POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!
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sabato, dicembre 10

Il pastore, la pecora nera e il Natale


Il pastore, la pecora nera e il Natale


                   
  Era la pecora nera di un  vecchio pastore, che per lei ebbe tenerezza,
la difese dalle altre pecore che l’avevano emarginata, la crebbe e la chiamò 
Brunella. Le mise un fiocco rosso al collo e lei lo seguiva ovunque, quando egli si fermava anche lei si fermava standogli timidamente vicino in silenzio,
desiderosa di una carezza.
Il pastore era povero, possedeva soltanto cinque pecore e tre galline col gallo.
C’era una grotta naturale proprio di fronte alla sua catapecchia e lì
dentro teneva questi animali, insieme ai buoi, agli asini, al numeroso gregge
ed al grande pollaio recintato di suo fratello ricco.

Quella sera faceva fresco e si sentiva quasi un re sul trono col braciere ai
piedi e una bella coperta di vera lana sulle ginocchia. La pecora nera,
 sua
prediletta, stava accucciata il più possibile vicina a lui sul pavimento
di terra battuta. Per risparmiare aveva spento la piccola lampada palpitante,
pensò a sua moglie, che era morta molti anni prima, ai figli lontani sotto
un padrone, alla vita e a come gli facevano male le articolazioni, ciò gli
provocò un poco di tristezza ed allora pregò il Dio altissimo nel quale lui e
la sua famiglia e tutta la sua razza credevano fermamente. Egli sarebbe
disceso in terra a liberarli, nascendo da una vergine, era scritto. Come
ciò potesse avvenire il vecchio non sapeva immaginare, ma del resto nemmeno
si spiegava perché i fiocchi di neve fossero così morbidi e bianchi né da
dove fosse venuto fuori il sole o come facessero gli astri a restare sospesi
per aria senza cadere. Mentre pensava a tutte queste cose che non capiva,
ma gli sembravano belle, dalla porta socchiusa vide passare un gran chiarore,
si alzò ed andò a guardare: una stella con la coda veniva giù rapidissima
dal cielo come se volesse incendiare la terra, egli gridò sgomento, ma
all’ultimo minuto la cometa si fermò sulla grotta dove lui teneva gli animali
insieme ai buoi, agli asini, al gregge ed al grande pollaio di suo fratello ricco.
La luce divenne sempre più intensa ed il vecchio alzò la testa spalancando
gli occhi e le orecchie: nella sua catapecchia stavano entrando giovinetti
Angeli
bellissimi, in massa, cantavano e dicevano che il Dio bambino era appenanato e riposava nella mangiatoia proprio lì di fronte.

Il fratello povero con la pecora
La pecora nera,
a sua volta, alzò il capo a guardare gli angeli e le uscì un belato che sembrò anch’esso una dolce nota musicale.
I canti di lode divennero fragorosi ed il vecchio sentì la propria voce
mescolarsi al coro, e non tremava né era roca per l’età.
Corse, con la pecora nera, verso la grotta senza sentire più male
alle articolazioni né freddo né niente.
Ester la vedova, quella sera, non aveva potuto dare ai suoi tre bambini che
una fetta di pane per uno ed un po’ d’acqua presa alla fontana. Si vergognava
tanto di chiedere nuovamente una pagnotta alla moglie del fornaio.
In quanto a lei, aveva fame. Si stringeva i pugni sulla pancia nel tentativo
vano di calmare i crampi. I figli avevano piagnucolato che volevano
un poco di latte caldo, anche mezza tazza, anche un sorso. Le si era
spezzato il cuore ed aveva cantato a lungo dopo averli messi a letto,
alla fine si erano addormentati vicini. Faceva freddo e la legna
stava per esaurirsi, i pochi soldi rimasti erano finiti quella mattina.
Non poteva prendere sonno sia per la fame e sia perché non sapeva come
fare a sopravvivere dopo la morte improvvisa di suo marito.
Si avvicinò al piccolo letto nel quale avevano dormito insieme ed accarezzò,
come sempre faceva, il cuscino di lui striminzito e duro.
Di giorno in giorno spariva il sapore della vita di prima, il ricordo della
sua voce,  i baci e le carezze dell’amore coniugale, i figli, il lavoro, tanto,
troppo lavoro, ma anche tutto quell’amore.
Quali gioie segrete avevano vissuto insieme e come egli le mancava, e non
soltanto perché adesso non sapeva più come sopravvivere.
C’erano tanti mendicanti nei posti affollati, frequentati dai ricchi e dai
profeti, ci sarebbe andata anche lei a tendere la mano per i figli.
Incominciò a piangere senza riuscire a smettere. Badava a fare piano
per non svegliare i piccoli, affinché non ricominciassero a chiederle un
po’ di latte caldo.
Il fuoco, adesso, si stava spegnendo e lei aveva finito l’ultimo pezzetto
di legna. Andò a prendersi la mantellina dal gancio al quale la teneva
appesa, era troppo sottile, consumata per il lungo uso, non l’avrebbe riparata granché, sospirò e se la strinse sulle spalle, era giovane e forte, ce l’avrebbe
fatta a trovare qualche rametto lì in giro prima che venisse a nevicare.
L’aria le punse il naso ed incominciò a starnutire.
Si mise a ridere nel gelo, come a confortarsi da sola, e guardò le stelle
così nitide. Una di esse, in quel momento, sembrò precipitare dall’alto
puntando dritta verso di lei o così le parve. Ester gridò dalla paura, ma
anche per uno strano incanto, in quel chiarore si accorse che, tutt’intorno
a lei, erano sparsi tanti rami di legna, sia piccoli che grossi. Si chiese
come avesse fatto a non vederli il giorno prima e li raccolse, un occhio
alla stella ed un occhio per terra, ne ebbe presto le braccia cariche e
vide che la cometa si era fermata sulla grotta dove i due fratelli pastori,
uno povero ed uno ricco, tenevano gli animali.
Si avviò verso casa ed aggiustò il fuoco, che subito riprese a lampeggiare.
I bambini, intanto, si erano svegliati, anche perché si sentiva un canto
bellissimo, delicato e forte contemporaneamente e quella piccola stanza
presto fu piena di esseri alati, giovani e ridenti, che annunciavano la
nascita del Re, Figlio di Dio, proprio in quella grotta lì accanto,
nella mangiatoia, riscaldato dal respiro di un bue e di un asinello.
Subito i bambini incominciarono a vestirsi, ed era la prima volta che il
più piccolo lo faceva da solo, < Ma cosa gli portiamo,
non abbiamo niente>
Ester e i bambini
disse Ester guardandosi intorno,
< Perché non raccogli i fiori che nascono
qui avanti ? > le rispose uno degli angeli indicandole la nuda terra coperta
di neve, Ester seguì con gli occhi il suo dito e vide che c’erano parecchi gigli
alti e bianchissimi ed una pianta di rose scarlatte, tutte fiorite contemporaneame
nte, proprio sull’uscio di casa.
La moglie del pastore ricco aveva appena finito di litigare con suo marito
perché si sentiva trascurata e disse che lui la lasciava sempre sola in quella
casa troppo grande, egli aveva strillato a sua volta che il proprio lavoro
non era uno scherzo e la sera si ritirava stanco morto e affamato, col
desiderio di buttarsi a dormire senza nemmeno togliersi i calzari.
Aggiunse che avrebbe dovuto essere contenta di vivere in modo talmente
opulento, con una serva che veniva tutti i giorni a mettere a posto la casa, provvedere a prendere l’acqua, lavare, stendere e cucinare. Lei, piuttosto, si passasse il tempo a filare e si rendesse utile: nessuna moglie di nessun pastore
stava così bene, sbraitò, sempre con la pancia piena, guardasse quel
poveraccio di suo fratello vedovo e povero, aveva quattro figli, lui,
tutti lontani e poveri a loro volta.
< E noi, invece, non abbiamo figli > disse piano la donna, ma così piano
da non farsi sentire per non ferirlo, < e nessuno ci vuole bene
né si ricorda di noi >.
Si slanciò sul suo petto per fare la pace con le lacrime agli occhi,
mentre gli chiedeva perdono ed egli chiedeva perdono a lei, ed erano
due vecchi tremanti e pieni d’amore,
sentirono uno strano e delizioso rumore che veniva dal cielo, aprirono il
loro elegante portone di legno massiccio e videro la cometa precipitare
in un lampo di luce sulle loro teste. Gridarono entrambi di panico e di
una insolita gioia. La stella aleggiava lì davanti, sulla grotta dove lui
teneva gli animali ed ospitava anche quelle quattro bestie di suo fratello,
che altrimenti avrebbe fatto la fame.
In quel momento, al ricco, non sembrò poi di avere fatto granché per
il fratello povero, che abitava nella catapecchia più indietro.
Simultaneamente molte creature alate, giovani, bellissime e canterine,
si affollarono intorno al portone proclamando che, proprio in
quella grotta, al chiarore della cometa ed al caldo del fiato di un bue
e di un asinello, era nato il Re del cielo.
I due vecchi restarono sbalorditi, si buttarono i mantelli buoni sulle spalle, prepararono in un grande canestro latte, uova, formaggio, burro, ricotta
ed una bella pagnotta di pane fresco e si precipitarono alla grotta, dove
Il fratello ricco con la moglie
incontrarono il fratello povero, che aveva portato in un canestrino latte,
uova, formaggio, burro, ricotta ed una pagnottella di pane del giorno prima.
Lo tallonava, come sempre, la pecora nera. Nel frattempo arrivava Ester
coi suoi tre bambini , che avevano in mano i gigli e le rose, < Li ho raccolti
davanti casa > disse Ester dinanzi al loro sguardo interrogativo.
Dietro, a piccoli gruppi, venivano tutti i pastori dei dintorni. E dovunque
c’era lo splendore della stella cometa, sempre più intenso e tiepido, ed il coro
degli angeli e quel profumo di fiori.
Incominciò a nevicare, ma non faceva freddo.
Madonna con Bambino
Maria Vergine santissima  si alzò dalla comoda pietra sulla quale stava
seduta e mostrò il Bambino ai pastori aprendo la mantellina ricamata
nella quale l’aveva avvolto. Non sembrava una donna che avesse appena
partorito: serena, colorita, ridente come se niente fosse stato.
Gesù era preciso a  tutti i bambini appena nati: rosso, grinzoso ed urlante, nell’insieme bellissimo.
Tese le piccole braccia proprio verso i pastori e smise di piangere.
San Giuseppe
San Giuseppe badava ad aggiungere legna al fuoco.
Tutti i pastori si affollarono con le proprie ricottelle, il latte, le uova
ed il pane fresco oppure del giorno avanti.
La Madonna sistemò Gesù, che intanto si era addormentato, nella mangiatoia,
la pecora nera ne approfittò subito per accucciarsi lì accanto,
allungando il muso verso di Lui.
Dopo Maria vergine si rivolse ad Ester, i cui bambini le porgevano
gli splendidi fiori:
< Grazie > disse soavemente, con una nota di pietà così tenera che nessuno al mondo si sarebbe potuto offendere, < è un dono raro. I fiori sono la cosa più gratuita e bella della terra. Ma i tuoi figli non avevano voglia di latte caldo e di pane? >.
I piccoli si ricordarono di avere la pancia quasi completamente vuota e si imbronciarono come fanno i bambini.
Intanto la grotta si riempiva di ogni ben di Dio portato dai pastori.
< Per noi è troppo tutto questo cibo > disse san Giuseppe, < se i tuoi figli hanno
fame, puoi prendere quello che vuoi >.
La Madonna sembrò che si rivolgesse proprio alla moglie del fratello  ricco :
< Questa signora cerca un lavoro > disse.
< Io ho latte, burro, uova e pane a sufficienza per me e per loro > rispose
subito il fratello povero.
< Ed io avrei bisogno di una brava rammendatrice > aggiunse altrettanto rapidamente la moglie del fratello ricco, < ma saresti un’amica per me e
non una lavorante, anche se ti pagherò il giusto prezzo. Mio marito
è sempre fuori al lavoro ed io mi sento sola >.
< E voi due fratelli, perché non vivete insieme, nella stessa casa ?
Forse non avete posto? > chiese la Madonna. A nessuno parve strano
che sapesse tante cose della loro vita.
< Mi sembra una buona idea > rispose subito il fratello ricco,
ed abbracciò il povero, che  lo abbracciò a sua volta. < La nostra casa
è grande ed è vuota. I tuoi figli, invece di stare lontano, potrebbero
tornare qui e lavorare con noi >.
Erano tutti commossi.
Il canto degli angeli diventò sublime. La pecora nera, strusciando di muso
e di zampe, tanto fece che si slacciò il suo bel fiocco rosso, al quale teneva moltissimo, e lo lasciò nella mangiatoia, in dono per Lui.
A Gesù, che faceva finta di dormire, scappò da ridere.
                                                      Domenica Luise
Il testo e i disegni sono dell'autrice.

martedì, dicembre 15

Una stella lontano lontano


 Alla chiusura del forno le davano i pezzi avanzati invece di buttarli nella spazzatura, la vecchia sorrideva senza denti e ringraziava. Il garzone del bar, tutte le mattine, le preparava il cappuccino caldo d’inverno e la granita di limone in estate per una strana seduzione arguta che emanava da quella cenciosa, per quanto pulita, ma lei non accettò mai la brioche fresca che egli le offriva, ci si inzuppava il pane o la pizza della sera prima e socchiudeva gli occhi beata mormorando: buonissimo! Delizioso. Grazie, Gesù.
Non sapeva che quel ragazzo pagava di tasca propria la consumazione perché il proprietario si girasse dall’altra parte e facesse finta di non vederla.
Adesso era inverno, quasi Natale, e le era venuta un po’ di tosse. Ma io sono forte, pensò, mi bevo il caffelatte buono del bar col pane e mi sento subito meglio.
Invece il dolore nel petto aumentava.
Poi vado alla mia panchina, ho sonno.
Era diventata  piccina lei, che era stata la cicciona della famiglia, le spalle accartocciate, le dita dei piedi e delle mani storte e il fuoco nelle articolazioni. Ricordava l’elegante bastone del nonno, col pomello d’avorio, e papà e mamma, ancora insieme, quando cavalcavano ed erano belli, sani, ricchi e felici. Poi la mamma fuggì chissà dove e chissà con chi e perché e forse era colpa sua: era lampante che nessuno le voleva più bene, non il nonno, che non le rivolgeva mai la parola né le sorrideva, non il papà, che non tornava mai e nemmeno telefonava, non le sue compagne di studi, che non poteva più invitare in quella casa dove si divertivano perché era grande come un castello e si mangiava sempre e se ti portavi via un soprammobile d’argento nessuno ci faceva caso.
Ormai non sono più grassa pensò infilandosi sotto la panchina, fra stracci e giornali vecchi. Incominciò a nevicare.
Lei era dietro i vetri a guardare i fiocchi che volteggiavano, il caminetto era acceso, il nonno zitto ed era il giorno di Natale. Da quando la nuora era fuggita non aveva più fatto il presepio. Fuori qualcuno cantava i cori di sempre, che arrivavano a onde ovattate.
Una volta era la prima della classe e scriveva poesie, tutti la lodavano. Natale era un trionfo. Venivano papà e mamma a prenderla fino al collegio di lusso, in Svizzera, dove studiava.
Adesso stava sotto una panchina e aveva tutta quella stanchezza.
Qualcuno passò e buttò rapidamente una borsa di plastica bella grande proprio lì accanto, sentì che diceva: -Finalmente me ne sono liberato-, guardò con la coda dell’occhio, era una buona borsa resistente, che le sarebbe tornata utile e poi si sa, anche da vecchia la curiosità è femmina, chissà cosa c’era dentro?
Uscì dal suo posto invisibile e vide che avevano buttato un presepio completo nuovissimo e bello.
Accarezzò la Madonna, san Giuseppe e il bambino, gli angeli, i pastori con le pecore, la lavandaia, lo zampognaro e per ultima la stella, che perdeva i lustrini bianchi come quella di quando era piccola e le piaceva sempre toccarla coi ditini curiosi. Poi incominciò a fare il presepio sulla panchina e vide che aveva le mani blu, ma non le importava, suonò forte la campana della chiesa, sentì una delizia strana in corpo e anima.

Aprì gli occhi e vide che si trovava in un letto vero, pulitissimo e caldo, al braccio le avevano attaccato una flebo e portava un pigiama a fiori. Qualcuno mi ha trovata, pensò. Devo ringraziarli, mi hanno salvato la vita. Forse sono svenuta.
Sentì che dicevano: appena in tempo.
Girò la testa, ma non le uscì la voce per chiamare.
Entrò una ragazza vestita da pagliaccio, con un gran naso rosso e la parrucca gialla: -Ma non vedete che si è svegliata? Come si sente, signora? Ci ha fatto prendere una bella paura, per sollevarla ho dovuto chiamare le forze dell’ordine, sono la sua salvatrice, l’ho vista io lì per terra, ah, ah, ah, sono vestita così perché faccio la volontaria qui per divertire i bambini malati.
-Dall’odore di disinfettante mi accorgo che sono in ospedale e non in paradiso- rispose lei annusando intorno, tutti risero.
-Stava facendo il presepio sulla panchina sotto la neve con statuine rarissime del settecento perfettamente conservate, dove le ha prese?- le chiese uno che sembrava un carabiniere, così la vecchina gli raccontò che le avevano appena buttate, le era piaciuta la borsa e si era messa a fare il presepio come quand’era piccola e il nonno aveva il bastone col pomello d’avorio e mamma e papà cavalcavano felici e a Natale c’era un presepio grande, con la stella piena di lustrini che lei toccava sempre.
I medici, il carabiniere, le infermiere e la ragazza vestita da pagliaccio si guardarono perplessi: poverina, vaneggiava.
Il carabiniere disse: -Lo sa che quelle statuine valgono un patrimonio? Adesso lei è ricca.
-Allora posso donare il presepio alla nostra chiesetta perché tutti lo vedano?- chiese la vecchia signora pensando di tornare alla panchina e ai suoi stracci per quel poco che le restava, ma:
-E noi l’ospiteremo- le rispose il prete subito accorso, -la cureremo e vivrà nella nostra famiglia. Qual è il suo nome?

Domenica Luise

(Presepio con neve di
cotone fatto da Domenica Luise nell’anno 2015, fotografie e computergrafica di Domenica Luise)

venerdì, settembre 18

I misteri dell'Ermetismo: E lasciatemi divertire

Posted on 17 settembre 2015
L’arte moderna non si capisce: si vive e rivive.
Non tutta è arte, anzi direi che ai tempi attuali ne vedo pochissima, quando è arte non si dimentica, ritorna, s’impone, se invece è una delle cento cretinate alla moda passa subito di mente e lascia insoddisfatti, come se mancasse qualcosa di essenziale.
C’è molto anticonformismo e voglia di nuovo che, da soli, non sono arte.
Non è nemmeno che io c’ero, testimone lo smartphone e le riprese amatoriali sbilenche, ma non è arte il perfezionismo per il perfezionismo.
Ci vuole il gioco ironico, sarcastico, ridente, graffiante, anche sanguinante o l’amore e il dolore umani restano incolori, insapori e inodori senza che l’acqua si trasformi in vino, perché la vera arte inebria e non soltanto disseta.
Già, comunque, studiare e dissetarsi è una cosa eccellente, direi la base di partenza, quando inizi a imparare le quattro operazioni, dopo c’è tutto il mondo della matematica e le novità continue per la mente.
Ma nemmeno la matematica, da sola, è arte, lo diventa quando incominci a stupire e divertirti. Sta lì il lievito che fa alzare la brioche.
Un artista che non se la spassa è un brav’uomo, ma non è un poeta. È uno acculturato, ma non è un poeta. Ci vuole qualcosa di troppo semplice per essere poeti, non solo piangere sulle sorti umane, siamo stufi di lamenti e basta, mescoliamoli con lo spirito di patata e troveremo i germogli giusti della rinascita e le parole della poesia. Però questa è una cosa che non si può costruire razionalmente, o c’è o non c’è, il dono è raro, l’equilibrio della tessitura è instabile eppure dalla stoffa traluce l’anima dell’autore ora di più ora di meno, ma incisivamente. Avete presente il volo della nike di Samotracia? Quella levità, slancio, anelito, gioia del dolore e gioia della gioia è un’immagine plastica della poesia.
Domenica Luise
(File di Domenica Luise)
C’è un decadimento in ogni cosa, in questo nostro tempo, e non vorrei cadere nel lamento, è solo constatazione. In ogni caso, oggi fanno passare per arte ciò che per me è spazzatura. Mi direte: non ne capisci niente, di arte, se non apprezzi quello che ti propiniamo ora. Bene, preferisco non capirne niente! Così come non capisco nulla di quanto accade nella politica attuale (anche questa ce la propinano come antipasto, primo, secondo e dessert, ma poi mi ci vuole un digestivo, per digerirla!) . L’arte è qualcosa che deve prendere il cuore e la mente, dare forte emozioni. Se questo non accade…voltiamo lo sguardo altrove!


Bellissimo pezzo, Mimma, tu ci fai sempre sognare!
Danila




martedì, febbraio 24

MA

Disegno realizzato al pc dall'autrice
vado precipitando nella nube
dell’inconoscibilità deliziosa, dove
vedo senza vedere, bacio senza baciare
vado e vengo a volo immobile
su correnti che non so come ci siano.
 È l’uno il tutto il sempre
l’incontenibile
l’inimmaginabile desiderato.
Una vita altra quasi sfiorata, annusata
respirata con parole
o non parole e silenzi senza pensiero.
 Sono il papavero nel prato e il grano
il fiordaliso e la sequoia
e neve sole orizzonti, il gattino che succhia
il topo in fuga, padre figlia madre
sorella sposa e la tigre ed il vento
dolore amore grido risata
ribellione morte vita passato
e futuro in presente. Ora.
 Il volo della farfalla.
 Ma
eccomi. Non aspetto: esisto.

Domenica Luise



sabato, ottobre 18

Il canto diurno della pastorella errante siciliana di Domenica Luise


Che fai tu sole in ciel, dimmi, che fai
o tempestoso sole? Arrabbiatissimo
dall’alto guardi le prodezze umane
sempre le stesse, noi fin da paleolitici
inventammo l’obolo e le tasse. Trasformammo
i frutti della terra in soldi
così mangiammo l’oro come Mida
e a Messina arrivano le arance straniere
insapori, enormi e lucidate a specchio. Tu, sole
vecchio saggio, che cosa fai per questi
vermi di terra brulicanti
alla conquista dello spazio con una fionda?

 Davide e Golia, Ulisse e il ciclope
utente contro sfruttatori. Sorrisi tatuati
fissi e buchi neri accumulatori
del dio denaro gestiscono il gregge
imbecille addormentato con televisione e internet, ma
il giorno è inoltrato
ormai,la luce entra in tutti gli angoli
in qualche cosa il gregge deve pur credere
per continuare a pagare. Intanto
mangiamo di meno, i prezzi crollano
i negozi chiudono, le offerte speciali
aumentano e il fisco incalza
gridano tutti uno sull’altro. Ci siamo svenduti
al migliore offerente
e tu, sole, che diavolo combini
imperterrito nel cielo inquinato
sul mare dei fuggitivi affogati
morti di stenti per ingiustizia?

 Si sono spartiti i soldi della beneficenza
e hanno mandato gli altri a fare la guerra
hanno tosato a sangue tutte le mie pecore
che non ragionano più né hanno gioia d’erba
e di agnellini saltellanti sulle poppe.

 E tremano i piccoli morendo per imbandire
banchetti ed abiti e ville di bagordi.

 Abbiamo questo respiro così fragile
e compriamo le medicine anche se siamo esenti
paghiamo la visita privata o se ne parla fra due anni
e nel frattempo moriamo, tanto non importa a nessuno
che una professoressa in pensione
sempre aspirante poetessa
liberi il posto.

 Eppure
la vita è bellissima.



Domenica Luise

Immagine creata dall'autrice