POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

lunedì, maggio 5

Finché c’è un nemico ci sarà speranza (per il potere) di Padre MAURO ARMANINO

 

Finché c’è un nemico ci sarà speranza 

(per il potere)

Nel Sahel i nemici non mancano. Dal caldo torrido di stagione, alla polvere permanente per arrivare alle inedite inondazioni di questi ultimi anni, i nemici non mancano. Ma non si tratta di questi, tutto sommato ciclici. I nemici di cui non è proprio possibile fare a meno sono altri. La storia di questa porzione d’Africa, tra le due rive così come il nome Sahel indica, è successione di guerre, jihad, imperi, colonizzazioni e fragili tentativi di liberazione. Come dire che la figura del nemico è stata coltivata in modo assiduo e creativo in tutti questi secoli. Non ci si dovrebbe dunque stupire di loro, i nemici che anzi fanno parte del paesaggio storico, culturale e politico del Sahel.

I colpi di stato militare e i conseguenti regimi di eccezione che a tutt’oggi marcano il Sahel Centrale appaiono come una semplice e conseguente applicazione del titolo sopra enunciato. Finché ci saranno nemici i giorni felici dei militari al potere non saranno prossimi a finire. Nel Niger, ad esempio, il colpo di stato militare del luglio del 2023 è stato giustificato dalla minacciosa presenza di due nemici. L’insicurezza crescente nel Paese dovuta ai ‘gruppi armati terroristi’ e alla pessima gestione della cosa pubblica e le risorse dello Stato. Entrambi nemici veri, agguerriti e pronti, secondo i fautori del golpe, a far perfino sparire il Niger come entità autonoma e repubblicana, dalla cartina.

Poi, strada facendo, il nemico è andato precisandosi. Nuovi e inediti scenari hanno offerto al grande nemico nuovi orizzonti. La cacciata della base militare francese dal cuore della capitale Niamey, gli interessi francesi, la storia coloniale francese e i suoi inenarrabili soprusi e umiliazioni, sono stati un tempo forte di identificazione e di vittoria sul nemico principale. Altri nemici sono in seguito apparsi. Il neocolonialismo occidentale e la complicità della Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale con le sanzioni economiche. Di lì a identificare l’imperialismo, come nemico permanente esteriore da combattere, il passo è stato breve. Ottenere un visto per il Niger dai Paesi incriminati è un percorso da combattente. Giunti all’aeroporto il vostro passaporto sarà confiscato per il tempo necessario.

Dai nemici esterni, assai ben identificati in numero e qualità crescenti, si passa ai nemici ‘interni’. Si tratta dei politici, istituzioni e regole della democrazia liberale con elezioni regolari ad essere demonizzati. La corruzione, la svendita del Paese e le sue ricchezze alle potenze straniere sono senz’altro l’altro nemico da abbattere. I partiti sono sospesi così come la vita politica del Paese e la stessa libertà di associazione è sotto controllo. La parola chiave di questa fase sarà dunque ‘rifondazione’ che si usa appaiata con ‘sovranità nazionale’ in tutti gli ambiti. Alimentare, militare, economica, culturale, umanitaria, educativa, sportiva, informativa e, naturalmente, religiosa.

Si passa in seguito ai gruppi armati che minano la sicurezza e la cosiddetta e mai ben definita ‘coesione sociale’ di centinaia di migliaia di persone nel Paese. Risultano necessarie armi sofisticate, investimenti bellici e forze militari ben preparate e motivate per combattere il nemico in una guerra complessa e asimmetrica. I costi in vite umane nei confronti di questo nemico spesso invisibile e mobile sono rilevanti. Giovani soprattutto che, in ambo i campi, perdono la vita per Altri che, più grandi di loro, spesso prosperano altrove e profittano dell’ecomia di guerra per arricchirsi. Si tratta di nemici che assicurano un futuro assai promettente per i venditori e i commercianti d’armi.

Nemici esterni, interni e dunque ‘eterni’. Sembra piuttosto difficile, per un regime nel quale le armi sono una garanzia di continuità, che i nemici vengano un giorno a finire. Sarebbe per molti un vero dramma ma non c’è da temere. Come dice il noto proverbio...’chi cerca trova’.



             Mauro Armanino, Niamey, maggio 2025


domenica, maggio 4

MAUD KATHLEEN LEWIS ARTISTA CANADESE


La pittrice canadese Maud Kathleen nasce nell’Ohio del Sud, il 7 marzo del 1903. Fin dalla nascita soffre di artrite reumatoide che le causa forti dolori, limitandola nei movimenti. La malattia condiziona la sua vita. Probabilmente anche a causa degli atteggiamenti vessatori dei suoi coetanei, a quattordici anni decide di abbandonare gli studi.

La ragazza vive la sua giovinezza isolata, i genitori la circondano di attenzioni, la madre, Agnes, molto amorevole, le trasmette la passione per la pittura. Insieme si dipingono ad acquarello cartoline di Natale, per poi rivenderle. Questa piccola attività diventa un modo per contribuire al sostentamento della famiglia.

Maud a pochi anni di distanza perde i suoi genitori, nel 1935 il padre, John Dowley e nel ’37 la madre Agnes. Il fratello maggiore, Charles, divenuto erede universale, la costringe a ritirarsi nella casa di una zia a Digby.

Non ci sono gioie per Maud che, con il suo carattere mite, continua ad essere travolta dagli eventi. Dopo una relazione con il giovane Emery Allen, nasce Catherine, ma Emery non si assume nessuna responsabilità e Maud è costretta a dare in adozione la sua unica figlia, con la quale non si ricongiungerà mai.

Maud, nonostante tutte le avversità, mantiene una grande forza d’animo e sente sempre di più il bisogno di crearsi una vita indipendente. Risponde così a un annuncio di ricerca di una domestica. Maud si reca a casa di Everett Lewis, un venditore ambulante di pesce. In realtà non era una vera e propria casa, ma una piccola baracca, composta da un’unica stanza e un sottotetto, che serviva da camera da letto. Nella casa non c’era nessun comfort, non c’erano né acqua né elettricità, solo una stufa a legna che serviva per riscaldare e cucinare.

Ma Maud in quella umile dimora trova tutto ciò che desidera: la libertà.

Lentamente il rapporto tra Maud ed Everett si trasforma, finché decidono di sposarsi. Maud dipingeva, dipingeva continuamente. I suoi colori invadono la piccola dimora, ogni angolo viene dipinto, in ogni superficie c’è una traccia del passaggio dei suoi pennelli: sui vetri, le porte, le finestre, le mensole, le pareti.

La coppia vive poveramente, in una casa fredda che fa peggiorare le condizioni di salute della pittrice, ma Maud non si arrende e instancabile continua a lavorare e a dipingere. Fuori dalla baracca appende un cartello con scritto: “Painting for sale”.

Si sparge la voce e le persone raggiungono l’umile casa per comprare i suoi quadri, e per ordinarne altri. Per la maggior parte della sua vita lavora così, nell’anonimato, fino a quando nel 1964 il quotidiano nazionale di Toronto, lo Star Weekly, le dedica un articolo portando all’attenzione del pubblico l’arte di questa artista unica.

"Maud Lewis – scrive Stefania Delendati – una delle artiste folk canadesi più conosciute, aveva qualcosa di speciale. È stata un esempio del trionfo dello spirito umano sulle avversità, un modello di resilienza, parola che oggi va di moda e che lei, non conoscendola, ha messo in pratica con naturalezza. Una donna intensa, appassionata e particolarissima, delicata nel corpo e dotata di una forza mentale eccezionale. Chi si trova davanti alla ricostruzione della sua minuscola casetta, stenta a credere che una persona con i suoi problemi di salute abbia potuto viverci per oltre trent’anni".

Dopo l’articolo dello Star Weekly, nel 1965 arriva il documentario della CBC-TV, la intervistano nella sua casa e così diventa nota in tutti gli Stati Uniti, anche il presidente in carica, Richard Nixon, le commissiona un paio di dipinti 

I suoi dipinti sono contraddistinti da una vivacità di colore e da una semplicità di forme, ritraggono scene di vita quotidiana, bucolici paesaggi disseminati di alberi, fiori, animali. Sono solitamente di piccole dimensioni, essendo Maud limitata nei movimenti. La sua arte commuove profondamente, come colpisce la semplicità di questa coppia che vive con umiltà e dignità.

L’artista dovette arrendersi alla malattia il 30 luglio del 1970. Everett fu ucciso da un ladro, che si era introdotto nell’abitazione, nel 1979.

Dopo la morte di entrambi i coniugi Lewis, la casa iniziò a deperire. Ma, grazie alla sensibilità di alcuni cittadini dell’area di Digby, la casa è stata poi consegnata alla cura della Art Gallery della Nuova Scozia ad Halifax, che l’ha restaurata e trasformata in casa museo con la galleria permanente dei dipinti di Maud.

Note

1 1. Il 4 ottobre del 2018, la figlia di Maud, Catherine, ormai diventata nonna, si è recata nella casa museo, con il figlio e i nipoti. Il figlio Benoit ha raccontato che Catherine parlava molto di rado della sua vera madre. Ma quel momento di ricongiungimento è stato per tutti una grande emozione: https://atlantic.ctvnews.ca/maud-lewis-descendants-have-special-homecoming-at-n-s-art-gallery-1.4122360

2 Negli ultimi anni, i suoi dipinti sono stati venduti all'asta con un costante aumento dei prezzi. Due dei suoi dipinti sono stati venduti a più di $16.000. Il prezzo d'asta più alto è di $22.200 per il lotto 196 "A Family Outing". Il quadro è stato venduto all'asta di Bonham a Toronto il 30 novembre 2009. Un altro dipinto, "A View of Sandy Cove", fu venduto nel 2012 per $20.400. Un dipinto ritrovato nel 2016, "Portrait of Eddie Barnes and Ed Murphy, Lobster Fishermen", in un negozio dell'usato in Ontario è stato venduto in un'asta online terminata il 19 maggio 2017 a un prezzo di $45.000

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maud Kathleen Lewis

Nel 2016 è uscito il film Maudie - Una vita a colori, diretto da Aisling Walsh con protagonisti Sally Hawkins e Ethan Hawke, che racconta la storia della sua vita

Il museo di Maud: https://artgalleryofnovascotia.ca/maud-lewis

prima immagine: Maud Lewis di fronte a casa sua. Foto di Ron Cogswell. Fonte Flickr. CC BY 2.0

seconda immagine: La casa di Maud Kathleen Lewis. Foto di Jock Rutherford. Fonte Flickr. Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic license.



C’era una casetta piccolina in Canadà”: era quella di Maud Lewis
«Maud Lewis – scrive Stefania Delendati – una delle artiste folk canadesi più conosciute, aveva qualcosa di speciale. È stata un esempio del trionfo dello spirito umano sulle avversità, un modello di resilienza, parola che oggi va di moda e che lei, non conoscendola, ha messo in pratica con naturalezza. Una donna intensa, appassionata e particolarissima, delicata nel corpo e dotata di una forza mentale eccezionale. Chi si trova davanti alla ricostruzione della sua minuscola casetta, stenta a credere che una persona con i suoi problemi di salute abbia potuto viverci per oltre trent’anni».

Halifax, capitale della provincia della Nuova Scozia nel Canada Orientale. Presso l’Art Gallery of Nova Scotiadella città c’è un’opera bizzarra. Si tratta di un’esuberante casetta di legno, decorata con disegni a colori vivacissimi. Disegni semplici, fiori e animali, eppure non infantili ad osservarli bene, anche se richiamano alla gioia pura che soltanto i bambini possono provare.
Prima di diventare un’installazione artistica, quella minuscola abitazione che sembra uscita da una favola è stata per trentadue anni l’abitazione di una pittrice folk semi-sconosciuta di nome Maud Lewis.
Il cinema ha contribuito a svelarne l’esistenza fuori dai confini canadesi, nel 2016, quando al Toronto Film Festival ha debuttato Maudie – Una vita a colori, intensa pellicola biografica che narra la vicenda umana di questa piccola straordinaria donna con disabilità. Un’esistenza poverissima e ai margini, caratterizzata dal sorriso e dalla serenità che sapeva trasmettere con le sue opere e – afferma chi l’ha conosciuta – dal suo modo di essere timido e dolce.
Il cognome da nubile di Maud era Dowley, nacque il 7 marzo 1903 in Nuova Scozia, probabilmente a Yarmouth. I genitori, John e Agnes, non disponevano di grandi risorse e potevano offrire poco alla loro bambina, venuta al mondo con gravi problemi fisici.
L’artrite reumatoide la costrinse a convivere dalla più tenera età con un dolore costante, la malattia le deformava le dita, le incurvava le spalle, il mento restava premuto contro il petto, l’andatura era claudicante. Era più piccina dei coetanei, a scuola il suo aspetto la rendeva una vittima prediletta di bullismo. Maud ne soffriva, si sentiva a disagio, ragion per cui abbandonò gli studi a quattordici anni.
Cominciò a trascorrere molto tempo da sola, ma non era infelice. I genitori la circondavano di cure amorevoli e, malgrado le difficoltà, le insegnavano che anche lei aveva delle potenzialità. La mamma dipingeva cartoline di Natale che rivendeva per raggranellare qualche soldo, fu lei ad impartirle le prime lezioni di disegno. Maud seguì le orme materne con i biglietti augurali, un formato piccolo scelto per necessità, perché le grandi tele erano impossibili da “affrontare” con i limitati movimenti delle sue braccia (nella sua carriera produrrà solo cinque quadri di sessanta centimetri per novanta).
 La casetta di Maud Lewis, fedelmente ricostruita nell’Art Gallery of Nova Scotia di Halifax (Canada).
Quando le mani devastate dall’artrite non le consentirono più di suonare il pianoforte – altra sua passione – colori e pennelli diventarono gli unici amici. Resterà questo il periodo più sereno della sua vita, perché poi, dalla metà degli Anni Trenta, l’esistenza di Maud prese una piega drammatica.
Nel 1935 morì il papà, seguito due anni dopo dalla mamma. Il fratello maggiore, Charles, reclamò per sé l’eredità di famiglia, estromettendo la sorella che, rimasta senza alcun mezzo di sostentamento, fu costretta a trasferirsi a casa di una zia, nella cittadina di Digby.
Nella medesima contea si trova Marshalltown, una comunità rurale dove abitava Everett Lewis, venditore ambulante di pesce. Scapolo quarantenne, rozzo e semianalfabeta, aveva bisogno di una governante tuttofare e mise un annuncio in un negozio locale. Un giorno sentì bussare alla porta della sua microscopica dimora, andò ad aprire e si trovò davanti Maud. Quello scricciolo fragile, somigliante a un folletto, era interessato ad accettare l’impiego come domestica. Fino ad allora aveva conosciuto soprattutto la solitudine e l’emarginazione, Maud aveva voglia evidentemente di riscatto e indipendenza.
Non è dato sapere quale alchimia scattò tra i due, sta di fatto che nel 1938 diventarono marito e moglie.
La casa coniugale era l’angusto capanno di Everett, un’unica stanza con soffitta, il tetto spiovente per difendersi dalle gelide tempeste atlantiche, senza elettricità né acqua corrente, una stufa in ghisa alimentata a legna serviva per riscaldare e cucinare. Al piano di sopra si andava la sera, per dormire, salendo sulla scaletta scricchiolante almeno quanto le ossa di Maud.
La giovane sposa trasformò quel tugurio nel suo studio, tra quelle mura squallide dipingeva le cartoline che poi vendeva ai clienti del marito a venticinque centesimi l’una, quando lo seguiva nel quotidiano giro del pesce.
Le scene di vita quotidiana riprodotte con colori brillanti ebbero un successo immediato e la incoraggiarono a prendere sul serio quello che fino ad allora era stato un passatempo. Everett le comprò il primo set di colori ad olio e le tagliò piccole tavole di legno su cui disegnare. Non si sa se lo fece per amore o perché aveva fiutato l’affare. I conoscenti, anni dopo, lo descriveranno come un uomo avaro che, per risparmiare, aveva rimosso le batterie dalla radio, impedendo a Maud di ascoltarla, e nascondeva i magri guadagni delle cartoline sotto le assi del pavimento o in vasi sepolti nel terreno.
Ad un certo punto il progredire dell’artrite non permise più a Maud di svolgere i lavori domestici, se ne occupava Everett, lamentandosi. Appollaiata su una sedia accanto alla finestra, lei creava intanto il suo mondo fantastico. Dipingeva ogni superficie disponibile nella casupola, finestre, porte, carta da parati, la stufa, il lavabo, perfino le teglie per i dolci, nulla sfuggiva al suo traboccante estro artistico. Le pareti divennero un paradiso terrestre di foglie, boccioli, uccelli e farfalle; l’intera casa un inno alla gioia che nessuno si sarebbe aspettato, conoscendo la dolorosa quotidianità dell’artista. E possiamo immaginare quanta fatica le costò decorare quegli spazi, lei che teneva il pennello con la mano contorta, sorreggendola con l’altro braccio.
Il passaparola attirò un numero crescente di curiosi a Marshalltown, civico 1 in una stradina sterrata e isolata ai margini dell’Highway, la principale arteria viaria della Nuova Scozia occidentale. Sul ciglio della strada era affisso un cartello, Dipinti in vendita, la gente svoltava all’interno e per due o tre dollari, al massimo cinque, si portava a casa un dipinto gioioso.
Maud stendeva un primo strato di bianco, disegnava le linee guida e infine dipingeva, estraendo la pittura pura dal tubetto, senza mischiare o sfumare i colori. La prospettiva era infallibile, le veniva spontaneo, non aveva mai frequentato alcuna accademia d’arte. Traeva ispirazione dalla sua infanzia, dai rari viaggi in città e dal paesaggio che intravedeva dalla finestra: «Dipingo tutto a memoria, non copio molto, perché non vado da nessuna parte, faccio solo i miei disegni».
Nei quadri di Maud le persone sorridono felici su carrozze vivacemente equipaggiate, i buoi portano al collo campanacci da cui pare uscire il suono, gli alberi sono un tripudio di fiori, i bambini pattinano, le barche galleggiano sull’acqua mentre i gabbiani volano placidi sul mare. I soggetti prediletti erano i gatti dallo sguardo allegro, occhi spalancati su campi di tulipani
Un’altra nota opera di Maud Lewis.

 

Il passaparola trasformò Maud in una celebrità. Nel 1964 il giornale di Toronto, «Star Weekly», pubblicò un articolo su di lei, e nel 1965 la CBC-TV le dedicò un documentario.Dopo la trasmissione, divenne una figura di culto in Canada, i suoi dipinti si vendevano anche a dieci dollari, un’inezia considerando che nel 2017 un quadro della Lewis è stato battuto all’asta per 45.000 dollari e un piccolo originale autenticato ne vale fino a 2.000.
La sua notorietà raggiunse gli Stati Uniti e durante la sua presidenza alla Casa Bianca, Richard Nixon le commissionò due dipinti. Era lei il capofamiglia, quella che portava a casa il pane, ma non pareva affatto farci caso. Il suo piacere più grande restava l’atto creativo in sé, vedere la felicità negli occhi di chi guardava i suoi disegni e con essi tornava ad apprezzare il piacere delle cose semplici.
Durante i suoi ultimi cinque anni di vita, un flusso costante di persone si affacciava alla porta della sua casa, tutti erano intrigati dal suo spirito e da quello stile pieno di vitalità, dal suo vivere solitario. Solitario sì, ma anche insalubre e per nulla adatto ad una donna nelle sue condizioni di salute.
Nel 1969 fu un continuo pellegrinaggio avanti e indietro dall’ospedale. Confinata permanentemente in casa, quando non era ricoverata, rimaneva nel solito angolo davanti alla finestra, dipingendo ogni volta che poteva. Morì nel nosocomio di Digby, il 30 luglio 1970, per le conseguenze di una polmonite. Il suo apparato respiratorio era rovinato dalla costante esposizione alle vernici e al fumo della legna.
Aveva sessantasette anni, venne coricata in una bara per bambini e sepolta in una tomba per indigenti. Un finale ingrato per quella che ormai era una figura di culto in Canada.
Dopo la sua scomparsa alcuni truffatori – tra cui, si dice, il marito – produssero dei falsi con l’intento di speculare sulla fama dell’artista, una pittrice prolifica che aveva lasciato centinaia di opere, un’icona del movimento popolare per la quale la domanda del mercato era aumentata.
Fortunatamente non tutti miravano al vile denaro. Dal 1979, anno della morte di Everett per mano di un ladro, la casetta cominciò ad andare in rovina. Nella contea molti la consideravano un monumento, e così un gruppo di cittadini fondò la Maud Lewis Painted House Society, un’organizzazione che aveva lo scopo di raccogliere fondi per ristrutturare quella dimora dipinta con amore. Resisi però conto che l’impresa avrebbe richiesto molto più denaro di quanto sarebbero riusciti a racimolare, nel 1984 la casa venne venduta alla Provincia della Nuova Scozia e consegnata alle cure della Art Gallery of Nova Scotia, smontata, restaurata e rimontata all’interno della galleria, dove tuttora si trova come parte permanente della mostra di Maud Lewis. 





 

 


Nella posizione originaria, a Marshalltown, vi è invece una replica dell’abitazione in acciaio, mentre nel 1999, pochi chilometri più a Nord, sulla strada per Digby, un pescatore in pensione ne ha costruito una copia fedele, completa degli interni.
Chi si trova davanti all’originale o a uno dei suoi “cloni”, stenta a credere che in quello spazio ristretto abbia potuto vivere una persona per oltre trent’anni. Maud era una “finta semplice”, mi si passi la definizione, come le sue opere, evocative e nostalgiche, che risultano infantili soltanto ad un occhio poco attento, perché in realtà hanno composizioni sofisticate e denotano un acuto spirito di osservazione.
Aveva qualcosa di speciale, è un esempio del trionfo dello spirito umano sulle avversità, un modello di resilienza, parola che oggi va di moda e che lei, non conoscendola, ha messo in pratica con naturalezza. Una donna intensa, appassionata e particolarissima, delicata nel corpo e dotata di una forza mentale eccezionale.
 
* Il presente testo è già stato pubblicato su Superando.it, il portale promosso dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), e viene qui ripreso per gentile concessione.

Maudie: Una vita a colori

Il signor Everett assume come governante Maudie, una donna molto fragile ma dall’anima profonda. L’uomo ben presto si innamora di lei. Tratto dalla vera storia di Maud Lewis.

La felicità è racchiusa in due cose: una finestra davanti agli occhi e un pennello fra le mani. Maud, fragile nel fisico ma lucidissima nella mente, riesce nonostante l’artrite deformante a vivere un’esistenza artistica e coniugale appassionata e appassionante.
Ispirato alla biografia della pittrice folk Maud
Lewis, Maudie è il classico melò che vibra esclusivamente grazie alla performance toccante della sua interprete protagonista. Mai come in questo ruolo che la vede ripiegata nel corpo deforme ma vibrante nello sguardo, Sally Hawkins riesce a illuminare ogni singola inquadratura in cui è presente.

Fin dalla scena iniziale è sufficiente il suo occhio attento a sbirciare la mano deformata che stringe faticosamente il pennello mentre è sorretta da un braccio sofferente, per raccogliere l’intensità dedicata al personaggio dall’attrice inglese: un mondo unico e parallelo alla “normalità” è racchiuso in quell’attimo, sintomo di una forza straordinaria nel senso letterale del termine.

A farle da specchio è l’interpretazione intensa di Ethan Hawke nei panni del marito Everett Lewis: rozzo commerciante, semi analfabeta, solitario e certamente problematico, l’uomo sposò Maudie prendendosela in casa prima come donna di servizio e poi come moglie.

Più che l’universo artistico di questa donna particolarissima, il film di Aisling Walsh si concentra sulla storia d’amore fra i due, coppia di “freak” confinati nelle terre gelide dell’Ontario costiero, capaci di intendersi attraverso una “diversità” fatta di codici in miniatura, proprio come la fragile corporatura di Maudie. La commozione non manca nel corso della pellicola, specie verso un finale piuttosto ovvio e da nota biografia. Resta la convinzione che senza Sally Hawkins in questo film non esisterebbe.

Termino qui, ma ci sarebbe molto altro da scrivere su questa forte donnina, capace di trovare il modo per rendere speciali i suoi giorni, pur se colmi di dolore.


venerdì, maggio 2

ADDIO AD ALESSANDRO QUASIMODO, FIGLIO DEL PREMIO NOBEL SALVATORE




2 maggio 2025
Alessandro Quasimodo (Milano, 22 maggio 1939 – Milano, 2 maggio 2025) è stato un attore, regista teatrale e poeta italiano, figlio del poeta italiano Salvatore Quasimodo, Premio Nobel per la Letteratura 1959, e della danzatrice e attrice Maria Cumani.
E’ morto Alessandro Quasimodo, avrebbe compiuto 86 anni il prossimo 22 maggio. Era il figlio del premio Nobel Salvatore che, tra l’altro, con la propria famiglia, aveva abitato a Modica.
“Con mestizia – dice il sindaco di Modica, Maria Monisteri – ho appreso la notizia della scomparsa oggi di Alessandro Quasimodo, figlio del nostro Premio Nobel per la Letteratura, Salvatore. Forte il suo legame con la nostra città, dove tornava sempre volentieri e dove l’ho incontrato tante volte e con grande piacere. Amabilissimo conversare con lui, fra i ricordi del padre e il grande rispetto che aveva per Modica, un luogo che sentiva un po’ suo. Alessandro Quasimodo era la voce della poesia del papà e più volte le ha recitate dal balcone della casa di via Posterla. Ed è a lui che si deve l’apertura al pubblico di questa casa, diventata il museo che racconta la vita del premio Nobel. Esprimo il mio cordoglio ai familiari di Alessandro e porto con me il ricordo di un grande uomo e del suo affetto per la nostra città”.

Voglio ricordare di averlo conosciuto presso Villa Mella a Limbiate, dove Rita Iacomino organizza concorsi poetici e letterari, nei quali era spesso presente Alessandro Quasimodo in veste di Presidente Onorario,  e dove è stato anche premiato, qui sotto il video.


Durante una delle premiazioni organizzte da Rita Iacomino, ero presente anch'io per un premio che avevo ricevuto relativo ad una mia poesia dedicata a Salvatore Quasimodo. Qui alcuni ricordi:



Il momento della premiazione ripreso da un video amatoriale: ritratti il vice Presidente della Regione Lombardia Fabrizio Sala e il Sindaco di Limbiate Antonio Romeo



Il diploma  firmato da Rita e da Alessandro Quasimodo quali Presidente esecutivo e Presidente Onorario e,  subito sotto, la dedica che Alessandro mi ha rilasciato insieme a Rita in seconda copertina dell'antologia che contiene i miei versi e quelli di tutti gli altri autori. 


qui sopra l'articolo che avevo pubblicato nel 2019. 

SONETTI APPESI
(a 50 anni dalla scomparsa di Salvatore Quasimodo)

Carezzati dai raggi di sole,
intrecci e sequenze di parole.  
Sonetti appesi a fili d’argento
mossi da lieve soffio di vento.

Niente che turbi l’anima quieta
solo pensieri che il cuore allieta.
Il sole sorge e tardi tramonta
intanto calma la notte affonda.

Quel che un tempo mi fece paura
apprendo  che dolore non dura
per lungo tempo: svanisce e sfuma
tale l’onda sul mare che schiuma.

E se posso cercare una rima
non scordando la metrica prima
in quartine poetar mi conviene
ché a poesia la vena appartiene.

Son ora in auge liberi versi
alcuni poeti ne sono avversi
pochi or bramano rime e catene
quasi mutate in essenze aliene.

Caduta in pieno romanticismo
con un pizzico d’anacronismo,
spero che Quasimodo ascolterà
e dal poetico Ciel sorriderà.

Danila Oppio

martedì, aprile 29

Santa Caterina da Siena, oggi ricorrenza della sua morte - liriche di Padre NICOLA GALENO OCD


Caterina di Jacopo di Benincasa, conosciuta come Caterina da Siena (Siena, 25 marzo 1347 – Roma, 29 aprile 1380), è stata una religiosa, teologa, filosofa e mistica italiana.

È stata proclamata santa da papa Pio II nel 1461 e dottore della Chiesa da papa Paolo VI nel 1970. È stata dichiarata patrona di Roma nel 1866 da papa Pio IX, patrona d'Italia insieme a san Francesco d'Assisi da papa Pio XII nel 1939 e compatrona d'Europa da papa Giovanni Paolo II nel 1999.
Caterina nacque a Siena, nel rione di Fontebranda, nella contrada dell'Oca, nel 1347, figlia del tintore di panni Jacopo di Benincasa e di sua moglie Lapa di Puccio di Piagente, ventitreesima di venticinque figli. Assieme a lei nacque una sorella gemella, battezzata con il nome di Giovanna, che morì a poche settimane di vita.[3]

A differenza dei fratelli, fu lungamente allattata dalla madre, come testimoniano le opere di Raimondo da Capua, suo grande estimatore, assiduo frequentatore della madre di lei a seguito della sua morte. Fece voto di verginità a sei anni, quando iniziò ad avere visioni.

Quando Caterina raggiunse l'età di dodici anni, i genitori iniziarono varie trattative per concludere un matrimonio vantaggioso per la figlia. Caterina, totalmente in disaccordo in quanto promessa a Dio, si scontrò con le aspettative dei genitori. A seguito di un dialogo con la sorella Bonaventura, Caterina sembrò accettare il suo destino, ma poi, a quindici anni, a seguito della morte della sorella di parto, dichiarò espressamente che si era votata al Signore e che non intendeva ritirare la parola data. Bisogna tuttavia tenere presente che, nel Medioevo, se una donna voleva consacrarsi a Dio con i voti religiosi, l'unica strada che poteva percorrere era quella di entrare in un monastero e versare a esso una dote; Caterina non aveva questa possibilità perché non possedeva una dote nei termini richiesti. Però non cedette, pur non sapendo come avrebbe realizzato il suo desiderio
Caterina scese così nel concreto pensando di entrare fra le Terziarie domenicane, che a Siena erano note con il nome di "mantellate" a causa del mantello nero che copriva la loro veste bianca. La giovane senese aveva da poco passato i sedici anni ed era quindi troppo giovane per garantire la perseveranza sotto la regola dell'Ordine, quindi monna Lapa, spinta dalle insistenze della figlia, si decise ad andare a parlare alla priora delle Sorelle della penitenza di San Domenico, ma ne ebbe un rifiuto perché esse non erano solite ammettere le vergini all'abito, bensì solo vedove o donne in età matura e di buona fama.

Caterina da Siena fu poco dopo colpita da una malattia: altissime febbri e penosissime pustole ne sfigurarono il volto, facendola sembrare più anziana e meno aggraziata di quello che era. Allora Caterina pregò la madre di recarsi nuovamente dalla priora per dirle che lei sarebbe morta se non l'avessero ammessa nella loro confraternita. La priora, a sentire quella accorata implorazione, mandò alcune consorelle anziane a sincerarsi della situazione e della costanza dei sentimenti di Caterina. Le suore furono impressionate dai lineamenti sfigurati dell'ammalata e dall'ardore del suo desiderio di ricevere l'abito domenicano e riferirono tutto fedelmente. L'ammissione di Caterina fu accettata a pieni voti. La buona notizia fu accolta con lacrime di gioia dall'ammalata a e ciò contribuì a farla guarire dalla malattia e nell'anno 1363 (il suo sedicesimo anno di vita), nella basilica di San Domenico, le fu dato l'abito dell'Ordine. Entrata a fare parte delle Mantellate, Caterina non aveva esperienza di preghiere, adunanze e pratiche penitenziali. Ma era soprattutto la preghiera comune la cosa più difficile per lei. Infatti le preghiere erano per lo più in latino, come la Messa, ma Caterina, salvo il Paternoster e l'Ave, non sapeva né capiva altro. Non sapendo né leggere né scrivere, chiese a una consorella più istruita di insegnarle quel tanto che bastava, ma non ne ricavò nulla. Per tre anni si isolò dalle altre suore.
Per continuare la lettura dell'intera biografia di Santa Caterina, cliccate su questo link:


Ciclo su Seicento lombardo a Brera (Milano)



L’ESTASI DI S. CATERINA DA SIENA   80189

(Cairo)

Sei, Caterina, immersa nell’immenso
dramma di questa nostra Redenzione, 
che vuol l’annientamento del Maestro.

Contempli inorridita tanto scempio 
del Corpo suo santissimo. Vorresti
potergli almen lenire qualche pena,
facendoti tu stessa trapassare
il capo dalle spine sì pungenti! 

(Milano 20-7-2017), Padre Nicola Galeno
 
Ciclo sulle Vetrate di S. Maria Segreta a Milano


S. CATERINA DA SIENA     80415

Caterina, pur povera, ti senti
ancor fin troppo ricca quando incontri
un mendicante: doni largamente,
vedendo in lui l’amato Salvatore!

(Milano 4-8-2017), Padre Nicola Galeno

Ciclo su S. Caterina da Siena






lunedì, aprile 28

RICORDO DEL CUGINO OTTO HERMANN deceduto a NORIMBERGA in GERMANIA

 


Lieber Otto,

lieber Mann,
lieber Vater,
lieber Opa,
lieber Freund,

oh weh, Du bist von uns gegangen! Wir wollten Dich nicht gehen lassen, aber wir konnten dich nicht festhalten, Du wurdest gerufen und Du musstest gehen.

Dein Atmen wurde schwächer, Dein Herz hörte auf zu schlagen, schließlich löste sich Deine Seele von Deinem Körper und verschwand im weiß flackernden Licht, welches die Grenze zwischen denen markiert, die auf Erden leben, und denen, die es nicht mehr tun.

Es ist so unbegreiflich, dass Du nicht mehr da bist. Die Spuren, die Du hinterlässt, werden uns immer an Dich erinnern. Du wirst der Abendwind sein, der uns in den Schlaf wiegt, und die Morgenröte die uns an jeden weiteren Tag unseres Lebens weckt.

Wir sind unsagbar traurig. Du fehlst uns so sehr! Nichts mehr wird sein wie früher, es wird immer eine Lücke bleiben. Mit Dir sind wir wunderbare Wege gegangen. Wir haben gelacht, uns gefreut, gehofft...mit Dir sind wir auch durch dunkle Gassen gegangen, haben gebangt, geweint und doch wieder gehofft!

Wir weinen um Dich und werden unsere Wege weitergehen. Du bist nicht mehr bei uns, dennoch bis Du ganz nah! Du wirst ewig in unseren Gedanken, in unseren Erinnerungen und in unsere Herzen sein. Lieber Otto, lieber Mann, lieber Vater, lieber Opa, lieber Freund, wir werden Dich nie vergessen, denn wir sind für immer dankbar, dass wir Dich bei uns hatten.

Blumen und frisch gestreute Blütenblätter sollen Dich auf Deinem Weg in einen neuen Abschnitt Deines Seins leiten. Sie sind ebenso ein Willkommensgruß zum Einzug in eine neue Welt.

Schlaf nun in Frieden, schlafe sanft und hab für alles lieben Dank.


















I DIPINTI ATTRIBUITI A SAN LUCA - ricerca nata da uno scambio di scritti con Padre Nicola Galeno OCD

Ho scritto a Padre Nicola, dicendogli questo:

Molto bella quella tua poesia per Carol!! Mia figlia, come premio per aver ottenuto la licenza liceale, chiese di poter partire per Varsavia, dove alla Madonna Nera avrebbe potuto incontrare, con tanti altri giovani, Papa Wojtyla.  Ha percorso tantissimi Km da Varsavia alla Vergine Nera di Czestochowa (nota anche come Madonna nera) che è un'icona di tradizione medievale Bizantina della Madonna col bambino. La tradizione vuole che sia stata dipinta, su un asse di legno proveniente dal tavolo della Sacra Famiglia, da san Luca, che essendo contemporaneo alla Madonna ne avrebbe dipinto il vero volto. Nel 1382 l'icona venne portata al santuario di Częstochowa, a Jasna Góra dal Principe Ladislao II di Opole. Nel 1430, durante le guerre degli Ussiti, l'icona venne profanata a colpi d'ascia che le avrebbero provocato un sanguinamento miracoloso, e ancora oggi sono visibili gli sfregi. Per i polacchi Częstochowa si identifica con la storia delle lotte per l'indipendenza nazionale polacca. 

Quel che mi ha colpito il cuore, è che sia Papa Francesco che Papa Karol avevano presenti, come immagine della Madonna, due quadri che in qualche modo si somigliano.

Di entrambi i dipinti, si dice che sia stato San Luca stesso a ritrarre la Vergine col Bambino, perché erano contemporanei.

Non so che dire, so solo che sono due icone venerate da due Papi che abbiamo avuto e amato.

Tra le reliquie legate alla Vergine, l’icona della Salus Populi Romani segna un legame indissolubile con i cittadini, con i pontefici e con la storia. Un’immagine che è diventata familiare in tutto il mondo e nel tempo profondamente legata alla devozione di Papa Francesco che nel testamento ha chiesto di essere sepolto proprio nella basilica di Santa Maria Maggiore, accanto alla cappella Paolina che custodisce il dipinto della Vergine.

Secondo la tradizione, l’icona, dipinta dall'Evangelista Luca, sarebbe giunta a Roma da Gerusalemme e posta al Laterano, nell'oratorio pontificio. Fu donata da Papa Sisto III, tra il 432 e il 440, alla basilica di Santa Maria Maggiore dove da allora risiede, all’inizio sull’altare maggiore per poi essere spostata nella cappella Paolina o Borghesiana, dove si trova dal 1613. 

Pare che san Luca abbia dipinto diversi quadri che rappresentano la Madonna con il Bambino Gesù: 

Salus Populi Romani

E’ la più famosa di tutte, ed è custodita nella cappella Paolina della basilica di Santa Maria Maggiore. E’ una tavola restaurata verso il secolo XII di un originale molto più antico. E’ un’immagine sulla quale si sono scritte molte leggende circa la sua origine ed i molti prodigi compiuti dalla stessa. Uno dei suoi più famosi miracoli fu quello di liberare Roma dall’epidemia di peste, nel 590. Papa Gregorio Magno la portava in processione a San Pietro, proprio con questo proposito. Poco prima di arrivare, tutto il popolo vide l’Arcangelo Michele sopra la Mole Adriana nell’atto di rinfilare la spada nel fodero. Era il segnale che la peste sarebbe finita, e così fu. La Mole Adriana fu chiamata, da allora, Castel Sant’Angelo.

La Vergine Nera di Czestochowa dipinta da San Luca


L' icona della Madonna di San Luca - Bologna - Vergine Odighitria

L’immagine dell’Odigitria ( fonte http://www.iconedelveneto.it/le-icone-della-madre-di-dio/odigitria) occupa un posto privilegiato nell’iconografia della Madre di Dio, perché è comune all’Oriente e all’Occidente, anche se la sua origine è specificatamente orientale. E’ tra le icone più celebri della Madre di Dio. Il nome deriva dal greco οδηγός (odegós) che si traduce in “guida, condottiero”, da cui il significato attuale di “Colei che mostra la via”; e la via è appunto Cristo indicato da Maria con la mano destra.

Il nome gli viene dal santuario mariano di Costantinopoli dove l’immagine era custodita, quello detto “degli odigoi” o “delle guide” , dal nome dei monaci custodi del santuario che facevano da guide ai frequentatori del santuario (in maggioranza ciechi) venuti a chiedere la guarigione della Madonna. Col tempo il nome fu dato alla stessa Madre di Dio e alla sua icona che, usato nella forma femminile di “Odigitria”, le divenne un nome proprio. Ciò che aggiungeva lustro all’immagine era la sua fama di essere un ritratto fatto dal vivo a Gerusalemme dall’evangelista Luca mentre la Madonna era ancora in vita.

Luca, probabilmente l’abbreviazione di Lucano, era pagano ed era medico. Ai tempi della predicazione e morte di Gesù lui era lontano dalla Palestina. Infatti Luca era di Antiochia, l’attuale Antakia, nella Turchia Sud-orientale. Si convertì al cristianesimo verso l’anno 40, grazie alla predicazione dei primi cristiani in quella città. Dagli Atti degli Apostoli, attribuiti a lui stesso, e dalle lettere di San Paolo oltre che, come sempre, dalla tradizione, abbiamo molte informazioni della sua vita insieme con Paolo. E’ presente anche quando Paolo viene arrestato a Gerusalemme e durante la prigionia romana.

Luca è reputato una persona di grande cultura, come conseguenza di aver ricevuto una robusta formazione greco-ellenistica, in accordo con l’elevato stato sociale corrispondente alla professione esercitata. Coltivava anche l’arte e la letteratura. Pare molto probabile che conobbe personalmente la Madonna della quale poi, secondo la tradizione, fece diversi ritratti, dato che la pittura era una delle sue attività preferite. Il Vangelo di Luca è l’unico dei quattro che dà molti particolari e si dilunga sull’infanzia e l’adolescenza di Gesù, ed è l’unico che ci parla della Madonna prima della nascita di Cristo, dell’annunciazione, la visita ad Elisabetta e la nascita di Giovanni Battista. Quindi pare logico pensare che tutte queste notizie siano frutto di conversazioni con Maria, unico testimone ancora vivente. Come conseguenza di questa sua passione per la pittura e che la tradizione vuole che abbia fatto molti ritratti di Maria, viene anche considerato l’iniziatore dell’iconografia cristiana. Ci sono molte immagini della Vergine che gli furono attribuite, circa una ventina, quasi tutte in Italia, di cui sei a Roma. Alcune sono immagini bizantine giunte durante il periodo iconoclastico (730-843) per metterle al riparo da una possibile distruzione. La più antica di queste immagini non risale oltre il  V secolo.

Per maggiori informazioni, visitate questo sito di cui al sottostante link! Di dipinti di Luca ce ne sono sparsi ovunque in Italia e forse anche all'estero, qui sotto ho inserito solo quelli che si trovano a Roma.