VERSI IN VOLO
POETANDO
mercoledì, gennaio 15
Polvere, fuoco, cenere e vento. A dieci anni delle chiese incendiate nel Niger. Padre Mauro Armanino
sabato, gennaio 11
Sovranità senza sovrani. Finzioni e realtà del Sahel di Padre Mauro Armanino
Sovranità senza sovrani. Finzioni e realtà del Sahel
C’era una volta un re. Cominciavano così le favole che un tempo si raccontavano ai bambini. La fantasia senza limite dei bimbi creava mondi, situazioni, scenari inverosimili e tanto veri da sembrare reali. Le favole, adesso, si raccontano tutti i giorni perché, grazie anche ai mezzi di comunicazione e manipolazione più sofisticate, tra realtà, favola e fantasia le frontiere si sono imbrogliate. Com’è noto dalla psicologia non è necessario che qualcosa sia vero in sé. Diventa vero se è creduto tale da una parte della società, quella che ‘conta’ e racconta. Vero, falso, verosimile e credibile si confondono.
Ad esempio, col tema, molto attuale nel Sahel e in altre parti del mondo, della Sovranità. Con la ‘maiuscola’ questa parola assume un’identità e portata considerevole secondo il contesto nel quale essa si coniuga e si traduce. La parola stessa deriva dal latino e fa allusione al ‘superiore’, al sovrano inteso come autorità suprema. Politicamente essa è il diritto assoluto di esercizio di un’autorità legislativa, esecutiva e giudiziaria su una regione, un Paese e un popolo. Tuttavia, alla base del concetto e della pratica della sovranità si trova la persona umana in tutta la sua dignità.
Si potrebbe che osare affermare la Sovranità, quella maiuscola della politica, dell’economia e della giustizia implica la sovranità reale del cittadino comune. La fondamentale sovranità originaria è sempre relativa e appartiene alla persona come soggetto di diritti e doveri nei confronti di se stesso e della società. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che molte costituzioni pongono come preambolo e traducono poi in diritti inderogabili, offre alla citata ‘sovranità’ la concretezza necessaria. Una persona la cui occupazione principale è la sopravvivenza quotidiana, non è affatto sovrana.
Che non mangia a sufficienza, manca di lavoro, casa, mezzi per curarsi, istruzione di base, libertà di movimento, pensiero, religione, espressione e associazione non può esercitare la sovranità che è inerente al suo statuto di persona. La partecipazione politica del popolo, nel quale sappiamo risiede la sovranità, è del tutto illusoria quando le condizioni di vita sono tali da ridurre i cittadini a mendicanti o a ‘non persone’. La sovranità di coloro che, ormai da anni, vivono nella paura di attacchi di gruppi armati o di minacce di espulsione dai propri villaggi di origine, è confiscata.
Così come suona immaginaria e talvolta fuorviante l’assolutizzazione di una Sovranità che, non dimentichiamolo, è sempre relativa e relazionale. Per i credenti la sovranità risiede anzitutto nella divinità e negli stati democratici essa risiede nel popolo, di problematica definizione, che la esercita secondo modalità concertate e stabilite dalla legge. Chi esercita la sovranità in nome del popolo dovrebbe farlo con timore e tremore, per non profanare quanto di più sacro esiste in politica. La retorica della Sovranità sul territorio, il cibo, le risorse, la moneta, la sicurezza, definita Sovranità interna esigerà quella esterna per la difesa da nemici che, reali o presunti, non mancheranno mai.
Mai come oggi tutto è legame, relazione, rete, scambio, mobilità e commercio. Difficile presumere la Sovranità completa e sciolta da sentieri comuni in un contesto nel quale i fatti e le notizie valicano le frontiere in tempo reale. Sembra urgente ripartire dai volti, reali, dei minori abbandonati al loro destino, dei contadini senza più terra da coltivare, dai giovani in cerca di identità, delle donne che portano sul dorso il futuro del continente e degli addetti al lavoro informale. Senza di loro ogni altra pretesa di Sovranità rischia di creare, come nelle favole di un tempo, un Paese senza sovrani.
Mauro Armanino, Niamey, gennaio 2025
martedì, gennaio 7
domenica, gennaio 5
MIGRANTI E MIGRAZIONI NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO
Migranti e migrazioni nel Sahel
Dice che voleva andare a pregare in Israele. Nato nella minuscola Guinea Bissau, Pascal aveva già viaggiato molto nell’Africa costiera. Di professione imbianchino aveva trovato lavoro in Costa d’Avorio, Ghana, Togo e Benin. Di ritorno al Paese era passato in Gambia e infine nel Senegal. Ha messo da parte una somma di franchi locali e si è avventurato nel Mali e, attraversando la città di Gao, ha raggiunto l’Algeria. A Tamanrasset il suo viaggio alla volta di Israele si è concluso con l’arresto, la confisca del suo telefono cellulare, i soldi che rimanevano e la sua agenda di viaggio mentale. Con l’aiuto di compassionevoli viandanti arriva ieri a Niamey con la compagnia di bus Sonitrav. Per solidarietà un senegalese gli offre un precario riparo sotto la veranda della sua casa e Pascal solo desidera, adesso, di tornare al suo Paese natale.
Loro sono invece una ventina. Tra bambini, madri e giovani raggirati da un venditore ambulante di sogni. Nella capitale Monrovia, in Liberia, il venditore in questione aveva promesso di condurli nientemeno che in Europa per una modica somma di qualche centinaio di dollari americani. Giunti nel Mali, dopo aver passato la Guinea, i migranti sono stati abbandonati dalla ‘guida’ al loro destino. Una volta raggiunto Gao, ospiti per qualche giorno nella ‘Casa del Migrante’, sono stati incamminati a Niamey e infine accolti dai liberiani da tempo installatisi in una zona periferica della capitale. Nove i bambini e cinque le madri mentre dei padri non c’è traccia alcuna. Accampati in un paio di camere affittate per l’occasione i più giovani chiedevano da che parte si trovava l’Europa e guardandosi attorno hanno capito, tardi, di essere stati raggirati.
Gli altri sono invece migranti forzati. Appena prima della fine dell’anno e immediatamente dopo, i gruppi armati hanno loro ingiunto di abbandonare i loro villaggi. Ci troviamo ad un centinaio di kilometri dalla capitale del Niger, al confine con Burkina Faso nella temibile zona delle ‘Tre Frontiere’. Il Mali, il Burkina e il Niger coalizzatisi in Associazione degli Stati del Sahel, AES in breve, dove continuano a subire attacchi da parte dei gruppi ‘djihadisti’ che i contadini si ostinano a chiamare ‘banditi’. A centinaia hanno dovuto abbandonare case, campi e futuro in poche ore dopo aver ricevuto la minaccia di rappresaglie. Numerosi villaggi attorno a Kankani e a Makalondi si sono svuotati dei loro abitanti. Hanno portato con sè qualche sacco di miglio come provvista per l’esodo verso il centro ‘protetto’ di Makalondi. Migrazioni forzate che durano da mesi nell’assordante silenzio del potere.
L’altra migrazione ‘forzata’ è, appunto, quella della politica intesa come partecipazione libera e cosciente alla costruzione di una ‘casa comune’ dove abitare e vivere. E’ stata sospesa, per decreto, ogni attività politica dei partiti e di altre associazioni della società civile dal colpo di stato di fine luglio 2023. Da allora si naviga a vista tra decreti, decisioni irreversibili come l’abbandono della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, CEDEAO, da parte dell’AES sopra citato e una costante accusa nei confronti di nemici interni o esterni. Una migrazione, quella politica, che corre il rischio di assomigliare alle migrazioni di cui sopra. Come notato, il lungo viaggio termina col desiderio di tornare al Paese che essi avevano lasciato. Lo scopo di una politica che meriti questo titolo sarà quello di tornare a mettere nel suo cuore il grido dei poveri. Solo per questo è stata inventata.
Mauro, Niamey, gennaio 2025
martedì, dicembre 31
COME DISARMARE LE PAROLE di PADRE MAURO ARMANINO
Come disarmare le parole
In conclusione, del suo diario di prigionia ‘Catene di libertà’, l’amico e confratello Pier luigi Maccalli invitava a ‘disarmare le parole’. Due anni da ostaggio nel deserto, tra pietre, sabbia, polvere e stelle, lo avevano convinto che il cammino della pace intesa come ‘convivialità delle differenze’ non potesse che germogliare da mani nude. Disarmare le parole implica, appunto, andare in giro con le mani nude, liberi da preconcetti, ideologie di morte e frontiere da usare per inventare nemici a piacimento.
Scriveva che, a parte le catene che mai l’avevano abbandonato, era stato in genere rispettato dai rapitori che si avvicendavano nel deserto. Ciò che invece l’aveva profondamente segnato e ferito erano state le parole dei rapitori. Parole come pietre che feriscono mentendo, insultando, rendendo in definitiva l’altro una ‘non persona’. Si sentiva una cosa indefinibile la cui esistenza è utile solo per quanto potrà dare in termini monetari con prezzo del riscatto. Una merce di scambio e nulla più.
Nell’introduzione a ‘Il libro del potere’ di Simone Weil, Mauro Bonazzi scrive...’L’unico modo per contrapporsi al dilagare della forza intesa come violenza è la ricerca della verità...e ciò significa prima di tutto, prendersi cura delle parole perché esse sono lo strumento di cui ci serviamo per capire noi stessi e il mondo. Ed è distorcendo le parole che ci creiamo, consapevoli o no, delle comode barriere per proteggerci dagli altri’. Prendersi cura delle parole e della loro verità significa ‘disarmarle’.
Dal Sahel, dove queste note sono scritte, siamo da anni assediati da gruppi armati ‘terroristi’, interessi strategici, venditori d’armi, di ideologie religiose e finanziamenti occulti. Gli sfollati e i rifugiati a causa dei conflitti armati si contano a milioni mentre le sofferenze sono incalcolabili anche per le cicatrici che lasceranno alle prossime generazioni. All’inizio di tutto questo dramma, ancora prima delle divisioni etniche, religiose o economiche stanno loro, le parole. Lo ricorda bene proprio Simone Weil.
Nel libro citato la Weil mette in evidenza che ...’Mettiamo la maiuscola a parole prive di significato e, alla prima occasione, gli uomini spargeranno fiumi di sangue, a furia di ripeterle accumuleranno rovine su rovine...niente di reale può davvero corrispondere a tali parole, poiché non significano niente. Il successo coinciderà esclusivamente con l’annientamento di uomini che lottano in nome di parole diverse’. La lista di parole con le ‘maiuscole’ sarebbe interminabile, così come le fosse comuni.
Mettere la maiuscola alle parole prive di significato che non sia quello imposto da chi detiene il potere è quanto si industria a fare la propaganda e soprattutto il silenzio complice ‘dei buoni e degli onesti’. Ogni comunità, struttura educativa, mezzi di comunicazione, famiglie, organizzazione politiche e religiose dovrebbe mettere come priorità quella di ‘prendersi cura delle parole’. Avremmo allora, come auspicava Pierluigi, parole disarmate da affidare al vento perché sussurrino la pace al mondo.
Mauro Armanino, Niamey, 29 dicembre 2024
TANTI AUGURI DI FELICE ANNO NUOVO, CON LA POESIA DI ANDERSEN "LA DILIGENZA DI CAPODANNO"
HANS CHRISTIAN ANDERSEN |
Antoine de Saint-Exupéry- IL PICCOLO PRINCIPE E Consuelo Suncin Sandoval - editoriali vari, compresa Danila Oppio
Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry, noto anche come Tonio, è stato uno scrittore e militare francese.
È conosciuto per essere l'autore del romanzo Il piccolo principe, che nel 2024 ha raggiunto il numero di 600 traduzioni in lingue e dialetti diversi ed è il testo più tradotto se si escludono quelli religiosi[3], e per i suoi racconti sul mondo dei primi voli aerei, tra i quali Volo di notte, Terra degli uomini e L'aviatore. Scrittore riconosciuto, vinse vari premi letterari durante la sua vita, in Francia come all'estero.
Durante la seconda guerra mondiale si arruolò nell'aeronautica militare francese e, dopo l'armistizio, nelle Forces aériennes françaises libres, passando dalla parte degli Alleati. La sua scomparsa nel corso di un volo di ricognizione, avvenuta sul finire della guerra, restò per molti anni misteriosa, finché nel 2004 venne localizzato e recuperato il relitto del suo aereo nel mare antistante la costa marsigliese. In seguito è stato possibile accertare che fu un caccia tedesco della Luftwaffe ad abbatterlo.
Di lui non si conosce chi fu la moglie che gli ispirò il testo del racconto IL PICCOLO PRINCIPE riempiamo questo vuoto!
Consuelo la moglie di Antoine