POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

domenica, ottobre 31

CONCORSO KERAMOS 2021 - AGROPOLI - In ricordo di TOMMASO MONDELLI






Sono molto felice per LAURA VARGIU, che ha ottenuto il premio per questo concorso, con la sua poesia scritta su piastrella:



LA SIRENA 

Abissi e fondali di coralli


risalii nella tempesta dell’onda 

or che con la risacca degli anni

 come virginea ombra
 s’è infranto

 su Megaride il pianto 

qui dove da me, Parthenope


una città sul mare avrà nome


e la malia del mio canto 

In questa occasione è stato letto un mio ricordo di TOMMASO MONDELLI, che in tante occasioni ha partecipato a questo splendido concorso, e ha avuto le sue poesie inserite nelle precedenti piastrelle. Laura mi ha anche inviato il video dell'evento, dove era letta la mia dedica al poeta e scrittore scomparso lo scorso anno, amico comune di Laura Vargiu, di Francesco Sicilia e di Milena Esposito e mio.Francesco e Milena sono gli organizzatori del premio e editori dei nostri libri.

Ed ecco quanto ho scritto in suo ricordo, poiché questo concorso è dedicato proprio al Cavalier Mondelli.

Mi è stato chiesto di ricordare il poeta e scrittore Tommaso Mondelli in occasione del Premio Keramos dedicato alla sua memoria. Non posso che essere grata ai promotori del concorso per questa loro scelta. Tommaso ne sarà felice, ovunque egli sia.

Nella manciata di anni durante la quale collaborai con lui  e fino alla sera prima della sua scomparsa, non abbiamo mai interrotto i nostri scambi di email quotidiani. C’era molto da lavorare sui suoi testi poetici e prose biografiche, e nel decidere a quali concorsi letterari partecipare, quali opere spedire. Ma trattavamo anche di quanto avveniva nel mondo.

É nata così l’idea di fingere di ritrovarci in uno chalet montano, sui suoi indimenticati Monti della Luna. Seduti a tavolino con un buon bicchiere …d’acqua - aveva smesso di bere vino o bevande gassate ritenendole dannose alla salute, cui teneva molto e distribuiva consigli dietetici anche nei suoi libri - prendevamo in esame tanti argomenti di scrittura e poesia.

Eravamo tanto in sintonia da diventare un unico pensiero. E non contavano le date di nascita molto distanziate tra noi. A forza di occuparmi della revisione ed editing dei suoi libri, ho imparato a conoscerlo così a fondo, tanto da parermi a partire dalla sua più tenera infanzia. Non mancava mai di parlarmi del suo editore Francesco Sicilia e di Milena, di tante amiche poetesse che l’hanno seguito nel suo cammino letterario, e sempre con profonda stima e affetto. Era simile a un antico Cavaliere e frattanto s’immergeva nel presente dal punto di vista politico e umano. É stato il mio mentore, un padre putativo e amico fidato e, nonostante la distanza cosmica, ancora lo rimane.

L’ho incontrato di persona solo lo scorso anno, a Limbiate, quando andammo a ritirare il reciproco premio del concorso letterario La girandola delle Parole, avvenuto nel giorno esatto del suo 100mo compleanno. Anche quest’anno ha ricevuto un secondo premio allo stesso concorso, che ha ritirato la figlia Ilya, e insieme abbiamo ricordato il suo meraviglioso papà.

Questo per spiegare l’origine della poesia che ho composto per lui quando ho appreso della sua dipartita. E’ raro che io scriva in rima e in quartine, ma in suo onore ho tentato, sicura che lui ne sarebbe felice.

La cintura di Orione

Avevamo ideato il nostro chalet

sgranando parole o nessuna,

costruito sulle ali della fantasia

In alto, sui Monti della Luna.


Lì, il serotino appuntamento

in dialogo serrato di scritture,

di poesie o del malgoverno

analizzando alcune congetture.


Ora cristallizzato nello spazio

sei involato oltre la stratosfera

e, nonostante l’immane strazio

cala ancora e ancora la sera.


Sospeso con un filo dorato

simile a fibbia che allaccia

ciondola dalla cintura d’Orione

e il Gigante Hunter abbraccia.


Ora che vivi nell’universo

polvere di stelle già sei

in una diversa dimensione

rivivi ancor nei pensieri miei.


Pochi, come accade ai poeti

nel lasciare il corpo mortale,

indossan ali e volano lontano

mutandosi in essenza vitale.


Il loro pensiero trascende

le umane miserie funeste

e va oltre, i sogni sospende

nell’immensitudine celeste.


E saremo ancora insieme

a fantasticar di rime e canti *

come a noi di certo conviene

In spazi eterei e sognanti.

*Canto a due voci, silloge poetica di Tommaso Mondelli e Danila Oppio edita da Largo Libro

 

Caro Francesco, come mi hai chiesto ho cercato di mettere insieme un pezzo (spero non sia troppo lungo) dedicato al sempre presente comune amico Tommaso.

Ho scritto di getto la parte in prosa, e rielaborato una poesia che avevo composto il giorno dopo la triste notizia della sua dipartita.

Lui è lì nella mia biblioteca privata, nei suoi libri che negli ultimi tempi ho curato personalmente e spedite le bozze a te. Quindi sai quanto tenesse alla scrittura, e quanta passione ci metteva, nonché al feeling che si era instaurato con te e con me. E anche con Laura Vargiu che lo ha seguito nei primi tempi dei suoi esordi letterari e in seguito sempre come buona amica. 

Lui è dentro di me, la sua serenità e pacatezza mi ha plasmata, io che ero sempre agitata e timorosa di tutto. Lui mi ha dato sicurezza, coraggio e fiducia. Sono elementi che cambiano drasticamente il modo di affrontare la vita, anche nelle situazioni più difficili. Ecco forse era questo che avrei voluto scrivere, ma penso sia fin troppo personale, per cui quel che ho scritto in precedenza lo allego a questa mia.

Ti ringrazio tanto per aver pensato a me, non posso essere presente ad Agropoli per la premiazione e messa in posa delle piastrelle, ma sono lì con tutto il cuore. Abbraccia per me Milena e Carmine Mondelli, suo amato nipote, Covid permettendo! 

Danila


sabato, ottobre 30

COSPIRATORI DI SABBIA di P. MAURO ARMANINO


                                           Cospiratori di sabbia 

Lei, la sabbia, è una buona insegnante davvero. Ci mette ogni giorno di fronte alla nostra inevitabile, fragile e umana verità. I cimiteri contengono un numero indefinito di progetti di cambiamento imperituro del tipo programma agricolo del ‘Rinascimento’ detto le tre Enne. I Nigerini che (si) Nutrono dei Nigerini che va avanti da vari anni e ancora sono promesse carestie per milioni di persone. Vedeste come finiscono i piani di sviluppo autocentrato e gli imperi dalle nostre parti. Lasciate passare un po' di tempo e la sabbia tutto coprirà col suo manto dorato che s’illumina d’immenso al cadere del giorno. Palazzi, crocevia, semafori, cavalcavia, mercati e negozi che sembravano eterni sono spazzati via dal vento e dal tempo che, almeno qui, si misura ancora con la sabbia. Ci sono, riconosciamolo, lodevoli e disperati tentativi di programmazione, promozione e gestione di strategie di crescita economica. Esse durano, quanto basta, per illudere  gli incauti donatori che ancora credono alle scadenze delle tabelle e degli algoritmi dell’occidente.

Lei, la sabbia, è una buona insegnante davvero. Ci mette ogni giorno di fronte alla materialità storica che contraddistingue e accompagna la nostra fugace esistenza. Da questo punto di vista è onestamente rivoluzionaria perché riporta alla verità delle parole e delle cose che la ‘dematerializzazione’ impone dappertutto. Si dematerializzano i soldi, i corpi, i centri di potere e le religioni che dovrebbero sparire perché inutili paradisi d’altre epoche. La sabbia contesta, impolvera, fragilizza e fa naufragare questi tentativi che altrove sembrano coronati da successo. La nostra sabbia è carnale perché evidenzia ciò di cui siamo fatti, e ciò cui torneremo, un giorno qualunque. Qui amiamo ancora le mitiche monete sonanti, la carta moneta che porta le impronte del lavoro, dello scambio, del baratto, del sudore e della fatica. Una banconota che passa di mano in mano e si sporca e si stropiccia nelle tasche del muratore, del contadino o della donna che vive nella strada. Da noi i corpi sono ancora di carne e si stancano, soffrono, muoiono per mancanza di cibo, malattie e attenzione. Sono corpi che hanno un peso e una storia che non appare sbiadita come succede nelle finzioni televisive. I centri di potere, così come le industrie di estrazione e trasformazione, si delocalizzano e si allontano dagli sguardi indagatori dei pochi democratici che restano.

Lei, la sabbia, è una buona insegnante davvero. Ci mette ogni giorno di fronte alla nostra umana nudità sempre in bilico tra mendicanza e cecità. Ci aiuta a non barare con la vita perché costringe a cogliere l’essenziale della nostra identità di polvere che il vento trasporta altrove. Non ama le distanziazioni, né sociali né politiche perché si fa prossimo di tutti a cominciare dai poveri che della sabbia sono i più grandi sostenitori. Loro e la sabbia hanno in comune il trovarsi in basso, calpestati e spesso neppure presi in considerazione come marginali. La sabbia ha in orrore l’astrazione, la presa in ostaggio delle parole da parte dei potenti e l’allontanamento dalla stoltezza della pura materiale spiritualità delle cose. Non si lascia illudere da chi promette un futuro radioso che mai si avvicina al presente di un volto da carezzare o labbra da ricordare. La sabbia accoglie cospiratori che, come lei, sanno nascondere e custodire il seme dell’unica ribellione che meriti questo nome. Hanno imparato a chiamarla libertà.

                                                                                                         Mauro Armanino, Niamey, 31 ottobre 2021


HALLOWEEN DA NOTTE DI OGNISSANTI di ANNA MONTELLA



 

UN SOGNO AMERICANO di ANNA MONTELLA


 

venerdì, ottobre 29

STORIE DELLA VITA E DEL MONDO - LA PARTENZA DI VERPÌ di RENATA RUSCA ZARGAR



STORIE DELLA VITA E DEL MONDO

Il grande pino verde di nome Verpì, nelle sere di luna piena, raccontava, alle mille orecchie in ascolto, storie della vita e del mondo. 
Mille occhi lo osservavano attenti e mille corolle di fiori si riaprivano un poco per non perdere neppure un sussurro.

LA PARTENZA DI VERPÌ

I giorni, le settimane e i mesi avanzavano ancora, tra momenti belli e brutti. Ma, in fondo, ogni creatura si sentiva felice e non era mai sola. Intanto, tornava di nuovo l’autunno e iniziavano piogge e temporali. 
I fiorellini si nascondevano sotto le foglie, gli animali nelle loro tane…
Eppure, negli intervalli di bel tempo, l’aria rifioriva, qualcuno metteva fuori il capino e Verpì ricominciava a narrare.
In quel momento, però, il cuore di Verpì era preoccupato. 
Sì, presto egli avrebbe dovuto trascorrere un periodo di tempo in cielo, felice tra altri alberi e creature della foresta, ma, laggiù, nel bosco, chi avrebbe trattenuto la terra, impedendo frane e alluvioni? 
Gli umani avevano bisogno di lui, anche se spesso non lo ricordavano! 
Comunque, bisognava andare. 
Verpì aveva allargato l’ultimo sguardo sui tre pini figli che stavano prendendo il suo posto. 
Dunque, poteva allontanarsi: chiome verdi, proprio come le sue di un tempo, si contendevano i raggi del sole e allungavano le radici nella terra umida alla ricerca del nutrimento. Le creature si stringevano attorno a loro così come era stato per lui, e uno di loro, Verpino, aveva già iniziato a narrare: 
- Al limitare di un frutteto, abitava un vecchio pero e, proprio accanto, una secolare quercia. Essi avevano stretto amicizia da buoni vicini e, durante le stagioni, chiacchieravano per passare il tempo. “Eh, - lamentava il pero - ormai sono vecchio e presto il padrone verrà per tagliarmi! Le mie pere sono minori e meno buone di una volta.” “Ma no, ho visto il figlio del padrone gustare spesso le tue pere. - lo rincuorava la quercia - E poi, se tu sei vecchio e malandato, che cosa dovrei dire io? Non angustiare così i tuoi giorni: osserva la vita che ti circonda, i fiori, le farfalle, il sole, il vento, e sii felice come faccio io.” Così, procedevano i giorni e poi arrivava l’inverno e, con una spruzzata di neve, addormentava tutti gli alberi del frutteto e la quercia. Quell’anno, quando anche l’inverno fu passato, il pero sentì il tiepido calore del sole e prese a stiracchiarsi pigramente mentre apriva gli occhi. Notò, con gioia, che già le prime gemme nascevano sui suoi rami e volse lo sguardo alla quercia per vedere se era già sveglia. Ma non la vide subito. Essa giaceva a terra colpita, proprio la notte prima, da un fulmine. Su di un suo ramo vi era solo un uccellino piccino piccino che piangeva, cinguettando come a voler parlare. Ma il pero non poteva capirlo. Esso voleva dirgli che la quercia, vedendo il fulmine dirigersi verso l’amico pero, aveva proteso la sua gigantesca mole sopra di lui e aveva donato, con gioia, la sua vita per salvarlo. 
Nell’uditorio era scorso un brusio: chissà, forse anche Verpì, come tutti i genitori, si era lasciato colpire per proteggere i suoi figli… Nessuno, però, lo sapeva, perché tutti avevano gli occhi chiusi per lo spavento del temporale. Era bello, tuttavia, che il suo figlio più piccolo, Verpino, ricordasse proprio ora quella storia.
Intanto, il velo scuro che aveva ricoperto ogni cosa si diradava, il sole si alzava abbastanza forte all’orizzonte. Tutti gli animali erano ormai fuori dai loro rifugi, gli alberi avevano ripreso a stormire e i fiorellini, alzando bene il capino, si volgevano alla luce.
A quel punto, anche Verpone, che era il primogenito e che somigliava tanto a Verpì, aveva preso la parola: 
- C’era una volta, un bellissimo pesce che viveva in un lago tra le montagne. D’estate, sull’acqua, scivolavano lunghe barche ricoperte di sontuosi cuscini e il tramonto era dolce di suoni e di colori. D’inverno, il lago si ricopriva di ghiaccio ma, sotto, era divertente giocare tra le alghe con i fratelli, le sorelle e tutti i pesci cuginetti. Venendo grande, il pesce aspettava una compagna perché, nonostante tutta la sua numerosa famiglia, si sentiva un po’ solo. Comunque, lavorava tanto per dare a tutti una tana più bella e far felici la sua mamma e il suo papà. Un giorno, però, incontrò una pesciolina che veniva dal mare: aveva risalito il fiume ed era arrivata al lago in vacanza. La guardò con i suoi dolci occhi e la pesciolina rimase a giocare con lui. Nel quieto ondeggiare delle alghe, tutto il mondo sembrava tranquillo ma, quando le vacanze finirono, la pesciolina piangendo piangendo, tornò al mare. Ormai la vita nel lago non aveva più senso, il pesce desiderava solo essere accarezzato dalle tenere pinne della pesciolina e così, passato qualche tempo, decise di lasciare tutto quello che lui era stato e di trasferirsi al mare. Nel mare, la vita era molto diversa: le onde e le maree, qualche volta, distruggevano tutte le case dei pesci e, a ogni scoglio, si trovavano nemici che il pesce del lago non aveva mai conosciuto. Ma la pesciolina sapeva capire i suoi problemi e sapeva nuotare al suo fianco per difenderlo. Piano piano, insieme, stavano costruendo il loro futuro nell’acqua salata del mare anche se il loro modo di pensare e di vivere era stato assai diverso. Non sempre tutto andava bene: i piccoli pesci nati, magari, si ammalavano o non sapevano difendersi dai più grandi… Forse, alla vivace pesciolina colorata, qualche volta, poteva venire qualche dubbio. Ma con il tempo, anch’ella aveva capito quello che le aveva spiegato il pesce di lago parecchio tempo prima: che l’amore è sacrificio e rinuncia e che i pesci, come le persone, devono accettare il dolore che la vita porta con sé dimenticando sé stessi e pensando soprattutto al bene dei loro cari. 
A sentire quella favola, qualche corolla, curvandosi un po’ sullo stelo, si era asciugata con le minuscole foglioline verdi una lacrimuccia furtiva mentre ogni creatura era immersa nella riflessione perché aveva imparato qualcosa di nuovo. 
Allora, per rompere un filo di tristezza che aleggiava all’intorno come soffiata dalle gote di un venticello leggero, Verpuccio, il secondo figlio, il più allegro e scherzoso dei pini, aveva deciso di raccontare anche lui la sua storia: - Sentite, fiorellini, vi parlerò di quella volta che una farfalla multicolore aveva stretto amicizia con un coccodrillo…  
Intorno, l’aria ormai serena taceva in silenzio e persino la vecchia Volpina ascoltava attenta.
Sorridendo, intanto Verpì stava volando lassù, libero, sulle nuvole. Sarebbe tornato sulla terra, un giorno, e sarebbe rinato ancora proprio al limitare di quello stesso bosco.

Renata Rusca Zargar

giovedì, ottobre 28

NATURA MORTA AUTUNNALE di ALESSANDRA GENERALI

 


Ancora colori autunnali, un altro splendido acquerello di Alessandra Generali! Grazie per la tua arte, cara amica!

Danila Oppio

sabato, ottobre 23

LE TRE FRONTIERE DEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO


Le tre frontiere del Sahel

…’È la zona, oggi, nella quale abbiamo più vulnerabilità, dove le popolazioni sono veramente nel bisogno, spogliate di tutto, con persone sfollate e dove i bisogni sociali sono enormi. Pertanto il programma che abbiamo lanciato è destinato a dotare le popolazioni di dispensari, scuole e, cosa ancora più importante, di pozzi’, spiega Mikailou Sidibé, capo del dipartimento strutture del G5 Sahel. Sidibé allude a un finanziamento del governo tedesco che, nel quadro del G5 Sahel, (forza congiunta di militari della Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Chad), darà la priorità alle popolazioni vittime del terrorismo. La zona scelta è quella di Liptako-Gourma chiamata delle ‘tre frontiere’: Burkina-Mali-Niger, dove la presenza dei gruppi terroristi accentua la povertà e l’insicurezza. In realtà le tre frontiere sono altre!

La prima è quella dell’ipocrisia bellico-umanitaria e che consiste, come da copione di un film già visto altrove, nel preparare il terreno alla creazione del caos, facilitarne il mantenimento e infine arrivare, tramite gli attesi finanziamenti, come i salvatori della patria. Fuochisti e pompieri, secondo le convenienze, per ‘attirare’ fondi, finanziamenti per progetti di sviluppo, esattamente come per i Gruppi Armati Terroristi e le ‘Forze Regolari’, di militari locali e stranieri. Commerci, armi e geopolitiche delle risorse si aggrovigliano per formare un fronte unico: finché c’è guerra c’è futuro per i fabbricanti di guerre.

Analogamente, accade lo stesso processo nel delicato ambito migratorio. Prima si crea la frontiera esteriore dell’Europa nel Sahel, impedendo ‘manu militari’, la libera mobilità dei migranti e,  in cambio, si introducono piani fasulli di sviluppo, chiamati ‘Fondi Fiduciari’, che vanno alle ‘radici profonde delle migrazioni’. La logica è la stessa di cui sopra: solo cambia il settore d’intervento, gli attori e i necessari dispositivi di applicazione, anzitutto, con la fabbricazione e l’imposizione di un concetto applicabile ed esportabile di ‘frontiere’. Seguono poi i meccanismi di formazione e di gestione delle stesse,  con EUCAP Sahel (Missione civile di sostegno alle capacità di sicurezza interiore),  l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, OIM, per i rimpatri (naturalmente volontari) e infine il mondo umanitario. Quest’ultimo si occupa, grazie ancora ai finanziamenti europei, di lenire le ferite della carne dei migranti, senza beninteso mettere in discussione il sistema che produce ciò. Questa è la seconda frontiera del Sahel. 

La terza frontiera, invece, somiglia paurosamente a un abisso che separa, attraversandolo da cima a fondo, il mondo stesso. Un abisso che, come nella nota parabola del ricco che banchetta quotidianamente con gli amici nel suo palazzo e del povero Lazzaro che, invisibile ai suoi occhi, giace alla porta cercando di sfamarsi con le briciole che cadono dalla sua mensa. L’abisso esiste e cresce grazie anche alla globalizzazione dell’invisibilità dei numerosi ‘Lazzaro’ che oggi assumono l’onore e l’onere di trasformare il mondo, a partire dalla debolezza. L’abisso tra Nord e Sud non è solo tra i continenti ma si riproduce all’interno degli stessi continenti, nei Paesi, nelle città e nelle campagne dimenticate, tra le generazioni e infine nello spirito umano più profondo chiamato cuore. Questa terza frontiera, l’abisso, è quella che rappresenta il modello e la produzione delle altre due, precedentemente citate. In genere si manifesta all’esterno con muri, reticolati, campi di detenzione, cimiteri delocalizzati e confinamenti di popoli interi. 

Ecco perché i guardiani delle radici e i costruttori di ponti sono visti dall’abisso come una minaccia. Solo da loro germoglia il futuro della quarta frontiera chiamata utopia.

Mauro Armanino, Niamey, 24 ottobre 2021



venerdì, ottobre 22

COLORI D'AUTUNNO - Acquerelli di ALESSANDRA GENERALI

 

Gli acquerelli di Alessandra sono davvero straordinari, questo in particolare, è perfetto per la stagione autunnale.Grazie Alessandra e complimenti di cuore.

Danila

STORIE DELLA VITA E DEL MONDO - LA PACE DEL RICCIO di RENATA RUSCA ZARGAR

 



STORIE DELLA VITA E DEL MONDO

Il grande pino verde di nome Verpì, nelle sere di luna piena, raccontava, alle mille orecchie in ascolto, storie della vita e del mondo. 
Mille occhi lo osservavano attenti e mille corolle di fiori si riaprivano un poco per non perdere neppure un sussurro.

LA PACE DEL RICCIO

La sera aveva attutito ogni rumore e la notte fresca aveva spento la luce e il calore del giorno. 
Le formichine si erano ritirate nel loro formicaio ed erano rimasti solo civette e altri animali notturni a scrutare lo spazio scuro all’intorno. 
Anche il riccio indagava circospetto. In fondo, però, si sentiva molto sicuro di sé fin da quando l’uomo ancora non c’era sulla terra, perché era spaventosamente zeppo di aculei, si diceva fino a 5-6000!
Esso abitava in una tana coperta da foglie e rametti caduti nel sottobosco tra Verpì e Querciò. 
Proprio in quel tempo, sua moglie Riccetta aveva da poco dato alla luce ben cinque Riccioloni e lui aveva il suo da fare a trovare topi e cavallette per tutta la famiglia. 
Il riccio era considerato molto saggio, anche se un pochino scorbutico: infatti, non parlava con nessuno escluso Verpì con il quale si consultava spesso, ritenendolo abbastanza autorevole per conversare con lui.
- Allora, come va? - chiedeva qualche volta all’albero - Stai già dormendo?
- Eh sì, sto per addormentarmi, anche se le foglie continueranno il loro lavoro per tutta la notte. Ma la giornata è stata lunga e faticosa, con tante situazioni da discutere. Adesso è necessario il riposo.
- Invece, io mi sono svegliato da poco e devo andare a caccia.
- Fai attenzione, Riccione, se ti succedesse qualcosa, lasceresti cinque piccoli senza sostentamento.
- É difficile che mi succeda qualcosa, con tutte le mie spine, nessuno ha il coraggio di contrastarmi!
- Non è così! Voi ricci avete un astuto nemico che è la volpe! Tuo zio, davanti a una volpe ha drizzato gli aculei e si è anche appallottolato per difendersi ma la volpe è stata più furba. Ha urinato addosso al povero malcapitato. Lui, reso poco avveduto dalla rabbia, è uscito un po’ dalla sua corazza protettiva e lei lo ha morsicato sul muso fino a quando non l’ha finito! 
- Lo so, me lo ricordo.
- Bene, se incontri un grave pericolo devi fuggire. La tua famiglia ha bisogno di te. 
Le creature che non dormivano ancora e che avevano ascoltato tali confidenze avevano avuto un brivido di orrore e raccapriccio.
- Hai ragione, saggio Verpì. Mi ricorderò dei tuoi suggerimenti: se vedrò una volpe, scapperò senza tentare di difendermi.
- Bravo, l’importante è salvare sé stessi per crescere i propri piccoli. È la giusta legge della natura.
- Meglio cacciare ragni, lombrichi, topi o ghiande e bacche (e qui ce ne sono), senza avventurarsi troppo lontano.  
Anche un ghiro, che abitava in una cavità di un altro vecchio pino, aveva ascoltato la conversazione. Raggelato dalla paura, era ritornato nella sua tana. Ma la sua compagna Ghiruccia lo aveva rimandato fuori a procurare il cibo. Anch’essa, infatti, aveva partorito sette Ghirini e aveva urgente bisogno di ghiande, bacche e frutti di bosco per la famiglia! Il ghiro, sbuffando per la fatica e il panico, era tornato fuori a cercare.
Così pure un’istrice, cugina del riccio che, proprio in quel momento passava di là, si era riproposta di sfuggire qualunque conflitto.
 - É vero, - si era detta - che ho gli aculei come il mio cugino riccio, è vero che in più ho sulla coda i peli cavi che fungono da sonagli e che spaventano gli aggressori, è vero che i miei peli sulla testa si drizzano e fanno paura facendomi apparire più imponente di quanto io sia in realtà, ma è meglio evitare i pericoli e cercare di vivere in pace e tranquillità! Così, invece di avventurarmi a cercare dell’uva che mi piace tanto, mi accontenterò delle solite cortecce, dei frutti e di qualche insetto, che sono ovunque disponibili. 
Dunque, sembrava una notte tranquilla.
Le bianche pratoline avevano già poggiato il loro capino sulle foglie e solo il vento mormorava piano.
Il riccio, allora, si era avventurato in cerca di cibo e si era allontanato parecchio.
Molto impegnato nello scoprire lombrichi e altre leccornie, non si era accorto che proprio una volpe lo stesse osservando. Il riccio era per lei come è per gli umani un dolce fasciato in una carta colorata: bisognava scartarlo.
Mentre attaccava quella che pregustava già come la sua cena, aveva guaiolato.
Il riccio aveva alzato il capo e aveva capito tutto. Con gli aculei ben ritti aveva fatto dietro-front per tornare alla sua tana. 
Non si era mai fermato, anche se la volpe gli correva intorno per confonderlo e fargli perdere la pazienza. Però, essa non poteva toccarlo fintanto che lui fosse stato difeso dagli aculei e il riccio aveva ben compreso le parole di Verpì.
La sua vita era importante per la famiglia.
Infine, la volpe si era stancata e se n’era andata via.
Con il fiatone, Riccione era arrivato a casa sano e salvo.
Ora, finalmente, tutte le creature potevano riposare fino allo spuntare di un nuovo sole.

Renata Rusca Zargar

lunedì, ottobre 18

II PREMIO AL CONCORSO LETTERARIO L'AQUILONE di CORTEMAGGIORE (PC) a DANILA OPPIO

 Al Concorso 2021 come da oggetto, ho ottenuto il II posto con il mio racconto: LA VITA LEGATA A UN FILO...DEL TELEFONO.

Ecco la targa e il diploma:

E il mio racconto:

La vita legata a un filo…del telefono
Il telefono squilla. Dafne va, faticosamente, a rispondere. È lui, è lui che chiama. Pensa, e il cuore le batte all’impazzata.
- Ciao Dafne, come va? Oggi, purtroppo, non riesco a venire da te, ma desidero accertarmi che tu stia bene. Verrò senz’altro domani. 
Poche parole di commiato, e lei riappende il ricevitore con un sospiro deluso. Liliana modifica gli appuntamenti anche all’ultimo momento, ma si adatta ad accettare, anche se a obtorto collo, diversamente Dafne sarebbe sempre sola. 

 Perché lui non chiama ancora? È trascorso troppo tempo e lei ha bisogno di sentire la sua voce, le sue parole.

Si siede sulla poltrona, quella cara vecchia fauteuil che l’avvolge come un grembo materno, e sfoglia distrattamente una rivista.
La sua mente la riporta alla prima telefonata di George, le pare ancora di udire la sua voce un po’ roca, nonostante la giovane età. Si erano conosciuti subito dopo la guerra, e non ricorda bene se fu l’euforia di quei giorni di pace, e la passata paura, la causa per cui si trovò quella notte tra le braccia di quel forte e bellissimo american lieutenant dell’U.S. Army Air Forces,
Quell’unica notte che non riesce a scordare. 
Decisero di dirsi addio, quando lui ripartì per Dallas, e lei temeva di affrontare con lui, poiché le aveva chiesto di seguirlo, quel viaggio verso l’incognito, ma si lasciarono con la promessa di risentirsi al telefono, una sola volta ogni anno. Dafne non volle vivere altre storie d’amore. Le bastava il ricordo di George, di quell’indimenticabile notte. 
- Sono io, Dafne, come sei vestita? Dimmelo, voglio immaginarti…chissà come sei elegante, ricordo che vestivi sempre con stile semplice ma raffinato.
- Grazie del complimento, George. Indosso un completo grigio chiaro, ho una pochette di pizzo, infilata nel taschino della giacca, un filo di perle coltivate al collo, scarpe e calze nere. Sto per uscire per una breve passeggiata e un po’ di shopping.
- Non me la dai a bere, non posso credere che tu esca sola, chi ti aspetta e dove? Non farmi morire di gelosia. Vorrei accarezzare quei tuoi capelli biondi, sono ancora di quel colore, vero?
 - Sono solo un po’ più corti, e un po’ più chiari, George!
- Se sei pronta per uscire, perché non ci vediamo per un caffè, ricordi? In quel posticino a duecento metri da casa tua, dove ne avevamo consumato il primo e unico. Lo meritiamo un altro caffè insieme. Desidero baciarti, e trascorrere un’altra notte con te. Di specchiarmi nei tuoi occhi di cielo, e veder brillare quella stella luminosa che scintilla quando sorridi, ah quel tuo sorriso che mi ha incantato.
- Non è possibile, George, le mie amiche mi stanno aspettando, non posso davvero, anche se lo vorrei, e non puoi neanche immaginare quanto.
- Se ti telefono tra qualche giorno, ti dispiacerebbe?
- No assolutamente, chiama giovedì, vedremo di combinare per quel caffè, virtuale certamente, considerata a distanza. Ordinerò due tazzine, seduta al tavolino, e immaginerò di vederti seduto di fronte a me.
- Ok, baby, mi manchi sempre Dafne, lo sai?
- Sì, anch’io ho molta nostalgia di te, a presto!
-  A big Hug!
-  Me too!!

Il giornale è caduto a terra. Dafne fissa assorta la parete di fronte. Ogni anno George le telefona, e ogni volta la telefonata è all’incirca la stessa, carica di parole non dette, di allusioni a notti d’amore, di appuntamenti per giovedì…di quale mese o anno?
Da quanti anni va avanti questa storia? Dafne ha perso il conto, più di settanta o quasi ottanta? E da quel giorno del dopoguerra, George non l’ha più rivisto.
Quelle telefonate, però, così tenere e un po’ sensuali, le fanno bene. Lei, in quei momenti, si sente giovane e desiderata, non importa se sta per compiere i suoi primi cent’anni! E anche George si trasforma in uno spudorato ragazzino. È il loro segreto, per dieci minuti l’anno, retrocedono nel tempo.
Dafne si alza, va verso il suo scrittoio, apre l’agenda. Sono trascorsi quindici mesi dall’ultima telefonata di George. Troppi.
Le sue dita artritiche, le vene blu sotto la pelle trasparente e rugosa, s’infilano tra i capelli corti e innevati. Si stringono intorno alle tempie avvizzite, e dai suoi occhi, ormai molto miopi, rotolano grosse lacrime amare.
Liliana, il giorno dopo, telefona a Dafne per confermarle che si sarebbe recata da lei per farle compagnia. Il telefono, però, dà sempre segnale di occupato.
Preoccupata, chiama i vigili del fuoco e, forzata la serratura, Liliana e i pompieri accorsi - Dafne li avrebbe chiamati così - attoniti, di fronte alla visione che appare ai loro occhi: quella di una vecchina seduta in poltrona, ormai trasferita nell’eternità, con il ricevitore del telefono stretto nella mano rattrappita e un dolce sorriso sulle labbra…
George l’ha chiamata da un luogo molto più lontano del Texas, e oggi, giovedì, sono finalmente insieme per quel caffè, in un bar ubicato ben oltre le nuvole.

Danila Oppio


TOTALITARISMI DI SABBIA NEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO

Totalitarismi di sabbia nel Sahel

Pure noi qui, nel nostro piccolo, ci stiamo organizzando per avvicinarci a totalitarismi ben più importanti e affermati altrove. Come per altre realtà, più volte evidenziate, il nostro totalitarismo è di sabbia, cosi come la politica, la Giustizia, l’educazione formale, l’economia e la vita stessa. È ancora lei, la sabbia, a caratterizzare i matrimoni, gli appuntamenti mancati, molte delle amicizie e la vita sociale in generale.  È stato dichiarato lo stato di urgenza in varie regioni del Sahel. Ciò implica, in queste zone, una drastica limitazione all’uso delle motociclette, essendo queste uno dei mezzi più utilizzati dai Gruppi Armati Terroristi per seminare morte e desolazione tra i contadini locali. I banditi si sono adattati e, per esempio in uno degli ultimi massacri che ha insanguinato la zona delle ‘tre frontiere’, sembra abbiano utilizzato persino i dromedari. Si è arrivati all’assurdo che, in definitiva, quasi solo i terroristi utilizzavano, impunemente, le motociclette e i contadini si arrangiavano con gli asini o con le carriole per trasportare i malati al dispensario più vicino. Un camion pieno di legna da ardere, raccolta abusivamente dai contadini per uso della cucina della città, è stato bruciato ieri nei campi. I nuovi padroni della zona hanno proibito di farlo. In molti villaggi di questa e di altre aree, la gente vive nel terrore. Uccisioni e rapimenti sono totalitari 

Il primo e fontale totalitarismo, dalle nostre parti, è comunque quello della miseria, provocata, seminata e infine raccolta in tutti questi anni, soprattutto tramite la violenza armata. Nella zona citata, a circa 150 kilometri dalla capitale Niamey, sono oltre 600 mila le persone che hanno dovuto fuggire case, campi e bestiame rubato e poi venduto altrove. Cresce in tempo reale l’insicurezza alimentare che tocca milioni di persone nel Niger e molte più nel Sahel. La miseria è a sua volta la figlia privilegiata del dio denaro che, con autorevolezza totalitaria, è il principale e ineguagliato colonizzatore dell’immaginario. Non da oggi, infatti, il totalitarismo del denaro si è affermato come un monopolio senza concorrenti di rilievo. Le guerre, le armi, le urgenze umanitarie, i Piani di Aggiustamento Strutturale, l’accaparramento delle risorse, i colpi di stato e le ideologie religiose non sono altro che l’espressione e la conseguenza dell’assunzione del dio denaro come la totalità della storia. Troppo tardi ci si accorge che questo tipo di dio non è altro che sabbia rubata al vento della spietata indifferenza del sistema verniciato di morte. Da questi due totalitarismi, quello della miseria generata e da quello del denaro ne scaturisce per tragico destino uno peggiore.

Si tratta del totalitarismo della banalizzazione di tutto quanto è fragile e inutile, appeso alla sacralità delle parole e dei corpi affidati alla sabbia dei cimiteri senza nome del deserto o del mare. La banalizzazione della sofferenza e della vita di chi non trova abbastanza voce per essere riconosciuto come umano. Il totalitarismo di vite mai vissute eppure uniche. La banalizzazione totalitaria del reale, tradito e manipolato dalla quotidiana menzogna da chi non importa i fatti e i volti, il totalitarismo dei confinamenti, le distanze sociali, e la banalizzazione dell’utopia del poeta, e dell’orizzonte incerto dei profeti. Tra i citati, il totalitarismo della banalità è il più mortifero perché svuota dall’interno il soffio di eterno che risale al primo bacio tra l’umano e il divino in ogni creatura. Rimane infine una maschera tenuta assieme da apparenze barattate in cambio di un’impaurita sicurezza. Un totalitarismo che banalizza quanto accade tra uomo e donna quando germoglia, per causalità, un nuovo destino di alleanza. Anche da noi, nel Sahel ci stiamo organizzando per proporre, a chi vorrà intenderlo, l’unico totalitarismo che sentiamo come nostro. Un totalitarismo di sabbia che le lacrime di un bambino trasformeranno in un albero fiorito.

Mauro Armanino, Niamey - 17 ottobre 2021


sabato, ottobre 16

FOLIAGE AUTUNNALE e PIETRAIE - di ALESSANDRA GIUSTI

FOLIAGE AUTUNNALE E PIETRAIE 

di 

ALESSANDRA GIUSTI

Ti invio le fotografie scattate ieri, con i colori dell’autunno; da qualche anno in Valle d’ Aosta è entrato in uso definire “foliage” il fenomeno del cambio di colore delle foglie dall’estate all’autunno.

Le pietraie che si vedono hanno un’antica storia di fatica e fame. Secoli fa i sassi sono stati raccolti uno ad uno dai contadini e ammucchiati per strappare terra da coltivare a segale alla slavina che li aveva trascinati giù dalla montagna. Adesso queste pietraie sono state riconosciute di interesse storico dalla Sovrintendenza e sono protette, nessuno può toccarle. Memoria di chi per vivere ha dovuto lavorare duramente fino allo sfinimento.





Alessandra Giusti dalla Valle d'Aosta.

Ringrazio di cuore l'amica Alessandra per le incantevoli foto che mi ha inviato.

Danila


venerdì, ottobre 15

STORIE DELLA VITA E DEL MONDO: AMICIZIE di RENATA RUSCA ZARGAR

 


STORIE DELLA VITA E DEL MONDO

Il grande pino verde di nome Verpì, nelle sere di luna piena, raccontava, alle mille orecchie in ascolto, storie della vita e del mondo. 
Mille occhi lo osservavano attenti e mille corolle di fiori si riaprivano un poco per non perdere neppure un sussurro.

AMICIZIE

Margina, la margheritina gialla, che era molto vivace, allungava sempre la testolina per curiosare cosa ci fosse un po’ più in là nel prato. Un giorno, tra i cespugli di erba verde, aveva scorto una piantina che si allargava sul terreno e, sullo stelo, alla base delle foglie, apriva dei piccoli fiorellini rossi. 
- Come va laggiù, fiorellini rossi? - aveva subito chiesto.
- Bene, qui c’è l’umidità e il sole caldo che ci serve per crescere. Qualche volta un bruco mangia un pezzo delle nostre foglie ma pazienza, anche lui deve pur vivere! - aveva risposto la piantina.
- Ah, sì, i bruchi ci sono anche qui e ogni tanto fanno un po’ di merenda, ma non ci fanno male. Piuttosto è già un po’ che non piove e noi cominciamo ad avere tanta sete.
- Eh, sì, quest’anno la stagione è assai calda, ma fa parte dell’estate. Poi, quando verrà la brutta stagione, perderemo i nostri fiori e dovremo aspettare perché sui nostri steli ne germoglino altri.
- Lo so, la mia corolla si chiuderà e diventerà seme per altre piantine… Ma il mio stelo e le mie foglie cresceranno ancora. Senti, adesso cantiamo tutti insieme una canzoncina. La la la, oggi il sole ride qua, la luna e le stelle fan cucù, il vento spinge le foglie secche nel ruscello frrrr frrr la la la….
Insomma, Margina aveva fatto amicizia con la bella piantina Rossina e insieme chiacchieravano e passavano il tempo.
Un pomeriggio, però, giunse nel prato una famiglia di umani. Essi stesero la loro tovaglia a quadretti rosa e blu sul prato, allargarono là sopra i loro cibi e passarono qualche ora mangiando e giocando. Era un pic-nic. 
Anche i fiorellini osservavano ciò che succedeva e si divertivano ad ascoltare i loro discorsi, mentre i bambini umani si addentravano tra gli alberi. 
Infine, i bimbi si erano seduti proprio sotto l’ombra dei grandi rami frondosi di Verpì. Il sole giocava a nascondino tra gli aghi, lanciando le sue lame di luce brillanti come oro: il mondo intero appariva meraviglioso!
Allora, il grande Pino aveva iniziato a narrare per i bimbi umani.
- Sapete, bambini, di notte, nella famiglia del gufo che si trova alloggiata proprio sulla grande Querciò, qui vicino, c’è un gran trambusto! La femmina ha deposto le uova, ben cinque questa volta, e, in attesa dei Gufotti, il maschio si affanna a cacciare insetti, ratti, e quant’altro di commestibile per nutrire la mamma. In realtà, i gufi amano cibarsi anche di pipistrelli. Così, Gufone, una sera, prima di andare in esplorazione, ha chiesto alla futura mamma: “Signora Gufa, in questo stesso albero, in una cavità, si sono sistemati dei pipistrelli. Per noi, sarebbe una leccornia! Che ne pensi?” “Lo so, - aveva risposto lei - ho visto anche il piccolo che è nato, tutto peloso, che già iniziava a tentare di volare con le sue alette ricoperte di membrana. Mi ha fatto tanta tenerezza. Presto anche noi avremo i nostri gufetti spelacchiati! Non possiamo, dunque, disturbare quella famiglia. Anzi, fai amicizia con il padre e andate insieme a caccia d’insetti, e di altre squisitezze”. Come di solito, Gufa aveva ragione. Non si potevano attaccare i vicini di casa e, men che meno, il loro piccolino. Gufone, allora, si era presentato davanti alla cavità di Querciò e aveva invitato ser Pipistrello ad andare con lui a caccia. Dunque, essi partivano insieme sul far della sera, uno con le sue ali ben spiegate e l’altro un po’ grassoccio e peloso. Non c’era fruscio che sfuggisse alle orecchie fini del gufo né all’attenzione del pipistrello, così, tornavano trionfanti con un gustoso bottino, in particolare di zanzare, che entrambi apprezzavano molto. 
I bimbi umani avevano ascoltato con interesse cercando di scorgere in alto gufi e pipistrelli che, però, stavano rintanati a dormire. Infine, preso un libro illustrato, avevano letto una storia.
- C’era una volta, una chiocciola che, lentamente, attraversava il bosco lasciando la sua scia di bava iridescente sul terreno. Andava a trovare una sua amica. A un certo punto, però, un filo di acqua che scorreva proprio da quelle parti, si era parato davanti. La povera chiocciolina non poteva proseguire il cammino. Allungando le antenne di qua e di là, cercava di trovare un modo per oltrepassare l’ostacolo, ma non ne scorgeva. Lì vicino, si trovavano molte piantine di fragole di bosco. Con pazienza, esse avevano disteso le loro foglie sul terreno: la chiocciolina vi era salita sopra e, lentamente, aveva continuato la sua strada. 
Le creature del bosco erano rimaste in silenzio ad ascoltare. Persino i grilli avevano sospeso di frinire e le api di ronzare sui fiori colorati! 
Infine, tutto era tornato in movimento e anche i bimbi avevano iniziato a giocare a nascondino.  
Gli umani adulti, nel frattempo, avevano mangiato, cantato, riso.
Però, erano stati così buoni che non avevano strappato neppure un fiore per portarlo a casa. Sapevano che non bisogna spezzare la vita dei fiori di campo.
Solo, prima di andarsene, avevano delicatamente tirato fuori dalla terra, con tutta la sua radice, la piantina dai fiorellini rossi per piantarla nel loro giardino.
Margina, allora, aveva pianto tutta la notte sconsolata: aveva perso per sempre la sua amica!
Quando era spuntato il giorno, ancora aveva gli occhi rossi e tirava su con il naso.
- Senti, - le aveva detto Verpì - so quanto è doloroso per tutti perdere un amico. Purtroppo capita. È ancora più doloroso quando l’amico non ti vuole più e questo, per fortuna, non è il tuo caso. Rossina non ti ha abbandonato volontariamente, è stata portata via. Non devi essere infelice. Gli umani l’hanno raccolta con rispetto: essi le daranno sempre da bere, la cureranno e crescerà, avrà tanti fiorellini rossi, più di quanti ne avrebbe avuti qui. Potrebbe darsi che, un domani, gli umani tornino e raccolgano anche te.
- Davvero? - aveva subito chiesto Margina - Potrebbe essere?
- Nessuno può saperlo. Intanto, tu devi continuare a vivere felice e, se ti fa piacere, sognare di cambiare la tua vita diventando un fiore da giardino. E poi, devi imparare anche che ciò che succede, spesso, avviene per il nostro bene. 

Renata Rusca Zargar

mercoledì, ottobre 13

Menzione Speciale al Concorso LA GIRANDOLA DELLE PAROLE - III Edizione a DANILA OPPIO

 Per la Sezione N - Poesia Visiva, avevo già pubblicato un articolo che riguarda la Menzione Speciale ottenuta con la mia opera MIRAGGIO, su quadro ad olio da me dipinto e che ripropongo:


La mia opera si vede quasi alla fine nello slide del video della premiazione, che ho pubblicato poco fa, realizzato da Anna Montella.
Ora, giunto poco fa, ho ricevuto il diploma e uno splendido quaderno realizzato appositamente per l'evento.



Ringrazio la giuria e la Presidente esecutiva del Premio, Rita Iacomino, per quanto ricevuto e molto gradito.

Danila Oppio

Cerimonia premiazione La Girandola delle Parole III edizione (sintesi)

Antologia 2021 - LA BELLEZZA TRA LE RIGHE a cura di ANNA MONTELLA - La Luna e il Drago . racconto pubblicato di DANILA OPPIO



Ho partecipato al concorso del Caffè Letterario LA LUNA E IL DRAGO 2021 e il mio racconto è inserito nell'antologia LA BELLEZZA TRA LE RIGHE.

La vera Bellezza 

Tutti siamo in cerca della BELLEZZA, quella vera come la può rappresentare solo la valida Arte. Che non è quella osannata dai critici letterari o figurativi, ma rappresenta l’emozione che nasce in noi. Sarò antiquata, ma ritengo che il detto: “è bello ciò che piace” sia tuttora valido. 
Quanto ci colpisce la vista, ma soprattutto crea viva commozione che tocca nel profondo, è ciò che considero la vera Bellezza. Anche se la firma delle opere umane è sconosciuta.
E la Natura, in primis. 
I fiori, con i loro colori e profumi. 
L’alba o il tramonto, con le loro sfumature che paiono pennellate d’un grande Artista.
La mareggiata, con onde che somigliano ai riccioli ribelli d’un anziano canuto, antico come il mare.
Le cime innevate dei monti, splendenti col loro biancore.
Il sorriso di un bimbo e le sue risate simili a fresca cascatella. 
Lo sguardo  di un cagnolino, abisso d’amore.
La sensazione che si prova accarezzando il pelame morbido di un gatto che, sicuro d’essere amato, ronfa accanto a noi. 
L’allegro cinguettio degli uccellini posati sulle fronde.
A mio parere, tuttavia, la Bellezza più intensa e vera consiste nel cuore che sa realmente amare.
 Negli occhi, che guardano con attenzione, mentre le orecchie  ascoltano con interesse, e in una mano che viene tesa per dare aiuto.
Tutto il resto, se non è vera Arte che ci affascina e vero Amore, è solo simulazione o, ancor peggio, inganno. 

Danila Oppio

lunedì, ottobre 11

Premio alla Carriera a Enrico Beruschi - Lorenzo Maria Bottari - Alessandro Quasimodo - Carlo Roman

PREGHIERA INTERRELIGIOSA SERALE DI FRONTE AL MARE - di RENATA RUSCA ZARGAR

Savona, 10 ottobre 2021

Preghiera interreligiosa serale di fronte al mare

Signore,

ricordati non solo degli uomini di buona volontà,

ma anche di quelli di cattiva volontà.

Non ricordarti

di tutte le sofferenze che ci hanno inflitto.

Ricordati invece

dei frutti che noi abbiamo portato

grazie al nostro soffrire:

la nostra fraternità, la lealtà, il coraggio,

la generosità e la grandezza di cuore

che sono fioriti da tutto ciò che abbiamo patito.

E quando questi uomini giungeranno al giudizio

fa’ che tutti questi frutti

che abbiamo fatto nascere

siano il loro perdono.

Preghiera scritta da uno sconosciuto prigioniero del campo di sterminio di Ravensbrück  lasciata accanto al corpo di un bambino morto.

Nel magico scenario serale dello scaletto dei pescatori a Savona, con questa preghiera, il Vescovo, Mons. Calogero Marino, ha iniziato l’incontro interreligioso di domenica 10 ottobre. Lo scopo era ricordare le persone che hanno perso la vita in mare il 3 ottobre 2013 e in tanti altri momenti.

Dopo di lui, è intervenuto Zahoor Ahmad Zargar. 

-Il Corano – ha spiegato - parla delle esperienze migratorie di molti profeti prima dell'Islam, come Adamo, Abramo, Giona, Giacobbe e Mosè. Da quando Adamo, il padre dell'umanità, è migrato dal cielo alla terra, la tradizione dell'Islam considera tutti gli esseri umani come immigrati. Pertanto, la patria primordiale dell'umanità è il cielo, mentre la terra è un luogo per il trasferimento temporaneo. Lo stesso Profeta Muhammad si paragona a un viaggiatore che rimane per un breve periodo a riposare all'ombra di un albero e poi continua il suo viaggio. La migrazione può avvenire per molte ragioni: economiche, religiose, oppressione o semplicemente per ricollocazione. Il Corano parla di persone oppresse e deboli e le invita a spostarsi verso un'altra terra di Dio.  "La terra di Dio non era abbastanza spaziosa da farti fuggire per trovare rifugio?" (Corano, 4:97). Ma non solo. Il versetto suggerisce indirettamente che coloro che hanno autorità dovrebbero prendersi cura dei rifugiati, poiché, secondo l'insegnamento islamico, ogni parte della terra è terra di Dio. Pertanto, le autorità mondane dovrebbero sentire vicinanza e apertura verso coloro che sono indigenti e oppressi e quindi aprire le porte dei loro confini. Anche se oggi abbiamo messo dei confini per dividere le nazioni e fermare il flusso di emigrazione e immigrazione da una terra all'altra, nell'insegnamento dell'Islam tutte le terre appartengono a Dio e tutte le persone sono servi di Dio. Il Profeta afferma: "Dio ha fatto l'intera faccia della terra come una moschea per me e il suo suolo come puro." -

Dopo di lui, Amnon Cohen, ha ricordato l’Odissea di tanti ebrei prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale, rifiutati dagli altri paesi e, molte volte, finiti poi nei campi di sterminio e nelle camere a gas. Allora, ha chiarito, noi diciamo: “Chi salva una persona, salva il mondo intero.” Davanti all’essere umano in pericolo, tutte le leggi e la sovranità dei paesi si sgretolano. Conta solo salvare chi è in pericolo.

Padre Gheorghita Andronic della Chiesa Ortodossa ha invitato a pregare in ogni momento per ricordare tutti quelli che hanno cercato di raggiungere un posto migliore, di avere una vita degna, un futuro. Non dobbiamo dimenticare le tante vite perse, dobbiamo essere vicini con il pensiero.

Giorgio Castelli, evangelico metodista, ha rievocato lo scritto di 2500 anni fa: “ci sarà una stessa legge, uno stesso diritto per voi e per lo straniero che soggiorna in mezzo a voi”. Noi, oggi, invece, vorremmo mettere il filo spinato intorno al mare perché nessuno venga più. Inoltre, la Costituzione stessa garantisce il diritto di asilo.

Ettore, dell’Associazione “Life Share Helps, che sostiene bisognosi, poveri, rifugiati, bambini, in varie parti del mondo, ha ricordato che Gesù è venuto “per fasciare quelli che hanno il cuore spezzato,

per proclamare la libertà a quelli che sono schiavi,

l'apertura del carcere ai prigionieri” (Isaia).

La conclusione è stata, infine, del Vescovo. Egli ha ribadito che persone di diverse culture e religioni si sono ritrovate da percorsi diversi per condividere lo stesso pensiero: che il mare sia spazio di vita e di incontro. La memoria di nomi e di storie di chi non c’è più è molto importante e permette loro di rivivere.

Renata Rusca Zargar

NdR:Zahoor Ahmad Zargar, in urdu ظہور احمد زرگر, (Srinagar, 6 aprile 1954), è uno scrittore indiano naturalizzato italiano, esponente dell'Islam moderato italiano. Nato a Srinagar, capitale estiva e città più grande dello stato indiano del Kashmir. Si laurea e partecipa attivamente alla politica del suo paese, collaborando anche con diverse Associazioni culturali e con la rivista “Mountain Valley Kashmir”.Si trasferisce definitivamente in Italia nel 1990, dopo la nascita della sua prima figlia, Samina, nata dall'unione con l'insegnante italiana Renata Rusca; nel 1992 nasce la seconda figlia Zarina e nel 2000 ottiene la cittadinanza italiana. Nel 1998 fonda il Centro Culturale Islamico Savonese e della Liguria affiancandosi alla moschea di Savona, aperto non solo ai musulmani ma a tutta la cittadinanza, per conoscere usi, costumi, tradizioni differenti. Come Presidente di tale Centro organizza a Savona Convegni di interesse nazionale con la partecipazione dei rappresentanti delle istituzioni locali e di esponenti di altre religioni tra cui il Vescovo di Savona, il Rabbino capo di Genova, il Pastore della Chiesa evangelica di Savona, rappresentanti dei Mormoni, degli induisti.