POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

sabato, novembre 27

Droni, leviatani e cucina italiana nel Sahel di P. Mauro Armanino




      Droni, leviatani e cucina italiana nel Sahel

Magari stavolta ci riusciamo davvero ad avere i ‘nostri’ droni! Come sempre ci voleva il giusto tempo, quello che la nostra sabbia detta e concede ai suoi fedeli seguaci. Per le carestie, i gruppi armati terroristi, i sospetti assai fondati di corruzioni in ambito militare, nel petrolio, l’uranio, le discusse elezioni presidenziali e le probabili installazioni di basi militari straniere non ci sono state difficoltà di sorta ad ottenerle. La notizia è stata confermata dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il suo omologo nigerino, Mohamed Bazoum. Il Niger si doterà in droni da combattimento turchi Bayraktar TB2, il modello privilegiato da Baykar, ditta del genero dello stesso Erdogan. Droni a carattere famigliare che saranno accompagnati da blindati e da un aereo Hurkus dell’impresa pubblica Turkish. Questi acquisti, altri già effettuati e quanti inevitabilmente verranno, non fanno che confermare che tra guerre ad alta o bassa intensità c’è il comune denominatore dell’arricchimento dei produttori d’armi su inermi cittadini e mal equipaggiati militari.
Il Leviatano, assunto dalla mitologia fenicia della Bibbia ebraica, è l’animale del caos primitivo e, nel salmo 74, diviene il simbolo della potenza dei faraoni d’Egitto, gli oppressori per antonomasia del popolo ebreo. Il Leviatano è una delle figure bibliche delle potenze nemiche di Dio. Nell’opera omonima di Thomas Hobbes, filosofo britannico, pubblicata nel 1651, evidenzia il ruolo positivo del “mostro” dai sudditi che, spaventati dal pensiero della morte scelgono di associarsi in comunità. Per ottenere la pace e tenere lontana la morte, i sudditi rinunciano a una parte del loro diritto naturale per scegliere di “sottomettersi” alla figura del Leviatano, il sovrano. Quest’ultimo, per Hobbes, è l’unico garante della pace universale facendo applicare la legge in modo ferreo, garantendo così la sopravvivenza dell’umanità. I Leviatani di oggi, i poteri statali e finanziari, si presentano anch’essi come garanti della pace sociale, la sopravvivenza della comunità e della buona salute dei cittadini a loro sottomessi. Le dittature o i totalitarismi di ieri e di oggi, con i mezzi tecnici e ideologici in loro possesso, arrivano a controllare il pensiero dei più per presentarsi, senza dirlo, come i Leviatani che Hobbes aveva anticipato nella sua opera.  
Non casualmente, un recente rapporto dell’Istituto internazionale per la Democrazia e l’Assistenza Elettorale (IDEA), basato in Svezia, propone una lettura completa delle tendenze inquietanti all’erosione democratica. Una tendenza favorita dalla pandemia del Covid-19, malgrado le sue radici siano ancora più profonde. In particolare l’Istituto avverte che …’ Il mondo diviene più autoritario, i regimi non democratici sono ancora più arroganti nelle repressioni e numerosi governi democratici soffrono di un ritorno al passato, adottando tattiche di restrizioni della libertà di espressione e della debolezza dello stato di diritto’. Dalla ‘banalità del male’, di cui sottolineò il pericolo la filosofa ebrea Hannah Arendt, alla banalità del Leviatano il passo è breve ed è stato in buona parte e impunemente percorso.
L’Italia, oltre che per le scarpe e la nazionale di calcio, qui è nota, seppur in tono minore, anche per altri motivi, ad esempio, per un dono di generi alimentari operato dalla ‘Missione Bilaterale di sostegno al Niger’, il passato 11 novembre. Questo dono era composto di sacchi di miglio, riso, mais, olio, latte in polvere, zucchero, sale e, naturalmente, pomodori. Esso s’inserisce ed esprime a meraviglia il tipo di quadro delle relazioni civili e militari con la Repubblica del Niger. Tramite la MISIN, i confini tra l’umanitario, il civile, il politico e il militare, si diluiscono e non si sa bene deve cominci l’uno e termini l’altro. Il villaggio di Dara, scelto per il dono, non è casuale. Situato a una quarantina di chilometri dalla capitale, Dara ospita lo spazio per l’addestramento congiunto e di formazione di paracadutisti del Battaglione Para-commando nigerino. Questo dono non è il primo e non sarà neppure l’ultimo vista la catastrofica raccolta agricola nel Paese. Da questo punto di vista la settimana mondiale della gastronomia italiana, celebrata per la seconda volta nel Niger, nel contesto delle carestie del paese, appare come una proposta surreale. Suonano alquanto vere le parole del salmista che, nel salmo 104 afferma…’il mare, spazioso e vasto, che brulica di innumerevoli creature; lo percorrono le navi e il Leviatano che tu hai formato per scherzare in esso’.

     Mauro Armanino, Niamey, 28 novembre 2021

venerdì, novembre 26

STORIE DI DONNE VITTIME DI VIOLENZA di RENATA RUSCA ZARGAR

 

STORIE DI DONNE VITTIME DI VIOLENZA

 In occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne, ho voluto che uscisse il libro “Che te ne fai di un’altra femmina?”. Si tratta di una raccolta di storie di donne occidentali e orientali che amano e subiscono violenza. Ho persino immaginato un altro Pianeta dove, però, si perpetua questa stessa mentalità. La donna è un oggetto e come tale può essere distrutta. Il racconto che dà il titolo al libro, inoltre, riguarda me e mia figlia minore e ribadisce il concetto ancora in uso che non valga la pena di rischiare per salvare la vita di una bambina. 

Nella quarta di copertina del volume cartaceo, campeggia la scritta in rosso: “Per capire e sconfiggere la violenza sulle donne ma anche la quotidiana sopraffazione e gli stereotipi che tormentano le donne.”

Infatti, la donna è soggetta a qualsiasi capriccio del maschio e spesso è la donna stessa a perpetuare questa mentalità. 

Ci sono molte madri, anche moderne, che si ritengono più fortunate (o addirittura più capaci) se partoriscono un maschio, cioè un essere superiore!
Allora, perché ci si possa evolvere, deve cambiare prima di tutto la donna.
Deve educare maschi e femmine allo stesso modo e non deve più sentirsi padrona del mondo solo se ha partorito un essere con il pene.
Ognuno ha le sue particolarità.
È bello nascere maschio ed è meraviglioso nascere femmina, cioè essere accogliente e poter dare la vita.
Come deve essere ugualmente magnifica qualsiasi identità sessuale, quando si possa liberamente vivere la propria natura.
In questi giorni, comunque, per la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, vediamo ovunque girare fiori rossi e scritte che inneggiano alla donna, spesso i soliti stereotipi zuccherosi. 

È giusto parlare e sensibilizzare le coscienze perché le donne vengono sterminate come se andassero in guerra.

Ma dobbiamo farlo ogni giorno dell’anno perché bisogna incrociare qualcuno che non sia ancora consapevole, specialmente bisogna dire alle giovani ragazze di allontanarsi subito dai fidanzati violenti, gelosi, prepotenti, che impediscano loro amicizie o attività.

Ogni parola detta o scritta può essere determinante per cambiare la nostra mentalità e, quindi, io ho voluto fermamente questo libro. Sono sicura, infatti, che leggere vicende di donne che hanno amato e che sono diventate vittime, o constatare che la donna è ancora un oggetto come secoli addietro, può aiutare a cambiare.

Io continuerò, fino a che sarò in grado di farlo, a raccontare storie e le mie protagoniste saranno sempre donne perché il mondo femminile è il mio mondo e lo conosco bene.

Così come continuerò sempre a insegnare nei miei corsi, come ho fatto un tempo a scuola e con le mie figlie, che la donna è diversa ma pari all’uomo  e che deve avere riconosciuti davvero tutti i Diritti Umani.

Mi auguro, così, di fare la mia parte per cambiare la società.

Il libro, sia ebook che cartaceo è disponibile su Amazon.


LEGGI L'ESTRATTO DEL LIBRO:

https://www.amazon.it/CHE-FAI-UNALTRA-FEMMINA-occidentale-ebook/dp/B09M5QZ9VH/ref=tmm_kin_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr=&asin=B09M5QZ9VH&revisionId=4a150c0a&format=1&depth=1

Renata Rusca Zargar


domenica, novembre 21

UN AUTORE KASHMIRO VINCE LA TARGA PER IL MIGLIOR COMPONIMENTO ISPIRATO A DANTE di RENATA RUSCA ZARGAR

Un autore kashmiro vince la targa

 per il miglior componimento ispirato a Dante

Due versi di Dante, famosi in tutto il mondo, esprimono l’amore per il sapere al di là di ogni altro interesse umano: “Fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza”.  È  Ulisse che parla così, punito eternamente nell’Inferno, amato, però, straordinariamente, da Dante che ne fa il campione intelligente dello spirito di ricerca, il personaggio che sacrifica tutto per “l’ardore / ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto / e de li vizi umani e del valore;”.  

Questi versi hanno affascinato Zahoor Ahmad Zargar, leader della Comunità islamica ligure, e la sua poesia a tema ha così vinto la targa per il miglior componimento ispirato a Dante nella terza edizione del Premio Letterario Nazionale Città di Ascoli Piceno.

Purtroppo, la premiazione, causa misure anti Covid, Zargar l’ha potuta seguire solo tramite la diretta Facebook. 

Emanuele Di Silvestro, noto dantista che, tra l’altro, recentemente, ha tenuto una seguitissima conferenza presso l’Archivio di Stato di Ascoli intitolata  “Cecco contro Dante”, ha, dunque, premiato solo un delegato a ricevere il premio.

Ma l’emozione è stata grande lo stesso, specialmente per  una persona nata in un altro paese dove Dante non è letto e studiato approfonditamente come avviene in Italia.

Il tema della curiosità, che è massimamente incarnato da Ulisse nella Commedia, - è scritto nella motivazione del premio a cura proprio dell’esperto Di Silvestro, - è  esplicato perfettamente nei versi del poeta kashmiro, ormai cittadino  ligure: “Vendere specchi / nella città dei ciechi, /  tenere il fuoco acceso / nel palmo della mano, […] uomo / dentro la mente libero / di versare il mare in una ciotola”. 

L’insegnamento di Ulisse a ogni ricercatore, esploratore, sapiente, è profondamente racchiuso in quell’immagine: uomo dentro la mente libero.

La lirica completa, insieme ad altre, composte nei quasi trentacinque anni di permanenza in Italia, fa parte della raccolta “L’albero dei millefiori” uscita proprio in questi giorni e disponibile su Amazon. 

Oltre alle poesie di Zargar, nel testo sono presenti anche i commenti della moglie e delle figlie Samina e Zarina che tratteggiano non solo il poeta ma soprattutto l’essere umano Zahoor: come abbia saputo conquistare e mantenere, in tutti questi anni, il rispetto in famiglia e nella società. 

In conclusione, poi, viene riportata un’intervista che gli era stata fatta da Ivo Nardi, titolare del sito Riflessioni.it. Il senso della vita, il bene e il male, la morte, la fede, la sofferenza, sono alcune delle domande cui Zargar non ha avuto paura di rispondere. (Potrete leggerle cliccando sul link sottostante)

https://www.riflessioni.it/senso-della-vita/zahoor-ahmad-zargar.htm

Al link si può leggere un estratto del volume:

L'ALBERO DEI MILLEFIORI: Poesie eBook : ZARGAR, ZAHOOR AHMAD: Amazon.it: Libri 

Renata Rusca Zargar

La poesia dell'autore che ha ottenuto la targa quale quale miglior componimento ispirato a Dante si trova nella sua silloge di cui il link qui sopra. 

Questo il testo:

FATTI NON FOSTE A VIVER COME BRUTI, MA PER SEGUIR VIRTUTE E CANOSCENZA...

(Dante, Inferno, canto XXVI, vv. 119-120)

L’uomo, da sempre, si misura con l’impossibile: vende specchi per guardare a chi non può vedere, portando, comunque, nel mondo, qualcosa di nuovo; sa tenere il fuoco acceso nelle sue mani superando le insopportabili difficoltà della vita; studia il dolore, quasi fosse un neonato di cui aver cura, per combattere le malattie; sa vincere l’aridità del deserto e può volare. Le idee più grandi sembrano, dapprima, fatti assurdi e improbabili e sono costate sofferenza a chi per primo le ha proposte, fino a quando non sono state sperimentate tentando di contenere “il mare in una ciotola”. La natura umana è forte di queste spinte fondamentali che conducono alla ricerca e all’esperienza, attraverso le quali si è sviluppato il progresso. 

Vendere specchi


nella città dei ciechi,


tenere il fuoco acceso


nel palmo della mano,


coccolare il dolore


come un neonato in culla,

seminare fiori


in mezzo alla sabbia bollente


del deserto,


volare, volare nel cielo


saltando monti e mari:


uomo


dentro la mente libero


di versare il mare in una ciotola.

Speranze


esigenze


volontà

che portano a fare esperienza e conoscenza

senza limiti e barriere


dalla profondità del mare

all’oscurità del cielo.

Zahoor Ahmad Zargar



Consegna della targa


La locandina del concorso


La sala della premiazione

LA PORTA DI NON RITORNO E ALTRE PORTE DELL' ATLANTICO di P. MAURO ARMANINO



La porta di non ritorno e altre porte dell’Atlantico

A Ouidah, nell’attuale Bénin dell’Africa Occidentale, le porte visibili sono poco lontane una dall’altra. La prima racconta il luogo del “non-ritorno” per milioni o centinaia di migliaia di schiavi imbarcati per le Americhe durante quattro secoli. La seconda ricorda invece l’arrivo dei primi missionari che sarebbero poi stati sostituiti da altri, nel 1861. Due porte che danno sull’oceano Atlantico, una per una partenza senza ritorno nella schiavitù e l’altra per un arrivo che aveva come missione quella di spezzarne le catene. Davanti alle due porte sta lui, l’oceano che si accampa come può tra un’onda e l’altra delle piroghe che ancora vanno alla pesca. Una porta, quella di non ritorno, preceduta dal sentiero degli schiavi, l’albero della dimenticanza e il muro del pianto, per cominciare presso il Forte Portoghese, dove gli schiavi erano raccolti e venduti. Il governo del Paese ha deciso di trasformare tutta questa area, dalla capitale economica Cotonou fino a Ouidah, una cinquantina di kilometri, in una zona riservata al turismo soprattutto internazionale. Qualche giorno fa, la Francia ha restituito allo stato del Bénin alcune opere culturali diventate bottino di guerra durante la conquista coloniale. Arrivano gli oggetti culturali in grande pompa ‘politica’ e nel frattempo si demoliscono centinaia di abitazioni di fortuna. Anche questa è una porta che si potrebbe definire di “non-ritorno” per la povera gente che una volta di più sarà schiava della miseria.
L’altra porta, poco lontana dalla precedente, marca l’arrivo di missionari, alcuni dei quali troveranno la morte per malattie e condizioni di vita difficili. Da una porta di morte all’altra che, tra tutte le contraddizioni della storia coloniale dell’epoca, ha cercato di traghettare vita. Anch’essa di affaccia sull’Atlantico e con pudore scava nel muro la forma del Paese presso il quale ha trovato la terra ferma, la Repubblica del Bénin, chiamata all’epoca del Dahomey. Regni locali che utilizzavano schiavi prima dell’arrivo di arabi prima, e  occidentali poi, che avrebbero reso il processo ancora più crudele e ‘industriale’ per il ben noto commercio triangolare. La seconda porta, sulla quale sono scritti i nomi dei primi due missionari, si apre a una terza, invisibile stavolta. Si tratta della porta di coloro che abbandonano il continente e, con piroghe e altre imbarcazioni di fortuna, per cercare altrove ciò che percepiscono di avere smarrito in patria. Sono migliaia i giovani migranti morti nell’oceano Atlantico, nel tentativo di raggiungere e passare l’altra porta, quella dell’Occidente delle isole Canarie, territorio spagnolo. Un’altra porta, per molti, di non ritorno, ma invisibile sulle sponde dell’oceano. Per trovarne una simile c’è da cambiare di mare e passare dall’Atlantico al Mediterraneo. Si trova nell’isola di Lampedusa, considerata come la ‘porta dell’Europa’, cimitero per molti.
Ci sono poi tutte le altre porte. Frontiere e feritoie che si moltiplicano, crescono, diventano muri di sabbia, di reticolato, di cemento e di ‘sensori’ o come anche a forma di aperture senza condizioni. Le porte, a ben pensarci, sono dappertutto e conservano un fascino difficilmente imitabile da altre strutture architettoniche forse più nobili. Si possono trasformare, d’improvviso, in un magico ritorno al luogo d’imbarco, con negli occhi i tanti volti attraversati e sulle labbra il racconto di un viaggio senza fine.

         Mauro Armanino,
 Ouidah, Bénin, 21 settembre 2021


sabato, novembre 20

FINALMENTE SONO QUI di RENATA RUSCA ZARGAR

FINALMENTE SONO QUI

Finalmente sono qui, all’aeroporto. 

Tra due ore decollerà il mio volo per Tunis e di là, con il solito autobus traballante, raggiungerò Medenine prima, e Hassi Amor poi, il piccolo insieme di case sparse dove sono nata e che ho lasciato definitivamente per venire a vivere in Italia, dieci anni fa.  

In questa sala d’attesa, con le mie tre figlie che fanno chiasso, mi sento ancora più estranea e sola di quanto lo sia, ogni giorno, in un paese che non è il mio.  Infatti, c’è tanta confusione perché molte persone stanno partendo per le ferie estive.  So bene che alcuni europei, marito e moglie, le trascorrono separati, per divertimento. Non capisco come sia possibile che non desiderino stare insieme in ogni momento della vita e che, invece, ognuno guardi ad altre donne e altri uomini…   

In Italia, è tutto ordinato e pulito: strade, case, palazzi, non certo come al mio paese in cui la polvere del deserto invade prepotente ogni cosa!  Eppure la gente non è felice. Per questo, dopo tanti dubbi e incertezze, ho deciso di seguire la tradizione.

- Mamma, mamma - strilla la più piccola delle mie figlie, Nashrine, interrompendo i miei pensieri - comprami la cioccolata!

- Non abbiamo molti soldi da spendere - le rispondo - e il viaggio sarà lungo. Papà è rimasto a lavorare al ristorante per permettere a noi di andare a trovare la nonna che non sta tanto bene e dobbiamo cavarcela da sole. 

Vicino al bar dell’aeroporto c’è un forte odore di caffè.  La cosa più sgradevole in Italia è proprio il caffè!  Così amaro, duro, ancora adesso, dopo tanti anni, il suo aroma mi fa fuggire! Noi non beviamo questo tipo di caffè ma un altro, più soffice, lungo, che si adatta alla sete del deserto. 

Davanti a me, tra poltrone e trolley, si muovono famiglie con bambini di tutte le età: la scuola è chiusa e quindi possono andare in vacanza. Anche le mie figlie sono in vacanza: la più grande, Fatima, ha già dodici anni e ha finito la seconda media. Sta diventando una signorina… Per questo non voglio che impari a comportarsi come certe donne di qui. Ne ho conosciute molte, andando a pulire nelle loro case: alcune hanno un amante, tradiscono il marito e certamente lui tradisce loro. Ciononostante, continuano a vivere insieme, anzi, spesso ambedue si mostrano davanti a tutti come se fossero in pieno accordo! Non voglio che le mie figlie diventino così, un giorno! 

Mia madre ha compreso questa situazione e mi sta proponendo, da diversi anni, di seguire, per le mie figlie, la tradizione delle mie sorelle: l’infibulazione, cioè la circoncisione femminile. Una volta, infatti, si è recata presso una parente, a Medenine, a vedere la televisione italiana: è rimasta sconvolta da tutte quelle donne seminude che si agitavano, davanti e dietro, sullo schermo. 

- Che libertà è quella - mi chiede ogni volta che torniamo in Tunisia - quando la donna vende il suo corpo ed è oggetto per tanti uomini? Bisogna tornare alle vecchie tradizioni a tutti i costi. Non appena le tue figlie raggiungeranno l’adolescenza, allora bisogna prepararle e farle diventare adulte.-

Io, però, non sono stata circoncisa. Quando mio padre, che lavorava nell’unica manifattura di ceramica del nostro villaggio, è morto di cancro al fegato, forse, chissà, per tutte le sostanze coloranti usate, la mamma mi ha mandato a vivere con una sua sorella a Medenine. 

Ricordo che, invece, mia sorella più grande, Nura, anni prima, aveva avuto la sua festa. Le donne anziane si erano riunite in una casa vicina alla nostra da dove giungevano suoni di tamburo e canti. Io ero stata tenuta lontana, ma avevo sentito Nura gridare e piangere a lungo. “Mi era stato detto – ella mi aveva raccontato, qualche tempo dopo - che ci sarebbe stata per me una grande festa: sapevo che in breve sarei andata sposa e ne ero felice. Avrei lasciato la nostra misera capanna ai margini del deserto per vivere in una vera casa, in città, con l’acqua corrente. Pensavo solo che non sarei dovuta più andare ad attingere al pozzo sotto il sole cocente, trascinando i secchi nel sentiero polveroso! O, addirittura, come si fa spesso, scavare sotto le pietre e la sabbia per trovare quel poco d’acqua, quando le piogge sono troppo scarse! Tu non lo ricordi, perché eri nata da poco, ma nostra sorella Shamima è morta a tre anni di diarrea. Il medico aveva detto che si era ammalata a causa dell’acqua e io avevo assistito a tutta la sua lunga e tremenda agonia, quando i suoi occhi enormi e neri bruciavano, implorando aiuto, nel suo misero corpo stremato. Finalmente, tutto ciò per me sarebbe finito! E poi tutti si occupavano di me, si complimentavano, dicevano che sarei divenuta donna. La festa si sarebbe tenuta in un’altra casa dove c’era già chi suonava il tamburo e chi cantava. Le donne giunte a festeggiarmi erano molte e questo mi rendeva ancora più gioiosa. Poi, improvvisamente, alcune di loro mi avevano afferrata con forza, mi avevano spogliata dalla vita in giù senza badare alla mia umiliazione e mi tenevano ferma con le loro robuste braccia. Intanto, continuavano a cantare, sempre più forte, mentre il ritmo dei tamburi diveniva più assordante e veloce. La donna più anziana aveva un rasoio tra le mani e sapeva maneggiarlo con grande abilità: avevo provato un terribile dolore nella zona dei genitali e il sangue aveva iniziato a sgorgare. Per giorni e giorni la ferita mi aveva doluto e non riuscivo neppure a stare seduta.” 

Passato qualche mese, Nura era andata sposa. Non ci vedevamo più molto, e non avevo più pensato alla “festa”. Un giorno, riordinando nelle vecchie valigie in cui tenevamo i nostri pochi abiti (allora a casa non avevamo nessun armadio né altri mobili), avevo trovato un biglietto con dei versi molto tristi:

“Una bestia ferita io sono

e voglio restare nella mia tana

in silenzio

a morire.

Ti ho pregato tanto, o Dio,

di lavare il mio sangue rappreso

di alleviare questo male profondo

come la morte.

Ed è solo una fredda risposta 

la Tua

in questa solitudine compatta 

della mia morte.”

 Non sapevo di chi fossero quelle parole e certamente avrei chiesto informazioni a Nura, quando fosse venuta a trovarci. Poi, papà si era ammalato, tutto mi era passato di mente travolti, com’eravamo, da una simile angoscia e, infine, io ero andata a vivere con la zia. Certamente, l’esperienza di mia sorella non era stata piacevole, ma erano passati parecchi anni e ora le tecniche sicuramente non sarebbero state le stesse. 

- Vedrai - insiste mia madre anche quando ci sentiamo per telefono - sarai contenta di continuare com’è giusto che sia! Nella nostra famiglia, le donne sono state sempre al loro posto. Le tue figlie non correranno dietro ai ragazzi e si comporteranno bene. Presto troveremo per loro delle buone famiglie ove maritarle…

- Mamma, mi scappa la pipì! - mi tira, intanto, l’abito Nashrine per essere accompagnata al gabinetto. 

La gente spinge con disinvoltura i carrelli zeppi di valigie e borse, chiacchierano, salutano i parenti. Come sempre, insieme, le mie tre figlie corrono, saltano, ridono… creano tanta confusione.  Fatima sta diventando una bella ragazza: è piuttosto alta, come molte tunisine e come me, le sue gambe sono diventate lunghe e snelle, il corpo si è fatto flessuoso, i capelli lunghi e ricci stanno legati a fatica. - Devi far loro indossare l’hijab - mi ricorda ancora mia madre - Ormai i capelli di Fatima sono quelli di una donna.

Lo so, Fatima passa molto tempo a pettinarsi, a guardarsi allo specchio, mi spia per imitarmi. Ricordo ancora il periodo della mia adolescenza: anch’io ero curiosa di tutto, volevo conoscere il mondo degli adulti, essere “grande”. Ma so di ragazze italiane di quattordici anni, e anche meno, che hanno già avuto rapporti sessuali con dei maschi. E questo mi terrorizza! È  molto difficile mantenersi onesti in una società dove i valori morali delle donne non esistono più. Eppure, noi dobbiamo vivere qui, in Italia, perché al nostro villaggio manca tutto, persino l’elettricità, e non c’è lavoro.  Intanto, cercheremo di risparmiare un po’ di soldi e poi torneremo a casa. Magari metteremo su un negozio di ceramiche a Medenine… 

Ma per ora ciò non è possibile. 

- Quando partiamo, mamma? Mi annoio in questa stanza.- chiede Nashrine.

- Manca poco, ormai - rispondo.

- La nonna ci aspetta all’aeroporto? - domanda, invece, Shamima.

- No, certamente, la nonna ci aspetta a casa e starà già preparando il couscous che vi piace tanto.

Non c’è niente di più buono che il cibo della propria casa e della propria infanzia. Il villaggio, come sempre, sarà mobilitato al nostro arrivo, tutti accorreranno a salutarci e recheranno qualche piccolo dono: dei datteri, della frutta secca, delle caramelle. Come sempre, li lasceranno cadere sulle nostre teste in segno di buon augurio, ci abbracceranno, ci chiederanno le ultime novità della nostra vita. Anche noi abbiamo portato le piccole cose che ci hanno richiesto: qualche pezzo di sapone italiano, uno shampoo, della liquirizia. Insieme prenderemo il tè e parleremo nella nostra lingua. Finalmente! Poi seguiremo la tradizione del nostro villaggio.

La zia, invece, mi diceva sempre: - Non ti farò toccare da quelle macellatrici! L’hanno fatto a me, tanto tempo fa, e mio marito, ogni volta, mi procurava un dolore insopportabile. Mi avevano tolto tutto, senza pietà. Perché? Io amavo mio marito che mi era stato scelto da mio padre. Ma egli si era stancato perché gridavo e piangevo ogni volta che si avvicinava a me. Infine, mi aveva proposto di accettare in casa una seconda moglie. Ma io non avevo voluto. Come avrei potuto sopportare di vederlo davanti ai miei occhi con un’altra, quando io non potevo essere la moglie che lui desiderava? Così avevamo divorziato. Lui, che è un brav’uomo, mi aveva lasciato molto denaro con il divorzio. Sapeva bene che nessun altro mi avrebbe voluta e che non avrei potuto tornare da mio padre che era tanto povero! Vedi, non mi è mancato nulla: ho la mia casa, vestiti, oro, tutto il necessario, ma ho sofferto tanto la solitudine e ora ci sei unicamente tu per me. Non ho potuto avere figli miei, a causa di quel trattamento infame, e non permetterò che succeda anche a te! 

Poi, era giunto Saleb: mia madre, al villaggio, mi aveva promessa a lui e c’eravamo sposati. Lentamente, la prima notte dopo il matrimonio, egli si era accorto della mia integrità. Ne era stato felice. Non desiderava, infatti, mi aveva confessato in seguito, una moglie mutilata… Ma io avevo sempre vissuto in Tunisia, ero protetta dalle nostre abitudini, dalla società, la zia vegliava come una madre su di me… 

Saleb, mio marito, non sa ancora il vero motivo del mio viaggio. Per questo ho voluto anticipare la partenza ed egli, dopo averci accompagnate a Genova, è tornato a lavorare, come sempre, a Vado Ligure dove viviamo. Ci raggiungerà a settembre e torneremo poi tutti insieme in Italia.  Ma finora non ho voluto parlargli di questo problema, ho paura di affrontare con un uomo questo argomento e non so se si opporrebbe o no… 

- Non ti preoccupare di nulla, - afferma convinta mia madre, ogni volta che le esprimo i miei dubbi - Saleb sarà contento, alla fine anche lui capirà che ora, più di prima, è necessario seguire questa pratica. 

Su di un tavolino è appoggiata una bella rivista colorata, forse dimenticata da un viaggiatore. Sfogliandola, mi capita proprio sotto gli occhi la fotografia di un’avvenente donna velata, dai penetranti occhi scuri.  L’articolo, scritto in ordinati caratteri neri proprio accanto alla fotografia, si intitola: “Sesso - Discussioni: La clitoridectomia”.  Non posso fare a meno di leggere, anche se un po’ a fatica, dato che comprendo meglio il francese dell’italiano: “La maggior parte degli studiosi si trovano d'accordo nel classificare la  circoncisione femminile in tre tipi base: la circoncisione, che consiste nella recisione del prepuzio della clitoride e cioè la forma più blanda perché preserva la clitoride e le parti posteriori più ampie delle piccole labbra, la clitoridectomia o recisione che è la pratica più comune e implica la rimozione dell'intera clitoride insieme con tutta o una parte delle piccole labbra e, infine, l'infibulazione che è la forma più severa di questa pratica. Il termine deriva dal latino fibula, la spilla utilizzata per agganciare la toga romana. La fibula era usata inoltre per prevenire il rapporto sessuale tra gli schiavi; veniva fissata attraverso le grandi labbra delle donne e attraverso il prepuzio degli uomini.  L’infibulazione comporta il taglio della clitoride, delle piccole labbra e delle grandi labbra. Le rimanenti estremità delle grandi labbra sono quindi cucite insieme in modo tale che l'orifizio vaginale venga chiuso. Durante il processo di guarigione viene inserita nella vagina una scheggia di legno per poter permettere il passaggio dell'urina e del sangue mestruale. A seconda dei differenti costumi, la ferita viene cucita con filo di seta o per suture (in Sudan) o con spine di acacia (in Somalia). Le ceneri usate per controllare l'emorragia, in special modo nelle aree rurali dell'Africa occidentale, sono spesso causa di infezioni violente. In seguito all'operazione, le gambe della ragazza vengono legate e viene così immobilizzata per diverse settimane finché la ferita della vulva non guarisce. La prima notte di nozze la cicatrice dei genitali deve essere defibulata per consentire la penetrazione. Generalmente, in seguito ad ogni nascita la reinfibulazione viene praticata per restituire al corpo della donna la sua ‘condizione prematrimoniale’.  La più antica fonte conosciuta che registra l'uso è l'opera di Erodoto (484-424 a. C.). Egli afferma che la recisione era praticata dai fenici, dagli ittiti e dagli etiopi, come pure dagli egiziani (cioè fin da più di 4000 anni fa). Lo scopo era quello di far diminuire il desiderio sessuale femminile.  La circoncisione  viene messa in pratica da animisti, atei, cristiani, ebrei e musulmani in più di ventisei regioni del continente africano, in alcune zone della penisola araba, in Asia e,  secondo alcuni autori, la pratica è stata riscontrata anche tra le tribù aborigene dell'Australia. La tradizione è una giustificazione ampiamente sostenuta per il persistere della circoncisione, viene data per scontata e porta con sé la sua stessa validità e lo status quo non è mai messo in dubbio.  L'usanza è profondamente radicata  ancora in quelle aree in cui predominano la povertà, l'analfabetismo e precarie condizioni sanitarie e laddove lo stato socioeconomico delle donne è basso. Le donne, infatti, devono lottare quotidianamente per sopravvivere e per soddisfare i fabbisogni primari. Quindi,  crescono con l'idea che una ragazza non circoncisa sia inaccettabile e non sarà chiesta in matrimonio, che è quasi l'unica soluzione per assicurarsi un futuro. Dunque, la sofferenza fisica è preferita all'ostracismo destinato a una ragazza non circoncisa. Questo spiega perché le donne siano le più convinte sostenitrici della pratica e perché le sofferenze e il rischio di gravi infezioni siano spesso viste come preferibili alla condizione di essere una reietta non circoncisa. La clitoridectomia, inoltre, fino a poco tempo fa era praticata come rimedio chirurgico alla masturbazione sia in Europa che negli Stati Uniti. Le donne che hanno subito e tuttora fanno subire alle loro figlie la mutilazione sessuale sono circa 100 milioni in circa 30 paesi diversi. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità alla mutilazione sessuale è dovuta circa la metà delle 500.000 morti di donne e dei quattro milioni di decessi di neonati che si verificano annualmente nel Terzo Mondo durante la gravidanza o l'allattamento.”

Improvviso, folgorante, un ricordo lontano: - Un giorno, - mi aveva raccontato la zia - un uomo andò dal Profeta Muhammad (la pace e la benedizione di Dio su di Lui) e gli disse di essere stato assai ignorante e di non aver mai avuto nessuna conoscenza e guida come tanti altri che usavano adorare gli idoli e, per loro, uccidere i figli con le proprie mani: “Una volta, avevo una figlioletta dolcissima che mi abbracciava stretto quando tornavo a casa dal lavoro e nei cui occhi brillavano le lacrime quando mi allontanavo da casa. Se mi sentivo stanco e dolorante, dopo una giornata di duro lavoro con gli animali, mi appoggiava la sua tenera manina sulla fronte per darmi conforto. Ella non aspettava altro che la coccolassi e le parlassi e mi amava con la tenerezza e l’abbandono fiducioso e sincero dei piccoli innocenti. Un giorno la chiamai e la invitai a seguirmi. Lei, correndo sulle sue gambette, orgogliosa di andarsene fuori di casa con il padre, mi veniva dietro, affannata e allegra come per un nuovo gioco, finché non giungemmo vicino a un pozzo molto profondo. Aveva le guance rosate per la corsa, mi guardava con i suoi occhi grandi e neri sorridendomi e attendendo qualcosa di splendido da me... Io la presi per la mano e la gettai nel pozzo. ‘Padre!’ fu l’ultima parola che udii pronunciare, mentre mi supplicava di salvarla.” A quella storia, peraltro assai comune a quei tempi, il Profeta pianse tanto a lungo da bagnare la sua barba. Da allora, ogni uomo che seppellisce vive le sue figlie, le getta nei pozzi  o fa loro del male è considerato vile, crudele e deve essere punito!

È come se un velo scuro finalmente cadesse dai miei occhi: come ho potuto credere che avrei lottato per un domani migliore, facendo del male alle mie stesse figlie? Non seguirò mai questa tradizione: la zia, dal cielo, dove si trova ormai, mi approverà e mi aiuterà a insegnare, giorno dopo giorno, che si può essere differenti, onesti, sinceri anche senza impedire ai nostri sensi di provare intense emozioni. La donna è una veste per l’uomo e l’uomo è una veste per la donna, è scritto nel sacro Corano. “Le vostre spose per voi sono come un campo” e in un hadith il Profeta (la pace e la benedizione di Dio su di lui) ha invitato esplicitamente a compiere preliminari affettuosi prima dell’atto coniugale.

- Presto, bambine. Torniamo a casa. Non prenderemo quell’aereo e andremo in Tunisia quando anche papà potrà venire con noi. Oggi l’esistenza della nostra famiglia è cambiata. Dovremo essere forti per imparare davvero a vivere in questo Paese senza false paure, conservando orgogliosamente la nostra diversità, ma abbandonando certe orribili tradizioni del passato.

RENATA RUSCA ZARGAR


 

domenica, novembre 14

DRAPER MI HA COLPITO ANCORA di DANILA OPPIO

DRAPER MI HA COLPITO ANCORA

In questi giorni, immersa nello splendido quadro di Draper, che rappresenta Ulisse e le sirene, e osservandolo nei dettagli, non solo ho rilevato a suo tempo che una delle sirene somiglia alla bagnante di Renoir, ma mi pare di intravedere tra i rematori, un tale il cui viso ricorda quello di Dante Alighieri, non quello dipinto nel lontano passato, piuttosto il volto del monumento a lui eretto in tempi più recenti e che si trova a Firenze. 

Omero scrisse l’Odissea, e in nessuna pagina racconta la fine di Odisseo, Ulisse per noi, anzi, tratta d’una guerra che alla fine porta alla pace. Dante, invece, nella Divina Commedia ha relegato l’eroe greco, re di Itaca, figlio di Laerte e di Anticlea, nientemeno che nell’Inferno. E lo ha fatto morire durante l’affondamento della nave con a quale solcava le acque dei mari. Pare così che Draper volesse far sì che annegasse anche l’autore della Divina Commedia. 

La mia è solo supposizione, per nulla avallata, quella che mi porta a pensare che Draper abbia voluto infilare nel quadro le sembianze del Sommo Poeta. Ma lasciatemi fantasticare un pochino!

Guardando i vari quadri che rappresentano l’Alighieri, uno di essi, quello dipinto da Botticelli e che è il più conosciuto, mi pare caricaturale, piuttosto che una reale rappresentazione del poeta fiorentino. Altri invece mi sembrano più realistici. Per esempio, anche il ritratto realizzato da Piero della Francesca, del Duca Federico di Montefeltro, pare abbia il naso sproporzionato rispetto ad un setto nasale “normale”. Ho pensato a una caricatura anche in questo caso, ma poi, leggendo quanto gli accadde, ebbe il volto sfigurato da una ferita di spada, durante la quale perse l’occhio destro e ruppe anche il setto nasale. Per questo fu sempre dipinto di profilo, e fu lui stesso a chiedere al pittore di non minimizzare quel suo aspetto. 

È possibile quindi che anche Botticelli fosse rimasto fedele nel ritrarre i lineamenti di Dante, pur se in opere di altri pittori, non appare in modo tanto evidente quel naso aquilino. Tanto meno nella statua esposta a Firenze. Quel che mi ha maggiormente colpito, è stato proprio la scultura di cui tratto ora.

Alla sinistra della facciata della Basilica di Santa Croce nell’omonima piazza fiorentina s’innalza la statua celebrativa del “sommo poeta” Dante Alighieri. Con sguardo fiero e sprezzante il “ghibellin fuggiasco” guarda i numerosi turisti che ogni giorno si recano a visitare i celeberrimi monumenti del capoluogo toscano. La statua di marmo bianco di Carrara fu realizzata dallo scultore Enrico Pazzi nel 1865, a 600 anni dalla nascita di Dante (1265-1321). Nel 2011 in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia l’opera è stata restaurata.

Originariamente la statua di Dante Alighieri era collocata al centro di Piazza Santa Croce nell’omonimo quartiere, essendo stata realizzata per rendere onore al grande poeta italiano. Le celebrazioni dantesche nel 1865 contribuirono a porre in rilievo Firenze quale città idonea a divenire capitale d’Italia. Ecco perché l’opera marmorea è stata rimessa a nuovo.

Le date potrebbero coincidere, quella di Draper, che nacque a  Londra nel 1863, e quel monumento creato da Pazzi, nel 1865. Quando il pittore inglese venne in Italia, quella statua già campeggiava nella piazza fiorentina, per cui nulla vieta che il pittore se ne sia invaghito e abbia  disegnato un bozzetto, il quale gli sia servito per dipingere il volto del marinaio di Ulisse.

Nel 1894 iniziò il suo periodo di massima produttività, concentrandosi particolarmente su temi mitologici collegati alla Grecia antica. Il suo dipinto Il lamento per Icaro del 1898 gli fruttò la medaglia d'oro all'esposizione universale di Parigi del 1900.

Da una ricerca più approfondita, ho potuto appurare che sia Draper che Renoir hanno esposto più volte le loro opere presso le varie Mostre Internazionali di Parigi. Questo fatto avvalora la mia ipotesi che Draper osservò de visus Le Bagnanti di Renoir. 

Il genere cui si ascrive il pittore viene definito classicismo, anche se le sue tecniche si discostano in parte dall'accademismo dell'epoca e riflettono uno stile personale nell'uso frammentario e quasi divisionista del colore. Gli ambienti raffigurati richiamano la pittura simbolista, e le frequentazioni artistiche, alcuni temi, il suo uso della figura femminile, ricordano l'ambito dei preraffaelliti. Fu infatti amico del pittore John William Waterhouse.

Anche se Draper non era né un membro né un associato della Royal Academy prese parte alle manifestazioni annuali dal 1897 in poi. Durante la sua vita, Draper fu molto famoso e divenne un ritrattista noto, anche se l'avanguardia pittorica dell'epoca, e il travolgente successo dell'impressionismo, lo relegarono in parte nelle retrovie dell'arte figurativa a lui contemporanea, in un'epoca di fortissime innovazioni. Nei suoi ultimi anni venne quasi dimenticato e la sua attuale popolarità è oggi quasi del tutto sbiadita.

Ora torniamo a quel volto del rematore nell'opera Ulisse e le Sirene, raffrontandolo con quello di Dante. Perché farlo? Dalla biografia del pittore inglese, apprendo che venne anche in Italia, e di certo ammirò la statua che effigia Dante a Firenze. La stessa espressione torva e decisa, la bocca sprezzante e la profondità degli occhi. Poiché nessun pittore ha mai dato quel volto statuario a Dante, che si ammira nell'opera dell'artista Pazzi, vien spontaneo pensare che il viso del rematore possa essere ripreso da quello scolpito della statua fiorentina. Quindi inserito nell'opera da Draper, e messo dal pittore a remare, per aver detto Dante che Ulisse è morto annegato, quando Omero racconta invece essere tornato a casa dalla sposa Penelope, dal figlio…e dal cane Argo. Nessun altro ritratto di Dante pare tanto somigliante al rematore di Draper, quanto lo sia il volto impresso nella statua. Troppo simile a quello dipinto dal pittore inglese.

Ora lascio che siano le immagini a rendere meglio l’idea che mi sono creata, anche se forse solo illusoria.




Il volto della statua di Dante a Firenze


Particolare del volto del rematore di Draper

Non ho trovato una foto presa di profilo del monumento ad Alighieri ma il setto nasale, le pieghe della bocca all'ingiù, le sopracciglia dall'espressione torva, sono molto, ma molto simili. E niente mi toglie dalla mente che anche questa volta Draper si sia servito dell'opera di un altro artista, a funger da modello per il suo quadro.

Vediamo come sono i ritratti del Sommo Poeta, che si trovano nelle varie pinacoteche.


Ritratto di Dante dipinto da Botticelli, forse il più conosciuto


Dante visto  da Luca Signorelli

Dante visto da Agnolo Bronzino

Potrei andare avanti all'infinito, in quanto  ci sono molti altri quadri che ritraggono il Sommo Poeta, e tutti quanti mostrano quel naso tipico di Dante. Questa statua fiorentina è molto diversa, e mi ricorda moltissimo il rematore della nave di Ulisse.

Strana coincidenza? Mah, resto nel dubbio, però mi sono divertita, approfondendo anche un po' più di conoscenza sulle opere d'arte sia figurative che letterarie.

Tirando le somme: Omero non parla della morte di Ulisse, nella sua opera Odissea, mentre Dante sostiene che sia annegato, nella Divina Commedia. 

Draper senz'altro copiò almeno il volto della sirena, da quello della bagnante di Renoir, e non è detto che si sia avvalso di riprendere il volto del monumento a Dante, per riportarlo sul rematore della barca di Ulisse.

Se così non fosse, poco importa, mi è piaciuto osservare nei dettagli quel bellissimo dipinto del pittore inglese.

Danila Oppio

sabato, novembre 13

Figli, figliastri e commercianti nel Niger di Padre Mauro Armanino

 


Figli, figliastri e commercianti nel Niger

Nel Paese il potere l’hanno loro, i commercianti di mercanzie e di vite umane. Dalle elezioni presidenziali e legislative, all’adesione alla Zona di Mercato Africano Libero, Zlecaf in un acronimo improbabile, tutto passa dalle mani e soprattutto dalle borse dei mercanti. Un caso particolare di questa egemonia, che si conferma tramite scelte politiche e la dimissione in blocco della classe intellettuale nigerina, è appunto l’ambito dell’educazione scolastica. Lo smantellamento graduale, coerente e sistematico dell’impianto educativo è iniziato, al dire dei più, con i ‘Piani di Aggiustamento Strutturale’, i PAS negli anni ’80. La batteria di misure economico-ideologiche per ‘normalizzare’ i Paesi troppo ‘nazionalisti’ ed autonomi rispetto alla narrazione dominante ha colpito il Niger e altri Paesi dell’Africa subsahariana. Tra i settori colpiti si noterà la scuola.

La deriva dell’educazione formale ha gradualmente prosperato e le scuole statali, che si erano complessivamente distinte negli anni post indipendenza, hanno visto confiscato il loro ruolo trainante e la qualità dell’insegnamento. Il peso delle scuole private è andato crescendo fino a costituire ciò che in definitiva si voleva dall’inizio e cioè la creazione di una classe subalterna di marginali che non potranno mai scalzare le elite dal potere. In effetti, i figli e i figliastri della scuola sono i figli e i figliastri della società: alcuni nati per comandare e arricchirsi e gli altri funzionali al sistema e ‘merce’ spendibile sul mercato globale. I figli, le figlie e in genere la parentela delle famiglie che hanno soldi in banca e possono viaggiare all’estero, sono mandati nelle scuole private, nelle università private per un mondo privato agli altri, chiamati, appunto, figliastri. I figli, le figlie, i nipoti e le cugine dei poveri vanno, per l’ordine naturale delle cose, nelle scuole dello Stato, dove l’insegnamento e la fatiscenza delle strutture  rivelano l’abbandono come destino quasi segnato.

Una ventina i bambini bruciati l’anno scorso in un quartiere prossimo all’aeroporto internazionale di Niamey e un numero ancora maggiore arso il passato lunedì nella capitale economica Maradi, rappresentano la tragica metafora del sistema educativo nigerino. Esso è uno specchio fedele della società da cui è generato. Perché, in realtà, a morire sono anzitutto i poveri, i giovani, i bambini e il loro futuro, bruciato sull’altare degli interessi delle classi privilegiate. Classi che commerciano e speculano su tutto e tutti, dalla politica all’economia per garantirsi la conservazione e la trasmissione del potere da padre a figlio. I ‘figliastri’ invece, le folle immense degli scarti sociali, sono sacrificati agli interessi dei potenti, che dispongono delle loro vite senza alcun scrupolo. Nel Paese le classi di paglia si calcolano a 36mila e sono i figli dei poveri che ivi sono ospitati per imparare a memoria che la loro vita sarà differente da quella dei figli dei commercianti. Il governo ha recentemente decretato il divieto di usare queste classi per i più piccoli.

Nel Paese il potere l’hanno loro, i figli dei poveri. L’incendio delle classi di paglia di Niamey e quello delle classi di Maradi, che ha consumato la vita di decine di bimbi e delle loro famiglie, è stata come l’apocalisse che smaschera la violenza nascosta del sistema. Questo gruppo di bimbi, sepolti in fosse comuni e rivestiti della bandiera nazionale, continua la scuola e mettono nella mani dei commercianti delle braci che mai si spegneranno.

  Mauro Armanino, Niamey, 14 novembre 2021 

venerdì, novembre 12

Canto XXVI dell'Inferno di Dante di DANILA OPPIO



 

Ulisse e le sirene è un dipinto di Herbert James Draper, pittore inglese nato a Londra nel 1863 e morto nel 1920. Ho scelto questo quadro non solo per la sua bellezza, ma perché mi riporta alla tentazione in cui è incappato il personaggio del racconto di Renata Rusca Zargar, IL VIAGGIO. Ulisse si è fatto legare all’albero della nave, mentre Alfredo si è inabissato con l’aereo su cui volava, nelle acque del mare, evitando così di sbagliare. Entrambi sono comunque annegati.

Canto XXVI dell'Inferno di Dante

Il canto di Ulisse è ambientato nell'8° cerchio, il girone infernale dove sono puniti i consiglieri di frode. Tra questi, Ulisse è il più rappresentativo tra coloro che se ne sono macchiati.

Questo canto riporta due versi molto conosciuti, che sono quelli che ho evidenziato in grassetto:

Mi ha preso così tanto, questo Canto dantesco che, per conto mio, l’avevo imparato a memoria fin da giovane, solo a partire dal verso 90 fino alla fine. Ora che il tempo ha fatto i suoi danni, la mia memoria non è più quella di allora, e lo ricordo a tratti. Ho così deciso di ritrovarlo, e di pubblicalo qui, grazie al racconto IL VIAGGIO di Renata Rusca Zargar, che finisce proprio con lo stesso verso di Dante. 

Inizia così questo canto:

  Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande, che per mare e per terra batti l'ali, e per lo 'nferno tuo nome si spande!                        

  Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne sali.   

E mi fermo al verso 90, quando comincia a trattare di Ulisse.

 indi la cima qua e là menando, come fosse la lingua che parlasse, gittò voce di fuori, e disse: 

"Quando

mi diparti’ da Circe, che sottrasse

me più d’un anno là presso a Gaeta,

prima che sì Enëa la nomasse,


né dolcezza di figlio, né la pieta

del vecchio padre, né ’l debito amore

lo qual dovea Penelopè far lieta,


vincer potero dentro a me l’ardore

ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto

e de li vizi umani e del valore;


ma misi me per l’alto mare aperto

sol con un legno e con quella compagna

picciola da la qual non fui diserto.


L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,

fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,

e l’altre che quel mare intorno bagna.


Io e’ compagni eravam vecchi e tardi

quando venimmo a quella foce stretta

dov’Ercule segnò li suoi riguardi


acciò che l’uom più oltre non si metta;

da la man destra mi lasciai Sibilia,

da l’altra già m’avea lasciata Setta.


"O frati," dissi, "che per cento milia

perigli siete giunti a l’occidente,

a questa tanto picciola vigilia


d’i nostri sensi ch’è del rimanente

non vogliate negar l’esperïenza,

di retro al sol, del mondo sanza gente.


Considerate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza".


Li miei compagni fec’io sì aguti,

con questa orazion picciola, al cammino,

che a pena poscia li avrei ritenuti;


e volta nostra poppa nel mattino,

de’ remi facemmo ali al folle volo,

sempre acquistando dal lato mancino.


Tutte le stelle già de l’altro polo

vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,

che non surgëa fuor del marin suolo.


Cinque volte racceso e tante casso

lo lume era di sotto da la luna,

poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo,


quando n’apparve una montagna, bruna

per la distanza, e parvemi alta tanto

quanto veduta non avëa alcuna.


Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;

ché de la nova terra un turbo nacque

e percosse del legno il primo canto.


Tre volte il fé girar con tutte l’acque;

a la quarta levar la poppa in suso

e la prora ire in giù, com’altrui piacque.


infin che ’l mar fu sovra noi richiuso".


Danila Oppio con l'aiuto di Dante e di Draper...tutti e tre i nomi iniziano con la D

IL VIAGGIO di RENATA RUSCA ZARGAR

 


IL VIAGGIO

L’aereo romba sulla pista dell’aeroporto: una breve corsa sull’asfalto e quindi si alza, diretto, con il muso appuntato nel cielo azzurro dove ciuffi di nubi spumose scherzano leggere col vento.
Poi, in alto, tutto è sotto di lui. 
Alfredo guarda fuori dal finestrino. È il suo primo viaggio verso una destinazione così lontana. A casa ha lasciato la moglie, due figli piccoli e un’altra figlia grandicella.
-Ciao, papà, torna presto!- lo ha salutato Marco di quattro anni, un po’ distratto mentre spingeva il suo trenino rosso con le ruote sul pavimento della cucina. - Tuuu tuuuu…- ha continuato a borbottare immaginando vagoni zeppi di persone e cose, la locomotiva con i suoi sbuffi di fumo bianco, tentando soprattutto di comprendere il misterioso sistema degli ingranaggi del giocattolo.
Elisa, invece, di cinque anni, stringendo al cuore la sua bambola preferita, Cicciobello, si è sciolta in lacrime senza neppure poter parlare. Ella, infatti, è la più attaccata a lui e ogni sera, quando egli torna dal lavoro, corre ad abbracciarlo. –Ciao, papà!- gli dice mentre gli saltella intorno festosa – Cosa mi hai portato?- Poi l’aiuta a togliersi la giacca e le scarpe, lo accompagna dappertutto per la casa. Il suo sorriso riempie l’atmosfera di gioia.
Alfredo ha anche un’altra figlia, Barbara, di dodici anni, nata da un suo precedente matrimonio, che vive con la madre. Egli è andato a salutarla alla spiaggia perché ormai, nel pieno delle vacanze estive, ella vi si reca ogni giorno per divertirsi con amiche e amici. Certo, anche lui a quell’età amava tuffarsi per ore e ore tra le onde.  Ma ora sua figlia ha imparato uno strano sport, skimboard lo chiamano, ed è tutta presa ad esibirsi. Infatti, si tratta di saltare in piedi su una tavola di compensato, spalmata di paraffina sotto e sciolina sopra, lanciata sull’onda del mare e tentare di percorrere più spazio possibile mantenendo l’equilibrio. Uno svago assai complesso, pensa Alfredo! Per questo Barbara non gli ha dedicato molta attenzione, impegnata com’era a piroettare sulla sua tavola nuova.
L’atmosfera, dall’oblò, sembra più rarefatta: sotto, proprio laggiù in basso, si stende il mare, splendido nel suo azzurro increspato lievemente di strisce più chiare e una barca trascorre minuscola sulla superficie intensa come un’unghia dipinta di smalto. Le case sulla costa sono minimi quadratini simili a quelli del monopoli, le colline e le montagne appaiono strani mucchietti colorati di scuro. Il velivolo prende quota, s’inerpica veloce sopra fiocchi di nubi sbarazzine e i paesaggi della terra scompaiono. 
Per la prima volta, Alfredo affronta un periodo di ferie da solo: un esaurimento è la scusa ufficiale, il bisogno di non avere le solite facce vicine, la stanchezza del lavoro (o lo stress, come si dice oggi), la voglia di visitare un paese assolutamente diverso dal proprio. Ma non solo. Il suo amico e collega in ufficio, Giovanni, c’è già stato e gli ha spiegato che in quel paese le ragazze sono famose per i massaggi su tutto il corpo. 
Nel sedile al suo fianco siede una donna. Egli la guarda ogni tanto con la coda dell’occhio. È  abbastanza giovane, forse sui trent’anni, legge una rivista in inglese.
- Do you like a drink, mister? - l’hostess, dagli eleganti tratti orientali, interrompe i suoi pensieri con una frase incomprensibile.
- Non capisco l’inglese - risponde un po’ imbarazzato Alfredo.
- Ha solo chiesto se vuole qualcosa da bere… - gli spiega la vicina.
- Sì, certo, un whisky mi aiuterà a superare le lunghe ore del viaggio.
- Dov’è diretto?
-A Bangkok. È  il mio primo viaggio così lungo. Mi hanno parlato bene della città e dell’oriente in generale.
- Oh sì, l’oriente è splendido!  Non sono mai stata in Thailandia anche se prendo spesso l’aereo della Thai. Ma scendo alla fermata che questo volo fa a Bombay e certamente anch’io so degli antichi templi immersi nei giardini della "città degli angeli" di Bangkok, dei mercati tipici dove la popolazione è così numerosa da camminare affiancata…
- Va a Bombay per lavoro o per vacanza?
- Per lavoro. Da anni collaboro con un’associazione umanitaria che ha centri in varie città del paese. Attraverso le “adozioni a distanza”, forse ne avrà sentito parlare, le famiglie occidentali possono, con una piccola cifra, contribuire al mantenimento di un ragazzo o una ragazza indiani lasciandoli nella loro famiglia e nel loro ambiente. Così, molti bambini e bambine vengono tolti dalla strada e mandati a scuola, anzi, spesso con quel denaro si riesce ad aiutare anche la famiglia. Come lei saprà, ci sono molti poveri in India, così come in Thailandia, i genitori sono spesso costretti a mandare i loro bambini a lavorare… Per le strade delle città, vedrà, non è raro incontrare piccoli ragazzi magrissimi, vestiti di stracci ma dagli occhi incredibilmente scuri e dolci che si rendono utili facendo le commissioni, portando il tè, vendendo mercanzie… E questi sono ancora fortunati. Altri lavorano nei campi o nelle fabbriche ed è ancora più duro! Ma l’alternativa è non avere neppure da mangiare a sufficienza. Si è parlato molto, nelle cronache degli ultimi anni, dello sfruttamento dei bambini: anche una nota ditta che produce palloni da calcio era stata accusata di usare, per assemblarli, dei lavoratori orientali di pochi anni. In occidente, il gioco è considerato un diritto e, per permettere ai nostri bimbi di giocare, altri bimbi sacrificano la loro vita perché nei paesi del terzo mondo non è un diritto neppure la sopravvivenza! Questi ragazzi corrono tra il traffico fumoso di migliaia di veicoli - quasi una nebbia - con i loro cestini, i loro carretti… non vanno a scuola, né hanno tempo di parlare con altri bambini della loro età, spesso sono vittime di incidenti sulle strade caotiche! A sera, hanno solo la forza di inghiottire un pugno di riso e di sdraiarsi su di un giaciglio al suolo. Oh, mi scusi, mi sono fatta, come al solito, trascinare dalla mia rabbia per le ingiustizie del mondo!
L’aereo abbraccia l’infinito sempre più in alto. 
- Allacciate le cinture di sicurezza - comunica il comandante dagli altoparlanti. Infatti, qualche vuoto d’aria, un po’ di turbolenza, fanno sobbalzare lo stomaco di Alfredo. Intorno, grandi masse nuvolose si sono addensate e non si vede nulla. L’hostess, intanto, sta distribuendo imperturbabile i vassoi con il pranzo.
Mentre apre i contenitori di alluminio con il riso e le verdure, Alfredo ricorda le ultime parole di Giovanni sussurrate in gran segreto: - Là si possono trovare ragazze di dodici, tredici, persino dieci anni… anche mai toccate da nessuno, basta pagare un po’ di più. Insomma, - ha concluso - tutto è possibile, ci si può divertire, ravvivare le proprie capacità… 
La notte è scesa all’intorno. La zona è più tranquilla e si possono slacciare le cinture. 
La compagna di Alfredo si è appisolata e anch’egli, con le cuffie per ascoltare il film comico che stanno trasmettendo sullo schermo dell’aereo, si mette più comodo. Non capisce la trama del film che è in inglese e allora sintonizza l’ascolto su di un altro canale. La musica, dolcissima, gli entra nei pensieri. 
“Certo - riflette - sono paesi poveri, che ci si può fare? D’altra parte l’uomo è uomo e la donna è fatta per divertirlo. Poi, se incontrerò qualche ragazza, meglio se un po’ più giovane - sa che ci sono case di appuntamenti adatte allo scopo - la tratterò bene, magari le farò un bel regalo.”
L’immagine della figlia con il corpo abbronzato, il costume olimpionico firmato, allegra e scherzosa tra le onde, gli appare davanti agli occhi nel suo tentativo di scivolare sull’acqua prillando, solida e leggera, tra la schiuma frizzante del mare. Come si divertiranno i bambini e le bambine thailandesi? In fondo, anche Alfredo, da ragazzo, non ha giocato granché! Ha dovuto ben presto iniziare a lavorare e a rendersi utile. 
Ora, finalmente, dopo tanti anni, si è preso la prima vera vacanza della sua vita, un periodo di relax lontano da tutti! 
L’aereo sta per atterrare a Bombay. - Buon proseguimento! - lo saluta la vicina prima di lasciare il velivolo.
Alfredo si guarda intorno: ci sono tanti altri uomini su quell’aeromobile, molti sono soli. Forse anch’essi si concedono un periodo di relax. Che c’è di male?
Finalmente, l’apparecchio rulla sulla pista densa di vapori caldi. Fuori siamo a 40 gradi, ha detto il comandante. 
Ed ecco il velivolo punta verso il cielo grigio coperto, il carrello delle ruote rientra, la leggera ansia del decollo lascia il posto alla tranquillità e alla stabilità del resto del viaggio. Dall’alto, si può scorgere la città di Bombay, le baracche ricoperte di lamiera dove pullula una misera umanità che può anche vendere il corpo per sopravvivere e i grattacieli che svettano imponenti a costeggiare il mare e il porto…
Alfredo si appisola: il suo cervello libero da condizionamenti forma immagini di bellissime ragazze giovani dai lunghi capelli neri, il corpo acerbo fasciato da lunghe tuniche colorate. Vorrebbe toccarle ma gli sfuggono via come serpenti. Le chiama, tira fuori il portafoglio per mostrare una mazzetta di verdi dollari… I loro occhi sono irrimediabilmente tristi eppure si allontanano: le sue mani tese sfiorano l’aria e il profumo intenso inebria tutti i suoi sensi.
- Allacciate le cinture di sicurezza. Stiamo per incontrare una zona di turbolenza. 
Il comandante ha divulgato la notizia in molte lingue. Vengono abbassati anche gli scuri degli oblò. Per la prima volta, dalla partenza, persino le hostess siedono e allacciano le cinture.
Alfredo non ha timore, ormai si sente esperto di volo, dopo tutte le ore già trascorse sul velivolo. Sfoglia distrattamente uno di quei giornali patinati che si trovano nelle tasche dei sedili di tutti gli aerei.
 “GRAN TOUR DELLA THAILANDIA -l egge- Ecco una proposta dal fascino indiscutibile: coinvolgenti tribù locali e immense piantagioni di riso delle antiche capitali della Thailandia del Nord e poi in volo verso Phuket, una perla del Golfo del Siam dove il viaggio comprenderà un soggiorno al mare.” 
No, non lo interessa un lungo giro per il paese ma solo il soggiorno a Bangkok, dove senz’altro troverà tutto ciò che cerca.
La turbolenza non accenna a concludersi: l’aeromobile si agita sempre più affannosamente nell’alto del cielo. Molti dei passeggeri cominciano a essere veramente spaventati, alcuni pregano ad alta voce: 
- Mio Dio, perdono dei miei peccati. Abbi pietà di me!
Alfredo vede come in un film la moglie fiduciosa a casa con i bambini, il suo sorriso alla partenza: - Vai, caro. Divertiti. Hai bisogno di riposare un po’. Il lavoro è stato troppo pesante e noi ti abbiamo disturbato per ogni piccola cosa. Ti aspetteremo. Torna in buona salute.
Ma non c’è spazio per altre riflessioni. Il sospetto di compiere un grave crimine contro la persona umana non lo sfiora neppure: è un uomo!
 L’aeroplano sta perdendo quota molto velocemente… 
Infine, sprofonda nel Golfo del Bengala con un rombo di tuono, sollevando spruzzi come urla umane alte fino al cielo. 
Per ultimo, solo un verso, un’antica memoria di scuola, che non ha certamente nulla a che vedere con lui e la sua miserevolezza, gli balena alla mente:  
 “Infin che 'l mar fu sovra noi rinchiuso”.

RENATA RUSCA ZARGAR