Il pastore, la pecora nera e il Natale
Era la pecora nera di un vecchio pastore, che per lei ebbe tenerezza,
la difese dalle altre pecore che l’avevano emarginata, la crebbe e la chiamò Brunella. Le mise un fiocco rosso al collo e lei lo seguiva ovunque, quando egli si fermava anche lei si fermava standogli timidamente vicino in silenzio,
desiderosa di una carezza.
Il pastore era povero, possedeva soltanto cinque pecore e tre galline col gallo.
C’era una grotta naturale proprio di fronte alla sua catapecchia e lì
dentro teneva questi animali, insieme ai buoi, agli asini, al numeroso gregge
ed al grande pollaio recintato di suo fratello ricco.
Quella sera faceva fresco e si sentiva quasi un re sul trono col braciere ai
piedi e una bella coperta di vera lana sulle ginocchia. La pecora nera, sua
prediletta, stava accucciata il più possibile vicina a lui sul pavimento
di terra battuta. Per risparmiare aveva spento la piccola lampada palpitante,
pensò a sua moglie, che era morta molti anni prima, ai figli lontani sotto
un padrone, alla vita e a come gli facevano male le articolazioni, ciò gli
provocò un poco di tristezza ed allora pregò il Dio altissimo nel quale lui e
la sua famiglia e tutta la sua razza credevano fermamente. Egli sarebbe
disceso in terra a liberarli, nascendo da una vergine, era scritto. Come
ciò potesse avvenire il vecchio non sapeva immaginare, ma del resto nemmeno
si spiegava perché i fiocchi di neve fossero così morbidi e bianchi né da
dove fosse venuto fuori il sole o come facessero gli astri a restare sospesi
per aria senza cadere. Mentre pensava a tutte queste cose che non capiva,
ma gli sembravano belle, dalla porta socchiusa vide passare un gran chiarore,
si alzò ed andò a guardare: una stella con la coda veniva giù rapidissima
dal cielo come se volesse incendiare la terra, egli gridò sgomento, ma
all’ultimo minuto la cometa si fermò sulla grotta dove lui teneva gli animali
insieme ai buoi, agli asini, al gregge ed al grande pollaio di suo fratello ricco.
La luce divenne sempre più intensa ed il vecchio alzò la testa spalancando
gli occhi e le orecchie: nella sua catapecchia stavano entrando giovinetti
la difese dalle altre pecore che l’avevano emarginata, la crebbe e la chiamò Brunella. Le mise un fiocco rosso al collo e lei lo seguiva ovunque, quando egli si fermava anche lei si fermava standogli timidamente vicino in silenzio,
desiderosa di una carezza.
Il pastore era povero, possedeva soltanto cinque pecore e tre galline col gallo.
C’era una grotta naturale proprio di fronte alla sua catapecchia e lì
dentro teneva questi animali, insieme ai buoi, agli asini, al numeroso gregge
ed al grande pollaio recintato di suo fratello ricco.
Quella sera faceva fresco e si sentiva quasi un re sul trono col braciere ai
piedi e una bella coperta di vera lana sulle ginocchia. La pecora nera, sua
prediletta, stava accucciata il più possibile vicina a lui sul pavimento
di terra battuta. Per risparmiare aveva spento la piccola lampada palpitante,
pensò a sua moglie, che era morta molti anni prima, ai figli lontani sotto
un padrone, alla vita e a come gli facevano male le articolazioni, ciò gli
provocò un poco di tristezza ed allora pregò il Dio altissimo nel quale lui e
la sua famiglia e tutta la sua razza credevano fermamente. Egli sarebbe
disceso in terra a liberarli, nascendo da una vergine, era scritto. Come
ciò potesse avvenire il vecchio non sapeva immaginare, ma del resto nemmeno
si spiegava perché i fiocchi di neve fossero così morbidi e bianchi né da
dove fosse venuto fuori il sole o come facessero gli astri a restare sospesi
per aria senza cadere. Mentre pensava a tutte queste cose che non capiva,
ma gli sembravano belle, dalla porta socchiusa vide passare un gran chiarore,
si alzò ed andò a guardare: una stella con la coda veniva giù rapidissima
dal cielo come se volesse incendiare la terra, egli gridò sgomento, ma
all’ultimo minuto la cometa si fermò sulla grotta dove lui teneva gli animali
insieme ai buoi, agli asini, al gregge ed al grande pollaio di suo fratello ricco.
La luce divenne sempre più intensa ed il vecchio alzò la testa spalancando
gli occhi e le orecchie: nella sua catapecchia stavano entrando giovinetti
bellissimi, in massa, cantavano e dicevano che il Dio bambino era appenanato e riposava nella mangiatoia proprio lì di fronte.
La pecora nera,
a sua volta, alzò il capo a guardare gli angeli e le uscì un belato che sembrò anch’esso una dolce nota musicale.
I canti di lode divennero fragorosi ed il vecchio sentì la propria voce
mescolarsi al coro, e non tremava né era roca per l’età.
Corse, con la pecora nera, verso la grotta senza sentire più male
alle articolazioni né freddo né niente.
a sua volta, alzò il capo a guardare gli angeli e le uscì un belato che sembrò anch’esso una dolce nota musicale.
I canti di lode divennero fragorosi ed il vecchio sentì la propria voce
mescolarsi al coro, e non tremava né era roca per l’età.
Corse, con la pecora nera, verso la grotta senza sentire più male
alle articolazioni né freddo né niente.
Ester la vedova, quella sera, non aveva potuto dare ai suoi tre bambini che
una fetta di pane per uno ed un po’ d’acqua presa alla fontana. Si vergognava
tanto di chiedere nuovamente una pagnotta alla moglie del fornaio.
In quanto a lei, aveva fame. Si stringeva i pugni sulla pancia nel tentativo
vano di calmare i crampi. I figli avevano piagnucolato che volevano
un poco di latte caldo, anche mezza tazza, anche un sorso. Le si era
spezzato il cuore ed aveva cantato a lungo dopo averli messi a letto,
alla fine si erano addormentati vicini. Faceva freddo e la legna
stava per esaurirsi, i pochi soldi rimasti erano finiti quella mattina.
Non poteva prendere sonno sia per la fame e sia perché non sapeva come
fare a sopravvivere dopo la morte improvvisa di suo marito.
Si avvicinò al piccolo letto nel quale avevano dormito insieme ed accarezzò,
come sempre faceva, il cuscino di lui striminzito e duro.
Di giorno in giorno spariva il sapore della vita di prima, il ricordo della
sua voce, i baci e le carezze dell’amore coniugale, i figli, il lavoro, tanto,
troppo lavoro, ma anche tutto quell’amore.
Quali gioie segrete avevano vissuto insieme e come egli le mancava, e non
soltanto perché adesso non sapeva più come sopravvivere.
C’erano tanti mendicanti nei posti affollati, frequentati dai ricchi e dai
profeti, ci sarebbe andata anche lei a tendere la mano per i figli.
Incominciò a piangere senza riuscire a smettere. Badava a fare piano
per non svegliare i piccoli, affinché non ricominciassero a chiederle un
po’ di latte caldo.
Il fuoco, adesso, si stava spegnendo e lei aveva finito l’ultimo pezzetto
di legna. Andò a prendersi la mantellina dal gancio al quale la teneva
appesa, era troppo sottile, consumata per il lungo uso, non l’avrebbe riparata granché, sospirò e se la strinse sulle spalle, era giovane e forte, ce l’avrebbe
fatta a trovare qualche rametto lì in giro prima che venisse a nevicare.
L’aria le punse il naso ed incominciò a starnutire.
Si mise a ridere nel gelo, come a confortarsi da sola, e guardò le stelle
così nitide. Una di esse, in quel momento, sembrò precipitare dall’alto
puntando dritta verso di lei o così le parve. Ester gridò dalla paura, ma
anche per uno strano incanto, in quel chiarore si accorse che, tutt’intorno
a lei, erano sparsi tanti rami di legna, sia piccoli che grossi. Si chiese
come avesse fatto a non vederli il giorno prima e li raccolse, un occhio
alla stella ed un occhio per terra, ne ebbe presto le braccia cariche e
vide che la cometa si era fermata sulla grotta dove i due fratelli pastori,
uno povero ed uno ricco, tenevano gli animali.
Si avviò verso casa ed aggiustò il fuoco, che subito riprese a lampeggiare.
I bambini, intanto, si erano svegliati, anche perché si sentiva un canto
bellissimo, delicato e forte contemporaneamente e quella piccola stanza
presto fu piena di esseri alati, giovani e ridenti, che annunciavano la
nascita del Re, Figlio di Dio, proprio in quella grotta lì accanto,
nella mangiatoia, riscaldato dal respiro di un bue e di un asinello.
Subito i bambini incominciarono a vestirsi, ed era la prima volta che il
più piccolo lo faceva da solo, < Ma cosa gli portiamo,
non abbiamo niente>
una fetta di pane per uno ed un po’ d’acqua presa alla fontana. Si vergognava
tanto di chiedere nuovamente una pagnotta alla moglie del fornaio.
In quanto a lei, aveva fame. Si stringeva i pugni sulla pancia nel tentativo
vano di calmare i crampi. I figli avevano piagnucolato che volevano
un poco di latte caldo, anche mezza tazza, anche un sorso. Le si era
spezzato il cuore ed aveva cantato a lungo dopo averli messi a letto,
alla fine si erano addormentati vicini. Faceva freddo e la legna
stava per esaurirsi, i pochi soldi rimasti erano finiti quella mattina.
Non poteva prendere sonno sia per la fame e sia perché non sapeva come
fare a sopravvivere dopo la morte improvvisa di suo marito.
Si avvicinò al piccolo letto nel quale avevano dormito insieme ed accarezzò,
come sempre faceva, il cuscino di lui striminzito e duro.
Di giorno in giorno spariva il sapore della vita di prima, il ricordo della
sua voce, i baci e le carezze dell’amore coniugale, i figli, il lavoro, tanto,
troppo lavoro, ma anche tutto quell’amore.
Quali gioie segrete avevano vissuto insieme e come egli le mancava, e non
soltanto perché adesso non sapeva più come sopravvivere.
C’erano tanti mendicanti nei posti affollati, frequentati dai ricchi e dai
profeti, ci sarebbe andata anche lei a tendere la mano per i figli.
Incominciò a piangere senza riuscire a smettere. Badava a fare piano
per non svegliare i piccoli, affinché non ricominciassero a chiederle un
po’ di latte caldo.
Il fuoco, adesso, si stava spegnendo e lei aveva finito l’ultimo pezzetto
di legna. Andò a prendersi la mantellina dal gancio al quale la teneva
appesa, era troppo sottile, consumata per il lungo uso, non l’avrebbe riparata granché, sospirò e se la strinse sulle spalle, era giovane e forte, ce l’avrebbe
fatta a trovare qualche rametto lì in giro prima che venisse a nevicare.
L’aria le punse il naso ed incominciò a starnutire.
Si mise a ridere nel gelo, come a confortarsi da sola, e guardò le stelle
così nitide. Una di esse, in quel momento, sembrò precipitare dall’alto
puntando dritta verso di lei o così le parve. Ester gridò dalla paura, ma
anche per uno strano incanto, in quel chiarore si accorse che, tutt’intorno
a lei, erano sparsi tanti rami di legna, sia piccoli che grossi. Si chiese
come avesse fatto a non vederli il giorno prima e li raccolse, un occhio
alla stella ed un occhio per terra, ne ebbe presto le braccia cariche e
vide che la cometa si era fermata sulla grotta dove i due fratelli pastori,
uno povero ed uno ricco, tenevano gli animali.
Si avviò verso casa ed aggiustò il fuoco, che subito riprese a lampeggiare.
I bambini, intanto, si erano svegliati, anche perché si sentiva un canto
bellissimo, delicato e forte contemporaneamente e quella piccola stanza
presto fu piena di esseri alati, giovani e ridenti, che annunciavano la
nascita del Re, Figlio di Dio, proprio in quella grotta lì accanto,
nella mangiatoia, riscaldato dal respiro di un bue e di un asinello.
Subito i bambini incominciarono a vestirsi, ed era la prima volta che il
più piccolo lo faceva da solo, < Ma cosa gli portiamo,
non abbiamo niente>
disse Ester guardandosi intorno,
< Perché non raccogli i fiori che nascono
qui avanti ? > le rispose uno degli angeli indicandole la nuda terra coperta
di neve, Ester seguì con gli occhi il suo dito e vide che c’erano parecchi gigli
alti e bianchissimi ed una pianta di rose scarlatte, tutte fiorite contemporaneamente, proprio sull’uscio di casa.
< Perché non raccogli i fiori che nascono
qui avanti ? > le rispose uno degli angeli indicandole la nuda terra coperta
di neve, Ester seguì con gli occhi il suo dito e vide che c’erano parecchi gigli
alti e bianchissimi ed una pianta di rose scarlatte, tutte fiorite contemporaneamente, proprio sull’uscio di casa.
La moglie del pastore ricco aveva appena finito di litigare con suo marito
perché si sentiva trascurata e disse che lui la lasciava sempre sola in quella
casa troppo grande, egli aveva strillato a sua volta che il proprio lavoro
non era uno scherzo e la sera si ritirava stanco morto e affamato, col
desiderio di buttarsi a dormire senza nemmeno togliersi i calzari.
Aggiunse che avrebbe dovuto essere contenta di vivere in modo talmente
opulento, con una serva che veniva tutti i giorni a mettere a posto la casa, provvedere a prendere l’acqua, lavare, stendere e cucinare. Lei, piuttosto, si passasse il tempo a filare e si rendesse utile: nessuna moglie di nessun pastore
stava così bene, sbraitò, sempre con la pancia piena, guardasse quel
poveraccio di suo fratello vedovo e povero, aveva quattro figli, lui,
tutti lontani e poveri a loro volta.
< E noi, invece, non abbiamo figli > disse piano la donna, ma così piano
da non farsi sentire per non ferirlo, < e nessuno ci vuole bene
né si ricorda di noi >.
Si slanciò sul suo petto per fare la pace con le lacrime agli occhi,
mentre gli chiedeva perdono ed egli chiedeva perdono a lei, ed erano
due vecchi tremanti e pieni d’amore,
sentirono uno strano e delizioso rumore che veniva dal cielo, aprirono il
loro elegante portone di legno massiccio e videro la cometa precipitare
in un lampo di luce sulle loro teste. Gridarono entrambi di panico e di
una insolita gioia. La stella aleggiava lì davanti, sulla grotta dove lui
teneva gli animali ed ospitava anche quelle quattro bestie di suo fratello,
che altrimenti avrebbe fatto la fame.
In quel momento, al ricco, non sembrò poi di avere fatto granché per
il fratello povero, che abitava nella catapecchia più indietro.
Simultaneamente molte creature alate, giovani, bellissime e canterine,
si affollarono intorno al portone proclamando che, proprio in
quella grotta, al chiarore della cometa ed al caldo del fiato di un bue
e di un asinello, era nato il Re del cielo.
I due vecchi restarono sbalorditi, si buttarono i mantelli buoni sulle spalle, prepararono in un grande canestro latte, uova, formaggio, burro, ricotta
ed una bella pagnotta di pane fresco e si precipitarono alla grotta, dove
perché si sentiva trascurata e disse che lui la lasciava sempre sola in quella
casa troppo grande, egli aveva strillato a sua volta che il proprio lavoro
non era uno scherzo e la sera si ritirava stanco morto e affamato, col
desiderio di buttarsi a dormire senza nemmeno togliersi i calzari.
Aggiunse che avrebbe dovuto essere contenta di vivere in modo talmente
opulento, con una serva che veniva tutti i giorni a mettere a posto la casa, provvedere a prendere l’acqua, lavare, stendere e cucinare. Lei, piuttosto, si passasse il tempo a filare e si rendesse utile: nessuna moglie di nessun pastore
stava così bene, sbraitò, sempre con la pancia piena, guardasse quel
poveraccio di suo fratello vedovo e povero, aveva quattro figli, lui,
tutti lontani e poveri a loro volta.
< E noi, invece, non abbiamo figli > disse piano la donna, ma così piano
da non farsi sentire per non ferirlo, < e nessuno ci vuole bene
né si ricorda di noi >.
Si slanciò sul suo petto per fare la pace con le lacrime agli occhi,
mentre gli chiedeva perdono ed egli chiedeva perdono a lei, ed erano
due vecchi tremanti e pieni d’amore,
sentirono uno strano e delizioso rumore che veniva dal cielo, aprirono il
loro elegante portone di legno massiccio e videro la cometa precipitare
in un lampo di luce sulle loro teste. Gridarono entrambi di panico e di
una insolita gioia. La stella aleggiava lì davanti, sulla grotta dove lui
teneva gli animali ed ospitava anche quelle quattro bestie di suo fratello,
che altrimenti avrebbe fatto la fame.
In quel momento, al ricco, non sembrò poi di avere fatto granché per
il fratello povero, che abitava nella catapecchia più indietro.
Simultaneamente molte creature alate, giovani, bellissime e canterine,
si affollarono intorno al portone proclamando che, proprio in
quella grotta, al chiarore della cometa ed al caldo del fiato di un bue
e di un asinello, era nato il Re del cielo.
I due vecchi restarono sbalorditi, si buttarono i mantelli buoni sulle spalle, prepararono in un grande canestro latte, uova, formaggio, burro, ricotta
ed una bella pagnotta di pane fresco e si precipitarono alla grotta, dove
incontrarono il fratello povero, che aveva portato in un canestrino latte,
uova, formaggio, burro, ricotta ed una pagnottella di pane del giorno prima.
Lo tallonava, come sempre, la pecora nera. Nel frattempo arrivava Ester
coi suoi tre bambini , che avevano in mano i gigli e le rose, < Li ho raccolti
davanti casa > disse Ester dinanzi al loro sguardo interrogativo.
Dietro, a piccoli gruppi, venivano tutti i pastori dei dintorni. E dovunque
c’era lo splendore della stella cometa, sempre più intenso e tiepido, ed il coro
degli angeli e quel profumo di fiori.
Incominciò a nevicare, ma non faceva freddo.
uova, formaggio, burro, ricotta ed una pagnottella di pane del giorno prima.
Lo tallonava, come sempre, la pecora nera. Nel frattempo arrivava Ester
coi suoi tre bambini , che avevano in mano i gigli e le rose, < Li ho raccolti
davanti casa > disse Ester dinanzi al loro sguardo interrogativo.
Dietro, a piccoli gruppi, venivano tutti i pastori dei dintorni. E dovunque
c’era lo splendore della stella cometa, sempre più intenso e tiepido, ed il coro
degli angeli e quel profumo di fiori.
Incominciò a nevicare, ma non faceva freddo.
Maria Vergine santissima si alzò dalla comoda pietra sulla quale stava
seduta e mostrò il Bambino ai pastori aprendo la mantellina ricamata
nella quale l’aveva avvolto. Non sembrava una donna che avesse appena
partorito: serena, colorita, ridente come se niente fosse stato.
Gesù era preciso a tutti i bambini appena nati: rosso, grinzoso ed urlante, nell’insieme bellissimo.
Tese le piccole braccia proprio verso i pastori e smise di piangere.
seduta e mostrò il Bambino ai pastori aprendo la mantellina ricamata
nella quale l’aveva avvolto. Non sembrava una donna che avesse appena
partorito: serena, colorita, ridente come se niente fosse stato.
Gesù era preciso a tutti i bambini appena nati: rosso, grinzoso ed urlante, nell’insieme bellissimo.
Tese le piccole braccia proprio verso i pastori e smise di piangere.
San Giuseppe badava ad aggiungere legna al fuoco.
Tutti i pastori si affollarono con le proprie ricottelle, il latte, le uova
ed il pane fresco oppure del giorno avanti.
La Madonna sistemò Gesù, che intanto si era addormentato, nella mangiatoia,
la pecora nera ne approfittò subito per accucciarsi lì accanto,
allungando il muso verso di Lui.
Dopo Maria vergine si rivolse ad Ester, i cui bambini le porgevano
gli splendidi fiori:
< Grazie > disse soavemente, con una nota di pietà così tenera che nessuno al mondo si sarebbe potuto offendere, < è un dono raro. I fiori sono la cosa più gratuita e bella della terra. Ma i tuoi figli non avevano voglia di latte caldo e di pane? >.
I piccoli si ricordarono di avere la pancia quasi completamente vuota e si imbronciarono come fanno i bambini.
Intanto la grotta si riempiva di ogni ben di Dio portato dai pastori.
< Per noi è troppo tutto questo cibo > disse san Giuseppe, < se i tuoi figli hanno
fame, puoi prendere quello che vuoi >.
La Madonna sembrò che si rivolgesse proprio alla moglie del fratello ricco :
< Questa signora cerca un lavoro > disse.
< Io ho latte, burro, uova e pane a sufficienza per me e per loro > rispose
subito il fratello povero.
< Ed io avrei bisogno di una brava rammendatrice > aggiunse altrettanto rapidamente la moglie del fratello ricco, < ma saresti un’amica per me e
non una lavorante, anche se ti pagherò il giusto prezzo. Mio marito
è sempre fuori al lavoro ed io mi sento sola >.
< E voi due fratelli, perché non vivete insieme, nella stessa casa ?
Forse non avete posto? > chiese la Madonna. A nessuno parve strano
che sapesse tante cose della loro vita.
< Mi sembra una buona idea > rispose subito il fratello ricco,
ed abbracciò il povero, che lo abbracciò a sua volta. < La nostra casa
è grande ed è vuota. I tuoi figli, invece di stare lontano, potrebbero
tornare qui e lavorare con noi >.
Erano tutti commossi.
Il canto degli angeli diventò sublime. La pecora nera, strusciando di muso
e di zampe, tanto fece che si slacciò il suo bel fiocco rosso, al quale teneva moltissimo, e lo lasciò nella mangiatoia, in dono per Lui.
A Gesù, che faceva finta di dormire, scappò da ridere.
ed il pane fresco oppure del giorno avanti.
La Madonna sistemò Gesù, che intanto si era addormentato, nella mangiatoia,
la pecora nera ne approfittò subito per accucciarsi lì accanto,
allungando il muso verso di Lui.
Dopo Maria vergine si rivolse ad Ester, i cui bambini le porgevano
gli splendidi fiori:
< Grazie > disse soavemente, con una nota di pietà così tenera che nessuno al mondo si sarebbe potuto offendere, < è un dono raro. I fiori sono la cosa più gratuita e bella della terra. Ma i tuoi figli non avevano voglia di latte caldo e di pane? >.
I piccoli si ricordarono di avere la pancia quasi completamente vuota e si imbronciarono come fanno i bambini.
Intanto la grotta si riempiva di ogni ben di Dio portato dai pastori.
< Per noi è troppo tutto questo cibo > disse san Giuseppe, < se i tuoi figli hanno
fame, puoi prendere quello che vuoi >.
La Madonna sembrò che si rivolgesse proprio alla moglie del fratello ricco :
< Questa signora cerca un lavoro > disse.
< Io ho latte, burro, uova e pane a sufficienza per me e per loro > rispose
subito il fratello povero.
< Ed io avrei bisogno di una brava rammendatrice > aggiunse altrettanto rapidamente la moglie del fratello ricco, < ma saresti un’amica per me e
non una lavorante, anche se ti pagherò il giusto prezzo. Mio marito
è sempre fuori al lavoro ed io mi sento sola >.
< E voi due fratelli, perché non vivete insieme, nella stessa casa ?
Forse non avete posto? > chiese la Madonna. A nessuno parve strano
che sapesse tante cose della loro vita.
< Mi sembra una buona idea > rispose subito il fratello ricco,
ed abbracciò il povero, che lo abbracciò a sua volta. < La nostra casa
è grande ed è vuota. I tuoi figli, invece di stare lontano, potrebbero
tornare qui e lavorare con noi >.
Erano tutti commossi.
Il canto degli angeli diventò sublime. La pecora nera, strusciando di muso
e di zampe, tanto fece che si slacciò il suo bel fiocco rosso, al quale teneva moltissimo, e lo lasciò nella mangiatoia, in dono per Lui.
A Gesù, che faceva finta di dormire, scappò da ridere.
Domenica Luise
Il testo e i disegni sono dell'autrice.