro questo mito si trova quello dei sacrifici umani che, soli, garantirebbero le fondamenta dello stato, della nazione e la sua identità. I cimiteri, le fosse comuni, i monumenti e le feste nazionali sono solo alcune delle espressioni di questo mito fondatore della storia. La facilità con cui si fabbricano, commerciano, usano e prosperano gli armamenti non è casuale. Il mito della potenza, nato con lo stato e da esso nutrito, non ha memoria. Il mese prossimo si  ricorda  che si realizzò la prima esplosione atomica a Hiroshima. Questa tragedia è volutamente dimenticata.

Mi permetto di inserire un testo col quale avevo partecipato ad un concorso indetto dalle Edizioni Pragmata di qualche anno fa, che richiedeva 100 parole per una foto / 100 palabras por una foto, ovvero si trattava di un Drabble, e che avevo titolato FUNGO MALEFICO:

Da anni desideravo rivedere la spiaggia di Marebello. Calma piatta, mentre i miei piedi, gonfi di atavica stanchezza, si lasciano accarezzare dalle languide onde del mare, che s’infrangono sulla battigia.

Arriva da lontano un vortice rabbioso, un ululare sordo, minaccioso, s’avvicina. Quella sua forma a fungo ricorda lo spaventoso evento del 1945 quando, il mattino del 6 agosto, alle ore 8,16, L’Aeronautica Militare Statunitense sganciò la bomba atomica “Little Boy” sulla città giapponese di Hiroshima, seguita, tre giorni dopo, dal lancio dell’ordigno "Fat Man su Nagasaki. Quanto dolore hanno provocato un ragazzino e un ciccione! La natura ricorda ancora, ribellandosi.

Danila Oppio

Questo racconto è pubblicato in una raccolta che si trova qui:


I regimi militari, che sembrano accompagnare la vita politica di una parte consistente dei Paesi del Sahel, sono anch’essi visti come ‘mitica’ soluzione alla corruzione del sistema politico organizzato attorno ai partiti e alle costituzioni. Sarà l’uniforme, le armi tenute in riserva, l’apparente o reale disciplina che sembrano incarnare, i militari come via di salvezza per il popolo si afferma come un altro mito che riesce ad aggregare ideali, giovani e aspirazioni sopite. La disciplina e l’uomo forte, dallo statuto simile a quello dello sceriffo gemellato con l’idea del re tradizionale, offrono ai militari una riserva quasi inesauribile di fiducia del popolo. I miti sono spesso e volentieri militarizzati e armati.

Infine, è la nazione, intesa come popolo che si identifica dentro uno spazio geografico e culturale prescelto per l’eternità, uno dei grandi miti creati della modernità. I confini, le bandiere, l’esercito, la cultura e la religione formano, così si pensa, un tutto omogeneo e coerente, frutto di una mitica discendenza fatti di eroi, navigatori e santi. Le competizioni sportive con l’inno nazionale, cantato con la mano sul cuore dagli atleti, rappresenta quanto di più emozionante ci sia nella vita. La nazione mitizzata si afferma come unico ambito identitario, e garanzia per usufruire dei diritti inerenti al cittadino. Alle frontiere si fa esperienza, spesso drammatica, di questo mito nazionale. 

Al confine, infatti, i ponti spesso diventano muri, reticolati, zone di non-diritto o di commercio transfrontaliero. I fiumi, i mari e i deserti si trasformano troppe volte in cimiteri non custoditi. Il mito che ne assicura il supporto simbolico sembra godere di un futuro assicurato. Ecco perché smitizzare l’immaginario ereditato e fare dei poveri e oppressi la propria ‘patria’ è l’unico sentiero da seguire.



              Mauro Armanino, Niamey, luglio 2025

sabato, giugno 28

LA GUERRA DI CUI NON SI PARLA di Padre MAURO ARMANINO

Donne venditrici di sabbia

La guerra di cui non si parla

Miete più vittime delle altre registrate nel mondo. L’anno scorso i conflitti armati riconosciuti tali erano 61. Quest’unica guerra uccide più che tutte i conflitti messe assieme. Si tratta della povertà o, se vogliamo, della miseria che porta con sè, troppo spesso nel silenzio, milioni di persone. Un pò come le cosiddette ‘morti bianche’ cioè quelle sul lavoro. Un’altra vera e propria battaglia quotidiana che vede come protagonista chi non è certo di tornare a casa dopo esserne uscito per lavoro, il mattino. Si calcola che l’anno scorso le ‘morti bianche’ hanno raggiunto i tre milioni.

La povertà è peggio perché per gli economisti si perde nelle statistiche mentre per la gente è una sparizione continua che passa inosservata. Ad essere cancellati sono i poveri. Le tracce della miseria durano a lungo perché coinvolgono i bambini, le donne e i giovani. La miseria è il frutto più immediato di guerre, movimenti forzati di popolazione, avversità climatiche ma soprattutto di classi politiche ammalate di potere e spogliamento del popolo nel più breve tempo possibile. Cause esterne, interne e purtroppo ‘eterne’ si perpetuano perché abbiamo smarrito la vergogna.

Sembra davvero scomparsa, la vergogna, dal lessico e soprattutto dal volto, le parole e le azioni. Si tratta di un sentimento, innato e allo stesso tempo culturale, che manifesta l’inadeguatezza tra ciò che è giusto e il nostro agire e sentire. La crescita, tutta occidentale, dell’individualismo e del fin troppo citato relativismo, non possono che produrre l’esilio della vergogna. Gli atti, le scelte, le parole e financo l’abbigliamento non tengono più in conto lo sguardo dell’altro. Il ‘principio responsabilità’ è stato spazzato via dall’utilitarismo capitalista che tutto mercifica e traduce, senza vergogna, in denaro.

Investire somme abissali, destinate a servizi sociali, in armi, ordigni letali studiati e programmati allo scopo di uccidere il ‘nemico’ fa ormai solo vergognare i pochi irriducibili ‘idealisti’. Nel frattempo, nel Sahel imperversa la vulnerabilità alimentare per milioni di persone, l’indigenza al quotidiano, la carenza di strutture educative e sanitarie. Mancano dispositivi che facilitino l’ingresso dei giovani nel mondo lavorativo. Irréductibles. La classe politica non si vergogna di nulla e così gli intellettuali attirati dalla retorica che sembra promettere loro un futuro. Persino i leader religiosi, senza vergogna, puntellano il sistema fatiscente.

Il Fondo Monetario Internazionale, che non è un ente di beneficenza, ha rilasciato un documento che, prendendo in considerazione il Prodotto Interno Lordo dei Paesi, stila la lista dei dieci Paesi col reddito pro capite più basso in Africa. Con tutti i limiti che questa operazione sappiamo comporta, rimane utile affacciarsi su questa strana e drammatica classifica che nasconde ciò che mostra ed evidenzia ciò che nasconde. Ci sono numeri che offuscano le cause e facilitano l’azione di sminamento del sentimento di vergogna che dovrebbe toccare i politici per primi.


Senza sorpresa, l’Africa sub-sahariana domina la classifica. I conflitti cronici, la debolezza istituzionale e una élite politica sempre più spesso militarizzata, non sembra in grado di offrire alternative coerenti ed efficaci alla precarietà di vita dei popoli che dovrebbe servire. Nell’ordine della lista si trova il Sudan del Sud, lo Yemen, il Burundi, la Repubblica Centrafricana, il Malawi, il Madagascar, il Sudan, il Mozambico, la Repubblica Democratica del Congo e il Niger, Paese nel quale ho il privilegio di trovarmi. Tutto ciò dovrebbe far vergognare chi profitta della miseria degli altri per arricchirsi o per illudere i poveri con vuote e false promesse di un domani migliore. 

Finché la vergogna non ritornerà ad essere una materia di insegnamento nella grammatica della vita quotidiana, sarà difficile cambiare lo sguardo sul mondo.

                         Mauro Armanino, Niger, giugno 2025


sabato, giugno 14

L'OMERTA' DEI BUONI di Padre MAURO ARMANINO

L’omertà dei buoni 

Era ciò che più dispiaceva a Norbert Zongo, giornalista del Burkina Faso barbaramente ucciso a causa del suo impegno per smascherare la violenza della menzogna nel suo Paese. Temeva l’omertà dei buoni, il loro colpevole silenzio, più che le azioni dei malvagi. Difficile dargli torto, soprattuto dopo la pubblicazione del recente rapporto realizzato dall’Istituto di Ricerca sulla Pace di Oslo, in Norvegia. L’anno scorso, nel mondo, sono stati registrati 61 conflitti, divisi in 36 paesi. L’Africa resta il continente più toccato con 28 conflitti implicando almeno uno Stato, segue l’Asia, il Medio Oriente, l’Europa e le Americhe. Il numero dei morti è stato, sempre secondo il documento, di circa 129 mila vittime.

L’omertà appare come una forma di solidarietà tra consociati, volta alla copertura di condotte delittuose celando l’identità di chi ha commesso un reato o comunque tacendo circostanze utili per le indagini. In altri termini possiamo parlare di riserbo assoluto per complicità spesso per timore di vendetta. Norbert Zongo non aveva torto a temere l’omertà dei buoni consociati a proteggere soprattutto la propria innocua e banale tranquillità di vita. Essa non va confusa con chi è preso come ostaggio dai gruppi armati che operano nel Sahel, designato come il teatro della violenza di gruppi ‘islamisti’ militanti più letale in Africa per il quarto anno consecutivo. Si parla di 10 400 morti.

Resta da evidenziare, rispetto all’aumento dei conflitti armati  nel mondo, la lista aggiornata dei Paesi produttori di armi che, non casualmente sono membri del Consiglio di (In) Sicurezza delle Nazioni Unite per grazia divina. Stati Uniti (43 per cento della produzione mondiale), Francia, Russia, Cina, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna, Corea del Sud e Israele. In questo ambito l’omertà diventa assoluta e coinvolge i partiti politici, i sindacati, la società civile, i credenti, i cittadini qualunque e le autorità religiose. Si coprono condotte delittuose come l’anti etico e vergognoso aumento delle spese per gli armamenti che coinvolge Paesi e continenti senza differenze politiche, ideologiche o religiose.

L’amico Ouoba di Makalondi, a un centinaio di chilometri da Niamey, non ha potuto raggiungere la capitale perché gli autisti temono attacchi dei gruppi armati. Qualche giorno fa un veicolo è stato bruciato e la gente viaggia ormai solo con la scorta armata. Droni, aerei, blindati, nuove reclute formate alla guerra e armi per combattere e ‘neutralizzare’ il nemico sembra l’unica narrazione del momento nel Paese. Lo ribadisce peraltro anche il testo del nuovo inno della Confederazione degli Stati del Sahel...’Soldati lo siamo tutti...Intrepidi e sovrani... per la parola e per le armi... col sangue e il sudore tu scriverai la storia’. Come comprovato dall’esperienza proprio questa è una storia che si ripete da troppo tempo . Come abbandonare definitivamente il mito della violenza sacrificale.

Spezzare la copertura di azioni delittuose, ossia l’omertà dei buoni non è impossibile. Un esempio è il discorso d’addio del capo redattore del New York Times, John Swinton. Afferma che i giornalisti non sono altro che... ‘Marionette e vassalli di magnati che si nascondono dietro la scena. Tirano le fila e noi danziamo... Il lavoro del giornalista consiste a distruggere la verità, a mentire senza limiti, a pervertire i fatti e gettarsi ai piedi di Mammona: siamo dei prostituti intellettuali’. L’omertà è spezzata.

Intanto l’amico Ouoba scrive in un sms che farà di tutto per arrivare domani a Niamey.




GIUSTIZIA E PACE



Cresimandi

                Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025

venerdì, giugno 13

LUNA DI FRAGOLA, OLEANDRO E FOTO DI PADRE NICOLA GALENO OCD DA BAMBINO - Poesie di PADRE NICOLA E FOTO




LUNA PIENA DELLE FRAGOLE . GIUGNO 2O25

commento di una corrispondente di Padre Nicola Galeno OCD

Deliziosi e tenerissimi questi versi ispirati da una materna luna che veglia solitaria sul nostro sonno che ci priva di un luminoso spettacolo. Grazie per aver generosamente colto il plenilunio con le sfumature di un’intimità preziosissima. NP



E non può mancare una foto di Padre Nicola quando era un bambino che indossava un saio legato a Sant'Antonio di Padova, che i suoi genitori avevano confezionato per ringraziare il Santo che lo aveva guarito dalla malattia. E infatti gli avevano anche dato come nome di Battesimo quello del Santo: Antonio!



sabato, giugno 7

SACRIFICATI di PADRE MAURO ARMANINO

Sacrificati

Nel Niger e in altri Paesi si celebra oggi il memoriale del sacrificio di Abramo. In Africa Occidentale questo giorno è chiamato Tabaski, nome di derivazione berbera che significa, appunto, festa. Le religioni chiamate monoteiste hanno in Abramo un comune antenato nella fede soprattutto per la sua dichiarata obbedienza e disponibilità a sacrificare il figlio della promessa. Isacco per la Bibbia e Ismael per il Corano è l’erede che all’ultimo momento è stato salvato dal sacrificio cruento ad opera del padre Abramo. E’ infatti un capro, secondo rispettivi libri ‘santi’ ad essere sacrificato al posto del figlio amato. Più d’un commentatore ha visto in questo episodio la condanna definitiva dei sacrifici umani sostituiti dagli animali. Nel caso si trattava di un ariete, un capro o qualcosa di molto simile.

In questi ultimi giorni alcune strade della capitale Niamey erano decorate da migliaia di capri parcheggiati il più vicino possibile dalle auto in transito onde facilitare l’acquisto e l’imbarco immediato della vittima prescelta. La transazione è in funzione della grandezza dell’animale, del prezzo e soprattutto dalle ridotte disponibilità finanziarie attuali dei fedeli. I tempi sono duri per mancanza di opportunità lavorative, la liquidità è occasionale e i debiti per la sopravvivenza si accumulano. Il divieto di vendere una parte degli animali all’estero non ha affatto facilitato l’economia di chi aspetta tutto l’anno questo momento per mettere da parte qualcosa per la famiglia. La vista della quantità di animali in lista d’attesa per la vendita sacrificale della festa può destare sentimenti particolari.

I proprietari degli animali li nutrono fino alla fine per renderli più presentabili e appetibili agli acquirenti. I ‘piccoli ruminanti’, come sono qui chiamati, forse non pensano neppure lontanamente a ciò che li aspetta. Sacrificati, sgozzati, liberati dalle interiora e stesi aperti su paletti di legno debitamente incrociati. Poi la legna è deposta per la cottura con le braci che produce l’aria di fumo infiltrata dal tipico sapore della carne rosolata. Per loro, gli animali, sarà tardi per capire come l’insieme era stato predisposto per il sacrificio rituale e che, tutto era già scritto fin dalla nascita. Nati per essere sacrificati per un giorno di festa, degli altri beninteso. La vista dei capri sacrificati genera anche tristezza perché non può non far pensare alle moltitudini sacrificate.

Purtroppo, i sacrifici di animali non hanno affatto sostituito quelli umani. I due generi sacrificati continuano affiancati, umani e animali, senza troppe resistenze dei comuni cittadini, risparmiati, per ora. La crescita rilevante della fabbricazione, vendita, commercio e uso delle armi prepara altri e numerosi sacrificati al sistema di spossesso globale della vita. La vergogna di quanto è accaduto e sta accadendo in quella particolare terra che è Gaza è fin troppo dolorosamente noto per continuare a chiudere gli occhi. Così per i sacrificati da interessi di potere e economici nel Sudan e nella Democratica Repubblica del Congo di cui si è, da tempo, perso il conto. Nel Sahel dove da anni i contadini sono ostaggi di gruppi armati di un’ideologia religiosa e politica necrofila che affonda le sue radici nell’assenza di uno stato degno di questo nome. I sacrificati in Europa per una guerra che troppi desiderano continui per meri interessi economici e geopolitici. 

I capri sacrificati di Niamey non sono che una metafora degli umani sacrificati su altari che talvolta non hanno scelto oppure hanno contribuito a costruire per ignavia o distrazione. Tutto potrebbe cambiare un giorno, senza armi in mano, con un semplice ‘no’ ai tiranni di turno.

                Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025