POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

domenica, gennaio 31

IL TEMPO DELLA DIPLODOCO di RENATA RUSCA ZARGAR

 


Il tempo della Diplodoco

di Renata Rusca Zargar

L’aria si tingeva di rosso. Da poco discosto giungevano i prolungati e vigorosi richiami del branco che si allontanava pigramente nella prateria.

La femmina di diplodoco, con il lungo collo teso nello sforzo e la coda sollevata, invece, stava deponendo dolcemente le uova, un centinaio circa, in una spaziosa buca al limitare della foresta di sequoie. Concluso il suo compito, ricoperta la fossa con terriccio e fogliame del sottobosco, si era avviata pian piano a raggiungere gli altri.

I suoi compagni stavano ingurgitando grandi quantità di felci che ricoprivano ogni angolo di quella terra fertile e umida.

La diplodoco, dunque, si era riunita al branco e aveva ripreso a spezzare rami con i denti, ingollandoli interi insieme ai sassi gastroliti che l’avrebbero aiutata nella digestione.

Poi, con la calma derivante dalle dimensioni e dalla necessità di poggiare sempre almeno tre zampe al suolo, gli animali si erano avvicinati al fiume. Il loro muso verdastro, un po’ aguzzo, s’immergeva nell’acqua limpida che scorreva spumeggiando tra le pietre. Indi, alzando la testa e schioccando la lunghissima coda, essi emettevano un energico mugghìo.

Improvvisamente, però, un acre odore di fumo e di legno bruciato si era sparso nell’atmosfera mite del mattino: il fuoco era giunto da molto lontano e aveva incendiato la vicina selva di conifere! Il panico si era impadronito delle bestie che tentavano di fuggire disperatamente dal pericolo.

Le lingue di fuoco avanzavano veloci, attaccavano le foglie secche del tappeto erboso, i rami degli alberi, i grandi tronchi: tutto intorno era un crepitare di braci e tizzoni ardenti! L’aria si era fatta densa e irrespirabile.

Il branco fuggiasco allungava le gigantesche zampe alla ricerca di un luogo in cui ripararsi, ma già le fiamme avevano raggiunto i capi più deboli che abbrustolivano, emettendo i loro ultimi lamenti: prima bruciava la lunga coda, poi l’enorme corpo… Ancora e ancora il fuoco sovrastava impietoso e consumava altri compagni…

La mattina dopo, un’alba nebbiosa si era levata sulle carcasse fumanti: decine e decine di animali avevano concluso il loro cammino terrestre e tra loro giacevano anche le ceneri della femmina che aveva da poco deposto le uova.

Perduta la madre e il branco di provenienza, le uova, al contrario, salve in un lembo di terra che non era stato toccato dalla tragedia, dovevano riposare ancora sotto il fitto strato di humus e foglie che le proteggeva.

La vita, all’intorno, continuava animata come sempre.

Gli altri dinosauri, per la maggior parte erbivori, transitavano nelle vicinanze alla ricerca del cibo.

Una mattina, un ornitolestes, carnivoro invece, aveva visto spuntare dal fogliame qualcosa di chiaro. Il suo grido di vittoria si era librato nell’aria: le uova di diplodoco erano per lui una vera leccornia! Parecchi compagni erano accorsi: i gusci si spezzavano cricchiando sotto i loro rapaci denti mentre brandelli di gustosa giovanissima carne in formazione nelle uova stesse veniva inghiottita con avidità.

Concluso l’attacco, non restava che un solitario ovetto, un poco più piccolo, che si era trovato distante dal resto della nidiata.

E, infine, il momento della nascita era giunto: spezzato il guscio, una diplodoco di pochi centimetri era sbucata con il capo dalla sterpaglia e subito si era avviata verso la foresta con le sue zampotte corte e un abbozzo di coda, ansiosa di scovare un nascondiglio ove crescere in pace.

Le piccole tenere felci facevano già gola al suo esuberante stomaco così che la crescita (due o tre chili al giorno) era assai veloce.

Ma il tempo solitario, anche per una diplodoco, era piuttosto noioso: erbe sempre uguali, un misero ruscello, nessuna presenza di una madre a mugghiare nelle vicinanze e molti pericoli in giro che non le permettevano di porsi in cammino all’esplorazione del mondo.

Un pomeriggio, mentre il sole friggeva alto nel cielo ed essa, che ormai aveva un anno, cercava ristoro nelle onde di un canale chiacchierino, un essere alato grigio, non molto grosso, era volato fino a lei e si era posato sulla sua groppa grinzosa. Era un simpatico pterosauro femmina che, come tutti gli esemplari della sua specie, usava vivere sul dorso dei diplodochi, nutrendosi di insetti.

Eppure, ancora, il tempo sembrava trascorrere identico: mangiare, riposare, bere… Così, insieme, una fresca mattina, le due giovani amiche si erano avventurate per un largo sentiero che fiancheggiava il ruscello.

Più avanti, si stendeva l’ampia prateria che la diplodoco non aveva mai visto: bassi cespugli giallastri inariditi e calpestati dai branchi che si confondevano, all’orizzonte, con una corona di cime scure per la distanza.

Ammaliata dalle novità della scena, essa non aveva notato che si stava pericolosamente avvicinando a uno stegosauro, subito furibondo per l’intrusione. Il sangue era affluito, per la rabbia, alle placche dorsali del mostro ed esse erano divenute rosse e screziate mentre la coda, ricoperta di letali punte ossee, volteggiava nell’aria. Ma la pterosauro aveva svolazzato davanti al muso dell’amica tanto che, infine, essa aveva capito e aveva cambiato direzione, sfuggendo, per un pelo, a un tremendo colpo di coda e continuando altrove l’itinerario.

“Certo, il mondo è assai spaventoso, – pensava la diplodoco- e io non ho nessuno che mi insegni come comportarmi. Anzi, non sapevo proprio che esistessero esseri tanto colossali e terrificanti! Nella mia foresta tutto sembrava tranquillo, il sole occhieggiava tra i rami, il cibo era abbondante… Tornerò là.”

La strada, però, ora sembrava lunga e ignota. Frattanto, il cielo si era paurosamente oscurato, grosse gocce di acqua avevano iniziato a cadere violente, da dietro le attigue colline giungeva il brontolare dei tuoni e i fulmini saettavano impietosi tra cielo e terra.

Dove nascondersi?

Continuando a camminare, seppure lentamente, le due compagne avevano raggiunto una grotta e si erano rifugiate all’interno.

Altrove, gli animali urlavano atterriti mentre la tempesta aveva infuriato per tutta la notte, sradicando alberi e foglie, inondando il terreno.

Poi, come per incanto, il trambusto era cessato: il sole si era levato nuovamente in cielo mentre l’erba umida e rigogliosa brillava, attirando la famelica attenzione della diplodoco. In fondo, il mondo non era poi così brutto!

Mentre il suo muso verde affondava gioiosamente tra la verdura, le sembrava pure di discernere dei mugghii a lei stranamente familiari. Ecco, laggiù, infatti, mastodontici diplodochi che brucavano negli sterminati prati che costeggiavano un immobile lago blu. Essa aveva di nuovo dovuto constatare, come il giorno prima davanti allo stegosauro, di non aver mai visto animali così smisurati!

Una femmina adulta, però, l’aveva scorta, finalmente, e presa sotto la sua protezione così che essa si sentiva ormai serena, anche se non riusciva a credere che un giorno sarebbe stata imponente come loro.

Ciononostante, ancora una tremenda avventura l’attendeva. Occultato dalla macchia verde, un allosauro attendeva pazientemente che uno dei capi più piccoli si allontanasse dal gruppo. Purtroppo, era stata proprio l’inesperta diplodoco che, felice, seguendo il profumo delle felci fresche, si era trovata, a un tratto, un po’ distanziata dagli adulti. L’allosauro, intesa la situazione favorevole, si era slanciato in una rapida corsa sulle zampe posteriori mentre le due anteriori, più corte, rimanevano in alto, pronte a colpire la preda. Con un balzo si era avventato sulla poverina e, emettendo spaventosi rugghii dalle fauci spalancate, l’aveva attaccata sul fianco destro.

La diplodoco aveva tentato una debole difesa alzandosi anch’essa sulle zampe posteriori mentre l’amica, terrorizzata, svolazzava affannosamente e caoticamente. Tutto inutile: il sangue scorreva dalle ferite e la fine era imminente.

Imprevisto, però, un energico colpo di una tremenda coda frusta, caratteristica della razza, aveva gettato l’allosauro a parecchi metri di distanza. Esso era fuggito, abbandonando la preda che era tornata, infine, vicino alla madre adottiva.

Da allora, la diplodoco era cresciuta ancora. Un giorno anch’essa avrebbe deposto le uova, circa un centinaio, grandi ognuna quanto un pallone da calcio dei nostri tempi, in una buca proprio al limitare della foresta. I piccoli sarebbero vissuti salvaguardati dagli alberi e poi si sarebbero ricongiunti al gruppo ed essa avrebbe insegnato loro ciò che aveva finalmente imparato.

La mandria di diplodochi si spostava, dunque, in fila, lungo la sterminata prateria, i più grandi in testa. Inutilmente, un gruppo di ornitolestes dalle modeste dimensioni, solo due metri di lunghezza, si sforzava di sfoggiare le penne per impaurirli: una volta cresciuti, anche trenta metri di lunghezza e cinquanta o sessanta tonnellate di peso, i diplodochi non temevano più nessuno.

Sullo sfondo, le montagne ergevano splendide i loro picchi verso un incantevole cielo blu che si rispecchiava nelle acque limpide della terra.

Era il Giurassico: da un Polo all’altro si estendeva la Pangea, l’unico continente che ricopriva la terra popolata dalle creature più grandi che mai vi fossero comparse.

L’uomo era lontano ancora milioni di anni.


GIORNATA DELLA MEMORIA di RENATA RUSCA ZARGAR

Un po' in ritardo,  a causa del poco tempo a mia disposizione, ma sempre presente, perché IL GIORNO DELLA MEMORIA dovrebbe essere ricordato ogni giorno.

Desidero riportare un articolo di Renata Rusca Zargar, pubblicato sul suo blog:

https://www.senzafine.info/2021/01/la-giornata-della-memoria-renata-rusca.html

e su: 

https://www.lanuovasavona.it/2021/01/25/leggi-notizia/argomenti/news-1/articolo/la-giornata-della-memoria-in-video-con-le-elementari-del-santuario.html

La giornata della memoria: 

in video con le Elementari del Santuario

Il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria per commemorare le vittime dell’Olocausto. Infatti, il 27 gennaio del 1945 è stato liberato il Campo di sterminio di Auschwitz, simbolo di tanta infamia.

In questo periodo, dunque, viene ripercorsa la storia tragica vissuta da tutti i popoli partecipanti alla Seconda guerra mondiale e, in particolare, da chi subì la deportazione e l’internamento nei campi di sterminio nazisti: 17 milioni di morti, tra cui ebrei, oppositori politici, prigionieri di guerra, zingari, testimoni di Geova, omosessuali, portatori di handicap.

Non c’è canale televisivo che non includa nel suo palinsesto qualche film sul tema. 

Ma perché ricordare?

Sicuramente, per onorare quanti hanno sofferto pene indicibili e tutti quelli che hanno perso la vita. Poi, perché non si ripeta più.

Eppure, il razzismo, origine di tanto dispregio di altri esseri umani, viene ancora celebrato nel mondo, ancora c’è chi crede, ovunque, di essere superiore ad altri, di essere il solo ad aver diritto di avere dei diritti. C’è ancora chi considera la sua religione migliore di quella altrui, chi dileggia le differenze culturali, chi è indifferente verso chi soffre e ha meno.


Guardiamoci intorno. È vero. I cancelli di Auschwitz sono chiusi ma sono cronaca dei nostri giorni i migranti abbandonati nel ghiaccio o a morire in mare, rinchiusi in campi di detenzione non diversi da quelli di un tempo.

È ancora fonte di reddito la produzione e la vendita di armi che genera guerre sanguinose, ovunque, nel mondo. Sono notizie di questi giorni la presunta supremazia bianca, l’eliminazione degli oppositori politici in moltissimi paesi, l’indifferenza per chi non ha nulla o è malato…

Lunedì 25 gennaio, ho potuto parlare in video conferenza con alcune classi delle Scuole Elementari del Santuario (SV) sulla Memoria, invitata dalle maestre Caterina Gualco e Daniela Vivarelli, che ringrazio moltissimo per avermi offerto questa opportunità. 

Quando insegnavo, avevo accompagnato molte volte i miei alunni nei viaggi studio organizzati dall’ANED (Associazione ex deportati nei campi nazisti) di Savona e Imperia a Mauthausen, Dachau, Gusen, Ebensee, Auschwitz, Terezin.

Avevo condiviso le emozioni dei giovani davanti a tanto scempio di esseri umani e ascoltato con devozione le parole dei testimoni superstiti ancora viventi. 

Oggi, però, considero la Giornata della Memoria soprattutto come un monito per il futuro: basta produzione di armi, basta guerre, uguali diritti per tutti gli esseri umani sul Pianeta.

Perché siamo tutti discendenti dallo stesso Homo sapiens, partito dall’Africa tantissimo tempo fa.

 Renata Rusca Zargar


GIORNATA DELLA MEMORIA

In occasione della Giornata della Memoria, abbiamo avuto un incontro con le due quinte e la quarta delle Elementari del Santuario in una videoconferenza. Informazioni al link:
LA GIORNATA DELLA MEMORIA: RENATA RUSCA ZARGAR IN VIDEO CON LE ELEMENTARI DEL SANTUARIO (senzafine.info) 
Durante quell’incontro sono state proiettate foto dei campi di concentramento e sono stati letti alcuni brani del libro: 
LA STORIA RACCONTATA AI PICCOLI 
Maddalena Fanigliulo, Tonolo EdiGiò, 2020, pagg. 92, euro 12,00 
Dalla quarta di copertina:
“La storia raccontata ai piccoli” nasce dalla sentita esigenza di narrare a bambini e giovani ragazzi un vissuto talmente triste da sembrare irreale. Come Insegnante di Storia, mi sono spesso chiesta come fare a raccontare ai più piccoli l’orrore dell’Olocausto senza impaurirli; come madre ho cercato di creare una trama capace di raggiungere il cuore senza ferire. La fiaba mi è sembrata il mezzo più idoneo per veicolare insieme verità storica e messaggio di pace; ne è nato un racconto denso e toccante, incanto congiunto di vero ideale. L’Autrice” 
Condivido totalmente le parole dell’Autrice. Non è facile trovare il modo di spiegare a bambini senza alcuna esperienza un soggetto talmente mostruoso da sembrare impossibile. Non è facile trovare la chiave giusta per entrare nel loro mondo e lasciare un’impressione che non abbia mai a morire. Questo libro può essere quella chiave. Da piccola, ho letto alcuni libri che non ho mai dimenticato, a differenza delle altre centinaia e centinaia di volumi “divorati” più avanti (ho letto moltissimo). 
Quei testi hanno indirizzato la mia vita verso valori di giustizia, uguaglianza, pace. Per questo do molta importanza alle letture che si fanno da bambini: è il primo passo verso un’esistenza che metta in primo piano l’amore e non l’odio (come credo sia stata la mia). 
Renata Rusca Zargar 

DARNO MAGIC SHOW



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Cosa può fare DARNO per il Tuo evento? 
Ricevimento, accoglienza e gestione degli ospiti; 
atto magico di intrattenimento;
gestione di un eventuale “taglio della torta”.



L’intrattenimento magico di DARNO è rivolto a tutte le fasce di età dai quattro anni in su; con la sua ultra-trentennale esperienza lo Show può spaziare tra:
CLOSE UP - magia parlata con il coinvolgimento diretto degli spettatori, eseguita al tavolo o da una postazione centrale;
MAGIA GENERALE - atto di Magia da Scena eseguita con il solo accompagnamento musicale;
MENTALISMO - presentazione di effetti con il coinvolgimento del pubblico (da qualche volontario, alla intera platea);
GRANDI ILLUSIONI - con uso di bauli, armadi e simili; questo tipo di effetti richiede un apparato scenico molto complesso, con uso di assistenti, addetti al montaggio e quant’altro ed è rivolto ad eventi molto particolari, anche per l’elevato costo che tutto questo comporta.

         FAQ - DOMANDE PIU’ FREQUENTI

D. Ma quanto costa? Qual è la tua tariffa?
R. Non esiste una “tariffa” perché non esiste un prodotto “standard”, bensì esiste un prodotto tagliato su misura per le necessità del cliente; dimmi cosa vuoi e Ti dirò quanto può costare; comunque costa meno di…un lancio spaziale!
D. E se non ho le idee chiare? 
R. parliamone insieme; non ti trovi bene a farlo per telefono? Vieni a trovarmi (previo appuntamento) nel mio studio, spiegami cosa hai in mente e potrò suggerirti la soluzione più adatta per Te.
D. quanto può durare lo Show?
R. un atto monotematico (solo Close Up, solo Magia Generale, solo Mentalismo) è bene non superi i 45 minuti; un atto più strutturato, può arrivare anche ad 1 ora e mezza, anche 4 ore se necessario gestire gli ospiti.
D. A quali fasce di età è rivolto lo Show?
R. In generale è rivolto a un pubblico dai 4 anni in su (fino ai 99 anni … ed oltre!)
D. Che preavviso occorre?
R. Più ampio è, meglio è, anche solo per impegnare la data; diciamo che 4 settimane sono ottimali per i necessari “adattamenti” alle esigenze specifiche, ma sono disponibile a prendere in considerazione anche delle “emergenze”, impegni già presi permettendo.







       DARNO nasce a Ferrara il 3 agosto del 1959, alle 18,15; al secolo Stefano, Davide, Arduino, Fabbri; segno zodiacale Leone, ascendente Capricorno.
Grazie a sua sorella Angela e alla televisione si appassiona ben presto alla Magia ed a tredici anni comincia a prendere in mano una mazzo di carte, ma lo studio lo impegna sempre di più...
A diciannove anni viene folgorato sulla via di Damasco: inciampa, per una serie di fortunate coincidenze, in alcuni libri di Magia che gli cambieranno la vita; il ‘bacillus magicus’ gli entra nel sangue.
A ventitré anni nasce il Mago Rubini ed è grande la voglia di mollare tutto e partire per una Grande Avventura, ma l’attività di geometra lo assorbe sempre più.
La sua vita si sdoppia: il geometra Fabbri di giorno, il Mago Rubini la notte ed i fine settimana, alternando la propria attività professionale, condotta con la delicatezza di un hobby ad un hobby portato avanti con professionalità!
A ventisei anni lo troviamo sul palco, davanti a quattrocento persone, parte di un musical; sta per partire dietro ad un sogno, ma il suo lavoro lo risucchia ed il Mago Rubini viene necessariamente collocato in secondo piano.
Per non impazzire decide di mantenere la Magia come Hobby; passano gli anni, durante i quali accumula libri di magia, attrezzatura ed allarga il repertorio, proseguendo il lavoro di geometra, ma senza rinunciare ad esibire il Mago Rubini; quando gli chiedono cosa se ne fa di tutto il know how magico che sta accumulando, risponde tra i denti che ‘io non morirò geometra!’ .
Una cara amica, prematuramente scomparsa, lo trascina nell’universo del ballo latino-americano, aprendo un ‘nuovo fronte’; dal ballare in pista a tornare sul palco, il passo è breve.
Cinque anni vissuti intensamente (‘...uscivo cinque sere la settimana: tre sere ero a scuola di ballo o ad aiutare il maestro, venerdì e sabato ero in pista per divertirmi; il sabato mattina rincasavo verso le cinque e mezza, dormivo un’oretta ed alle otto ero in Catasto per il mio lavoro; il sabato pomeriggio lo passavo a dormire per prepararmi al sabato notte…’).
1998, anno di svolte importanti. Il primo giorno dell’anno, tornando a casa da una notte intensa (ballo latino e breve esibizione magica sul palco) decide che finita la stagione invernale avrebbe preso una pausa di un anno dal ballo: lassù, in regia, lo ascoltano e gli preparano un anno pepato, nel bene e nel male.
A febbraio diventa Zio (grazie a suo fratello), il 10 marzo, l’anziano padre, mentre compie ottantuno anni, muore improvvisamente (senza nemmeno aver potuto vedere suo nipote); il 5 aprile conosce casualmente una ragazza (Adela) che viene da molto lontano (è nata in Perù); il 5 settembre di quello stesso anno si sposano (in Municipio), dopo cinque mesi esatti, alle cinque e mezza del pomeriggio…
Alla moglie preoccupata che vedendo un mazzo di carte in ogni stanza, gli chiede ‘...ma tu giochi a carte?’ risponde che ‘no, non gioco a carte; io gioco con le carte, perché io non morirò geometra!’  Lei diventa la sua principale sostenitrice.
Così il giorno di Natale lo vediamo partire alla volta del Perù, per andare a conoscere i (tanti) parenti della moglie e per sposarsi nella chiesa di San Agustin, ad Arquipa; giornata intensa quel 28 dicembre: iniziata alle otto del mattino per ricevere il Battesimo cattolico (suo padre lo aveva avviato alla religione protestante…) e terminata con il matrimonio alle 6 del pomeriggio (pardon: a las seis de la tarde...come si dice in quei luoghi).
Il matrimonio, si sa, è la tomba di tutti i vizi ed i mazzi di carte, a poco a poco, scompaiono dalle varie stanze per essere chiusi in libreria.
Ci restano poco: senza le carte sempre a portata di mano sente che la tristezza gli invade l’anima; così  decide di prendersi un anno per leggere tutti i libri di Magia che aveva accumulato negli anni (una settantina...) e che per mancanza d tempo (lavoro e spettacolo), si era solo limitato a sfogliare; i mazzi di carte tornano  magicamente a portata di mano…
Ottobre 2001: un’altra svolta: fa il commissario all’Esame di Stato che i geometri devono sostenere per essere abilitati alla Libera Professione.  
Qualche settimana dopo incontra uno dei ‘bocciati’: ha l’impressione che lo voglia incenerire con lo sguardo; Darno gli si siede accanto, non per provocarlo, ma per spiegargli dove e come non aveva convinto la Commissione esaminatrice e come ripresentarsi meglio, l’anno successivo.
Si rincontrano in giro per uffici nei giorni successivi, il gelo è vinto, il ghiaccio è rotto e salta fuori che quel giovane geometra altri non è che ...il Mago Ricky !
E’ l’inizio di un’amicizia  basata sulla passione per la Regina delle Arti.
Sentendosi un uomo nuovo, cambia nome d’arte: Arduino Di Stefano (Di, naturalmente, sta per Davide).
Con l’arrivo di Ricky si iscrive ai Club Magici: inizialmente a quello intitolato ad Alberto Sitta, poi al Club Magico Italiano ed al Club Illusionisti Emilia Romagna; per entrare in quest’ultimo occorre superare un esame ‘tosto’ esibendosi sul palco del Club, davanti alla Giuria, ai Soci ed...agli spettatori; totale circa quattrocento persone, molte delle quali in piedi per mancanza di sedie a sufficienza… ma più gli spettatori sono numerosi e più Darno rende meglio; l’esame  è superato!
Frequentando i Club Magici arriva la conoscenza con tanti Maghi provenienti da tutto il mondo: tutti Fratelli, Fratelli in Magia.
Una produttrice teatrale gli fa: hai un nome troppo lungo, devi accorciarlo! Darno, però, desiderava usare i nomi che gli aveva dato sua madre; fruga tra le sue carte e ritrova uno studio risalente a diversi anni prima, su una serie di acronimi che comprendevano i suoi tre nomi: sceglie Darno.
Nome nuovo, vita (artistica) nuova, base più concreta, decide di fare un salto e diventare un semi – professionista.
Torna sul palco, nelle case, nei ristoranti, scuole materne, in strada, nelle Parrocchie, sempre senza strafare e senza sacrificare troppo la famiglia e l’attività principale; anche perché nel frattempo sono arrivate due bellissime bambine: Rebecca e Francesca, le sue fan più sfegatate che purtroppo cresceranno senza i nonni paterni, perché anche sua mamma è venuta a mancare. 
L’avvento di internet può essere devastante per la Magia, ma può anche essere fonte di grandi opportunità: i libri di Magia crescono in maniera esponenziale: su carta sono ‘solo’ un centinaio, ma  in formato pdf sono… diverse centinaia !!!
Al punto che oggi, ogni tanto (più spesso di quanto possa sembrare), qualche amico Mago gli telefona per avere informazioni su questo o su quell’altro effetto e puntualmente lui ha qualche capitolo o qualche libro intero, sul tema che interessa !…
2019: un amico Mago gli telefona; lo convince a partecipare ad un ‘got talent’ di Magia a Camposanpiero, vicino a Padova; è un po' titubante: non ha mai partecipato ad una gara, non le ama e da qualche anno ha una brutta infezione agli occhi lo costringe a frequenti corse in Pronto Soccorso Oculistico, a causa delle continue recidive; sua moglie vince la sua resistenza: prenota una stanza in albergo, carica tutta la famiglia in macchina e lo porta a Camposanpiero.
Serata davvero magica; gli artisti si presentano tra di loro, una pizza insieme e via sul palco, senza nessuna rivalità, solo il desiderio di fare del proprio meglio; Darno è in ‘palla’, ha gli occhi lucidi quando vede che le sue mani fanno quello che fanno; il pubblico sente le sue emozioni e lo decreta vincitore; gli mettono in mano un televisore da 43 pollici: una sfida farlo stare in macchina; quello che più conta sono i complimenti degli sconfitti, il dispiacere di averli battuti, il piacere di avere dei nuovi Fratelli e l’immensa gioia di avere fatto bene il proprio lavoro!
L’avvento di whatsApp può essere micidiale: essere stalkerizzati da messaggi che fanno continuamente vibrare il telefonino, ma può anche essere fonte di opportunità: anziché mandare semplici messaggi alle ricorrenze, Darno inizia a registrare dei brevi effetti magici di auguri, per poi stalkerizzare tutta la rubrica del telefono!!! 
La pandemia del 2020 sembra bloccare tutto:  Darno per i bambini  del  catechismo,  inizia a lavorare in diretta ‘streaming’, a volte con effetti ad hoc, a soggetto religioso, inventati lì per lì (la Genesi secondo ...Darno!).
A chi gli chiede come fa a restare in forma risponde: ‘alimentazione curata, moderata attività fisica e rimettersi in gioco, sempre, a qualsiasi età, contro qualsiasi pregiudizio, saper tornare principianti’...

Insomma, volendo concludere, giacché questa storia è durata anche troppo, non ostante quanto sostiene l’anagrafe, sei giovanile nel corpo ed un ragazzino nel cuore, ma cosa pensi di fare quando sarai grande? ‘Ancora non so esattamente, ma certamente non morirò facendo il geometra!!!’
Un abbraccio
Darno

Angela Fabbri - scrittrice - come avete potuto leggere dalla biografia di Darno, è la sorella di Stefano Fabbri, che nel lontano 1985 si è dilettata a disegnare una simpatica caricatura del fratello Mago!




Area degli allegati

sabato, gennaio 30

ANTICHI E NUOVI OSTAGGI NEL SAHEL di P. Mauro Armanino


Antichi e nuovi Ostaggi nel Sahel

I più siamo ostaggi del destino. Proprio come Johnson che la guerra civile in Liberia ha scacciato da bambino nel Ghana con la sua famiglia in un campo di rifugiati. Sua madre e suo figlio si trovano oggi negli Stai Uniti, dove lui stesso era approdato qualche anno fa come ‘indesiderato’. Dopo la prima guerra civile nel suo paese era emigrato in Senegal e dopo qualche tempo, per aereo, era approdato nella Jamaica di Bob Marley del movimento Rasta. Da lì era sbarcato nel Messico. Pure lui, come migliaia di altri migranti, aveva passato il muro che separa i due paesi e trascorso almeno sei mesi a Washington. Giusto il tempo di dargli un ‘Passaporto Mondiale’ (World Passport) per rispedirlo al mittente e cioè in Senegal. Passa in Guinea e, con l’idea di andare in Europa, cerca invano di raggiungere la Libia. Non è mai riuscito ad attraversare la frontiera. Da oltre 6 anni il Niger è diventata la sua patria. Passa qualche mese ospite nella Casa di Arresto di Niamey e, appena fuori, chiede a sua madre, ormai anziana, di mandargli i soldi delle valigie per il viaggio. Nell’attesa ripara sedie per il giorno che verrà del ritorno a una casa che non c’è.

Anche le nostre frontiere sono ostaggio dell’Occidente e di Complici Locali. Messe in vendita con l’esternalizzazione per il controllo dei migranti, sono, da tempo, in balia dei rapporti di forza che reggono le geopolitiche del momento. Oggetto di compravendita per traffici di ogni tipo, contrabbandieri, banditi, jihadisti, affaristi, commercianti di armi e di chi, grazie a loro, si arricchisce.  Ad esempio EUCAP-SAHEL, specializzato per formare gli agenti che gestiscono le frontiere. Esse si rivelano mortali in mare, nel deserto, nella testa e nelle politiche di chi detiene il potere di decidere tra insabbiati, sommersi, crocefissi e salvati. Frontiere di sabbia, cemento, pietra, filo spinato, elettriche, virtuali o di carta straccia e attendono, forse, il nuovo passaporto sanitario. Le frontiere assicurano la protezione delle disuguaglianze di cui parla l’ultimo rapporto di OXFAM, pubblicato all’occasione del Forum ‘virtuale’di Davos, per il Grande Reset mondiale.

Gli ostaggi principali restano comunque i poveri. Sotto ogni regime, latitudine o stagione sono loro che permangono i  ’vendibili’ di accordi, politiche, piani di ristrutturazione o Grandi Trasformazioni dell’economia. Insostituibili per le Agenzie Umanitarie, i predicatori ambulanti di violenza armata e di religioni come surrogato organizzato d’illusioni, sono altresì fondamentali per i politici in cerca di mandati elettivi. Sono i poveri ostaggi a garantirne la sopravvivenza e soprattutto la perpetuazione. Si presentano come inevitabili per le ideologie, gli eserciti di riserva, le manifestazioni di piazza, le mense popolari, le adozioni a distanza, i corridoi umanitari e i fondi di urgenza per le inondazioni. Ostaggi prescelti e dunque curati, oggetti di studio, d’indagini e di innumerevoli misure perché assicurino una manodopera delocalizzata, da sfruttare ad ogni crisi del sistema. Non ci fossero bisognerebbe inventarli ed è proprio questo che fanno le statistiche aggiornate degli ultimi censimenti finanziati dalla Banca Mondiale.

Sono anch’esse ostaggio delle più becere forme di potere, le donne, che nell’intenzione di chi sovrintende le redini delle società, esistono per riprodurre, mantenere e assicurare la continuità del mondo così com’è da loro concepito: oggetti di uso, consumo, scambio, pubblicità, mercato, conforto o semplicemente passatempo o prestigio. Ostaggi di mode, visioni, promesse, tradimenti e trappole nelle quali poi, loro stesse, a volte, cadono per ingenuità o interesse. Le politiche le ingannano, raggirano e ne fanno uno strumento di quote per le amministrazioni delle banche o dei ministeri della difesa. Eppure lavorano la terra, sostengono la vita, portano sulle spalle il peso dei giorni con i figli che crescono con loro, nella paziente attesa di un domani migliore. Saranno le uniche a poter cambiare il mondo a modo loro, quando, un giorno qualunque, eserciteranno altrimenti un potere che non sia quello di dominare ed escludere. 

Poi ci sono i giovani, ostaggi di mentalità defunte e del futuro che a loro sfugge perchè rubato o tradito dai grandi. Sono gli elettori disputati e contesi dei secondi turni delle presidenziali, ostaggi di soldi e alleanze in cui nessuno crede. Ostaggio è poi la società civile che rincorre donatori, partners, finanziamenti e benevoli umanisti. Ostaggi sono i contadini nelle zone occupate dai gruppi armati e i fedeli che non possono professare la fede che li anima. Ostaggi privilegiati sono gli intellettuali, al soldo dei potenti e della paura di pensare. Ostaggio sono soprattutto le parole sedotte e asservite alla menzogna. A rimanere l’unica libera di inventare, agire, insegnare e credere è ancora e solo lei, la sabbia della quale, nel Sahel, siamo tutti ostaggi.

         Mauro Armanino, Niamey, 31 gennaio 2021 

giovedì, gennaio 28

Machete, kalashnikov e croce. Una vita da cristiani a Kankani di Mauro Armanino

 


Machete, kalashnikov e croce. 
Una vita da cristiani a Kankani

Gli hanno detto di scegliere l’arma con la quale ucciderlo. Il suo machete o il loro kalashnikov. Lui ha risposto che mai vorrebbe essere ucciso col suo amato strumento di lavoro e che preferiva la loro arma. Gliel’hanno dunque puntata contro e lui ha fatto un segno di croce. Il militante jihadista ha abbassato l’arma e gli ha chiesto se era cristiano. Alla sua risposta affermativa gli è stato detto che, per prendere la decisione finale, avrebbero dovuto attendere il loro capo. Giunto sul posto dopo qualche giorno il capo lo ha interrogato sull’uso del telefono cellulare. Se aveva chiamato i militari o la polizia perché questo gli sarebbe costata la vita. Ha risposto che lui, povero contadino, non ha contatti con i militari ma che aveva semplicemente salutato un amico. Dopo aver controllato il suo cellulare l’hanno risparmiato e condotto, dopo ore di viaggio nella foresta, fino al gruppo dei prigionieri. 
Gli ostaggi erano numerosi, musulmani e cristiani. Questi ultimi, contrariamente agli altri, erano legati, battuti, minacciati. I musulmani, d’altro canto, erano liberi di muoversi e financo di pregare secondo le ore stabilite. Lui è stato infine rilasciato ed ha camminato per mezza giornata fino al suo villaggio presso la frontiera col Burkina Faso. Era stato arrestato oltre un mese prima mentre riportava a casa alcuni rami che aveva tagliato per riparare il suo granaio. I gruppi armati della zona hanno vietato ai contadini di tagliare alberi. Non si tratta di spirito ecologico ma semplicemente di sopravvivenza poiché i militanti di questi gruppi trovano riparo in ciò che rimane di una rigogliosa foresta del passato. Ha potuto giustificare il taglio dei rami e, come visto, l’uso del cellulare.
E’ tornato dunque al suo villaggio, dove i cristiani sul posto, nella comunità accompagnata da padre Carlos, confratello SMA, per sicurezza devono cambiare le ore di preghiera ogni domenica. Il prete diocesano incaricato della parrocchia dedicata a Charles de Foucauld, non risiede sul posto e solo occasionalmente può celebrare con la sua comunità. Qualche giorno fa, per la seconda volta in pochi giorni, la sede della parrocchia di Bomoanga, la stessa zona gourmantché dove è stato rapito padre Maccalli, è stata ‘visitata’ da giovani armati. Apparentemente cercavano cibo e altro materiale utile per il gruppo. Tutto ciò accade a un centinaio di chilometri dalla capitale Niamey, dalla quale gli occidentali non possono uscire senza scorta. Il secondo turno delle presidenziali si terrà tra meno di un mese.

        Mauro Armanino, Niamey, 27 gennaio 2021

sabato, gennaio 23

L'UOMO CHE DICE TUTTO. Rivolte informali del Sahel di P. MAURO ARMANINO


L’uomo che dice tutto. Rivolte informali del Sahel

Si chiama Mohamedjiman Traoré ed è originario della Guinea Conakry. Anche Sekou Touré, il secolo passato, aveva gridato un clamoroso no alla proposta francese di continuare la colonizzazione del Paese sotto mentite spoglie. Traoré ha il suo conto ‘Facebook’ e si trova a Niamey, la capitale del Niger, ormai da nove mesi, il tempo di una rinascita. Non sarebbe la prima perché lui è nato e morto varie volte prima di approdare al nome col quale si definisce: l’uomo che dice tutto. Lui, apprendista autista di camion coi cinesi nel suo paese e poi con la licenza in regola per guidarli alle cave di granito. Quest’ultimo è un ottimo elemento di costruzione per l’interminabile crescita edilizia della Cina popolare. Si sentiva maltrattato e, in fondo, schiavo nel suo Paese di origine. Alcuni amici suoi, emigrati da qualche tempo in Algeria, lo invitano a raggiungerlo per profittare delle ricchezze del Paese e cercare altrove ciò che a casa non poteva trovare. Traoré lavora per qualche anno ad Abidjan nel porto, scaricando casse di pesci e si lascia infine convincere per passare il Sahara, il mare di sabbia, per raggiungere infine ad Algeri gli amici che insistono perché vada. 

Parte dunque per il Mali e giunto alla storica città di Gao è, come avrebbe dovuto prevedere, derubato, minacciato e detenuto passata la città. Nel Toyota ‘Pick-up’ si trovavano in 18, donne e bambini inclusi. Dopo aver riparato un guasto che li aveva bloccati ala frontiera con l’Algeria per alcuni giorni, possono continuare il viaggio per raggiungere infine, a piedi gli ultimi kilometri di notte, la citta di Tamanrasset, guidati dalle luci di una cittadina adiacente. Da lì arriva in seguito nella città di Gardaia dove lavora  per alcune settimane in cantieri edili con lo scopo di raggiungere la capitale Algeri. Degli amici che lo avevano invitato a raggiungerlo non esistono tracce alcune. Impara il mestiere di calzolaio che esercita per qualche mese e si lancia poi nell’ambito, molto più redditizio, delle costruzioni. Gli incidenti sul lavoro, anche mortali non mancano e Traoré, l’uomo che comincia ‘ a dire tutto’, contatta il suo consolato e i ‘capi’ delle varie nazionalità operanti ad Algeri. Era inaccettabile che non si sapesse l’identità di coloro che morivano a causa di incidenti sul lavoro e non informare le famiglie dell’accaduto nei rispettivi Paesi di origine.

Ha un bimbo, di nome Yacouba, con una signora di nazionalità camerunese e, nel 2016, è preso dalla polizia in strada, a poche decine di metri da casa. Senza poter informare la mamma del bimbo dell’accaduto e coi soli abiti che portava addosso, è condotto e poi detenuto in una sorta di centro a Tamanrasset, battezzato familiarmente ‘Guantanamo’. Si accorge subito che qualcosa non quadra perché apparentemente gode di un trattamento di favore, ad esempio col cibo. Teme di essere avvelenato perché, nel frattempo, ha cominciato a denunciare, con nomi, cognomi e foto sui media, i ‘passeurs’ che speculano sulla vita dei migranti e delle ragazze in particolare. Le donne, per rimborsare ‘vendita’ da uno all’altro dei ‘passeurs’ , sono costrette a prostituirsi agli altri migranti, alle forze dell’ordine e ad altri occasionali ‘clienti’ del posto. Per gli uomini il sistema è più diretto e meno sofisticato. Sono torturati e le foto inviate ai genitori o parenti prossimi perché paghino il loro riscatto e siano finalmente lasciati al loro destino. Traoré si informa e denuncia questi ‘commerci’ umani e i loro autori sui mezzi di comunicazione. Questo è un grande rischio.

‘All’uomo che dice tutto’ non resta che abbandonare il luogo. Rifiuta la falsa promessa della polizia algerina di portarlo sano e salvo di ritorno ad Algeri e si imbarca con gli altri migranti espulsi dal Paese fino alla frontiera col Niger, Assamaka. Raggiunge Arlit, città nata dalla scoperta e lo sfruttamento dell’uranio per la Francia e resta per qualche settimana ad Agadez, uno dei centri di tutti traffici del Sahel e del Sahara. Nel frattempo le sue denuncie pubbliche non sono scese invano e varie persone, implicate in attività di tipo mafioso, sono state arrestate (e poi rilasciate dietro compenso) nel suo Paese. Tramite l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, OIM, raggiunge Niamey l’anno scorso e, per motivi di sicurezza, si rifugia presso un amico della comunità camerunese, tra le più numerose tra i migranti. L’uomo che dice tutto ha cercato di tornare, invano, al Paese di origine. Le frontiere ufficialmente chiuse a causa del Covid, un malessere nel vicino Burkina Faso e i soliti abusi degli agenti l’hanno spogliato di tutto. Solo gli rimane incollato per sempre, come unica e reale rivolta politica, il coraggio della verità.

                                                                                                      Mauro Armanino, Niamey, 23 gennaio 2012


venerdì, gennaio 22

L'ONU proibisce le armi nucleari e l'Italia che fa? di Manlio Dinucci e Danila Oppio

Stamane  ho ricevuto questo articolo da Padre Mauro Armanino, missionario in Sahel (Niger). Lo riporto qui sotto con la mia conseguente risposta.

L’Onu proibisce le armi nucleari
e l’Italia che fa?

Entra in vigore il Trattato Onu che proibisce le armi nucleari, ma la Nato proibisce all’Italia di aderirvi. Il governo non vede, non sente e non parla. Restano così in Italia, paese “non-nucleare”, le vecchie bombe nucleari Usa tra poco sostituite dalle nuove.
Manlio Dinucci 

Oggi, 22 gennaio 2021, è il giorno che può passare alla storia come il tornante per liberare l’umanità da quelle armi che, per la prima volta, hanno la capacità di cancellare dalla faccia della Terra la specie umana e quasi ogni altra forma di vita. Entra infatti in vigore oggi il Trattato Onu sulla proibizione delle armi nucleari. Può essere però anche il giorno in cui entra in vigore un trattato destinato, come i tanti precedenti, a restare sulla carta. La possibilità di eliminare le armi nucleari dipende da tutti noi.
 
Qual è la situazione dell’Italia e cosa dovremmo fare per contribuire all’obiettivo di un mondo libero dalle armi nucleari? L’Italia, paese formalmente non-nucleare, ha concesso da decenni il proprio territorio per lo schieramento di armi nucleari Usa: attualmente bombe B61, che tra non molto saranno sostituite dalle più micidiali B61-12. Fa inoltre parte dei paesi che – documenta la Nato – «forniscono all’Alleanza aerei equipaggiati per trasportare bombe nucleari, su cui gli Stati uniti mantengono l’assoluto controllo, e personale addestrato a tale scopo». Inoltre, vi è la possibilità che vengano installati sul nostro territorio i missili nucleari a raggio intermedio (analoghi agli euromissili degli anni Ottanta) che gli Usa stanno costruendo dopo aver stracciato il Trattato Inf che li proibiva.
 
In tal modo l’Italia viola il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, ratificato nel 1975, che stabilisce: «Ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, parte del Trattato, si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente». Allo stesso tempo l’Italia ha rifiutato nel 2017 il Trattato Onu sulla abolizione delle armi nucleari –  boicottato da tutti e trenta i paesi della Nato e dai 27 dell’Unione europea –  il quale stabilisce:  «Ciascuno Stato parte che abbia sul proprio territorio armi nucleari, possedute o controllate da un altro Stato, deve assicurare la rapida rimozione di tali armi».
 
L’Italia, sulla scia di Usa e Nato, si è opposta al Trattato fin dall’apertura dei negoziati, decisa dalla Assemblea generale nel 2016. Gli Stati uniti e le altre due potenze nucleari della Nato (Francia e Gran Bretagna), gli altri paesi dell’Alleanza e i suoi principali partner – Israele (unica potenza nucleare in Medioriente), Giappone, Australia, Ucraina – votarono contro. Espressero così parere contrario anche le altre potenze nucleari: Russia e Cina (astenutasi), India, Pakistan e Nord Corea. Facendo eco a Washington, il governo Gentiloni definì il futuro Trattato «un elemento fortemente divisivo che rischia di compromettere i nostri sforzi a favore del disarmo nucleare».
 
Il governo e il parlamento italiani sono quindi corresponsabili del fatto che il Trattato sull’abolizione delle armi nucleari – approvato a grande maggioranza dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2017 ed entrato in vigore avendo raggiunto le 50 ratifiche – è stato ratificato in Europa fino ad oggi solo da Austria, Irlanda, Santa Sede, Malta e San Marino: atto meritevole ma non sufficiente a a dare forza al Trattato.
 
Nel 2017, mentre l’Italia rifiutava il Trattato Onu sulla abolizione delle armi nucleari, oltre 240 parlamentari – in maggior parte del Pd e M5S, con in prima fila l’attuale ministro degli Esteri Luigi Di Maio – si impegnavano solennemente, firmando l’Appello Ican, a promuovere l’adesione dell’Italia al Trattato Onu. In tre anni non hanno mosso un dito in tale direzione. Dietro coperture demagogiche o apertamente il Trattato Onu sull’abolizione delle armi nucleari viene boicottato in parlamento, con qualche rara eccezione, dall’intero arco politico, concorde nel legare l’Italia alla sempre più pericolosa politica della Nato, ufficialmente «Alleanza nucleare».
 
Tutto questo va ricordato oggi, nella Giornata di azione globale indetta per l’entrata in vigore del Trattato Onu sulla proibizione delle armi nucleari, celebrata da attivisti dell’Ican e altri movimenti anti-nucleari con 160 eventi per la maggior parte in Europa e Nordamerica. Occorre trasformare la Giornata in mobilitazione permanente e crescente di un ampio fronte capace, in ciascun paese e a livello internazionale, di imporre le scelte politiche necessarie a realizzare l’obiettivo vitale del Trattato.
 
(il manifesto, 22 gennaio 2021)

E' la solita storia del cane che si morde la coda. Dalla fine della II Guerra Mondiale l'Italia ha fatto un patto d'alleanza con gli USA, per averci salvato dalla Germania nazista. (e di conseguenza dal fascismo italiano!)
Così abbiamo dovuto calare le braghe e accettare che il nostro territorio accolga le basi missilistiche, aeree e navali.
Le basi USA in Italia disciplinate sulla base di accordi bilaterali, secondo quanto pubblicato dall’Italian Yearbook of International Law, sono otto e precisamente le seguenti:
Aeroporto di Capodichino;
Aeroporto di Aviano, Pordenone;
Camp Derby, Livorno;
la base di Gaeta, Latina;
la base dell'Isola della Maddalena;
la stazione navale di Sigonella;
l'osservatorio di attività solare in San Vito dei Normanni;
una presenza in Vicenza e Longare.
Queste ultime si devono ad una “bilateralizzazione” dell’art. 3 del Trattato NATO ai sensi del quale “le Parti, individualmente e congiuntamente, nello spirito di una continua e effettiva autodifesa e assistenza reciproca, manterranno e svilupperanno la propria capacità individuale e collettiva di resistenza ad un attacco armato”. Gli Stati Uniti, in altre parole, essendo distanti dal teatro di guerre e tensioni nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, si giovano dell'opportunità di usare le basi situate sul territorio italiano – e degli altri Stati che le concedono – per rendere più efficiente la loro partecipazione alla Nato. Oltre a queste, bisogna inoltre tenere presenti sia le basi interamente italiane, ma che possono essere messe a disposizione dell'Alleanza, come ad esempio la base di Taranto ove le navi dell'Alleanza possono rifornirsi ed appoggiarsi.
Il nostro Governo è talmente legato a doppio nodo con gli USA e quindi con la NATO che ignora (o glissa) il pericolo che si corre anzi, si sente protetto dagli Stati Uniti.
Temo che il risultato di questa proibizione da parte dell'ONU finirà con il nulla di fatto.
Danila Oppio

domenica, gennaio 17

CATERINA di RENATA RUSCA ZARGAR


Caterina

di Renata Rusca Zargar

Claudia attendeva l’autobus insieme ad altri ragazzi e ragazze studenti come lei. Dietro le sue spalle, si stendeva il mare fin oltre l’orizzonte, così verde e agitato in quella stagione. Davanti, in alto, il castello e le torri del suo paese le ricordavano una storia gloriosa, mai conclusa nella mente di tutti loro.
Claudia frequentava, a Savona, l’ultimo anno del Liceo Scientifico, poi, sarebbe andata all’università a Genova. Il suo sogno era di diventare medico e tornare lì, nel suo paese, chiuso e arroccato tra vicoli antichi e un mare amato e odiato insieme. Ancora si potevano scorgere, sulla spiaggia, gli uomini con il berretto a punta, i calzoni corti alle ginocchia e la fascia in vita come i pescatori di un tempo lontano.
Mentre la fanciulla osservava, come ogni giorno, il paesaggio a lei tanto caro, il pullman era giunto e aveva caricato la piccola folla in attesa. Dopo pochi chilometri, alla fermata successiva, spesso saliva un giovane che, le avevano detto, frequentava a Genova il secondo anno di Università, Facoltà di Economia e Commercio. Stefano, così si chiamava, le lanciava lunghi sguardi teneri mentre scherzava e discuteva con i suoi amici. Eppure, i due gruppi di ragazzi rimanevano rigorosamente separati, consci dell’animosità esistente ancora tra gli abitanti dei loro due paesi. Noli e Spotorno, infatti, come nella più remota tradizione storica, rimanevano nemici.

Caterina fissava il mare, oltre l’orizzonte, dove la striscia verde dell’acqua incontrava lembi arricciati di candide nubi.
Non si vedeva null’altro, mentre l’aria oscurava lentamente e gli scogli a picco sui flutti divenivano sempre più neri, trascinando ombre minacciose che le davano i brividi e la brezza avviluppava scherzosa la sua gonna pesante attorno alle caviglie.
“U ma u l’à u numme cun le”, il mare ha il nome con sé. Giovanni le raccontava spesso di questo proverbio spotornese che sua zia gli aveva insegnato perché in mare aveva perso il marito, rimanendo con cinque figli da crescere. Ed era voce comune che dal mare arrivassero insidie di ogni tipo, tanto che le parole male e mare avevano, appunto, in dialetto, lo stesso suono: “ma”. “U ma u l’à u numme con le” si diceva ormai sottovoce anche Caterina incerta se, per lei, fosse venuto bene o male da quella distesa. Il giorno dopo, sarebbe andata sposa a un contadino del podere confinante il misero campo di suo padre ma la sua vita non sarebbe cambiata granché: avrebbe continuato a lavorare dall’alba al tramonto in casa, nei campi, nel bosco o alla fonte. Le lacrime scendevano ormai copiose dai suoi occhi neri, poi, trascinando gli zoccoli sulla sabbia e sulle pietre, si era avviata verso la casupola che avrebbe abitato per l’ultima notte.
Correva il 1198 e, solo un anno prima, un pomeriggio, Caterina si trovava nel bosco a raccogliere legna per il fuoco. Senza rendersene conto, aveva risalito la collina arrivando al limitare del feudo. Dall’altra parte, si stendevano le terre di Spotorno, un piccolo villaggio stretto intorno al Castello, simile a tanti altri della riviera col suo paesaggio di boschi e vigneti digradanti verso il mare, di orti e terreni incolti, di modesti campi di grano e uliveti verso il Monte Mao. Là, aveva incontrato un giovane che, canticchiando, stava lavorando di buona lena per abbattere un enorme pino. Accortosi della sua presenza, l’uomo si era fermato e l’aveva guardata: Caterina aveva solo quindici anni e mai aveva visto qualcuno più bello di lui, con quegli occhi azzurri nel viso abbronzato e quei muscoli saettanti che spuntavano dalla camicia consunta.
- Attenta, stai per entrare nel territorio del Vescovo e se ti vedono le guardie ti porteranno in prigione. Ti conviene tornare indietro aveva - esordito lui. Il Vescovo Ambrogio di Savona, infatti, era padrone degli uomini spotornesi suoi vassalli, circa trecento anime, così come del territorio, ed era in contrasto con Noli per l’uso di terre e boschi confinanti. Spesso le liti accendevano gli animi di una popolazione costretta a difendere, da una parte e dall’altra, un territorio povero di sostentamento. Allora, focolari di intere famiglie attaccate a quella terra aspra, vite di fatiche e di disagi, venivano distrutti in poche ore in crudeli battaglie e depredati dal vincitore di turno.
- Sì, certo - aveva risposto Caterina - Non mi ero accorta di essere andata così lontano. Sta per scendere la sera e devo cuocere la cena.
- Vieni, ti mostrerò una scorciatoia. Mi chiamo Giovanni e tu?
- Caterina - Sorridendo, Giovanni si era caricato sulle spalle la cesta di legna di lei e, presala per mano, l’aveva accompagnata lungo un ripido sentiero che arrivava a Noli, proprio dietro il gruppo di case del paese, costruite coi sassi delle cave, dai soffitti bassi e dalle porte anguste per non sprecare, d’inverno, troppa legna per scaldarsi. Proprio come a Spotorno.
Là l’aveva lasciata dicendo:
- Domani ti aspetterò lungo questo sentiero. Ti prego, vieni. E Caterina era tornata nel bosco a far legna. Giovanni, che conosceva la zona albero per albero, l’aveva condotta a una grotta nascosta dagli arbusti dove nessuno avrebbe potuto scorgerli e dove avrebbero potuto restare un po’ insieme.
Molti pomeriggi erano trascorsi: Caterina andava quasi ogni giorno alla ricerca di rametti da bruciare nel bosco ma, ormai, la bella stagione si avvicinava e non c’era più bisogno di legna se non per cuocere. Le occasioni d’incontro con Giovanni si facevano, dunque, più rare ed era stato lui a proporle:
- Senti, amore mio, cerca di scendere alla spiaggia quando tutti saranno a dormire. Io prenderò la barca di un mio amico pescatore e verrò a trovarti ogni sera.
Così, Caterina aspettava che il padre e i fratelli, stanchi del duro lavoro di braccianti fossero andati a letto e poi, silenziosamente, sgusciava nell’oscurità fino agli scogli e in attesa. Egli giungeva dal mare su una piccola barchetta che più tardi, nella notte, sarebbe servita a un altro per andare a guadagnarsi da vivere combattendo contro le onde e le tempeste. Fermava l’imbarcazione al riparo degli scogli e l’abbracciava stretta stretta:
- Non voglio lasciarti mai più, troveremo una soluzione, vedrai! Forse, andremo a lavorare lontano, dove nessuno ci conosce e non sa che siamo nemici.
Caterina beveva quelle parole dalle sue labbra e il tempo crudele scorreva veloce. Prima di mezzanotte lui doveva tornare a Spotorno e lei si avviava con lo sguardo sognante al suo giaciglio di paglia. Il giorno sarebbe stato duro anche per lui che doveva lavorare con il padre la terra in affitto e ricavarne abbastanza per mantenere la famiglia e pagare un quartino di avena (Kg.47,5) e due polli, oltre a ottenere dai terreni liberi per la corvée un quartino di vino, biade e le “spalas porchorum nutritorum”. Tutto da consegnare annualmente al Vescovo.
Molte sere erano trascorse finché, un mattino, suo padre le aveva detto:
 - È arrivato per te il momento di andare sposa. Il nostro vicino Giuseppe, che possiede anche un po’ di terra, ti ha chiesta. Presto combineremo.
A Caterina era caduto il cielo addosso: sapeva che alla sua età le ragazze si dovevano maritare ma aveva sperato, forse, in un miracolo. La sera si era subito confidata con Giovanni che l’aveva rassicurata:
- Dunque, non possiamo aspettare oltre. Tra pochi giorni, sarò pronto per partire con te. Lasceremo questo paese per sempre e andremo in Francia, mi hanno detto che là è possibile trovare lavoro. Sarai mia moglie, finalmente!
 Le lacrime di lei si erano asciugate al fuoco dei baci e delle carezze e, poi, come ogni notte, era rientrata alla semplice casupola.
La sera dopo, il tempo minacciava tempesta: grossi nuvoloni scuri si spingevano gonfi di pioggia verso la terra, mentre il vento sollevava gigantesche onde sfracellandole contro le rocce.
Giovanni non era giunto e neppure i giorni successivi. Inutilmente, il vento aveva taciuto e il mare si era acquetato: la fragile barchetta che lo portava da Spotorno alle acque di Noli non era più arrivata.
Mentre Caterina, di buon mattino, stava per diventare moglie di un contadino di Noli, così come doveva essere, il padre di Giovanni, Nicolò si avviava, come ogni giorno, verso una tomba disadorna appena fuori della strada che attraversava la piana raggiungendo il Castello. Lungo i vicoli schermati dagli archetti che tenevano su le pareti ingobbiate e scrostate dallo scirocco, gli uomini si muovevano silenziosi per recarsi a lavorare nelle fasce dall’alba al tramonto. Nicolò rivolgeva dapprima una breve preghiera davanti a una cappella votiva che doveva tener lontano siccità, grandine, carestie, epidemie e malocchio. Poi, si fermava davanti alla tomba del suo unico figlio Giovanni. Tre mesi prima, dopo un periodo di carcere nelle segrete del Castello, Giovanni era stato giustiziato. Traditore, l’avevano detto. Spia e confidente dei Nolesi ai quali portava notizie quasi ogni notte, raggiungendo, furtivo, la spiaggia di Noli con una barca non sua. Una sera, mentre stava per prendere il mare, le guardie lo avevano bloccato e arrestato. Inutili erano state le sue grida d’innocenza. Nessuno gli aveva mai creduto, neppure al momento della morte quando aveva invocato disperatamente una santa di nome Caterina. Ma Nicolò sapeva che suo figlio non era un traditore. Non era certo così che lo aveva allevato, forte e coraggioso, capace di lavorare il doppio degli altri giovani. Ogni giorno, anche se non aveva potuto capire il motivo di quelle uscite in barca, andava a trovarlo là, nella terra odorosa di erbe e di fiori. Poi, anche lui, come tutti, tornava al lavoro che avrebbe continuato fino a quando le sue forze glielo avessero permesso.
 
Un giorno, il pullman, durante il tragitto, si era fermato a causa di un guasto. Nell’attesa di ripartire, anche Claudia e il giovane Stefano si erano scambiati qualche parola. Da allora, gli incontri si erano fatti più frequenti e importanti.
Qualche anno era passato.
La storia di Claudia e Stefano continuava ancora: lentamente, le reciproche diffidenze avevano lasciato il posto a un amore totale e felice. Qualche volta, si arrampicavano per uno scosceso sentiero proprio dietro le case di Noli fino a una grotta nascosta dagli arbusti dove nessuno avrebbe potuto scorgerli. Era assai dolce tenersi per mano e fare progetti per il futuro! Stefano si era laureato e Claudia frequentava l’Università.
Correva l’anno 2018. Un pomeriggio, seduti a un tavolino di un bar, proprio in vista della Basilica romanico-bizantina di San Paragorio, mentre nugoli di turisti affollavano le vie del borgo e la passeggiata a mare, Stefano aveva detto a Claudia di avere una novità da confidarle.
- Bene, anch’io ho qualcosa d’importante da confidarti…aveva risposto lei abbassando lo sguardo.
- Dimmi, poi parlerò io.
La Chiesa, ornata di lesene, archi e maioliche medievali, attirava lo sguardo di Claudia: forse si vedeva in abito bianco proprio là, un giorno che non sarebbe stato lontano…
- Mi hanno convocato per un colloquio in una grande azienda di Milano. Chissà, se mi assumessero… la vita potrebbe cambiare. Qui, non c’è lavoro per me. Là cercano un futuro dirigente amministrativo, mi preparerebbero con dei corsi interni e poi dovrei iniziare il lavoro: probabilmente in qualche fabbrica secondaria del loro gruppo, magari all’estero, ma potrei avere opportunità di carriera…
Gli occhi dell’uomo brillavano, le parole uscivano entusiaste dalle sue labbra, quelle labbra che lei amava così tanto.
- Sono felice, tanto felice… Anch’io ho qualcosa che cambierà la vita… Stefano, aspetto un bambino.
Un lampo di fastidio era passato negli occhi di lui diventati gelidi. È… non me l’aspettavo… forse, è un po’ presto per noi…-
Il viso di Claudia era diventato così triste che Stefano si era subito corretto. 
- Non preoccuparti, se mi assumeranno risolveremo ogni problema…
Le frasi si rincorrevano veloci e la fanciulla si era tranquillizzata. Come sempre – pensava - un figlio viene accettato subito dalla madre e un po’ dopo dal padre. Stefano non l’avrebbe delusa.
La sera, a casa, come al solito, avrebbe dovuto sentire le lamentele di sua madre e suo padre per quella storia con uno spotornese, ma avrebbe potuto sempre pensare che il passato non può influenzare il presente. I tempi cambiano e solo le persone sono artefici del loro destino.
Così, quel pomeriggio, dopo il loro colloquio, Stefano era tornato a Spotorno e l’indomani sarebbe partito per Milano.
L’appuntamento sarebbe stato poi la sera sulla spiaggia. Là avrebbero deciso il futuro.
Claudia aspettava sulla riva del mare, dove erano soliti incontrarsi durante l’inverno per essere soli.
Ma non giungeva alcun rumore di passi sulla ghiaia e la sera scendeva lentamente, coprendo lo sciacquio di carezzevoli onde blu. La pace sembrava avviluppare le rocce che si stagliavano contro un cielo fermo e sicuro e neppure un filo di vento giungeva a scuotere la sua gonnellina corta sopra le ginocchia.
Solo il dubbio incrinava i suoi pensieri: - Ecco, non ci si può fidare di uno spotornese, è ancora e sempre un nemico, in fondo…
Le lacrime scendevano ormai copiose dai suoi occhi neri.
Poi, trascinando gli zoccoletti sulla sabbia e sulle pietre, si era avviata verso casa.
Poche ore prima, Stefano stava guidando la sua auto sull’autostrada, di ritorno da Milano. L’importante azienda l’aveva assunto ed era impaziente di tornare da lei, sulla spiaggia, a dirle che l’avrebbe sposata, che sarebbe stato felice di vivere con lei e il loro bambino.
Magari sarebbero stati per un po’ in un paese straniero, ma sarebbero partiti insieme. Non si sarebbero lasciati mai più. Ogni notte avrebbero potuto dormire abbracciati, chiacchierare tranquillamente, vivere compiutamente l’esperienza della vita.
Le note di una canzoncina allegra si dilatavano dall’autoradio nell’abitacolo della vettura ed egli le accompagnava canticchiando.
Avrebbe iniziato una nuova vita con lei…
Lo schianto era stato violento. Il camion aveva invaso la sua corsia e schiacciato quell’utilitaria azzurra. Inutile era stato il suo grido, anche se, nell’ultimo istante, aveva invocato, chissà perché, il nome di Caterina.
Renata Rusca Zargar