POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

sabato, ottobre 29

UN'ISOLA DA AMARE - CAPRAIA di FOLCO GIUSTI - recensione di RENATA RUSCA ZARGAR

 




Un’isola da amare – Capraia: 

storie di uomini e di animali

Appunti di lettura di Renata Rusca Zargar

Folco Giusti è un narratore nato. Tempo fa, avevo letto il suo romanzo storico “L’isola dell’ultimo ritorno” in cui aveva saputo immergermi nel clima dell’Impero Romano, con avventure di guerra, tragiche crudeltà, fughe, trasferimenti, ma anche vicende d’amore, di martirio cristiano, di fede. Un testo che non avevo potuto abbandonare fino a quando non l’avevo finito, che mi aveva sconvolto, atterrito e commosso mentre mi comunicava una miniera di informazioni su un universo assai lontano da noi e che spesso tendiamo a edulcorare.
In quell’appassionante e perfetto romanzo storico appare pure l’isola di Capraia, dove Giusti ha vissuto parecchio da ragazzo e che ha continuato a frequentare nonostante la brillante carriera di professore di zoologia presso l’Università di Siena.
Nel volume “Un’isola da amare Capraia: storie di uomini e di animali”, egli racconta, quindi, i personaggi con i quali ha vissuto imprese di pesca, di caccia ma soprattutto di crescita e consapevolezza.
Giusti sa abbozzare quelle persone con un tratto vivace, rendendole affascinanti quanto il Rufio e il Rutilio romani, senza cadere mai, anche quando parla di sé o di suo padre, nell’inevitabile noiosità di tutti gli scrittori che toccano temi autobiografici.
Come detto, Giusti è un vero narratore, io lo definirei “genetico”, anche se poi ha affinato la sua penna nello studio e nella semplicità che, forse, gli viene proprio dall’assiduità con una terra che pochissimi conoscono.
Nel libro, come detto, egli ci narra di personaggi particolari, tipo il pescatore di foche, il pirata, il comandante, il detenuto, e altri. Ognuno vive esperienze straordinarie ma ovvie nella quotidianità della vita dalle quali, leggendo, si rimane irrimediabilmente sedotti. Dopo ogni storia, inoltre, c’è una parte informativa (mai noiosa neppure quella) sull’animale nominato nel capitolo con magnifici disegni di Rossella Faleni, mentre le vedute di Capraia sono di Cinzia Giusti. Non mancano le poesie sulle quattro stagioni ambientate nell’isola che aggiungono strabiliante fascino a un piccolo Eden che, ormai, ognuno di noi desidera visitare. “Rosso / di sangue intriso / l’occidente avvampa / - scrive, ad esempio sull’estate - e docili colli tramuta / in pazzi vulcani ardenti. […] Sale la nebbia / e in collane di perle s’impiglia / alle tele dei ragni […] e sopra l’infinito s’affretta / in una falce di luna / in albori cangianti / in misteri di stelle pulsanti.”
Dunque, arrivederci a Capraia!

L’ISOLA DELL’ULTIMO RITORNO:

UN’ISOLA DA AMARE

venerdì, ottobre 28

IL MONDO NUOVO: DISERTORI, CONTROLLORI E SOVVERSIV I NEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO



Disertori,
controllori e sovversivi nel Sahel


Il capitalismo di sorveglianza ha i funzionari di terreno che agiscono nel tempo e nello spazio. Il tempo dà loro apparente ragione perché la ‘normalizzazione’ o la ‘banalizzazione’ del controllo sembra un fatto acquisito, accettato e talvolta richiesto. Pochi si stupiscono ancora dell’esproprio del diritto alla mobilità operato con fermezza in questi ultimi anni. Le frontiere, tutt’altro che immateriali, sono appunto uno degli spazi nei quali il controllo si esprime con maggiore coerenza. L’evidenza che le frontiere dell’Europa tocchino l’Africa del Nord, coi Paesi del Maghreb e giungano fino al Sahel non scandalizza nessuno. La banalizzazione della normalità e dunque la neo-colonizzazione dell’immaginario sociale rasenta l’evidenza. I campi di detenzione per i migranti e rifugiati in Libia, i fili spinati delle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla in Marocco, le deportazioni degli indesiderati in Algeria e le ‘dissuasioni’ volontarie degli ‘esodanti’ nel Sahel sono una necessaria condizione perché il mondo continui a funzionare come deciso dai potenti di turno.
La resistenza a questa operazione di controllo globale passa attraverso il fenomeno, anch’esso assodato, dei ‘disertori’. Spesso dipinti in modo negativo e criminalizzati, i disertori sono coloro che, per scelta o per necessità, scelgono di slegarsi da un destino che sembra condannarli a ‘collaborare’ con sistema in due modi. Il primo si compie scomparendo nel silenzio, come inutile zavorra da buttare durante la tempesta l’altro, invece, aderendo e ringraziando per il posto subalterno che il sistema ha loro affidato per perpetuarsi. La figura del migrante, che nel suo corpo e nel suo spirito porta la propria frontiera, esprime, come in uno specchio, la responsabilità della diserzione. Scegliendo di partire altrove contesta il tempo, lo spazio e le frontiere del ‘ disordine’ stabilito. Non casualmente il sistema, tramite l’OIM (Organizzazione per le Migrazioni Internazionali) cerca di convincere i migranti che la migrazione e un errore. L’Agenzia Frontex (Frontiere Esterne d’Europa) rende mobili le frontiere e la missione di Eucap-Sahel ‘educa’ il SUD come gestirle e interpretarle. Tutto cospira a rendere le migrazioni ‘ sicure, ordinate e regolari’.
Naturalmente gli attributi citati sulle migrazioni si riferiscono precipuamente ai Paesi di approdo dei migranti. Difficile credere siano possibili migrazioni sicure, ordinate e regolari quando si contribuisce a creare un mondo insicuro, disordinato e ‘irregolare’ per la maggior parte degli abitanti del pianeta. La dislocazione della politica, dell’economia e soprattutto la strategia del ‘disordine’ interessato nel Sahel e altrove, non lascia spazio a nulla che sia ‘ordinato, regolare’ e soprattutto ‘sicuro’. Ecco perché, in questa particolare zona dell’Africa chiamata Sahel, nome che significa ‘ Riva o Sponda’, ci vantiamo di fabbricare gli unici sovversivi che meritino questo nome. Si scrive migranti e si legge ‘sovversivi’ poiché nelle loro borse si nasconde, impolverato, un mondo nuovo.


         Mauro Armanino, Niamey 30 ottobre 2022

LAVORETTI PER NATALE seconda parte di DANILA OPPIO

Ripropongo due lavoretti, la lanterna e la casetta, perché ora ho acquistato le lucine Led e quindi ho fotografato i due oggetti, in versione luminosa.

Seguono la busta con i tre personaggi del Presepe, realizzati con base di tappi di sughero e rivestiti con pannolenci. E una donnina nordica, sempre con sughero e pannolenci. Intendo realizzarne altre con colori diversi.  

Quindi una donnina porta sapone, realizzata in pannolenci e due cuoricini per i quali studierò il modo per utilizzarli al meglio. Per ora attendo di avere altre ispirazioni!

Enjoy you! 

Danila Oppio













lunedì, ottobre 24

LAVORETTI PER NATALE E NON SOLO...di DANILA OPPIO

Altri miei lavoretti per il Natale e non solo!



Bambola in pannolenci e lana


Angioletto in panno su base legno



Angioletto da appendere



Lanterna in pannolenci


Casetta in mezzo agli alberi 
in pannolenci su base di legno 

Mi diverto molto nell'eseguire questo tipo di lavoretti, è un piacevole passatempo. Non sono precisa, spesso a causa del desiderio di veder finito presto quanto è in lavorazione! 

Spero mi perdoniate l'imprecisione!

Danila Oppio



CHE POI...di ANNA MONTELLA


 

sabato, ottobre 22

ABRAMO, RIFUGIATO A NIAMEY di P. MAURO ARMANINO

Icona di Abramo

Abramo, rifugiato a Niamey

Il primo e più famoso Abramo veniva, secondo la tradizione biblica, dalla Mesopotamia. Migrante per scelta o per destino diventò il capostipite del popolo ebreo e, in genere, dei credenti ossia i sottomessi al precetto divino di abbandonare la propria terra. In ogni migrante e migrazione c’è qualcosa di questo mistero primigenio che potrebbe aiutare a leggere diversamente i processi migratori. 

Profondamente umani e, nel contempo,  straordinariamente divini, almeno da Abramo in poi. Potremmo affermare, senza scostarci troppo dalla realtà, che la migrazione e dunque il migrante, nasconde o evidenzia qualcosa di teologico. Una sorta di promessa legata all’abbandono della propria terra. Abramo era un irregolare per scelta.

L’altro Abramo, che si trova a Niamey dall’anno scorso, è invece classificato e riconosciuto come ‘rifugiato’ e, seppur meno noto del primo, ha una storia più complicata e dolorosa della sua. Nella sua regione di origine, il Darfur nel Sudan, ha vissuto e pagato di persona le conseguenze di una guerra senza fine. Racconta che, il giorno stesso del suo matrimonio, la sua casa è stata bruciata e sua moglie violentata. Suo padre e sua madre hanno perso gli arti inferiori. Le milizie hanno ucciso i suoi fratelli e sorelle. Lui stesso è stato rapito e obbligato ad occuparsi del bestiame per alcuni anni e poi è fuggito in Libia con la moglie e il fratello gemello, unico superstite della famiglia. L’inferno, e non la benedizione, lo pedinava anche in Libia.

Contrariamente all’altro Abramo lui è stato imprigionato per cinque anni in Libia dove il gemello è stato bruciato e la moglie uccisa. Il visto umanitario che aveva potuto ottenere dall’apposita agenzia delle Nazioni Unite e che l’avrebbe condotto in salvo altrove, è stato ritirato e venduto dalle milizie libiche per cinquemila dollari. Durante il soggiorno è stato più volte torturato alle gambe, alle braccia e alle unghie di mani e piedi. È stato rimpatriato, per accordi umanitari, nel Darfur, dal quale è scappato perché perseguitato per motivi religiosi. Si era infatti, nel frattempo, convertito alla fede cristiana. Sostiene che milizie ben addestrate a questo scopo lo seguono ancora oggi per eliminarlo.

L’altro Abramo, il minore potremmo dire, è ospite in una delle case di accoglienza delle Nazioni Unite per i Rifugiati, gestite da COOPI, cooperazione internazionale, una ONG italiana che da anni opera nel Niger. Lui, l’altro Abramo, non è all’origine di un nuovo popolo e la sua progenie assai meno numerosa che le stelle del cielo e la sabbia del deserto. Si è vestito, per l’occasione, con un completo scuro come fosse invitato ad una festa di nozze.

      Mauro Armanino, Niamey, 23 ottobre 2022

Ndr. Danila: racconto mi ha riportato un vecchio ricordo: il canto ABRAM scritto tanti anni fa da Padre A. M. COCAGNAC. Il testo in francese potrebbe interessare i lettori del Niger e di ogni altro Paese francofono.

martedì, ottobre 18

LE FIABE DEL CAFFE' a cura di ANNA MONTELLA - LA LUNA E IL DRAGO CAFFE' LETTERARIO

 



Ho partecipato con questa breve fiaba:

Storiella notturna per addormentare il pupo.

Faremo un lungo viaggio, e sarà una galoppata tra le galassie, 
a bordo di una nave interstellare alla ricerca della felicità piena e assoluta.
Lì, voleremo in libertà. Saremo eterni, giovani e forti, novelli pionieri alla conquista dello spazio, mai esplorato da mente umana. 
Ci mancherà il sapone liquido e il parrucchiere! Che importa?
Gusteremo i melograni e la papaia.
Mangeremo anche un avocado (o un avvocato?) o un ministro. A te la scelta.
Il primo ostacolo è stato superato ed era il fuoco di sbarramento alla partenza, dopo essere saliti a bordo della navetta.
Non siamo ancora all’interno della nostra astronave Krono, ma comodamente seduti sul divano bianco ciliegia (che fai, ridi?) a sorbire un ottimo bicchiere di latte, scortato da bacetti freschi alla fragola. Com’è bello farneticare!
Poiché siamo un po’ accaldati dai giochi del giorno, che diresti se facciamo una nuotata nella vasca da bagno?
Poi, una volta asciugati, di corsa tra le lenzuola, dove inizieremo il viaggio
tra le stelle e i pianeti delle prossime orbite.
Leveremo le vele ai bordi, e conteremo le imprese, le prese e le riprese tra le stelle.
La navicella sta per partire, chiudi gli occhi, il volo durerà tutta la notte. 
Il nocchiero è Morfeo.
Buonanotte piccolo mio!

Danila Oppio

LE STRADE DI NIAMEY di P. MAURO ARMANINO



Le strade di Niamey

Sono dei contenitori di sabbia equamente distribuita nelle corsie delle strade asfaltate e di quelle in terra battuta. Costituiscono a tutt’oggi il luogo principale d’incontro di mezzi e persone. Buona parte della vita, per una moltitudine di gente, succede sulla strada. Commercio, deambulazione, ricerca del pane quotidiano e convivialità spicciola. Quanto alla vita politica in strada, come ad esempio le manifestazioni politiche, a parte una recente e isolata eccezione, esse sono vietate dal 2018. In altri tempi ciò sarebbe apparso intollerabile mentre oggi questo stato di cose rasenta la banalità. Eppure, nel confinante Burkina Faso la strada e le piazze (e le caserme) giocano un ruolo primordiale. Proprio oggi, il 15 di ottobre del 1987, fu assassinato il capitano Thomas Sankara, presidente di questo Paese fratello. Sono passati 35 anni e la sua memoria continua ad inquietare e interrogare i giovani africani d’oggi, in cerca di testimoni autorevoli.

Le strade di Niamey rendono visibili coloro che sovente non lo sono, vuoi per scelta oppure per dimenticanza. I mendicanti emergono dal ‘sottosuolo’ specie di venerdì che poi è il giorno della preghiera nelle moschee più capienti. Contribuiscono ad assicurare, in cambio di una modica elemosina, il guadagno del paradiso ai benefattori o comunque un accorciamento consistente delle pene legate alle mancanze più gravi. Giocano dunque, senza forse immaginarlo, un ruolo salvifico del tutto ragguardevole. Proprio come gli scolari delle numerose scuole coraniche, impegnate ad offrire i primi rudimenti del Corano e allo stesso tempo ad inculcare, nella testa degli scolari, che la mendicanza è una virtù da coltivare. I mercanti e venditori, che lungo le strade hanno piazzato negozi, magazzini precari, laboratori, officine per riparare i pneumatici, meccanici per moto e cammellieri, assieme a vari portatori di handicap, cercano di rendersi prossimi dei clienti che transitano. Profittano delle rotonde intasate all’ora di punta coi vigili protagonisti.

Sì, perché, nel frattempo, tra la stagione delle piogge, le incertezze delle linee elettriche, l’assenza di manutenzione e, in generale, la precarietà dei colori, i semafori coi secondi contati hanno in fretta fatto il loro tempo. Si ritorna al regime abituale di stile anarchico-conviviale dove, infine, a passare per primi sono i mezzi più pesanti e i taxi che conoscono a menadito le insenature della sabbia stradale. Nelle strade ci sono i cittadini qualunque, coloro che ‘si cercano’, ossia quanti sopravvivono al quotidiano e gli animali che assicurano la compatibilità della capitale con la tradizione. Capri, dromedari e asini hanno un posto riconosciuto e accettato dalla collettività urbana: quasi un privilegio di cittadinanza. Cani e gatti sono rari. 

La strada è stata riconoscente, infine, per la pioggia scesa ieri sera, fuori tempo massimo, eppure gradita. Una benedizione, affermavano con certezza i fedeli che gremivano la cattedrale di Niamey, che l’hanno lungamente applaudita perché aveva accarezzato le loro preghiere. 


           Mauro Armanino, Niamey, 16 ottobre 2022


venerdì, ottobre 14

L’ultimo viaggio di Yūsuf - testo di FRANCESCO FERRANTE musica di LUCA DI MARTINO





I cuori sono chiusi
nell’inverno della storia,
i sogni omologati
per chi cerca soldi e gloria.

I diritti d’ogni uomo
come stracci calpestati,
i poveri del mondo
come fossero appestati.

Perdenti e vincitori
in una giostra delirante,
il nemico è la paura
per il pensiero benpensante.

Anche oggi guardo il mare
immenso e un po’ inquietante,
la pagella della scuola
il mio bagaglio più importante.

Il desiderio che martella:
abbandonare questa terra,
la fame, l’arroganza,
il boato della guerra.

I soldi risparmiati,
dodici anni, la speranza,
un viaggio programmato
nel buio sordo di una stanza.

Vedremo il sole certamente,
non vincerà la notte,
cambieranno con un pianto
le nostre anime corrotte.

Non date per scontato
la luce del mattino,
il cibo dentro al piatto o
la gioia di un bambino…
Non date per scontato
la libertà che avete,
il sonno della notte
o le vostre ore liete.

Quell’onda che mi ha ucciso
non era solo mare,
era sdegno, indifferenza,
sogni buoni da buttare.


Francesco Ferrante

giovedì, ottobre 13

Concorso gratuito LE PAGINE DEL NATALE indetto da LARGO LIBRO

Vogliamo segnalarvi la quinta edizione del grande Concorso nazionale gratuito "Le Pagine del Natale", che vedrà i vincitori inseriti in un'apposita Antologia realizzata per l'occasione. 

Qui trovate il bando completo:

http://largolibro.blogspot.com/2022/08/le-pagine-del-natale-parte-la-quinta.html

ATTENZIONE: quest'anno gli elaborati vanno dedicati, in modo diretto o indiretto, al mondo dell'infanzia. Doniamo ai bambini (e al "lato bambino" di noi stessi) la luce di cui il mondo ha sicuramente bisogno in questo periodo molto difficile. La vera arte è e sarà sempre forza costruttiva, mai distruttiva.Aiutateci anche a far conoscere il bando il più possibile, condividendolo tra i vostri contatti.

Vi ricordiamo, inoltre, che è sempre possibile partecipare al Segnalibro com racconti brevi o poesie, al seguente link trovate tutte le informazioni in merito:

https://largolibro.blogspot.com/2019/10/i-2mila-segnalibri-uniniziativa-davvero.html

Condividete la vostra arte e sostenete l'editoria indipendente!

Alle prossime news.

Lo Staff

"L'ARGOLIBRO"

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Via G. Mazzini, 22 - 84043 Agropoli (SA) 

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I racconti e le poesie devono essere inediti, con l’adesione al bando si autorizza implicitamente «Gli Occhi di Argo» e «L’ArgoLibro» all’inserimento e alla pubblicazione nell’Antologia.
Gli autori resteranno titolari dei diritti sulle loro opere, fatta salva la pubblicazione di cui sopra per la quale non potranno richiedere alcun compenso.
L'antologia sarà ampiamente pubblicizzata e venduta sulle pagine web della casa editrice e gli autori inseriti interessati al facoltativo acquisto usufruiranno di uno sconto sul prezzo di copertina. 
Con la partecipazione i concorrenti dichiarano implicitamente che i testi presentati sono di loro composizione, inediti, e accettano tutte le norme che regolano questo bando.
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MARUSSIA LEGGENDA UCRAINA di MARCO WOVZOG - considerazioni di DANILA OPPIO


MARUSSIA – LEGGENDA UCRAINA

Quando ero piccola, ho letto con passione la leggenda scritta da quel che pensavo fosse un uomo. MARCO WOVZOG. Cercai tra i molteplici libri nella mia biblioteca personale, e ritrovai a seconda edizione pubblicata da Paravia, in ristampa nel 1944. Non ero ancora nata, forse apparteneva a mia madre. Illustrata ottimamente da Fabio Fabbi, è stata una delle letture che mi hanno appassionato. 
Mi sono impegnata a cercare notizie su questo scrittore, e non mi è stato facile trovarlo, perché nella versione italiana il nome è stato storpiato, forse perché il testo è uscito in periodo fascista, tradotto da una versione in lingua francese. All’epoca si tendeva ad italianizzare i nomi stranieri. Francis Bacon era diventato Francesco Bacone, René Descartes si trasformò in Renato Cartesio, e via dicendo. 
Tempo addietro, le donne scrittrici, se avessero desiderato pubblicare i loro scritti, avrebbero scelto uno pseudonimo maschile.
Ricordo che le sorelle Brontë hanno utilizzato rispettivamente Currer (Charlotte), Ellis (Emily) e Acton (Anne) Bell.
Per non parlare di George Sand, il cui vero nome era Aurore Dupin, o di George Eliot, pseudonimo di Mary Anne (Marian) Evans, e potrei proseguire ancora.
Finalmente ho trovato su Wikipedia quando mi interessava sulla figura di questo autore, che si è rivelato essere donna.  
Mi pare che riprendere questa lettura, seppur ambientata in un'epoca lontana, sia ancora di grande attualità. 
L'autrice infatti scrive, nella prima pagina del libro:
"Le guerre combattute dall'Ucraina non ve le racconterò, sarebbero troppe: vi basti sapere che dopo essere stata a lungo il punto di mira dell'avidità dei Polacchi e dei Russi - senza contare i Turchi ed i Tartari - l'Ucraina, non potendosi intendere con la Polonia, aveva finito con l'accettare le offerte di protezione della Russia. Per un poco tutto andò bene, ma poi la Russia dimenticò gli impegni e promesse, e trattò così duramente il povero paese, che questo non tardò a dividersi in tre campi. C'era ancora chi si fidava della Russia: c'era chi avrebbe voluto l'unione con la Polonia; e c'erano anche quelli - purtroppo pochi - che avrebbero preferito un'Ucraina libera e indipendente. Ed è in questo momento che comincia la nostra storia". 

Ed ora proviamo a conoscere chi è il fantomatico Marco Wovzog.


Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


Marija Vilinskаja

Marija Vilinskаja, nota anche con lo pseudonimo di Markó Vovčók (in ucraino: Маркo Вовчoк, in russo: Мария Александровна Вилинская, traslitterato: Marija Aleksandrovna Vilinskaja; Ekaterininskoe, 22 dicembre 1833 – Nal'čik, 10 agosto 1907), è stata una scrittrice ucraina, che inaugurò il realismo nella letteratura ucraina.
Biografia
Marija Vilinskaja nacque nel 1833 nel governatorato di Orël (Impero russo), nella famiglia di un ufficiale dell'esercito e una nobildonna.
La ragazza aveva un talento per le lingue sin dalla tenera età e si dice che parli fluentemente russo, polacco, francese e ucraino. Questo non è sorprendente, i genitori di Marija erano persone istruite, amavano il canto e la musica. Quindi in famiglia, insieme ai suoi fratelli, la ragazza ha ricevuto la sua istruzione primaria. Suo padre era un colonnello in pensione, Oleksandr Oleksijovič Vilinskij, e sua figlia lo amava, ma non ricordava quasi: nel giugno 1840 morì quando Maria aveva 7 anni. Dopo un po' di tempo, la madre della ragazza, Paraskovija Petrivna, si è risposata. Ma l'uomo si è rivelato essere un ubriacone, quindi per salvare sua figlia, l'ha mandata in un collegio privato. È cresciuta in un convitto privato a Charkiv. Dopo aver perso suo padre all'età di 7 anni, crebbe nella tenuta di sua zia e successivamente mandata a studiare, prima a Charkov (ora Charkiv, Ucraina), e poi a Orël. Nel 1851 si trasferì in Ucraina, dopo aver sposato Afanasyj Markovyč, un folclorista ed etnografo che era membro della Confraternita dei santi Cirillo e Metodio. Dal 1851 al 1858 visse a Černihiv, Kiev e Nemyriv, assistendo il marito nel suo lavoro etnografico e imparando la cultura e la lingua ucraina.
La vita privata
Alla fine di gennaio 1851, Marija Vilinskaja e Opanas Markovič si sposarono. Marija aveva 17 anni. Loro sono andati in Ucraina in cerca di una vita migliore. Si stabilirono a Černihiv. Qui Opanas Markovich, fortunatamente, ha ottenuto la posizione di correttore di bozze di un giornale con un buon stipendio. Tuttavia, la famiglia non aveva abbastanza soldi - non potevano risparmiare, ma senza molti soldi, spesso aiutavano i più poveri di loro. Nel 1855 si trasferirono a Nemyriv, dove Opanas Markovič insegnava la geografia in una scuola locale.

Carriera



Timbro postale ucraino dedicato a Marko Vovčok

Nel 1857 Marko Vovčok scrisse Racconti del popolo (in ucraino: Народні оповідання, Narodni opovidannja), inaugurando il realismo ucraino. Elementi di realismo compaiono principalmente nei suoi racconti che descrivevano la vita di villaggio e la società contemporanea: i contadini che vivevano in condizioni di schiavi e la difficile situazione delle donne[2]. Incontrò immediatamente consensi negli ambienti letterari ucraini - in particolare da Taras Hryhorovyč Ševčenko e Panteleimon Kuliš - e in Russia, dopo che Ukraïnskie narodnje rasskazy (1859) fu tradotto in russo e curato da Ivan Sergeevič Turgenev. Dopo un breve soggiorno a San Pietroburgo nel 1859, Marko Vovčok si trasferì in Europa centrale, risiedendo in Germania, Francia, Italia e Svizzera. La storia "Instituttsa" è il risultato più eccezionale di Marko Vovčok del primo periodo di creatività. Pubblicato per la prima volta in traduzione russa nelle "Note patriottiche" (1860) e nella lingua originale in "The Basis" (1862), il romanzo divenne noto nel manoscritto. Inizialmente, l'opera si chiamava "Pannočka". "Institutca" è la prima storia sociale e domestica della letteratura ucraina, in cui, rispetto ai racconti brevi, lo scrittore ha avuto l'opportunità di rappresentare la vita in modo più ampio, per rivelare immagini più profondamente. Dal 1867 al 1878, visse di nuovo a San Pietroburgo, dove a causa del divieto dell'uso della lingua ucraina scrisse e tradusse per riviste russe. Vovčok scrisse in russo il romanzo Živaja duša (L'anima vivente, 1868), Zapiski pričjotnika (Note di un diacono minore, 1870), V gluši (Nei boschi, 1875) e molti altri. Dal 1878 visse nel Caucaso settentrionale e tra il 1885 e il 1893, nel Governatorato di Kiev, dove proseguì con il suo lavoro sul folklore ucraino e per la creazione di un dizionario. All'inizio del 1900 Mariya Vilinska ristabilì il contatto con gli editori ucraini.
Il suo pseudonimo, Marko Vovčok, fu inventato da Panteleimon Kuliš. Nel suo diario, Dostoevskij scrisse ampiamente su uno dei racconti di Marko Vovčok, Maša. Oltre a scrivere romanzi e racconti, Marko Vovčok fece traduzioni dal francese al russo e all'ucraino, comprese le opere di Jules Verne.
Morì il 10 agosto 1907 a Nal'čik, nell'Impero russo.
Opere
Narodni opovidannja (1857)
Ukrainskie narodnje rasskazy (1859)
Dev"jat' brativ i desjata sestrytsja Halja (1863)
Karmeljuk (1865)
Živaja duša (1868)
Zapiski pričjotnika (1870)
Marusja (1871)
V gluši (1875)

 Termino qui, a me pare che l'Ucraina, un tempo definita "il granaio d'Europa" abbia avuto lo stesso destino dell'Italia, che fu ambita e conquistata dai barbari, dagli austriaci, dai tedeschi e dai francesi. Solo per citarne alcuni. 

Danila Oppio

mercoledì, ottobre 12

INTERVISTA ALLA SCRITTRICE RENATA RUSCA ZARGAR di ANTONIO ROSSELLO per IL CORRIERE NAZIONALE

 


Intervista alla scrittrice Renata Rusca Zargar

WRITTEN BY: ANTONIO ROSSELLO

 11 OTTOBRE 2022

Questa intervista rappresenta un tentativo di comprendere cosa spinga lo scrittore a cercare luoghi d’espressione al di fuori della letteratura tout court; come Renata Rusca Zargar definisca la sua attività intellettuale e come nasca nello scrittore la necessità di un impegno e di un intervento critico sulla realtà. I temi affrontati sono molteplici ed implicano il rapporto complesso tra le forme dell’arte e una società le cui repentine trasformazioni comportano ridefinizioni semantiche e nuovi termini di linguaggio. 

Intervista alla scrittrice Renata Rusca Zargar - 

Il Corriere Nazionale


D: Qual è oggi a parere tuo la funzione sociale dello scrittore? Può esprimere un valore in termini di “sociurgia” (*)?

R: In epoche passate, sono state sviluppate due concezioni principali dell’arte in generale: una che considerava l’arte per l’arte, solo fine a sé stessa, e l’altra formativa educativa. Il nostro Manzoni o il divino Dante sono i massimi rappresentanti di questo secondo gruppo. Dunque, se l’arte si propone come mezzo utile alla società non è un fatto nuovo e io personalmente sono molto d’accordo. Il problema è stimolare una società che non legge, studia poco e per costrizione, non ama l’arte visiva di cui l’Italia è stata riferimento per l’umanità tutta.

D: L’arte può rappresentare una cura dei mali di questo mondo corrotto?

R: Come ho già detto, l’arte può insegnare, però bisogna prima trovare chi voglia apprendere. Mi sembra che nel mondo idiota dei social tutto questo sia molto improbabile. (Preciso che non voglio assolutamente dispregiare i social che sono utilissimi ma solo il cattivo uso che ne fa la maggioranza delle persone.)

D: La vera arte prevede un codice d’onore per il quale il messaggio sotteso alla propria opera vale per l’artista con lo stesso senso sacro della parola data?

R: Non posso sapere quale sia la vera arte oggi. Sarà il tempo dopo di noi a consacrarla. Certamente, gli artisti esprimono sé stessi, i propri valori, il tempo e le vicende della loro vita. Ma, come ripeto, il giudizio, similmente a quello sulla storia, spetta ai posteri.

D: L’arte è una risposta concreta alle tante parole vuote di larga parte di intellettuali e politici?

R: Non è detto. Ci sono tante persone che si credono artisti o intellettuali ma non lo sono. Ognuno di noi, anche la persona più semplice, senza tante distinzioni e classificazioni, deve adoperarsi per rendere migliore la società. Non deve mai vivere solo per sé nel suo Olimpo privato ma dare un po’ del suo tempo e delle sue capacità, quali che siano, agli altri.

D: La vera arte, nel caso tuo la scrittura, ha prima di tutto un valore di rappresentazione o uno di catarsi?

R: Più che di arte parlerei di artigianato. Mi piace scrivere, credo di essere tecnicamente brava (sono stata insegnante di lettere), per il resto mi sto impegnando. Amo creare racconti storici e a sfondo sociale, ma soprattutto lavoro per sensibilizzare le donne e gli uomini contro la violenza sulle donne. Le donne sono il mio argomento privilegiato perché capisco il loro mondo, che è il mio, e bisogna sempre parlare di ciò che si conosce. Alcune storie sono ambientate in Oriente perché ho passato molto tempo in India. Il vero filo rosso della mia filosofia di vita e delle mie narrazioni, comunque, è l’Amore perché credo che senza Amore noi non siamo nulla.

D: Tornando alla seconda domanda, se introduciamo il concetto di sociatria (**), mi pare che anche tu ti ponga sul fronte della sua affermazione nell’arte e con l’arte. Questo nella misura in cui la sociatria, attraverso l’arte, può generare una via di verità, alimentando la mente, rieducare o, quantomeno, scongiurare la crescente e pericolosa carenza di pensiero, oltre che tendere ad avvicinare la persona alla virtù, sino a ritrovare in senso un più ampio un rispetto dell’umanità. Più in generale, c’è l’attenzione posta verso l’apertura ad una visione culturale ampia, dove possibili intersezioni fra gli ambiti morale, artistico, economico, educativo, giuridico, religioso…, se da una parte spronano l’individuo alla risoluzione del contrasto di turno, dall’altra schiudono un percorso di crescita. Che cosa ne pensi?

R: Sono molto delusa da questi tempi, forse perché non sono più giovane. Non vedo in giro energie creative e curative se non in casi molto rari. Penso che sia necessario studiare, continuare a studiare e ancora studiare. Non perdere mai, fino all’ultimo giorno della vita, la curiosità di apprendere, di informarsi (da fonti serie non certo da Facebook, spiando la vita altrui). Credo, infine, che sia conveniente essere molto più modesti.

D: Viviamo un’era di repentine mutazioni, contraddittorie e talora devastanti, che si riflettono su espansione demografica, mercati finanziari ed economici allargati, nuove tecnologie e mezzi di comunicazione, ecc. che se da un lato uniscono, omologando, dall’altro dividono e annientano, non garantendo dalle molteplici forme del conflitto. 

C’è chi ha battezzato questa era “Globantropocene mediatizzato” (Globalizzazione+antropocene+mediatizzazione), ti pare un termine rispondente o una iper-aggettivazione senza costrutto?

R: Io ritengo che in tutte le ere ci siano stati dei gravi problemi. Qualche volta, immagino la vita nelle grotte, sulle palafitte o simili, e rabbrividisco. Per questo i genitori devono educare i figli in modo che possano affrontare consapevolmente i tempi che verranno, il progresso che è peculiare dell’intelligenza umana. Ogni famiglia deve occuparsi di trasmettere i valori morali e l’amore, in modo che le persone di domani possano rimediare agli errori commessi dalle precedenti generazioni. Le definizioni sono utili solo quando le persone sono state educate a rispettare gli esseri umani in generale e quando potranno adoperarsi per cambiare una situazione che ci vede tutti schiavi di pochi che possiedono le maggiori ricchezze del Pianeta. Io personalmente non so proprio come si possa fare, in pratica, a promuovere una società mondiale più vivibile. Vorrei la pace, il rispetto per tutte le identità sessuali, la giustizia sociale, l’onestà. Invece, mi sento totalmente impotente in questo mondo di corrotti, guerrafondai e sopraffattori. Allora cerco di fare del mio meglio nel mio piccolo, come ho insegnato sempre a figli e alunni.

Note:

(*) “Sociurgia”. In alcuni ambienti della società civile, culturali ed artistici si sta discutendo e portando avanti la concettualizzazione di un termine innovativo: «sociurgia» (un nome composto ibrido, latino e greco, che da societas, ossia «società», + ἔργον, ossia «opera», letteralmente significa «opera sociale»). Si denota quindi una funzione sociale attiva, operante, in cui la promozione e la divulgazione costituiscono una dimensione che sul fronte di cultura, arte, tradizione… inferisce tutto il resto, la conoscenza, la curiosità, la relazione, i valori sociali. Quella interdipendenza naturale, necessaria, etica che non concepisce cultura, arte, ossia tutto ciò che attiene lo spazio dello spirito, appunto, come luogo a parte, elitario e autoreferenziale, ma come bene pubblico. Mezzo comune di progresso e civiltà. Forse nulla di sostanzialmente nuovo, ma una rinnovata dialettica tra contenuti e forme, utile a creare movimento per recuperare dal passato insegnamenti, dalla presente nuova linfa e tentare di oltrepassare contraddizioni sotto gli occhi di tutti.

(**) “Sociatria” deriva da due termini: sŏcius, che in latino significa “amico” o “alleato”, mentre iatreia deriva dal vocabolo greco che corrisponde a “terapia” o “guarire”.  Nella lingua inglese. il termine “Sociatry” fu ideato da Jacob Levy Moreno, uno psichiatra rumeno, naturalizzato austriaco e statunitense, che, a metà del XX secolo, concepì innovative teorie e metodi basati su una nuova forma di ricerca attiva (action methods), oltre che su un nuovo approccio sistemico della psichiatria sociale. Fu, infatti, il creatore dello psicodramma, del sociodramma, della sociometria e di quella che egli chiamò la sociatria, la cura della società attraverso il gruppo.

Profilo biografico dell’autrice

 Renata Rusca Zargar

Renata Rusca Zargar. Savonese, impegnata in ambito sociale, studiosa di cultura islamica e indiana, insegnante in quiescenza di letteratura e storia nelle Scuole Superiori, abilitata anche in Filosofia, ha pubblicato diversi saggi e romanzi. Ha insegnato Scrittura Creativa gratuitamente per un ventennio agli anziani.

Cura un blog, noto in Italia e all’estero, di cultura, ecologia e società:

https://www.senzafine.info/

Nella sua Pagina Autore di Amazon ci sono alcuni suoi libri: RENATA RUSCA ZARGAR su Amazon.it: libri ed eBook Kindle di RENATA RUSCA ZARGAR

https://www.amazon.it/RENATA-RUSCA-ZARGAR/e/B08BXRB62G%3Fref=dbs_a_mng_rwt_scns_share


martedì, ottobre 11

TEMPI DI FRATERNITA'

 



SOMMARIO OTTOBRE

 

EDITORIALE  

La redazione - Un’agenda dal basso pag. 3

CULTURE E RELIGIONI  

E. Vavassori - Vangelo secondo Matteo (104) pag. 8

CASSANDRA  

G. Codrignani - Pasolini sì che vedeva lontano pag. 5

PAGINE APERTE  

L. Berzano - Si ama quanto è desiderabile pag. 4

G. Bianchi - Quel che ricordo della II guerra mondiale pag. 7

R. Orizzonti - Di speranze deluse in carcere si muore pag. 10

P. Bavazzano - Giovani e anziani in Italia: Istat 2022 pag. 12

L. Giario - La negazione del diritto alla casa pag. 14

D. Pelanda - L’utopia di un carcere “senza sbarre” pag. 17

G. Bianchi - I talenti pag. 20

L. Tussi - Intervista a Raffaele Crocco pag. 21

L. Borghi - Il segreto delle api pag. 23

ELOGIO DELLA FOLLIA pag. 24

 

EDITORIALE

A cura della redazione


Un’agenda dal basso


Data: 20 Settembre 2022

Autore: a cura della redazione


Quando verrà pubblicato questo articolo, saranno

note le risultanze delle elezioni e le

forze politiche vincenti staranno lavorando

alla formazione del governo. Il fatto di

non sapere chi potrà vincere ci incoraggia

a proporre un’agenda per il nuovo governo,

libera da pregiudizi e condizionamenti di varia natura

che ci consentono di provare a fare un esercizio di

verità, esponendo le cose che ci stanno a cuore e che vorremmo

fossero realizzate nel corso della legislatura. Potrà

sembrare un discorso vano aprire il libro dei sogni,

ma solo immaginando l’impossibile si può realizzare il

possibile. Confidiamo che questo tentativo aiuti il lettore

a liberare la mente dall’immaginario precostituito dall’esterno

per vedere i problemi concreti e dimenticati e

ideare soluzioni creative, tanto più necessarie quanto più

difficile risulta il contesto.

Prima di elencare per punti i nostri desiderata, non pare

inutile riaffermare la necessità che il nuovo governo sia

fortemente ancorato allo spirito della Costituzione, nata

dalla Resistenza e fondata sul lavoro, sulla parità non

formale dei cittadini nei confronti della legge, su un principio

anti autoritario. In virtù di quanto espresso, il governo

deve agire sulla base di questi principi favorendo

“la corresponsabilità dei cittadini che è espressione di

sensibilità e di cura reciproca - oltre che nei confronti

dei loro valori e beni comuni” (S. Thanapulos).

L’Unione europea

Il manifesto di Ventotene, redatto da Altiero Spinelli e Ernesto

Rossi, prevedeva un’Europa unita in uno Stato federale.

Ogni Stato europeo avrebbe conservato un’autonomia

politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari

popoli, delegando allo Stato federale solo quelle competenze

e poteri necessari per garantire l’unità politica della

Federazione. Un simile Stato federale avrebbe dovuto reggersi

su una Costituzione che garantisse tutti quei principi

di libertà e legalità irrinunciabili per uno Stato di diritto.

L’Europa però, con il tempo, ha visto aumentare considerevolmente

gli Stati membri, molti dei quali governati

da poteri che mortificano sempre più ogni forma di

democrazia e che difficilmente giurerebbero fedeltà ai

principi accolti da una simile Costituzione. Ma poiché

questi principi sono irrinunciabili, se si vuole veramente

dar vita ad una Federazione europea, la battaglia da combattere

sarà quella di dare vita ad una Europa a due velocità,

di cui una composta da quegli Stati di chiara impostazione

democratica. Auspichiamo che il nuovo parlamento

e il nuovo governo facciano di questa battaglia la

loro missione.

Natura e sostenibilità

La massima confuciana, secondo cui chi conosce quale

sia il bene e non fa nulla per raggiungerlo è un vile, descrive

perfettamente le élites contemporanee, compreso

l’attuale governo italiano dimissionario. Il 28 luglio è stato

il giorno in cui sono finite le risorse naturali per il 2022.

L’Italia è tra i paesi in cui il “giorno del sovra sfruttamento

della terra” arriva ancora prima della data globale:

il 15 maggio (un po’ meglio degli USA, il 13 marzo).

Il prossimo governo dovrà occuparsi della realizzazione

del PNRR che, sull’ambiente, mostra molte lacune conseguenti

alla ritrosia del ministro Cingolani a usare in

pieno le potenzialità delle energie rinnovabili.

Per non perseverare negli errori, crediamo occorra fare

una netta scelta di campo nonostante la guerra in atto:

non cedere alla facile tentazione di ripristinare l’uso del

carbone, abolire i sussidi pubblici pagati alle compagnie

petrolifere, limitare al massimo il consumo del gas in

modo tale da rendere superflui anche i gassificatori, dare

la massima priorità alle fonti rinnovabili e all’uso dell’idrogeno

verde. Auspichiamo che ci si impegni per raggiungere

entro il 2030 il 40 % di tali energie, per ottenere

il duplice obiettivo di contenere la CO2 e ridurre l’inquinamento

atmosferico. E ancora: dare impulso all’uso del

biogas proveniente da rifiuti organici, scarti agricoli, deiezioni

animali, ecc., con cui, in un anno, potremmo produrre

l’energia equivalente a tre centrali nucleari, e infine

sburocratizzare l’iter per ottenere i permessi di costruzione

di impianti che utilizzano fonti rinnovabili,

come il fotovoltaico, e incentivare le comunità energetiche.

Finanziare subito l'autoproduzione negli edifici pubblici

(scuole, ospedali, ecc.) e incoraggiare il settore privato

in questa direzione, al fine di ovviare anche alla carenza

delle fonti energetiche tradizionali.

Il carcere

Considerato da sempre un “mondo a parte”, percepiamo

il carcere come lontano e impenetrabile, e i suoi abitanti

sembrano appartenere ad un genere umano diverso. Non

bisogna costruire altre strutture carcerarie ma è necessaria

una conoscenza ed una sensibilizzazione sociale sull’argomento poiché, non dimentichiamolo, al suo interno

vivono uomini e donne in carne ed ossa che hanno sbagliato,

a cui dare la possibilità di redimersi, che meritano

un riscatto e il reinserimento sociale. Chiediamo alla politica

e a chi ci governerà di creare ed incrementare progetti

di reinserimento lavorativi e culturali tali da permettere a

queste persone, una volta scontata la pena, di potersi rimettere

“in carreggiata” per costruire il proprio futuro e i

propri sogni nella nostra società. Svuotando le carceri.

“Quattro suicidi negli ultimi quattro giorni, 58 dall’inizio

dell’anno. Le persone così diventano numeri. Un

dramma continuo, quello che riguarda le carceri italiane,

che non trova uguali negli ultimi anni. Un numero

elevatissimo di suicidi superiore a quello riscontrato nel

periodo di maggiore sovraffollamento, quando l’Italia

fu condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo

per le condizioni inumane e degradanti delle sue galere.

Ogni suicidio, va ricordato, è un atto a sé, legato alla

disperazione di una persona. Tuttavia, quando i suicidi

sono così tanti (nel 2022 uno ogni meno di 5 giorni) e in

carcere ci si uccide 16 volte in più che nel mondo libero,

l’intero sistema penitenziario e quello politico non possono

non interrogarsi sulle cause di questo diffuso malessere”

(Associazione Antigone).

Lavorare in sicurezza

Riflettere sul lavoro non è facile: alla luce dei non pochi

morti sul lavoro (538 nel primo semestre di questo anno,

con aumento del 12 % rispetto al 2021), dobbiamo mettere

insieme la realtà con i suoi infortuni mortali e le

normative e i principi fondamentali del diritto al lavoro,

così come i padri costituenti l’hanno pensato e scritto

nella Costituzione agli articoli 1 (la Repubblica è fondata

sul lavoro), 4 (il diritto al lavoro), 35 (la tutela del

lavoro), 37 (gli stessi diritti a parità di lavoro).

È qui in gioco evidentemente il diritto del lavoratore a

tornare a casa la sera. Visto che vogliamo credere ed operare

sulla base del bel libro dei sogni, chiediamo al nuovo

parlamento e al nuovo governo di promuovere davvero le

condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro (art. 4).

I sogni non sono desideri distaccati dalla realtà, ma sono

piuttosto la base per realizzare il buon governo delle nostre

istituzioni, con onestà e solidarietà.

Dal riarmo all’educazione alla pace

La recente invasione dell’Ucraina da parte della Federazione

russa ha provocato in Italia e nei paesi europei la

corsa al riarmo, con il conseguente aumento delle spese

militari, con l’obiettivo di spesa del 2% del nostro Prodotto

interno lordo. Nel 2014 la spesa dell’Italia corrispondeva

solo all’1,1% del Pil. È in atto un forte incremento

degli investimenti e dei costi delle armi.

Importante e significativo è il confronto delle spese per

gli armamenti con quelle sostenute per la scuola e l’istruzione:

nel 2025 le previsioni di spesa per queste ultime

scenderanno al 3,5% del Pil, in calo rispetto al 4% del

2020 e al 3,6% del 2015. Analizzando lo scenario mondiale

dei conflitti, emerge la loro oggettiva capacità di

generare nuovi conflitti, con distruzioni e morti crescenti.

Auspichiamo che il nuovo Parlamento e il nuovo Governo

costruiscano percorsi concreti di educazione alla pace.

Non bisogna infatti temere le imprese difficili, dobbiamo

piuttosto aver fiducia in un futuro migliore. Per tutti.


http://www.tempidifraternita.it/public/editoriali/PHP20220920.htm