POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

giovedì, giugno 29

New National Anthem of Niger (2023) - "L'Honneur de la Patrie"


  L’onore della patria diventa l’inno della Repubblica del Niger
Il precedente si chiamava La Nigerienne ed era considerato come l‘inno nazionale’. Gli anni dell’indipendenza avanzano e il prossimo 3 agosto saranno 63, più della speranza di vita dei cittadini, che si attesta sui 58, donne comprese. L’Assemblea Nazionale, qualche giorno fa, ha ratificato la scelta del nuovo inno che sostituisce ciò che cantavano i bimbi a scuola, prima degli avvenimenti sportivi e nelle molteplici occasioni ufficiali. L’inno soppresso era stato scritto nel 1961 da un compositore francese di nome Maurice Albert Thiriet e sembrava inadatto a rappresentare quanto il Paese ha nel frattempo vissuto.
Lo ricordava lo scrittore inglese George Orwell nella sua opera più conosciuta, 1984. ‘Chi ha il potere sul presente ha il potere sul passato e chi ha il potere sul passato ha il potere sul futuro’. L’idea del nuovo inno, infatti, scaturisce dal malessere di una post indipendenza che l’inno non aveva saputo intravvedere, marcato com’era dallo spirito del tempo. Il testo parlava infatti di ‘fierezza e riconoscenza per la nuova libertà’ come se essa fosse stata il frutto di un prodigo dono del potere coloniale. In un contesto nel quale si sente con una certa insofferenza la presenza del ‘padre-padrone’ francese ciò è apparso inaccettabile.
Il cammino della Repubblica nel contesto di insicurezza generalizzata dei Paesi limitrofi e all’interno del Paese stesso ha spinto i legislatori a creare una commissione che rivedesse testo e musica dell’inno classico per modellarlo sulle nuove sensibilità. Non casualmente, dunque, il testo in questione parla di fratelli e sorelle come figli di una stessa Patria che, per l’onore della stessa, incarnano la forza, la perseveranza e tutte le virtù degli antenati, guerrieri intrepidi, determinati e fieri. La difesa della Patria al prezzo del sangue perché il Niger diventi un simbolo di dignità, come un emblema dell’Africa che cresce.
L’inno termina con l’invito accorato a portare in alto la bandiera del Paese perché sotto il cielo dell’Africa e altrove si costruisca assieme un mondo di giustizia, di pace e di progresso. Allora il Niger, Paese di pace, libero, forte e unito sarà la fierezza dell’Africa. Proprio in questo, secondo gli autori del testo, consiste l’onore della Patria, che offre il titolo all’inno della Repubblica. Una Repubblica fondata sull’onore dovuto ai propri cittadini a cominciare da coloro che ancora non hanno scoperto di esserlo. L’inno nazionale si è dunque trasformato in ‘Inno della Repubblica’ e dunque in un’entità che si vuole fondata sulla sovranità.
Quest’ultima, come dappertutto, è latitante perché confiscata, espropriata o svenduta molto spesso proprio da coloro che avrebbero potuto e dovuto garantirla. La classe politica e quella intellettuale, oltre che quella dei Grandi Commercianti del Sistema di spoliazione e spossesso che ne sono, in realtà, i principali fautori e complici. L’onore, la dignità e la sovranità non sono separabili e costituiscono, assieme, la ragione d’essere della Repubblica in quanto ambito nel quale il bene dei deboli e dei poveri sia salvaguardato e promosso. L’onore della Patria implica il riconoscimento effettivo e, dunque politico, dell’onore riservato a coloro ai quali è stato finora negato. Quando anche i figli dei poveri saranno sovrani e rispettati cittadini della Repubblica, allora l’inno potrà essere cantato senza vergogna.


Mauro Armanino, Niamey, 2 luglio 2023

martedì, giugno 27

ISTA! PISTA! SISTA! di ROBERTO VITTORIO DI PIETRO Alias MOMO SABAZIO

 


Questo il link dove è possibile acquistare il testo

https://www.edizionihelicon.it/index.php/catalogo-completo/product/290-ista-pista-sista

L’autore - Roberto Vittorio Di Pietro, alias Momo Sabazio - è stato insignito del Premio d’Onore per l’Attività Letteraria, Casentino, XXXIV, 2009, con la seguente motivazione: “...per aver dato alla poesia italiana una svolta di intense e inedite plurivalenze, e alla visione saggistica una prospettiva di originali e convincenti profondità esegetiche.”

20,00 €

Larghezza: 200 mm

Altezza: 140 mm

Autore: Di Pietro Roberto Vittorio

Mi scrive l'autore:

Nel caso si volesse conoscere il significato del titolo ISTA PISTA SISTA

Lo scongiuro "ista pista sista" significa, più o meno: "Dio ce ne scampi e liberi!!! Incrociamo le dita!"

 Riferito a tutta la vuota chiacchiera e al tipo di società corrotta che nel romanzo viene presa di mira.: Le ho inviato quella disquisizione (forse troppo lunga e naturalmente illustrata da oggetti di Foggia fallica solo in quanto, per i latini, anche questo costituiva un simbolo con poteri apotropaici) perché, leggendo leggendo, si arriva a leggere un commento sul significato della formula catoniana "ista pista sista" Il mio libro è definito nel sottotitolo "un post-romanzo nonsologiallo". Niente poesia: un " maledettissimo romanzaccio" (così (così James Joyce chiamava il suo "Ulisse") deliberatamente concepito come una sfida alla chiacchiera mediatica e alla cosiddetta "post verità" da cui siamo quotidianamente circondati. Poco meno di 1000 pagine scritte nel 1992 e pubblicate nel 2010.

Roberto Vittorio Di Pietro

Per meglio informarsi, cliccate su questo link:

https://www.romanoimpero.com/2019/04/gli-scongiuri-romani.html?m=1

Per semplificare, riporto quanto trovato sul sito di cui al link sopra citato.

- (4 ) - Un’altra interessante testimonianza in ambito latino di formule incantatorie si riscontra nel “De agri cultura” di Catone il Vecchio, opera nella quale, accanto ai consigli in materia di agricoltura, allevamento del bestiame ed economia domestica, sono ricordate anche alcune ricette mediche (De A. C., CLX):

“Huat hanat huat ista pista sista domiabo damnaustra”,

Sulla seconda formula:

- “Huat” e “haut” sarebbero deformazioni del saluto “(h)ave” (verbo “(h)avere);

- oppure una variante di “haud”, “non”.

- “Istasis” potrebbe essere una contrazione di “instans sis” = “stai fermo”,

- “tarsis” dal greco “tarsos”, osso del piede;

- “sista” (e “pista”) imperativo di “sisto, - ere”, fermarsi.



sabato, giugno 24

Perché chiamiamo Eid al-Adha, Tabaski nell'Africa nera? Editoriali

Perché chiamiamo Eid al-Adha, Tabaski nell'Africa nera?

Il Eid al-Adha (in arabo عيد الأضحى, "festa del sacrificio") o Aīd al-Kabīr (العيد الكبير "la grande festa" in contrapposizione a Eid al-Fitr chiamato eid el-seghir, o piccolo eid), è la festa più importante dell'Islam. Lei è chiamata Tabaski nei paesi dell'Africa occidentale e centrale (Ciad, Camerun) con una grande comunità musulmana. Si svolge il 10 del mese di dhou al-hijja, l'ultimo mese del calendario musulmano, dopo waqfat Arafao stazione sul monte Arafat e segna ogni anno la fine del hajj.

ilEid el-Kebir è chiamato il Tabaski in Senegal e negli altri paesi dell'Africa occidentale francofona (Guinea, Mali, Costa d'Avorio, Benin, Burkina Faso, Togo, Niger, Camerun) e ad esempio in Nigeria. Nel Nord Africa si chiama Tafaska tra la tradizione del Maghreb Amazigh mentre gli altri berberi, in arabo, usano il nome arabo. In Turchia, è chiamato Festa del sacrificio e nei Balcani, Kurban Bajram.

In francese si usa anche il termine festa delle pecore.

Ma è la parola Tabaski, mutuata dai Wolof, ad avere maggior successo nei paesi dell'area sudanese-saheliana, dal Senegal al Ciad, passando per Mali, Burkina e Niger. Il che non sorprende se si sa che i Wolof adottarono l'Islam nell'XI secolo e che il Senegal, beniamino della colonizzazione francese, è stato il punto di riferimento della regione per diversi secoli. 

L'Islam, come in molti altri luoghi, si è adattato alle circostanze locali. La struttura altamente gerarchica delle confraternite e il peso dei marabout sono quindi un riflesso della società tradizionale di Wolof. Questo fenomeno di acclimatazione è molto chiaro a livello lessicale. In Senegal, i festival hanno i nomi di Wolof e il calendario islamico è stato completamente "Wolofized" Origine negro-egiziana della parola Tabaski / Tafaska / Pasqua, conservata nel giudaismo, nel cristianesimo e quindi nell'islam:

Secondo l'articolo di Dominique Mataillet dal sito web Jeune Afrique: "

Per tornare a Tabaski, gli storici concordano nel confrontare questa parola con tifeski, il nome della primavera in Mauritania. Secondo un autore molto serio, il professor Raymond Mauny, che ha ricoperto una delle prime cattedre nella storia dell'Africa in Francia, la parola tabaski proviene da berbero che conferma il riavvicinamento con la Mauritania, poiché i Mori sono essenzialmente Tuareg arabizzato dove sarebbe stato ispirato dal latino pasqua, "pasqua", esso stesso dall'ebraico pesakh. Questo ci ricorda che una parte dei berberi è rimasta a lungo fedele alla religione ebraica.

La spiegazione sarebbe ancora più lunga, ma mi fermo qui. 


TIRANNIE SENZA TIRANNI: UNO SGUARDO DAL SAHEL di P. MAURO ARMANINO



Tirannie senza tiranni: uno sguardo dal Sahel


La settimana prossima qui si festeggia la Tabaski o la festa del capro. Le strade più frequentate già si ornano di inconsapevoli montoni che saranno sgozzati, ripuliti, messi allo spiedo per la cottura e infine consumati in famiglia. L’atto del sacrificio si vuole come memoriale di quello di Abramo sul figlio Isacco (o Ismaele secondo il Corano), infine sostituito, appunto, da un capro. Solo che oggi, ad essere sacrificato, è il popolo dei poveri.



Tiziano Vecellio: sacrificio di Isacco

 Sono spesso i contadini assediati dai gruppi armati in nome di Dio, i migranti e rifugiati, condannati ad errare da un luogo all’altro perché osteggiati, respinti, deportati o semplicemente cancellati dalla sabbia. Oppure i carcerati ammassati a decine nelle prigioni, gli ammalati senza poter pagare le ricette o il posto letto e i giovani coi bambini scippati del futuro. Questi e altri sono sacrificati dalle politiche che privilegiano i commercianti, i faccendieri di ogni sorta e le persone in simbiosi col potere. Sacrificati nelle statistiche delle ‘macroeconomie’ che ci si ostina a mostrare come segno della crescita del Paese.  Sacrificati al saccheggio delle materie prime, dal commercio di armi, droga e persone. Capri d’oggi che si comprano sulle strade e il cui prezzo si negozia a seconda del peso e le dimensioni dell’animale.
C’è stata un’epoca nella quale identificare il tiranno sembrava facile. Lo si vedeva da vicino e aveva il volto del latifondista, del truffatore inveterato, del politico di circostanza o del dittatore i cui slogan erano stampati o disegnati sui muri dei paesi e delle città. C’erano personaggi ben noti per i quali incollare un nome e un indirizzo era ancora possibile. Il male sembrava circoscritto, localizzato e il cambiamento relativamente facile: abbattere il tiranno perché il mondo riprenda il suo corso abituale. Accadeva spesso, peraltro, che ad un tiranno ne seguisse un altro oppure che il mondo tanto agognato rassomigliava paurosamente a quello appena abbattuto.
 Oggi tutto sembra più difficile perché alla tirannia non corrispondono più i volti o i nomi ma un sistema. Sembrano come tirannie senza tiranni che funzionano perché hanno imparato a memoria i meccanismi di funzionamento della dominazione globale. Vero, sappiamo i nomi delle famiglie e delle banche di notazione che incarnano il potere finanziario. Le sedi dei ‘think-tank’ che governano il pensiero le scelte dei politici. La strategia delle multinazionali delle armi che convincono alla calma i più riottosi. Conosciamo bene le scuole e le università dove si sono formati e i gruppi di potere a cui appartengono per regnare. Potremmo persino citare i luoghi dove passano le vacanze e il tipo di Dio che credono di tenere in ostaggio per garantirsi la tranquillità dell’anima.
In fondo sono gli stessi che sacrificano i poveri del loro popolo come si fa coi capri della festa prossima ventura. La tirannia non ha più bisogno di tiranni solo perché essi, da tempo, si sono bene accomodati dentro di noi. Il primo passo per riconoscerli e buttarli fuori sarà quello di riassaporare l’amaro gusto della libertà e camminare insieme nel deserto come mendicanti di verità.

         Mauro Armanino, Niamey, 25 giugno 2023

Ndr: Nel prossimo articolo pubblicherò un testo che chiarisce il significato del termine Tabaski.

mercoledì, giugno 21

IZABELLA TERESA KOSTKA - parliamo un po' di lei! Editoriale di DANILA OPPIO


Iza con il suo amato Elvis





E dopo questa breve galleria fotografica della splendida IZA quasi sempre in compagnia di ELVIS, desidero presentare uno dei suoi libri, quello per il quale ho scritto una mia recensione:


Impressioni sulle poesie di Izabella Teresa Kostka raccolte in: 

SI DISSOLVONO LE ORME SU QUALSIASI TERRA

Le composizioni poetiche, nate dall’anima sensibile della poetessa, non vanno lette velocemente, poiché offrono spunti di meditazione che toccano nel profondo. Leggendo la prefazione di Mariateresa Bocca, mi chiedo quali altre parole potrei aggiungere, su quanto ella ha egregiamente sviscerato, ma ci provo.

In STARO’ ALLA TERRA COME LA NEVE, l’autrice parla di sé, e della speranza che vorrebbe diffondere all’umanità. 

Con SANGUE DI EVA si rivolge alle donne che hanno subito violenza, e si evince la sua sofferenza, che esalta nella chiusa: Non c’è più pace su questa Terra impregnata di dolore e di sangue di Eva.

L’autrice si rivolge a MARIA, che fu straziata dal dolore per la crocifissione del Figlio, con queste parole: “Benedetta tu sia nel materno dolore!”.  E, quasi il seguito della precedente, nei versi Il CUORE, conclude: “Il cuore agonizza al buio, distante da ogni chiasso, avvolto nella sindone dell’orfano lenzuolo”. 

SULLE SPONDE DEL MARE, mi ha particolarmente colpito: si incontra Amore che porta per mano Affetto. 

E chiede RACCONTAMI di te, e la vita racconterà di noi al tempo del vespero, mentre svaniremo come fiocchi di neve gennaiola.

OGGI, che Izabella ha dedicato alla sua amatissima madre, tra gli altri versi, mi hanno toccato questi: “due donne provate dallo stesso destino, due guerriere sopravvissute all’assenza del padre.

MANTRA: e fiorisco, ora, sulla terra straniera, tra i versi sparsi e sempre diversi (...) “Ti venero, Speranza!”.

QUANDO MORIRAI...”moriranno gli occhi miei, come una rondine caduta a terra”. 

MI ABITUERO’ AD AVERTI ACCANTO chiude con “Svaniranno le aurore coperte da una sindone di oblio”. 

SVANIRO’ ...E svanirò nel candore della fresca brina...

L’ULTIMA SBORNIA: T’insegnerò la vita, agonizzando silente dall’ultima sbornia. 

SAPESSIMO SOLTANTO...ove porta quell’inquieto tragitto chiamato Vita.

MEMENTO...sepolcri guardiani dell’eterna mancanza.

Non ho inteso tracciare un elenco di titoli e versi estrapolati dalle liriche dell’autrice, senza che avessero un senso logico.  Questo mi ha aiutato a penetrare nel profondo l’intensa umanità della Kostka, laddove una profonda malinconia conduce il suo pensiero alla morte, a quel destino cui tutti, prima o poi, tendiamo. Ma, intanto, viviamo, e nella nostra esistenza, tocchiamo con mano il dolore. Izabella lo descrive in molteplici modi: la violenza perpetrata sulle donne ma anche a causa delle guerre, degli abbandoni che lacerano il cuore.

Ne ho assaporato lo struggimento che avvolge l’anima dell’artista, l’ho fatto mio, e ancor più ne sono ammirata, poiché non è facile, con scarni versi, descrivere un mondo interiore. 

Le liriche dell’autrice non seguono i canoni classici della poetica: metrica o rime, credo vadano affiancate ai poemi prosastici di Baudelaire, che contengono musicalità e forza dirompente. Mi piacerebbe definirle “urla soffocate” che echeggiano nel grembo della Speranza. 

Danila Oppio

In breve qualche notizia su di lei:

Italian and polish writer, poet, event organizer and conductor, freelance journalist, musician

Founder coordinator "Verseggiando sotto gli astri di Milano" presso Verseggiando sotto gli astri di Milano - programma culturale internazionale

Creative Writer Poet presso Realismo terminale

Redattrice presso Alessandria TODAY di Pier Carlo Lava e mensile Bezkres

Autore presso https://izabellateresakostkapoesie.wordpress.com, presso KIMERIK Editore, CTL Editore, Irda Edizioni, Antologica Atelier Edizioni, Realismo Terminale presso Arte e scrittura

Writer, Poet presso Casa Editrice Kimerik

IDEATRICE E COORDINATRICE GENERALE del programma VERSEGGIANDO SOTTO GLI ASTRI... presso Verseggiando sotto gli astri di Milano - programma culturale internazionale

Giornalista Freelance per WordPress, fondatrice e redattrice del blog VERSO - SPAZIO LETTERARIO INDIPENDENTE presso WordPress.com

Organizzatrice, presentatrice eventi, ideatrice e socia co - fondatrice presso GRUPPO PER LA DIFFUSIONE DELLA CULTURA E DELL'ARTE " VALCHIRIA " presso Organizzazione Eventi Culturali

Alessandria Today, giornalista culturale freelance presso Collaboratore giornalista

Brand Ambassador Ambasciatrice del Realismo Terminale per la Polonia presso Realismo terminale

Traduttrice Freelance

Ideatrice, fondatrice, organizzatrice e presentatrice del "VERSEGGIANDO SOTTO GLI ASTRI DI MILANO" presso Cerifos - Centro di Ricerca e Formazione Scientifica

Ha studiato Pianoforte presso Akademia Muzyczna im. Karola Szymanowskiego w Katowicach

Ha studiato Pianoforte classico presso Akademia Muzyczna im. Ignacego Jana Paderewskiego w Poznaniu

Vive a Milano


BEZ-KRES rivista letteraria polacca, dove sono pubblicate quattro poesie di DANILA OPPIO tradotte da IZABELLA TERESA KOSTKA nella sua lingua

Oggi ho ricevuto la splendida notizia da parte di Izabella Teresa Kostka, che ha tradotto quattro mie composizioni poetiche in lingua polacca e che saranno pubblicate sul numero di luglio del mensile polacco di cultura e letteratura "Bezkres/ Infinito", nella sezione dedicata alla poesia italiana contemporanea, Izabella scrive:  ospito con immenso piacere le poesie di Danila Oppio . Mi complimento con l'autrice per lo spessore del suo pensiero poetico e ringrazio la Redazione per l'attenzione dedicataci. Tutti i testi in originale italiano con la traduzione in polacco. Attualmente in stampa.

Le rispondo:

Carissima Izabella, sono molto felice per la pubblicazione sulla rivista Bez-kres, ti ringrazio immensamente per esserti occupata della traduzione in lingua polacca, e per avermi interpellato riguardo all'invio delle mie composizioni poetiche, che dimostrano un tuo gentile apprezzamento alle mie opere. A presto e grazie ancora della tua grande disponibilità. Un forte abbraccio

 Danila


La copertina della rivista








Mi spiace non essere riuscita ad inserire meglio i testi ma lo spazio offerto dal Blog non mi permetteva di utilizzare gli originali, così ho dovuto ridurre e poi usare gli strumenti per le immagini. Ringrazio ancora la poetessa e organizzatrice di eventi Izabella Teresa Kostka per la sua traduzione e per avere creato lo spazio a me dedicato sulla rivista in oggetto.
Di lei parlerò ampiamente nel prossimo articolo. 

Danila Oppio

sabato, giugno 17

PER POI MORIRE A NIAMEY di P. MAURO ARMANINO


Per poi morire a Niamey

John è morto all’età di 19 anni di tubercolosi nel campo di Hamdallaye. Appena quattordicenne aveva abbandonato il Sudan del Sud perché, dalla sua nascita, non aveva conosciuto nient’altro che la guerra. Voleva un mondo che non aveva mai visto prima e del quale le immagini lo seducevano per scappare lontano. Raggiunta infine la Libia, con altri compagni di viaggio, non ha potuto evitare di essere imprigionato e ridotto in schiavitù nei campi di detenzione libici che l’Europa finanzia. Ivi diventa maggiorenne finché, per accordi umanitari, arriva a Niamey e soggiorna per un paio di settimane nel campo di transito per i rifugiati. Il villaggio che ospita il campo si chiama Hamdallaye, nome arabo che significa ‘ Lode a Dio’e si trova a una trentina di kilometri dalla capitale. Affetto di tubercolosi soccombe alla malattia nel campo di transito che lo ha accolto per il viaggio definitivo nel cimitero cristiano di Niamey. La tomba è stata scavata il mattino stesso della sepoltura che si è celebrata alla presenza di alcuni compagni di viaggio e vari operatori dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Il feretro semplice ed essenziale, con quattro piccole maniglie, e poi la terra a coprire il corpo di John, nome che vuol dire ‘Dono di Dio’.

Questo venerdì mattina, giorno della sepoltura, a Niamey era sereno dopo la pioggia dei giorni scorsi, attesa e temuta come accade nel Sahel. Accanto al feretro di John, nell’atrio adibito per le preghiere prima della sepoltura, stavano in silenzio alcuni eritrei, sudanesi e originari del Camerun che lo hanno accolto per i pochi giorni di vita che gli rimanevano. Era arrivato ammalato per le condizioni di vita disumane nei campi di detenzione in Libia. Prima che l’assistenza medica potesse intervenire John è partito altrove onde raggiungere l’unica patria che non ha territorio, bandiera o esercito che difenda le frontiere. Dal Sudan del Sud, ultimo nato nel consesso dei popoli per la secessione dal Grande Sudan, John ha terminato l’esodo nel Niger. La sabbia del cimitero cristiano di Niamey l’ha accolto senza fare distinzioni, discriminazioni o differenze. La tomba vuota è stata riempita dal feretro e poi dalla sabbia ancora fresca perché scavata di prima mattina da due volontari. Il canto a voce sommessa di un eritreo ha dato il tono alla semplice preghiera di commiato. Da una patria abbandonata per la guerra all’altra senza documenti di viaggio perché nascosta da qualche parte agli occhi profani dei potenti che fanno le guerre. 

La sua famiglia è stata informata dell’ultimo viaggio di John, partito in fretta senza prima conoscere la destinazione del viaggio.


     Mauro Armanino, Niamey, 16 giugno 2023

Ndr: L'eterno riposo dona a lui o Signore, e splenda a lui la luce perpetua, riposi in pace. Amen

Che sia eterno riposo anche per tutti i migranti annegati nel Mediterraneo vicino alla Grecia. Dicono che il peschereccio su cui viaggiavano portasse dai 600 ai 750 migranti. Non so come potessero starci tutti, e un centinaio di bambini erano stipati nella stiva del natante. Solo poco più di un centinaio di persone sono state portate in salvo.

Da ANSA: 

Passano le ore e il mare non restituisce altri corpi dopo i primi 78 riportati mestamente sul molo di Kalamata mercoledì. Ma il naufragio a Pylos, nel sud del Peloponneso, è ormai destinato ad entrare nella storia come una delle peggiori tragedie di migranti nel Mediterraneo con un bilancio che rischia di registrare "fino a 600 morti", molti dei quali non saranno mai ritrovati. E a diventare una vera e propria strage di bambini. Ce n'erano "almeno 100 chiusi nella stiva", raccontano i superstiti ai medici e ai volontari che li assistono. "Secondo le testimonianze, al momento dell'incidente molte donne e bambini stavano dormendo", Ha dichiarato Christina Nikolaidou, responsabile della comunicazione dell'Oim Grecia.

Il peschereccio Adriana naufragato, secondo i soccorritori è partito vuoto dall'Egitto, si è fermato nel porto libico di Tobruk per caricare i migranti e poi ha proseguito la sua rotta verso l'Italia.

Che Dio li accolga nella sua Gloria!

sabato, giugno 10

Facciamoci un paio di risate: Betty Boop io? Ma anche no!!! Danila Oppio

 Mi è arrivata in una foto pubblicitaria questa maglietta, molto divertente:

Non mi rappresenta per niente, ma il personaggio di Betty Boop è davvero carino! 




 Un po' di fiori del mio giardino (giugno 2023)


Gelsomini


altri gelsomini

ancora gelsomini e altre  piante


gelsomini, acacia japonica, e mahonia


Pruno con susine non ancora mature

Nocciolo contorto


Altra piccola galleria delle opere di NORMA TROGU

 

CARACOLES


GIOCANDO CON VELASQUEZ


IL TEMPO DELLE MELE?


VOLARE 


BESOS


LE VITE BRUCIATE NEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO

Harraga - dipinto di Khetib  Sid Tlemcen

Le vite bruciate del Sahel

Li hanno trovati carbonizzati a qualche chilometro da Madama, nel deserto nigerino che lambisce quello della Libia. Sei migranti che l’incendio del veicolo che li trasportava ha ridotto in cenere e che i militari nigerini, accorsi sul posto, non hanno potuto identificare. Poco lontano dai resti giacevano, feriti dalle fiamme di un altro veicolo, altri dieci migranti. Vite bruciate di giovani che la saggia follia del miraggio di un futuro altro, ha buttato lontano dalle piste conosciute dagli autisti delle camionette. Questi giovani bruciati sono metafore di quanto, da troppo tempo ormai, accade nel Sahel e nel Continente.

In Algeria li chiamano gli ‘Harraga’ che, nell’arabo maghrebino, significa ‘coloro che bruciano’ (i propri documenti). Si tratta di giovani adulti che, in assenza di prospettive d’avvenire, sono spinti ad abbandonare l’Algeria con tutti i mezzi possibili, spesso con imbarcazioni di fortuna. La costa spagnola dista a circa 200 kilometri dalla costa algerina e sono in tanti ad aver tentato il viaggio della vita che non raramente, porta alla morte. Lo stesso nome è ripreso in Tunisia che, vista la cronica instabilità della Libia, sembra essere diventata il più importante luogo di partenza per i migranti che ‘bruciano i documenti’, gli Harraga.

Tunisini, algerini, senegalesi, guineani, maliani e rifugiati dalle guerre del Corno d’Africa, il Sudan, il Congo Democratico e altri Paesi, bruciano per andare altrove. Troppo spesso, infatti, si sentono intrappolati da stati autocratici nei quali la censura, la miseria e la disoccupazione spingono i giovani a rincorrere un futuro confiscato per sempre. Molti scelgono la lotta col mare, col deserto e soprattutto col destino che altri hanno firmato per loro. C’è un crescente senso di disperazione che, come un vento impetuoso, porta lontano, sempre più lontano le speranze. C’è chi brucia dentro per inseguire il desiderio di vivere, c’è chi brucia i documenti e chi, come accaduto la settimana scorsa, brucia nel deserto. 

Pazzi, profeti, esagerati, irresponsabili o forse semplicemente giovani con la fiamma che brucia frontiere, documenti, permessi di transito e leggi che dovrebbero proteggerli. Nel passato erano i militari che, in buon ordine, scortavano i migranti in Libia perché potessero lavorare il tempo necessario per aiutare la famiglia in patria. Arrivarono le leggi, le frontiere di esportazione nuove di zecca, con l’incriminazione e l’arresto degli autisti e di quanti favorivano la migrazione. Il risultato, ancora parziale, sono centinaia di morti nel deserto (528 persone in un trimestre, secondo un recente rapporto dell’Organizzazione Internazione per le Migrazioni, OIM). D’altronde l’organizzazione ‘Border Forensic’, in un documento pubblicato il mese scorso, indica che i migranti, su piste isolate, hanno scarse possibilità di sopravvivenza nella traversata del deserto.  

Ritorna in mente lo scritto di un poeta turco di nome Nazim Hikmet…’Che io bruci/ che cenere io diventi/ come Kerem/ se io non…/ se noi non bruciamo/ come le tenebre diventeranno luce’?

Nazim Hikmet 

                  Mauro Armanino, Niamey, giugno 2023



mercoledì, giugno 7

DAL SITO DI SUSANNA TAMARO con commenti e aggiunte di DANILA OPPIO

 


Dal sito di Susanna Tamaro

https://www.facebook.com/susannatamarofficial

Qualche giorno fa ho scritto un lungo articolo sul Corriere, “Siate liberi. Leggete (anche il Verga)”, per spiegare la manipolazione avvenuta, grazie a un titolo infelice, su quanto da me detto al Salone del Libro. Articolo che però non è stato neppure diffuso dalle agenzie di stampa, come era stato fatto con l’intervista incriminata, lasciando sul web solo gli anatemi e gli insulti nei miei confronti. 

Per porre termine a questa deprimente e inutile polemica riassumo brevemente la questione.

Si trattava di un’intervista video rilasciata nel caos del Salone del Libro e l’argomento era sulla difficoltà di far leggere libri ai ragazzi dopo la scuola. Dato che scrivo libri per bambini dal 1991, ho un po’ il polso della situazione, anche se non sono insegnante. Le scuole primarie, con l’aiuto delle biblioteche, fanno un ottimo lavoro e rendono i bambini appassionati lettori. Nelle medie continua un po’ quest’energia anche se un po’ in stallo, mentre alle superiori tutto si spegne e quando uno finisce gli studi, in linea di massima, l’ultima cosa che pensa di fare è di andare in libreria. Non c’è più alcuna curiosità nei confronti della parola scritta, a meno che siano prodotti di influencer o di fenomeni nati e cresciuti sui social. 

Allora mi sono chiesta, come mai succede questo? E sono andata ai miei penosi anni scolastici in cui mi era stata fatta odiare la letteratura. Per innamorarmi del Leopardi ho dovuto aspettare i trent’anni, per Manzoni i cinquanta. Non ho mai detto di odiare il Verga - le parole ‘odio' o ‘disprezzo' non appartengono al mio lessico né alla mia natura - ma che la scuola italiana fa odiare la letteratura, aggiungendo anche che, naturalmente, un insegnante appassionato può ribaltare questa situazione, ma che nella media questo non avviene e che la noia e il risentimento spesso offuscano la qualità stessa degli autori più importanti, avvilendoli.

Questo avevo detto e questo è quello che penso. Suggerendo che forse sarebbe giusto iniziare a riflettere su questa situazione o sul metodo stesso di insegnamento della letteratura.

Alla fine dell’intervista, già in piedi - avete visto il caos che c’è al Salone? - la giornalista mi ha chiesto: “Allora cosa farebbe leggere ai ragazzi per avvicinarli alla lettura?" E io che sono una persona che ama la leggerezza e i paradossi, ho risposto "Magari anche Va’ dove ti porta il cuore”. Era una battuta naturalmente detta da una persona Asperger che non considera di avere davanti plotoni di mitragliatrici virtuali pronte a trivellarla di insulti e anatemi.

Trovo che la letteratura, ora più che mai, sia un’àncora di salvezza perché permette di sfuggire alla omologazione dei media. E la letteratura non si può imporre come dovere ma solo suggerire come scoperta e come piacere. Concordo con quello che dice la gentile lettrice del Piccolo di Trieste di oggi in una bella lettera sul senso della letteratura: leggere i libri di Verga è come entrare in un quadro di Segantini; è meravigliosamente vero ma, per capirlo, bisogna essere portati per mano dagli insegnanti che lei ha avuto negli anni 70 al liceo classico. 

Personalmente penso che ogni libro sia un po’ come una grotta di Aladino: si deve entrare da un pertugio, pensando di trovarsi in un antro oscuro, per poi scoprire, camminando, che quell’oscurità nasconde un gran numero di pietre preziose che ci illuminano e faranno sempre parte della nostra vita.

In questi giorni ho approfittato della polemica per prendere in mano 'Storia di una capinera', l’opera prima di Verga che ancora non avevo letto e mi sto perdendo nelle meravigliose descrizioni della natura e delle passeggiate alle pendici dell’Etna e nelle sofferenze di una ragazza che scopre tutti i caotici movimenti interiori del primo amore.

Mio  commento

Bello quando dice Susanna Tamaro. Un modo gentile e chiaro per sottolineare il comportamento di certa gentucola che ama travisare le parole altrui, modellandole a proprio piacere o comodo. Resta evidente che se gli insegnanti non sanno far amare la lettura e gli autori dei testi, per gli studenti diventa noia immensa. E magari solo da adulti comprenderanno cosa hanno perso!

Nota: 

La Tamaro ha affermato che soffre della “Sindrome di Asperger” che prende il suo nome dal medico austriaco Hans Asperger, che per primo ha identificato, studiato e descritto un gruppo di bambini con particolari comportamenti nell’interazione sociale, nelle abilità comunicative e negli interessi.  

È stata inserita, per la prima volta nel 1994, nel DSM IV Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, come sottocategoria dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. Con l’introduzione del DSM-5 (2013) si sono apportate delle modifiche all’inquadramento nosografico di tali disturbi e la sindrome di Asperger è stata inserita all’interno di un’unica categoria diagnostica definita Disturbi dello Spettro Autistico.

I soggetti con sindrome di Asperger non hanno disabilità intellettiva, bensì una discreta capacità di autonomia senza necessità di un supporto intensivo. Dal punto di vista delle caratteristiche cognitive/personali presentano principalmente un ritardo nella maturità e nel pensiero sociale, difficoltà nel controllo e nella comunicazione delle emozioni, insolite capacità linguistiche che includono un ampio vocabolario e una sintassi elaborata ma con capacità di conversazione immature, in quanto si appoggiano spesso a regole e rituali ripetitivi e insistenti.

È proprio nell’ambito del loro profilo insolito nelle difficoltà di apprendimento, nei loro interessi atipici per argomento e intensità, nella fragilità sensoriale e nello sfinimento fisico ed emotivo causato dalla socializzazione che interviene la Fondazione, supportandoli nello sviluppo e acquisizione di capacità adattive e accompagnandoli gradualmente verso un futuro d’Indipendenza! 

18 dicembre 1957, il giorno del battesimo di Susanna, nata il 12 dicembre 1957.

Lei scrive: madrina era la zia Letizia, che mi tiene in braccio urlante.  Suo padre era nato il giorno dopo, il 19 dicembre. Sagittario come me. Il suo nome era Ettore, ma nel mondo è più conosciuto come Italo Svevo. La letteratura? Un destino di famiglia. 

Quindi prozio di Tamara. Quante cose si imparano a leggere!!Il sito della Tamaro è molto interessante, perché sei osserva da vicino la natura e, oltre a dire su questo argomento, sappiamo che è anche una grande lettrice e scrittrice.

sabato, giugno 3

IDENDITÀ IN ESILIO A NIAMEY di P. MAURO ARMANINO

Assamaka frontiera del Niger

  Identità in esilio a Niamey

Un Paese ricco per gli altri e poi l’ennesimo colpo di stato. La Repubblica Centrafricana, inchiodata nel cuore dell’Africa sub sahariana, continua a tutt’oggi a esportare materie prime e rifugiati. Uno di questi chiamato Hassan, dopo aver perso entrambi i genitori appena quattordicenne, parte in esilio con una conoscente nel Mali. Da questo Paese, in pieno Sahel, domanda e riceve lo statuto di rifugiato in Mauritania. Fattosi sorprendere in una zona aurifera di questo Paese, Hassan, senza nessuna formalità è espulso nel vicino Senegal. Prova, senza alcun risultato, a ottenere lo statuto di rifugiato nella capitale Dakar. La domanda è respinta adducendo il fatto che il giovane, ormai diciottenne, già godeva di protezione umanitaria in un altro Paese. Allora Hassan, senza darsi per vinto, per vie traverse raggiunge il Marocco e, a Casablanca, conosce una signora del posto che gli propone di lavorare nel suo ristorante per stranieri. 

Hassan accetta di seguirla in Algeria, nella città di Oran, dove lei gestisce un altro ristorante. Tutto va per il meglio per un paio d’anni finché, per avere i propri documenti aggiornati, viaggia nella capitale Algeri. Mentre si trova in strada per raggiungere l’apposito ufficio delle Nazioni Unite, è arrestato dalla polizia perché senza documenti validi, derubato da tutto quanto portava su di lui e deportato, con altre decine di persone, sino a Tamanrasset. Dopo qualche giorno di soggiorno nell’apposito centro di transito, Hassan è imbarcato, con altri compagni di sventura, nel camion fino alla frontiera col Niger. Migranti, rifugiati, richiedenti asilo, esuli, viaggiatori, commercianti, trafficanti, cercatori d’oro e di sabbia, tutti messi assieme a migliaia e parcheggiati nella città frontaliera di Assamaka, nel Niger. Il tempo di essere registrati dalle autorità e poi ‘consegnati’ all’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, per un rimpatrio ‘volontario’.

Hassan, nato all’alba del nuovo millennio, ne incarna le innumerevoli contraddizioni. Dei suoi 23 anni di esistenza una decina sono partiti in esilio cominciando dalla sua patria, più matrigna che madre. Si trova, grazie alla complicità dell’OIM, in un luogo di transito che dovrà abbandonare perché non ha la minima intenzione di tornare al Paese d’origine nel quale nessuno più l’aspetta. Conta di chiedere il riconoscimento come rifugiato a Niamey, cosa altamente improbabile visto che lui era già stato schedato come tale in Mauritania. Non riconosciuto come migrante dall’OIM tenterà di presentare la domanda come richiedente asilo nel Niger, con esigue speranze che la sua domanda sia presa in considerazione. Hassan porta in sé una cartina geografica dove le frontiere e i documenti di identità riconosciuta, nascosta o trasformata a seconda delle circostanze, ridisegna la sua vita. Ormai da anni l’identità di Hassan è in esilio umanitario perché la guerra prima e i documenti dopo, l’hanno prima creata e poi tradita. Hassan afferma di non voler più tornare al suo Paese natale.

                   Mauro Armanino, Niamey, giugno 2023