POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

sabato, giugno 28

LA GUERRA DI CUI NON SI PARLA di Padre MAURO ARMANINO

Donne venditrici di sabbia

La guerra di cui non si parla

Miete più vittime delle altre registrate nel mondo. L’anno scorso i conflitti armati riconosciuti tali erano 61. Quest’unica guerra uccide più che tutte i conflitti messe assieme. Si tratta della povertà o, se vogliamo, della miseria che porta con sè, troppo spesso nel silenzio, milioni di persone. Un pò come le cosiddette ‘morti bianche’ cioè quelle sul lavoro. Un’altra vera e propria battaglia quotidiana che vede come protagonista chi non è certo di tornare a casa dopo esserne uscito per lavoro, il mattino. Si calcola che l’anno scorso le ‘morti bianche’ hanno raggiunto i tre milioni.

La povertà è peggio perché per gli economisti si perde nelle statistiche mentre per la gente è una sparizione continua che passa inosservata. Ad essere cancellati sono i poveri. Le tracce della miseria durano a lungo perché coinvolgono i bambini, le donne e i giovani. La miseria è il frutto più immediato di guerre, movimenti forzati di popolazione, avversità climatiche ma soprattutto di classi politiche ammalate di potere e spogliamento del popolo nel più breve tempo possibile. Cause esterne, interne e purtroppo ‘eterne’ si perpetuano perché abbiamo smarrito la vergogna.

Sembra davvero scomparsa, la vergogna, dal lessico e soprattutto dal volto, le parole e le azioni. Si tratta di un sentimento, innato e allo stesso tempo culturale, che manifesta l’inadeguatezza tra ciò che è giusto e il nostro agire e sentire. La crescita, tutta occidentale, dell’individualismo e del fin troppo citato relativismo, non possono che produrre l’esilio della vergogna. Gli atti, le scelte, le parole e financo l’abbigliamento non tengono più in conto lo sguardo dell’altro. Il ‘principio responsabilità’ è stato spazzato via dall’utilitarismo capitalista che tutto mercifica e traduce, senza vergogna, in denaro.

Investire somme abissali, destinate a servizi sociali, in armi, ordigni letali studiati e programmati allo scopo di uccidere il ‘nemico’ fa ormai solo vergognare i pochi irriducibili ‘idealisti’. Nel frattempo, nel Sahel imperversa la vulnerabilità alimentare per milioni di persone, l’indigenza al quotidiano, la carenza di strutture educative e sanitarie. Mancano dispositivi che facilitino l’ingresso dei giovani nel mondo lavorativo. Irréductibles. La classe politica non si vergogna di nulla e così gli intellettuali attirati dalla retorica che sembra promettere loro un futuro. Persino i leader religiosi, senza vergogna, puntellano il sistema fatiscente.

Il Fondo Monetario Internazionale, che non è un ente di beneficenza, ha rilasciato un documento che, prendendo in considerazione il Prodotto Interno Lordo dei Paesi, stila la lista dei dieci Paesi col reddito pro capite più basso in Africa. Con tutti i limiti che questa operazione sappiamo comporta, rimane utile affacciarsi su questa strana e drammatica classifica che nasconde ciò che mostra ed evidenzia ciò che nasconde. Ci sono numeri che offuscano le cause e facilitano l’azione di sminamento del sentimento di vergogna che dovrebbe toccare i politici per primi.


Senza sorpresa, l’Africa sub-sahariana domina la classifica. I conflitti cronici, la debolezza istituzionale e una élite politica sempre più spesso militarizzata, non sembra in grado di offrire alternative coerenti ed efficaci alla precarietà di vita dei popoli che dovrebbe servire. Nell’ordine della lista si trova il Sudan del Sud, lo Yemen, il Burundi, la Repubblica Centrafricana, il Malawi, il Madagascar, il Sudan, il Mozambico, la Repubblica Democratica del Congo e il Niger, Paese nel quale ho il privilegio di trovarmi. Tutto ciò dovrebbe far vergognare chi profitta della miseria degli altri per arricchirsi o per illudere i poveri con vuote e false promesse di un domani migliore. 

Finché la vergogna non ritornerà ad essere una materia di insegnamento nella grammatica della vita quotidiana, sarà difficile cambiare lo sguardo sul mondo.

                         Mauro Armanino, Niger, giugno 2025


sabato, giugno 14

L'OMERTA' DEI BUONI di Padre MAURO ARMANINO

L’omertà dei buoni 

Era ciò che più dispiaceva a Norbert Zongo, giornalista del Burkina Faso barbaramente ucciso a causa del suo impegno per smascherare la violenza della menzogna nel suo Paese. Temeva l’omertà dei buoni, il loro colpevole silenzio, più che le azioni dei malvagi. Difficile dargli torto, soprattuto dopo la pubblicazione del recente rapporto realizzato dall’Istituto di Ricerca sulla Pace di Oslo, in Norvegia. L’anno scorso, nel mondo, sono stati registrati 61 conflitti, divisi in 36 paesi. L’Africa resta il continente più toccato con 28 conflitti implicando almeno uno Stato, segue l’Asia, il Medio Oriente, l’Europa e le Americhe. Il numero dei morti è stato, sempre secondo il documento, di circa 129 mila vittime.

L’omertà appare come una forma di solidarietà tra consociati, volta alla copertura di condotte delittuose celando l’identità di chi ha commesso un reato o comunque tacendo circostanze utili per le indagini. In altri termini possiamo parlare di riserbo assoluto per complicità spesso per timore di vendetta. Norbert Zongo non aveva torto a temere l’omertà dei buoni consociati a proteggere soprattutto la propria innocua e banale tranquillità di vita. Essa non va confusa con chi è preso come ostaggio dai gruppi armati che operano nel Sahel, designato come il teatro della violenza di gruppi ‘islamisti’ militanti più letale in Africa per il quarto anno consecutivo. Si parla di 10 400 morti.

Resta da evidenziare, rispetto all’aumento dei conflitti armati  nel mondo, la lista aggiornata dei Paesi produttori di armi che, non casualmente sono membri del Consiglio di (In) Sicurezza delle Nazioni Unite per grazia divina. Stati Uniti (43 per cento della produzione mondiale), Francia, Russia, Cina, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna, Corea del Sud e Israele. In questo ambito l’omertà diventa assoluta e coinvolge i partiti politici, i sindacati, la società civile, i credenti, i cittadini qualunque e le autorità religiose. Si coprono condotte delittuose come l’anti etico e vergognoso aumento delle spese per gli armamenti che coinvolge Paesi e continenti senza differenze politiche, ideologiche o religiose.

L’amico Ouoba di Makalondi, a un centinaio di chilometri da Niamey, non ha potuto raggiungere la capitale perché gli autisti temono attacchi dei gruppi armati. Qualche giorno fa un veicolo è stato bruciato e la gente viaggia ormai solo con la scorta armata. Droni, aerei, blindati, nuove reclute formate alla guerra e armi per combattere e ‘neutralizzare’ il nemico sembra l’unica narrazione del momento nel Paese. Lo ribadisce peraltro anche il testo del nuovo inno della Confederazione degli Stati del Sahel...’Soldati lo siamo tutti...Intrepidi e sovrani... per la parola e per le armi... col sangue e il sudore tu scriverai la storia’. Come comprovato dall’esperienza proprio questa è una storia che si ripete da troppo tempo . Come abbandonare definitivamente il mito della violenza sacrificale.

Spezzare la copertura di azioni delittuose, ossia l’omertà dei buoni non è impossibile. Un esempio è il discorso d’addio del capo redattore del New York Times, John Swinton. Afferma che i giornalisti non sono altro che... ‘Marionette e vassalli di magnati che si nascondono dietro la scena. Tirano le fila e noi danziamo... Il lavoro del giornalista consiste a distruggere la verità, a mentire senza limiti, a pervertire i fatti e gettarsi ai piedi di Mammona: siamo dei prostituti intellettuali’. L’omertà è spezzata.

Intanto l’amico Ouoba scrive in un sms che farà di tutto per arrivare domani a Niamey.




GIUSTIZIA E PACE



Cresimandi

                Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025

venerdì, giugno 13

LUNA DI FRAGOLA, OLEANDRO E FOTO DI PADRE NICOLA GALENO OCD DA BAMBINO - Poesie di PADRE NICOLA E FOTO




LUNA PIENA DELLE FRAGOLE . GIUGNO 2O25

commento di una corrispondente di Padre Nicola Galeno OCD

Deliziosi e tenerissimi questi versi ispirati da una materna luna che veglia solitaria sul nostro sonno che ci priva di un luminoso spettacolo. Grazie per aver generosamente colto il plenilunio con le sfumature di un’intimità preziosissima. NP



E non può mancare una foto di Padre Nicola quando era un bambino che indossava un saio legato a Sant'Antonio di Padova, che i suoi genitori avevano confezionato per ringraziare il Santo che lo aveva guarito dalla malattia. E infatti gli avevano anche dato come nome di Battesimo quello del Santo: Antonio!



sabato, giugno 7

SACRIFICATI di PADRE MAURO ARMANINO

Sacrificati

Nel Niger e in altri Paesi si celebra oggi il memoriale del sacrificio di Abramo. In Africa Occidentale questo giorno è chiamato Tabaski, nome di derivazione berbera che significa, appunto, festa. Le religioni chiamate monoteiste hanno in Abramo un comune antenato nella fede soprattutto per la sua dichiarata obbedienza e disponibilità a sacrificare il figlio della promessa. Isacco per la Bibbia e Ismael per il Corano è l’erede che all’ultimo momento è stato salvato dal sacrificio cruento ad opera del padre Abramo. E’ infatti un capro, secondo rispettivi libri ‘santi’ ad essere sacrificato al posto del figlio amato. Più d’un commentatore ha visto in questo episodio la condanna definitiva dei sacrifici umani sostituiti dagli animali. Nel caso si trattava di un ariete, un capro o qualcosa di molto simile.

In questi ultimi giorni alcune strade della capitale Niamey erano decorate da migliaia di capri parcheggiati il più vicino possibile dalle auto in transito onde facilitare l’acquisto e l’imbarco immediato della vittima prescelta. La transazione è in funzione della grandezza dell’animale, del prezzo e soprattutto dalle ridotte disponibilità finanziarie attuali dei fedeli. I tempi sono duri per mancanza di opportunità lavorative, la liquidità è occasionale e i debiti per la sopravvivenza si accumulano. Il divieto di vendere una parte degli animali all’estero non ha affatto facilitato l’economia di chi aspetta tutto l’anno questo momento per mettere da parte qualcosa per la famiglia. La vista della quantità di animali in lista d’attesa per la vendita sacrificale della festa può destare sentimenti particolari.

I proprietari degli animali li nutrono fino alla fine per renderli più presentabili e appetibili agli acquirenti. I ‘piccoli ruminanti’, come sono qui chiamati, forse non pensano neppure lontanamente a ciò che li aspetta. Sacrificati, sgozzati, liberati dalle interiora e stesi aperti su paletti di legno debitamente incrociati. Poi la legna è deposta per la cottura con le braci che produce l’aria di fumo infiltrata dal tipico sapore della carne rosolata. Per loro, gli animali, sarà tardi per capire come l’insieme era stato predisposto per il sacrificio rituale e che, tutto era già scritto fin dalla nascita. Nati per essere sacrificati per un giorno di festa, degli altri beninteso. La vista dei capri sacrificati genera anche tristezza perché non può non far pensare alle moltitudini sacrificate.

Purtroppo, i sacrifici di animali non hanno affatto sostituito quelli umani. I due generi sacrificati continuano affiancati, umani e animali, senza troppe resistenze dei comuni cittadini, risparmiati, per ora. La crescita rilevante della fabbricazione, vendita, commercio e uso delle armi prepara altri e numerosi sacrificati al sistema di spossesso globale della vita. La vergogna di quanto è accaduto e sta accadendo in quella particolare terra che è Gaza è fin troppo dolorosamente noto per continuare a chiudere gli occhi. Così per i sacrificati da interessi di potere e economici nel Sudan e nella Democratica Repubblica del Congo di cui si è, da tempo, perso il conto. Nel Sahel dove da anni i contadini sono ostaggi di gruppi armati di un’ideologia religiosa e politica necrofila che affonda le sue radici nell’assenza di uno stato degno di questo nome. I sacrificati in Europa per una guerra che troppi desiderano continui per meri interessi economici e geopolitici. 

I capri sacrificati di Niamey non sono che una metafora degli umani sacrificati su altari che talvolta non hanno scelto oppure hanno contribuito a costruire per ignavia o distrazione. Tutto potrebbe cambiare un giorno, senza armi in mano, con un semplice ‘no’ ai tiranni di turno.

                Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025















sabato, maggio 31

I SOGNI CONFISCATI E LA FORESTA di PADRE MAURO ARMANINO


I sogni confiscati e la foresta

Foto reperite nel web

Sono entrambi originari della Costa d’Avorio ed è per me come un piacevole ‘giocare in casa’. Non si dimentica mai il primo amore. Sbarcato in questo Paese nel millennio scorso, dal 1976 al ’78, la prima volta nel continente africano. Il ritmo della lingua, i luoghi e lo stile sono riconoscibili ad occhio e orecchio nudo. Traoré di mestiere panettiere e pasticciere nella città di Man, nel nord ovest della Costa d’Avorio. Partì l’anno scorso, coi suoi 32 anni e una famiglia lasciata a casa, per inventarsi un futuro diverso e più luminoso di quello che si trova tra le mani che impastano povertà e nulla più. Derubato come tutti i migranti dai gruppi armati nel Mali, raggiunge l’Algeria e lavora prima come panettiere e poi, al solito, in un cantiere edile ‘cinese’ della capitale. Al momento di ritirare il frutto del suo lavoro arriva ‘casualmente’ la polizia che spoglia i migranti di tutti gli averi, li arresta e li deporta a Tamanrasset in un centro di detenzione. Da lì, lui e gli altri saranno condotti al confine col Niger, in un luogo desertico che bisognerà attraversare per raggiungere la prima cittadina abitata, Assamaka.

Ali ha invece 19 anni. Non ha potuto terminare la scuola elementare e fatica a leggere e scrivere in francese. In Costa d’Avorio era apprendista riparatore di frigoriferi e climatizzatori. Vorrebbe imparare meglio il mestiere e mettere da parte il capitale per viaggiare in Europa, dove i sogni si infrangono sulle coste, o ancora prima di raggiungere il mare. Per questo passa un paio di settimane in Tunisia. Il tempo di essere deportato in Algeria e da lì, come Traorè suo compatriota, gettato nella fascia di deserto che non separa affatto l’Algeria dal Niger. Lui e Traoré mettono assieme i sogni confiscati dal sistema che stima né utile né sopportabile accettare chi non si adegua alle norme stabilite di sparizione programmata dei giovani per luogo di nascita. Ali e Traoré sono tra le migliaia di giovani che inventano, tessono, rischiano sogni non esportabili o delegabili ad altri. Assumono il rischio dell’incomprensione, della persecuzione e financo dell’eliminazione dei giovani che osano un futuro fuori dalle regole stabilite dal sistema dominante. Diventano, malgrado loro, rivelatori di violenza.

La stessa che accompagna da decenni la Democratica Repubblica del Congo, ex Zaire di Moboutu Sese Seko dittatore liquidato poi dai Grandi. Ousmane di 23 anni, imbianchino senza lavoro. Abbandona la capitale dove ha il dubbio di essere inghiottito dal nulla per la nascita in una famiglia numerosa e andare, con un sogno nascosto negli occhi, a sfidare il Mediterraneo. Sarà invece il mare di sabbia, il Sahara, nome che significa, per l’appunto, mare che pone una barriera invalicabile al suo andare. Passato il deserto algerino sarà catturato, spogliato degli averi e imbarcato, assieme agli altri e come pacchi postali sul camion fino alla frontiera di sabbia col Niger. Ousmane e i due ivoriani passano qualche giorno ad Assamaka, saturata con migliaia di migranti espulsi dall’ Algeria, la Tunisia, la Libia e il Marocco. L’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, a nome delle Nazioni Unite, è in difficoltà per accogliere, nutrire e ricondurre i migranti ai rispettivi Paesi di origine. Questa è la ragione per la quale i tre amici hanno raggiunto fortunosamente la capitale Niamey. Scampati dal deserto, Traoré Ali e Ousmane non vogliono chiudere i loro giorni in un labirinto umanitario che assomiglia fin troppo all’anticamera dell’inferno.

I sogni confiscati dal sistema non vanno affatto perduti perché sono come semi che seppelliti nel letame dei potenti, a loro insaputa, crescono e prosperano. Senza darlo a vedere e, ispirati da innumerevoli poeti scomparsi, si sono messi assieme. Stagione dopo stagione e albero dopo albero si è andata formando una foresta che nessuna cartina o rilevamento dall’alto potrà identificare. La foresta dei sogni confiscati offre riparo e cittadinanza alle utopie e a quelle che alcuni bollano come ‘illusioni’. Dentro la foresta si trovano gruppi di bambini che giocano con gli animali e inseguono farfalle di ogni tipo. Al centro del bosco c’è una sorgente d’acqua perenne che disseta i sogni e li affida, come preziosa eredità, al vento cha passa ogni mattina di buonora.


             Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025