POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

lunedì, giugno 29

PREMIO A DANILA OPPIO AL CONCORSO LETTERARIO "L'AQUILONE" di CORTEMAGGIORE(PC)

Insieme al premio dedicato a Tommaso Mondelli, ho ricevuto a mia volta dalla Prof. Carla Maffini, coordinatrice del Concorso Letterario "L'AQUILONE" di Cortemaggiore (PC), i premi per due mie opere poetiche con le quali ho partecipato.

Diploma Menzione d'Onore per la poesia PENSIERI SPAZZATI DAL VENTO e il libro Il tempo passato fuori di Carolyn Slaughter.



Il testo della poesia premiata:

Pensieri spazzati dal vento

                A fine giorno si spegne la tristezza                mentre l’oscurità illumina le stelle,
accendo una sigaretta, e soffio via
gli strampalati pensieri imbrigliati
nella nuvola azzurrognola di fumo
che m’aleggia attorno in dissolvenza.

E ogni parte di me m’attraversa la vita
nella quale scavavo cunicoli, sicura
che la luce più vivida di solito appare
in fondo alle tenebre. Poi arrivò Leon
che divenne la mia molletta da bucato
per appendere il cielo, come fosse
un lenzuolo steso al sole a sventolare
nel suo color cobalto, allegro nel vento.

M’immergo nella lettura dei giornali
che piantan menzogne nell’ottuso intento
di far germogliare una nuova falsa Storia.
Ci sono verità che sostituiscono altre
e spingono il tempo ad avvolgersi
su se stesso per poi venir via spazzato
molto lontano, da un vento smemorato.

Vivo così in questo mondo privo di porte
che sfugge al tempo e alla morte.
Terra calpestata da gente senza memoria
Leggo le verità più profonde e ipocrite
che riflettono indubbi  sofismi beffardi.
Ma il sole sorge gettando caldi dardi
creando ombre che stacco dai marciapiedi,
per farne abiti nuovi. E arredo la mente,
vuota stanza,con ricordi un po’ nostalgici.

Mahmud Darwish scrisse un pensiero
che mi risuona dentro simile a cembalo
Ho camminato abbastanza a lungo
per sapere dove comincia l’autunno”.

Sento d’aver percorso a ritroso

tutto quel camminare senza soste.
Vita e morte s’appartengono
e non devono in assoluto spaventare
entrambe fanno parte dell’eternità
che rassomiglia un poco
al fondersi del colore tra cielo e mare.

Accendo un’altra sigaretta
e riprendo con pazienza a districare
quei fili ingarbugliati nella mente.
Possibile che gli esseri umani
siano solo un gomitolo di menzogne?
Ma ne esiste uno, da altri differente
Sull’etichetta v’è scritto un nome: Speranza
E non è più vuota quella stanza.                               Danila Oppio

Dicevo di aver ricevuto due premi, questo riguarda il Diploma d'Onore per essermi classificata al terzo posto con la poesia EFFLUVI DEL PASSATO. Ho ottenuto oltre al diploma, una targa in vetro molto carina a forma di cornice porta-foto.



Questo il testo della poesia premiata:

Effluvi del passato

In campagna la fragranza dell’erba
da poco falciata stesa a riposare
su covoni di fieno al sole essiccato,
a piluccare acini verdi d’uva acerba
così aspra e acidula da far salivare.

La lingua lambendo - gattino ferito -
il gusto ferroso del sangue sortito
da piccoli graffi, ustioni da fuoco,
unito al sale dei lacrimoni amari
a cagione d’un imprudente gioco.

Cola sull’abitino il mieloso succo
di more colte dai rami di gelso
a ombreggiare l’assolata strada
coperta di polvere simile a gesso.

Andar a piedi, sotto raggi roventi
sull’umida pelle il sudore a stille.
Odorare il fresco profumo dell’aria
all’apparire delle prime timide stelle.

Effluvi e sapori emersi dai meandri
della mia storia, negli anni risucchiati
nel gorgo del Tempo, quali naufraghi
d’un’onda anomala, di colpo riversati
sulla bianca spiaggia della Memoria.


Danila Oppio



PREMIO A TOMMASO MONDELLI - 1 CONCORSO LETTERARIO DI POESIA L'AQUILONE

Tommaso Mondelli aveva partecipato al concorso letterario di poesia "L'AQUILONE" di Cortemaggiore, su invito della Prof. Carla Maffini, inviando la sua silloge poetica UN FIORE ALLA FINESTRA.
Si è classificato al II° posto ottenendo la coppa e il Diploma d'Onore.

A causa del lockdown per il Covid19, gli organizzatori non hanno potuto provvedere in tempo alla realizzazione dei premi e alla relativa spedizione.
Purtroppo, nel frattempo è sopravvenuto il decesso dell'autore, e ho concordato con la curatrice del premio perché provvedesse a spedire il materiale a me, non potendolo inviare al domicilio di Tommaso.
Per quanto riguarda la raccolta poetica premiata, rappresenta la  mia prima collaborazione con l'autore. 
Ho eseguito l'editing e la rielaborazione grafica della copertina che ritrae la casa natale di Mondelli, nonché scritto la prefazione. Ma di questo avevo già accennato nel post che trattava di quest'opera poetica.
É quindi stata per me immensa gioia apprendere che Un fiore alla finestra ha ottenuto il meritato premio.



La dedica autografa di Tommaso, di cui riporto il testo:
A Danila Oppio, donna, poetessa e scrittrice di più vasto impegno, per stima e affetto dedico questi modesti versi a ilare consolazione. Tommaso
Come sempre esagerato nel complimentarsi, delicato nell'esprimere il suo sentire, con le lacrime agli occhi sto scrivendo questo suo ricordo con immenso affetto. E con dolore non potendo condividere con Lui questa sua nuova affermazione nel campo letterario. Mondelli era a conoscenza di aver ottenuto il meritato riconoscimento, ma non potrà mai esporlo in casa sua.
Oggi ho ricevuto il plico contenente i premi  che vado a pubblicare qui sotto.


COPPA  


DETTAGLIO TARGA


DIPLOMA D'ONORE


INDRO MONTANELLI E LA SUA MOGLIE BAMBINA di DANILA OPPIO




(ANSA) - MILANO, 28 GIU - E' stata ancora una volta presa di mira la statua di Indro Montanelli ai giardini di via Palestro a Milano. "L'artivista Cristina Donati Meyer - ha scritto in una nota - ha completato il monumento, integrandolo con la bambina dodicenne, schiava sessuale, che il giornalista comprò in Eritrea, durante l'occupazione italiana". Elusa la sorveglianza della polizia e scavalcando la fila di reti e transenne, l'artista-attivista, ha posato in braccio alla statua del giornalista il fantoccio di una bambina eritrea e affisso un cartello esplicativo: "Il monumento a Montanelli, così, è completo - è scritto su un foglio attaccato alla base -. Non occorreva colorare la statua, era sufficiente aggiungere sulle ginocchia la bambina eritrea di 12 anni della quale abusò da soldato colonialista". Gli agenti sono intervenuti, fermando l'artista, che è stata identificata, e interrompendo "la performance non violenta di disobbedienza civile". Qualche settimana fa la statua era stata imbrattata da un collettivo studentesco.
Vorrei spendere qualche parola su questo argomento.
In primo luogo, quello che è accaduto a Montanelli e successo anche a tanti altri soldati partiti per la guerra d’Africa.
Non ha abusato di quella bimba, che ha sposato con il rituale del luogo. Si chiama “madamato” quel matrimonio o, per meglio dire, quel contratto matrimoniale che avveniva tra un militare italiano e una donna eritrea. A 12 anni, affermava Montanelli in un’intervista, le donne africane erano già mature per convolare a nozze. Le sposavano per avere una casa dove stare, qualcuno che si occupasse di loro. E il contratto prevedeva che in cambio della sposa, il giovane offrisse soldi o pecore alla famiglia.
Ogni esercito che durante varie guerre esercitava il suo potere su un popolo, lo faceva violentando le donne, derubando gli averi del popolo che aveva sottomesso, e questo lo hanno fatto i tedeschi, gli austriaci, i francesi e anche gli americani, quando hanno invaso l’Italia. E non guardavano in faccia nessuno, neppure tenevano conto dell’età delle donne che abusavano, tante erano bambine.  Perché questo non accadesse anche in Africa, è stato istituito il madamato per evitare il peggio.
Sull’argomento ho trattato nel libro di Tommaso Mondelli, che ho personalmente curato e al quale ho aggiunto ai suoi ricordi giovanili, quel che accadeva durante i periodi bellici.
 Ed è questo: 


"La moglie bambina di Indro Montanelli
Ovvero un’altra fidanzata di guerra, permessa dal fascismo, anche se poteva sembrare un caso di pedofilia.

Quello che fece Montanelli si chiamava “madamato” ed era una pratica molto in voga nel 1936; tutti i fascisti avevano la propria madama minorenne dentro il letto.
Montanelli acquistò una moglie dodicenne durante la stagione del colonialismo fascista in Eritrea.

Correva l’anno 1936, e quella che sarebbe diventata una delle penne più prestigiose d’Italia, scriveva nel numero di gennaio del periodico “Civiltà Fascista” un articolo in cui si sosteneva che “non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. “Almeno finché non si sia data loro una civiltà”.
Ma, evidentemente, non tutti i tipi di “fraternizzazione” erano sgraditi a Montanelli, come ha raccontato il diretto interessato, in un’intervista rilasciata a Enzo Biagi per la Rai nel 1982: “aveva dodici anni, ma non mi prendere per un Girolimoni, a dodici anni quelle lì erano già donne. L’avevo comprata a Saganeiti assieme a un cavallo e un fucile, tutto a 500 lire.(…) Era un animalino docile (sic) io gli misi su un tucul (semplice edificio a pianta circolare con tetto conico solitamente di argilla e paglia) con dei polli. Ogni quindici giorni, lei mi raggiungeva ovunque fossi, insieme alle mogli degli altri ascari”.

L’episodio era già stato rievocato in precedenza nel 1969, durante il programma di Gianni Bisiach “L’ora della verità”, in cui Montanelli ha descritto la sua esperienza coloniale: “Pare che avessi scelto bene – raccontò Montanelli – era una bellissima ragazza, Milena, di dodici anni. Scusate, ma in Africa è un’altra cosa. Così l’avevo regolarmente sposata, nel senso che l’avevo comprata dal padre.
La moglie bambina di Montanelli fu abbandonata al suo Tucul
e al suo destino quando il giornalista è rientrato in Italia; le leggi razziali proibivano di elevare al rango di moglie vera e propria una “madama” acquistata per i soggiorni nelle colonie.
Il “madamato”, infatti, non era un vero e proprio matrimonio con parità di diritti e doveri, ma una forma di “contratto sociale” segnata dal dominio autoritario del colonizzatore sull’indigeno, dell’uomo sulla donna, dell’adulto sul bambino, del libero sul prigioniero, del ricco sul povero, del forte sul debole. E alla fine avevi qualcosa che era meno di una moglie e poco più che una schiava.
Era importante fare in modo che queste relazioni di dominio con le “belle abissine” non sconfinassero mai nel terreno dei sentimenti, e per questo nel Regio Decreto 740 del 19 aprile 1937, dal titolo eloquente “Sanzioni per rapporti d’indole coniugale tra cittadini e sudditi“, si era stabilito che “il cittadino italiano che nel territorio del Regno o delle Colonie tiene relazione d’indole coniugale con persona suddita dell’Africa Orientale Italiana o straniera appartenente a popolazione che abbia tradizioni, costumi e concetti giuridici e sociali analoghi a quelli dei sudditi dell’Africa Orientale Italiana, è punito con la reclusione da uno a cinque anni“.
Non vado oltre. Questo è il testo giornalistico, cui il protagonista ha rilasciato la sua testimonianza e che, a suo dire, lui non ha fatto altro che adeguarsi alle leggi in vigore all’epoca. Ma so per certo che un uomo onesto non lo avrebbe comunque mai fatto, perché ho conosciuto “mulatte”, figlie d’italiani e di eritree o somale, che portavano il cognome del padre, poiché quest’ultimo aveva regolarmente sposato e portato in Italia la moglie africana e i figli nati dal loro matrimonio.
Danila Oppio"
Montanelli era solo uno dei tanti che hanno profittato delle leggi del madamato. Leggi fasciste. Prendersela però con una statua mi pare fuori luogo. Chi la  contesta dovrebbe rivolgersi ai responsabili che hanno voluto quella statua e l’hanno eretta, se proprio è in disaccordo. Bisogna però considerare tutto l’operato nella vita di una persona, e non giudicare solo per quel periodo che non è stato bello per nessuno, non tanto per il madamato, ma per la guerra che è stata voluta al fine di ottenere le Colonie in Africa. 
Nessun conflitto è ammissibile, la colpa di tante miserevoli azioni è da imputare solo agli invasori.
A cominciare dalla calata dei barbari fino alle guerre più recenti, per esempio quelle avvenute in Serbia- Croazia, e Bosnia Erzegovina, durante le quali sono state compiute orribili stragi, l'uomo, in questi frangenti, si trasforma in un essere bestiale.
 La più infima viltà è sempre stata, nel corso della Storia bellica, quella di infierire su donne e bambini, e in genere, sulla popolazione civile.
La ragazzina dodicenne eritrea non è stata la schiava sessuale di Montanelli, era sua moglie. 
La nostra cultura occidentale vede la faccenda in altra ottica, ma non dimentichiamo che  un tempo anche le nostre nonne si sposavano giovanissime con altrettanto giovani uomini. 
E ricordo quanto mi raccontava un'amica egiziana di sua madre, il cui primo figlio l'aveva messo al mondo a soli 14 anni. In alcune culture orientali, la donna fertile è considerata pronta al matrimonio. Questo accade anche tra i Rom. Ho visto e parlato con adolescenti che stringevano in braccio il loro piccolo.
Perché dunque condannare un giovane militare che si unisce a una ragazza eritrea,  che nella loro tradizione in quell'epoca non era  considerata bambina? 
Indro Montanelli era fascista? Esattamente come tutti gli italiani che avevano dovuto subire quel regime.
Ma basta con riesumare vecchie storie! Montanelli è morto,  è stato un ottimo giornalista, lasciatelo in pace.
Danila Oppio

domenica, giugno 28

ASSASSINIO NELLA NOTTE di DANILA OPPIO


ASSASSINIO NELLA NOTTE

28 giugno 2020.
Sono le 4 del mattino e mi svegliano grida terribili che provengono dalla strada.
Chi stanno ammazzando? È la prima domanda che mi pongo, tanto le urla sono impressionanti.
Mi affaccio alla finestra e vedo uno stuolo di ragazzini che corrono, invece di parlare piano si urlano addosso, e poi raggiungono il piccolo parco poco distante da casa mia.
Guardo di nuovo l’ora. Sono proprio le quattro.
Se avessi una carabina, sparerei a salve per spaventarli, come loro hanno terrorizzato me con il loro baccano.
Che ci fanno dei ragazzetti, maschi e femmine, in giro a quell’ora di notte, sicuramente minorenni poiché hanno la voce ancora un po’ chioccia tipica degli adolescenti?

O, piuttosto, dove sono i genitori di quei rompiballe?
Come li educano, lasciandoli liberi di girovagare di notte fino alle prime ore del mattino?
Avranno bevuto e magari anche fumato qualche spinello o, ancor peggio, fatto uso di droghe pesanti?
Ne parlo con mio figlio, all’ora di colazione.
 Queste bande, almeno due volte la settimana, passano gridando sotto le finestre di casa nostra. Non sempre li sento, ma quando capita, ogni volta mi spavento, perché sembra che rincorrano le ragazzine con l’intento di violentarle. Le urla sono davvero disumane.
Mio figlio mi racconta di essersi affacciato alla finestra in una precedente notte, e di aver visto una ragazza accucciarsi sul marciapiede con l’intento di fare pipì o qualcosa di più grosso.
Allora non ci ha visto più e ha gridato loro: ”Che cosa state facendo?” Sono scappati a gran carriera, ma hanno continuato a berciare dai giardini vicini.
Non sapevo che il Covid19 influenzasse anche il cervello della gente.

Danila Oppio

venerdì, giugno 26

IL SENSO di ANNA MONTELLA




Questo è uno dei due racconti selezionati nel Concorso Tre Colori. Non c’è nessun problema a postarlo perché il concorso prevedeva gli editi e questo racconto è già stato pubblicato nella raccolta di Racconti “E GUARDO IL MONDO DA UN OBLO’” del 2016



IL SENSO - di Anna Montella
Se non c'è nessun senso - disse il re – ci risparmiamo un mondo di fastidi, perché non abbiamo nessun bisogno di trovarcene uno. (Lewis Carrol – da Alice nel Paese delle Meraviglie)
Si svegliò con un senso di soffocamento. Era steso supino a pancia all’aria e non riusciva a mettersi seduto. Riusciva solo a scalciare debolmente e a muovere le mani maldestramente, ma il resto del corpo era come paralizzato.
Calma – si disse – calma. Avrai dormito male e ti sarai anchilosato. Adesso passa.
Girò lo sguardo intorno, per quanto gli fosse consentito dalla sua infelice posizione, non riconoscendo la sagoma dei mobili della sua stanza da letto. Era come trovarsi in un posto diverso da quello in cui si era addormentato qualche ora prima. Al buio era tutto così dannatamente difficile da riconoscere. Tentò di ricordare cosa avesse fatto la sera precedente a quel risveglio atrofizzato, ma c’era come un velo sottile che appannava il ricordo. Di certo aveva guardato la TV.
Il film era di quelli intriganti, un po’ amarcord come piacevano a lui, e si era preparato alla serata film con un piatto di stuzzicherie varie e un bicchiere di bourbon con ghiaccio.
Il caldo quell’anno era da record e la sua tenuta preferita in casa era boxer e canottiera. Viveva da solo, era un single convinto e felice, il suo lavoro di fotografo free lance lo appagava e non doveva rendere conto a nessuno delle sue azioni. Qualche amicizia amorosa passeggera e tanto tempo per pensare a se stesso, ai viaggi e alla sua sete di conoscenza. Quarantacinque anni vissuti decisamente bene senza ombre particolari.
Si era trasferito in quella città dieci anni addietro per staccarsi dai genitori tanto premurosi ma soffocanti, a volte. Soffocanti. Come quel senso di soffocamento che continuava a perdurare e il corpo che non ne voleva sapere di muoversi. Forse il caldo gli aveva giocato un brutto scherzo ed era anche solo in casa! Se solo fosse riuscito ad afferrare il cellulare sul comodino! Tentò di muovere la testa con cautela verso il comodino alla sua sinistra ma la sagoma del dannato mobiletto non c’era. Mosse le mani in maniera repentina e scoordinata e sentì un dolore acuto alle dita che avevano sbattuto contro qualcosa.
Il pianto stizzoso di un bambino si levò da qualche parte, vicinissimo, e con la coda dell’occhio intravide la causa di quel dolore lancinante alle dita. Delle sbarre. Era in una gabbia! Quasi in contemporanea due braccia gigantesche calarono su di lui. Si sentì sollevare come un fantoccio e un attimo dopo le sue labbra e il suo naso erano schiacciati su qualcosa di morbido che profumava di latte. Fu naturale aprire la bocca e cominciare a succhiare. Beatitudine.
- Se era un sogno si stava trasformando in un bel sogno – pensò – continuando a succhiare con voracità. Il latte gli scendeva giù per la gola tiepido e lento dandogli il tempo di deglutire. Si sentiva avvolto dalle braccia gigantesche ed era un buon posto dove stare finché non si fosse svegliato da quel sogno/incubo così vivido che, in un primo momento, lo aveva fatto spaventare e temere per la sua vita. Dopo la poppata si addormentò con un vago sorriso.
Il secondo risveglio fu ancora più traumatico.
Era giorno e tutto era visibile e lui era sempre semi paralizzato. Gli occhi rivolti al soffitto, mosse una mano che si portò in maniera scoordinata al volto dandosi una botta non voluta sul naso. Dolore lancinante. Non fu, però, il dolore a farlo urlare di raccapriccio ma la mano… Era una mano minuscola, con delle minuscole dita affusolate senza quasi unghie. Ed era la sua mano! Lanciò un urlo e un altro ancora che si sciolse in un pianto stizzito ed accorato. Quello di un bambino di pochi giorni.
Col passare delle settimane il suo nuovo piccolo corpo si irrobustiva e adesso riusciva anche a stare seduto nel seggiolino senza precipitare al suolo. Gli umani che si occupavano di lui – si rifiutava di chiamarli genitori – erano dolci e compassionevoli e non erano poi così male. Mangiava, dormiva, guardava la vita che gli scorreva accanto. Aveva cercato più volte di parlare, di dire che lui non era un bambino, che era un uomo adulto e che aveva un’altra vita che lo aspettava, ma non riusciva a farsi comprendere.
Gli venivano fuori solo versi inarticolati che si trasformavano in urletti o pianti stizziti.
La svolta avvenne quando lo portarono ai giardinetti per la prima volta. Il parco brulicava di bambini in carrozzina e ciascuno emetteva versi inarticolati o si lanciava in lunghi monologhi. Incomprensibili. Ma non per lui. Lui capiva cosa dicevano e loro capivano cosa diceva lui. Erano tutti nella sua stessa condizione. Addormentati in vite diverse si erano svegliati costretti in piccoli corpi le cui funzionalità erano ridotte al minimo. La cosa più umiliante era essere manipolati da mani estranee al momento del bagnetto o al cambio del pannolino. Personalmente non vedeva l’ora di affrancarsi da quella schiavitù per riuscire almeno a farla autonomamente nel vasino. Senza contare quegli adulti che, pensando di fare i simpatici, lo spaventavano continuamente con urletti idioti e facce da imbecilli.
Attendeva con ansia le passeggiate ai giardinetti. La sua umana aveva fatto amicizia con l’umana di una bambina deliziosa dai grandi occhi azzurri che gli aveva raccontato una storia tristissima, mentre le loro umane chiacchieravano tra loro di talco e biberon.
Si era addormentata in una sera torrida con il pensiero rivolto al giorno successivo, quando sarebbe convolata a nozze con l’amore di tutta la sua vita, e si era risvegliata impotente, in una casa non sua con persone estranee e ridotta alle dimensioni di una bambola. Il suo pensiero era rivolto costantemente all’uomo che avrebbe dovuto sposare e si struggeva per quel non sapere, non conoscere il perché di tutto ciò che stava accadendo.
Un altro bambino, poco più in là, con la sua umana che non sapeva come fare a calmarlo, non faceva che urlare stizzito e inveire contro l’Universo. Il suo distacco dalla vita precedente era avvenuto in modo traumatico e violento. Era stato ammazzato dalla polizia mentre si apprestava a sgozzare la sua nuova vittima. Nei suoi discorsi sconnessi pregustava la gioia di tagliare la gola alla sua umana e ai “fratelli” che erano a casa. C’erano poi due gemelli identici, un maschietto e una femminuccia nella stessa carrozzina double che si urlavano impropéri a vicenda. Forse si sarebbero cavati gli occhi se non fossero stati divisi da un foglio di plexiglass. A quanto gli pareva d’aver capito i due erano morti insieme in un incendio appiccato da lei per vendicarsi di lui che la tradiva con una donna più giovane.
I bambini che già camminavano traballanti erano più tranquilli, ma i loro ricordi erano meno nitidi di quelli in carrozzina. Ne parlavano ancora tra loro con un linguaggio incomprensibile agli adulti fatto di gridolini, monologhi, pianti stizziti, ma quasi con distacco, come se raccontassero una favola o la vicenda di qualcun altro.
Quelli che balbettavano già le prime parole coerenti erano, invece, i più colpiti nella memoria e non riuscivano più a comunicare con gli altri più piccoli di loro, anche se questi ultimi capivano benissimo i loro balbettii incoerenti in cui spiccava un’assoluta mancanza di percezione del bene e del male. Erano come in un limbo. Non più gli adulti che erano stati, ma neppure bambini, nel senso comune che si attribuisce a questo stato. Erano in una via di mezzo, in una sorta di terra di frontiera dell’anima, una zona franca dove tutto era consentito e tutto era permesso. Una zona d’ombra in cui, dimentico del prima e ignaro del poi, il bambino era concentrato unicamente su se stesso, alle prese con un feroce individualismo e privo ancora di un bagaglio relazionale e sociale che gli consentisse di fare scelte dettate da un’etica comune. A quell’età un bambino, per un giocattolo, avrebbe bruciato la casa con i genitori dentro senza alcun rimorso.
L’unica cosa importante era il suo bisogno che andava soddisfatto a qualunque costo.
Quei bambini, invece, che parlavano speditamente comunicando più con gli adulti che tra loro, erano ormai avviati sul sentiero della loro nuova esistenza totalmente immemori e dimentichi del prima, cominciando già a discernere ciò che era consentito e ciò che non lo era, acquisendo i primi rudimenti di ciò che è bene e ciò che è male.
Lui stesso si rese conto con orrore che, man mano che aumentavano i suoi progressi fisici, diminuivano i suoi ricordi e giunse alla conclusione che, ben presto, non avrebbe ricordato più nulla e si sarebbe integrato nella sua nuova vita come se fosse l’unica.
Forse era questo che succede al genere umano dopo la morte fisica. Sempre gli stessi da migliaia di anni, le stesse anime antiche che si rigenerano in nuovi corpi in un ciclo continuo di eterno rinnovamento. Per fortuna l’Universo pietoso ad un certo punto provvede a staccare la spina resettando i ricordi anche se in qualcuno, ogni tanto, dall’hard disk remoto della propria coscienza, riaffiorano pensieri sopiti. Qualcun altro trova perfino la sua anima gemella, riprendendo magicamente e in maniera inspiegabile il filo di un discorso interrotto bruscamente in un’altra esistenza o altri ancora sono tormentati dai cosiddetti dèjà vu e finiscono regolarmente in psicoanalisi.
Sostanzialmente, però, la stragrande maggioranza dimentica e vive una nuova esistenza che si interromperà ad un certo punto in maniera più o meno discreta, più o meno traumatica per poi ricominciare ancora e ancora. Forse è davvero questo che succede al genere umano. Chissà…
Di tutta la dinamica continuava, però, a sfuggirgli il senso.
A questo pensiero, suo malgrado, diventando rosso per lo sforzo afferrò con le due manine il piedino nudo e lo portò alla bocca. La sua umana rise deliziata e lui, orripilato e impotente, scoppiò in un pianto disperato.
Autore: Anna Montella
                                                               

PENSANDO A SPOON RIVER di ANNA MONTELLA