POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

martedì, giugno 18

CHI E' QUEST'UOMO? LEV TOLSTOJ



Quest'uomo non è povero, 
mendicante o senzatetto, 
Quest'uomo è:
un gigante della letteratura mondiale "Lev Tolstoj"
Tolstoj era un nobile Russo
che possedeva immense terre e grandi fortune. 
Tolstoj diede tutte le sue ricchezze ai poveri e ai senzatetto. 
Visse una vita di ascetismo.
Tra i suoi detti più famosi ci sono:
"Non parlatemi della vostra religione, 
ma fatemi vedere la religione nelle vostre azioni “

Ancora: 

"Se senti dolore, 
...sei vivo, 
ma se senti il dolore degli altri, 
...sei umano. "

lunedì, giugno 17

33 ANNI DI SOLITUDINE PER IL "CAMARA" EMMANUEL di P. MAURO ARMANINO

                       

Non  ho una foto di Emanuel, ma penso che per P. Mauro tutti coloro che vivono una storia analoga, si trovino nella stessa condizione. Questa immagine l'ho presa da una delle tante che P. Armanino mi ha inviato. Qui penso che stia dialogando con chi deve pensare al bene degli africani, da qualsiasi  Paese arrivino.   


      33 anni di solitudine per il ‘Camara’ Emmanuel 

Parte all’età di 17 anni dalla sua nativa contea, Maryland, in Liberia. Siamo nel 2008 e ci troviamo nel primo mandato di Ellen Johnson Sirleaf, prima donna presidente del Paese insanguinato e diviso da anni di guerra civile. Emanuel lascia la città portuaria di Harpour, chiamata anche Cape Palmas, per passare nell’adiacente Costa d’Avorio e stabilirsi a Tabou, città rifugio per migliaia di liberiani. Dopo un paio d’anni si trova a Nzérékoré, Guinea tra le altre migliaia di rifugiati e sopravvive come agente informale di cambiavalute grazie a un fratello maggiore.  Amici e la navigazione sul net lo fanno migrare in Algeria nel 2012.

Ciò che cerca è l’attraversamento del mare Mediterraneo che si pone come spartiacque tra i due continenti, uno dei quali Emanuel vorrebbe abbandonare al suo destino. In Algeria guadagna quanto basta per tentare la traversata del mare e passa in Marocco. Per tre volte tenta di lasciarsi alle spalle il continente africano e per tre volte la guardia costiera marocchina riporta i natanti a riva. Per i primi due viaggi ha speso 500 euro mentre per l’ultimo ne ha sborsati, inutilmente, il doppio. Faceva la spola tra i due Paesi, il Marocco e l’Algeria, dove lavorava da manovale e guadagnava abbastanza per pagarsi i viaggi.

Siamo ormai nel 2022. La vita di Emanuel sembra tornata normale e per un anno si ristabilisce ad Algeri.  Per strada, come gli altri africani neri, spesso è chiamato ‘Camara’ (compagno) o ‘dog’(cane). Entrato in un negozio per comprare di che nutrirsi, è stato fermato da un poliziotto. L’hanno arrestato, derubato e infine deportato fino a Tamanrasset. Ivi ha convissuto nel centro di detenzione con altre centinaia di migranti, rifugiati o richiedenti asilo. Dopo qualche settimana, sono stati imbarcati e poi buttati nel deserto presso la frontiera col Niger. Una settimana ad Assamaka, cittadina migrante inventata dal nulla, e dopo ad Agadez.

Passa qualche mese nello snodo delle migrazioni dell’Africa occidentale e centrale, per raggiungere, con mezzi di fortuna, la capitale Niamey. Abita, da un paio di settimane, con decine di migranti come lui, non lontano dall’attuale palazzo adibito come Ministero della Giustizia che non c’è. Emmanuel custodisce 33 anni di solitudine e spera di attraversare il mare per un’ultima volta.


               Mauro Armanino,  Niamey, giugno 2024

C'E' SEMPRE UNA PRIMA VOLTA di Padre MAURO ARMANINO


         C’è sempre una prima volta 

Questo 14 giugno pomeriggio, papa Francesco ha fatto il viaggio a Borgo Egnazia, stazione balneare della Puglia in Italia, per partecipare al vertice del G7, che riunisce le 7 grandi potenze economiche mondiali. Una prima storica poiché nessun papa aveva finora partecipato al G7. (Agenzia vaticana Zenit)

Difficile dire quanto di vangelo c’è in questa presenza e quanto di diplomazia vaticana che, com’è noto, appare tra le più rodate e lungimiranti. Ciò che nondimeno stupisce è anzitutto il fatto stesso che il papa, rappresentante della Chiesa Cattolica, sia stato invitato a questo tipo di vertice che mette assieme alcuni tra i ‘potenti’ della politica e dell’economia del mondo.

L’invito del papa, per motivi che non è poi difficile discernere, è già un segno e un messaggio la cui tragica scelta non potrà non lasciare tracce nel presente e il futuro del papato e della Chiesa stessa. Essere invitati al vertice di alcuni tra i Paesi più ricchi e potenti del globo significa dare sufficienti ‘garanzie’ al sistema perché esso possa perpetuarsi o quantomeno continuare a legittimarsi.

Aver accettato l’invito (o allora la proposta è giunta dal vaticano e accolta dalle diplomazie del vertice), come il papa ha fatto, non è che l’ennesimo e patetico tentativo di accompagnare, da ‘cappellano di corte’, il sistema attuale che, come il capitalismo di cui è l’espressione, è nato e cresciuto senza cuore. Non dovremmo dimenticare che i membri di questo vertice sono corresponsabili o sostenitori della produzione, vendita e uso di armi in zone di guerra. Si tratta dunque di persone che hanno le mani macchiate di sangue.

D’altra parte, sembra tipico di questo insondabile e ambiguo pontificato giocare su tutti i fronti con la stessa spudorata disinvoltura. Incontrare e valorizzare i movimenti sociali. Assumere i poveri come elemento trasformatore del sistema (secondo le lezioni latinoamericane ben assimilate). Proteggere i migranti nella loro ricerca di futuro e parlare di ‘periferie’ dalle quali dovrebbe sgorgare un mondo nuovo e una Chiesa che ascolta.  Questo e molto altro all’ordine del giorno, senza dimenticare le innumerevoli volte nelle quali è stato necessario precisare, rettificare, contraddire quanto affermato il giorno precedente in uno dei tanti discorsi letti o improvvisati.

Allo stesso tempo, lo stesso pontefice (vero ponte tra sponde diverse) accompagna e celebra un’alleanza vaticana col ‘Capitalismo Inclusivo’ che vede tra i suoi membri e promotori i più quotati magnati del capitalismo globalizzato. Con la manipolata crisi del Covid poi, l’attuale papa, ha toccato quanto di peggio ci si sarebbe potuto attendere da un qualunque politico da strapazzo. L’obbligazione per tutto il personale dello Stato Vaticano alla vaccinazione pena il licenziamento in tronco, il fermo invito fatto ai fedeli cristiani di vaccinarsi ‘come gesto d’amore’ e gli incontri più o meno ‘segreti’ col boss dell’industria delle vaccinazioni l’Amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla.


Malgrado i danni occasionati e accertati, l’aumento della mortalità nei Paesi che più hanno somministrato i ‘vaccini’, non è mai sfuggita al papa una sola parola di attenzione per quanti hanno sofferto a causa del suo fermo invito a vaccinarsi e tantomeno la richiesta ufficiale di perdono per essersi sbagliato di bersaglio. Mai ha domandato venia per la mancanza di rispetto dei diritti dei dipendenti che avrebbero potuto scegliere o meno di vaccinarsi in tutta libertà di coscienza come i documenti della Chiesa e della medicina ufficiale sottolineano da tempo.

La parvenza ‘democratica’ di questo papato è poi contraddetta da protagonismi nella vita pubblica quotidiana che si esibisce in modo asfissiante fino a domandarsi se esiste ancora una conferenza episcopale italiana degna di questo nome. Dappertutto e su ogni tema ci si aspetta una parola, un’allusione e soprattutto una conferma. Persino nelle trasmissioni televisive seguite da largo pubblico dove si ha il diritto e il piacere di ascoltare quanto papa Bergoglio afferma, sostiene, propone e soprattutto allude.

E, infine, la partecipazione anche fisica al vertice del G7 che ha annoverato altri invitati di marca, ma non la Russia e la Cina ad esempio. Invitato, accolto e infine assimilato ai potenti, tra coloro che hanno diritto di presenza, ascolto e udienza. Per parlare dell’intelligenza artificiale di cui, sembra, il vaticano ha assunto un ruolo non trascurabile e naturalmente apprezzato. Una Chiesa segno di contraddizione per gli imperi di oggi sembra essere passata di moda. Accomodarsi accanto al potere di turno e allo stesso tempo prendere le difese dei poveri desta sospetto sull’autenticità e sincerità di chi gioca a dare spettacolo per il pubblico.

Al vertice citato nessun povero è stato invitato. In un non lontano passato, ad esempio il G8 di Genova, si presentava come un vanto del summit quello di invitare persone di alcuni Paesi che aiutassero a non dimenticare che c’è anche e soprattutto un altro mondo. Quello a cui spesso il papa allude e che diventa visibile nelle guerre, le migrazioni e le terre rare … da sfruttare per motivi ecologici ben ricordati dall’ultima esortazione, al soldo anch’essa  di una sola versione del mondo.

La presenza del papa tra i ‘grandi’ del sistema addolora, preoccupa e fa vergognare chi pensava che scegliere i poveri e la loro strada non fosse per farsi strada tra i potenti per diventarne il ‘cappellano’ e in definitiva il garante. Si tratta dell’esibizione di un tradimento nell’usare i volti e il silenzio dei poveri per poi accomodarsi alla mensa dei ricchi e dei potenti. 


Padre Armanino, Chou Chou et maman, bellissima foto

Mauro Armanino, Niamey, dalla sabbia e dai poveri del Niger, 15 giugno 2024.

Mauro Armanino, già operaio e sindacalista, è un missionario. Ha vissuto in Costa d’Avorio, Argentina, Liberia. Da tredici anni vive nel Niger per un servizio ai migranti.

venerdì, giugno 14

BRITON RIVIÈRE, pittore, scultore britannico



BRITON RIVIÈRE

 

Briton Rivière (14 agosto 1840 – 20 aprile 1920) è stato un rinomato pittore britannico, noto per le sue opere di animali e le sue raffigurazioni di scene mitologiche e bibliche.

Nato a Londra, Rivière mostrò una prima infanzia artistica talento e ha studiato alla famosa Royal Academy of Arts di Londra. Ha rapidamente ottenuto riconoscimenti per la sua abilità nel catturare la natura e gli animali con notevole realismo nei suoi dipinti. I suoi soggetti preferiti includevano cani, cavalli e animali selvatici, e le sue opere erano molto ricercate per la loro precisione anatomica e le emozioni palpabili.

Rivière divenne membro della Royal Academy nel 1869 e la sua carriera fiorì durante il Periodo vittoriano. Tra le sue opere più famose ci sono "Sympathy" (1867), che raffigura un cane che veglia su un bambino addormentato, e "Requiescat" (1888), una rappresentazione toccante di un cane davanti alla tomba del suo padrone.

Oltre alle sue opere sugli animali, Rivière produsse anche dipinti basati su storie bibliche e mitologiche, che riflettono il periodo interesse per soggetti religiosi e simbolici.

Il suo eccezionale talento artistico e la dedizione alla rappresentazione accurata della natura gli hanno fatto guadagnare grande ammirazione nel corso della sua carriera e continuano ad essere apprezzati dagli amanti dell'arte di tutto il mondo. Il britannico Rivière morì nel 1920, lasciando un'eredità duratura nel mondo dell'arte britannica.



Requiescat



Sympathy

dei molti quadri, ne ho estrapolati solo 3, quelli che hanno preso il mio cuore! 

lunedì, giugno 10

ESERCIZI (africani e non) DI QUOTIDIANI APARTHEID di Padre MAURO ARMANINO

Vorrei che l'apartheid fosse trasformata ovunque in museo, come in Sud Africa! Un brutto ricordo e niente altro!  Nelson Mandela ha lottato per questo. Danila

Esercizi (africani e non) di quotidiani apartheid

Buongiorno Mauro, 

è vero, da due mesi è vietato agli africani (neri) di prendere i bus delle grandi distanze e i treni. All’interno delle città ciò è più o meno tollerato. Quanto ai taxi in città e fuori, ciò resta un pericolo. Infatti, l’autista rischia il ritiro della patente e il passeggero l’arresto e la deportazione alla frontiera col Niger …

È da Algeri, il 5 giugno scorso che, un vecchio amico impegnato nell’accoglienza dei migranti, ha inviato la mail trascritta sopra. Scorrendo il suo messaggio la prima idea che mi è venuta in mente è stata quella di un nuovo ‘apartheid’.  Si tratta di una parola afrikaans che significa letteralmente ‘separazione’ o ‘partizione’. Era il nome dato alla politica di segregazione razziale istituita nel 1948 dal governo al potere nel Sudafrica. Rimase in vigore fino al 1991 ed è stata attualizzata, come denunciato proprio da questo Paese, tra l’altro da Israele nei confronti del popolo palestinese. In molte altre parti del mondo è tornato senza vergogna.

Nel Nord Africa, non da oggi, si pratica spesso con disinvoltura una politica di disprezzo per gli africani di origine sub sahariana. Le testimonianze ricevute dai migranti di ritorno sono in questo senso inesorabili e precise. L’arco della cosiddetta ‘Africa bianca’, dal Marocco sino all’Egitto, si distingue per applicare forme anche estreme di stigmatizzazione nei confronti dei migranti o rifugiati ‘neri’ che cercano in quell’area lavoro, protezione o semplicemente una riva per andare in Europa. Insulti, minacce, ruberie, sfruttamenti e accuse di propagazione di tutti i mali possibili sono quanto più i migranti, con tristezza, raccontano. C’è chi ricorda, con amarezza, che molti di loro erano considerati puramente e semplicemente schiavi o cose. 

Nulla di nuovo sotto il sole, direbbe il saggio che si intendeva di umane vicende nella storia. La separazione o partizione si trova anzitutto dentro il cuore umano ogni qualvolta si esclude o mutila la coscienza e lo spirito che lo lega a se stesso, agli altri e alla trascendenza che lo spinge all’altrove. Seguono poi, e di conseguenza, le altre ‘partizioni’ o esclusioni. Quelle tra popoli, continenti, culture e immaginari simbolici. All’interno stesso delle società si sviluppano fenomeni violenti e discriminanti tra chi rivendica la pienezza dell’umano e chi si trova, suo malgrado, ad essere considerato uno scarto, superfluo e, talvolta, come i poveri, ‘pericoloso’ per l’ordine pubblico. L’apartheid ha probabilmente un futuro brillante dinnanzi a sé perché le società, nel loro insieme, non sembrano disposte a mettere in pratica quanto suggerito dal prezioso e disatteso articolo 3 della Costituzione italiana. 

"È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"… 

 Finché le varie forme di organizzazione politica al potere, quali esse siano, saranno lontane o ostili a questo orientamento civico, l’apartheid troverà un terreno propizio per svilupparsi e creare società ogni volta più escludenti. Col rischio che, in definitiva, gli africani saranno i peggiori nemici degli africani.

              Mauro Armanino, Niamey, giugno 202


sabato, giugno 8

IL CALVARIO NELLA SAVANA di P. MAURO ARMANINO


Il calvario nella savana


Era il mercoledì 29 maggio passato, nella savana che conduce al Burkina Faso. Un gruppo di militari nigerini ha bruciato i granai nel villaggio di Nadouani, della parrocchia di Bomoanga.  In seguito, nel villaggio di Tchinibai, altri militari, dopo aver scoperto e poi bruciato una moto nascosta nella capanna, hanno ucciso sette contadini che intrecciavano stuoie al riparo di un albero. 
Morti invisibili di contadini uccisi ad opera di gruppi armati e, apparentemente, anche da parte di coloro che dovrebbero proteggerli. Da armi ad armi e da sopruso in sopruso si vive abitando quotidianamente la paura che domani non arrivi troppo tardi, con altre domande e minacce da parte dei ‘djihadisti’ o sedicenti tali. Il calvario del popolo gourmantché, insediato alla frontiera tra il Burkina e il Niger, sembra senza fine.
Si tratta di un popolo che, per molto tempo, ha resistito alle pressioni dell’imposizione musulmana e ha poi aderito in modo sorprendente al cristianesimo. Il popolo si trova da tempo in una situazione di persecuzione aperta e dolorosa da parte dei gruppi armati composti soprattutto da giovani del popolo Peul o Fulani, per tradizione allevatori di bestiame. Il conflitto armato si tinge di ideologia islamica ‘salafista’.
Ciò però non spiega tutto ciò che sta accadendo in questa zona situata ad un centinaio di kilometri dalla capitale Niamey. Allevatori, agricoltori, cristiani, musulmani soprattutto di etnia ‘Peul’ in un contesto militarizzato nei quale i contadini della regione contano sempre meno. In questa fase di transizione politica, che segue il colpo di stato di fine luglio, le condizioni di vita dei poveri si sono ulteriormente deteriorate.
La parola ‘genocidio’, usata e abusata sotto altri lidi, può apparire eccessiva. Eppure, ciò a cui stiamo assistendo, con le dovute proporzioni e differenze, si apparenta a questo particolare processo di sparizione. Non è casuale che, talvolta nella relativa indifferenza delle forze di sicurezza, si lasci perpetrare un calvario culturale, economico, religioso e etnico nella savana. Un popolo da tempo ‘dimenticato’ dallo stato. 
L’elemento cristiano, ben presente nel cuore di questo popolo, si è gradualmente trasformato in fattore ‘aggravante’ di persecuzione. Sono ormai molti i villaggi di questa zona di frontiera che i contadini Gourmantché hanno dovuto abbandonare. Stranamente ma non molto, i membri dell’etnia ‘peul’ vivono indisturbati in questi stessi villaggi, protetti dai gruppi armati e ignorati dai militari.
Per ironia divina è proprio di questa regione che sono originari i prossimi due presbiteri della chiesa di Niamey, la cui ordinazione è prevista per il prossimo mese di settembre. Dal calvario alla risurrezione nella savana passano appena tre giorni.



            Mauro Armanino, Niamey, 7 giugno 2024

domenica, giugno 2

HENRI, IN ESILIO SENZA FINE A NIAMEY di P. MAURO ARMANINO



Henri, in esilio senza fine a Niamey

La terza guerra mondiale in realtà c’è già stata e non accenna a terminare. Solo che i riflettori erano puntati altrove, su mondi e morti più importanti. Morire nel Congo della Repubblica Democratica, l’ex. Zaire di Mobutu Sese Seko, non è la stessa cosa che altrove dove la statua al milite ignoto glorifica gli eroi e i martiri della libertà. Nulla di tutto ciò per gli stimati 10 milioni di morti e delle 500 mila donne violentate strada facendo nel Congo. Lo ‘scandalo geologico’ della RDC, che possiede i migliori giacimenti delle terre ‘rare’ per l’elettronica e l’informatica, ha solo facilitato il protrarsi delle guerre telecomandate dall’esterno e pagate a caro prezzo all’interno. Le coalizioni di vari Paesi africani e appoggi, in soldi, armi e logistica delle Grandi Potenze con interessi sul campo, hanno creato in questi anni una lunga guerra senza fine.
Per questo motivo, come tanti altri, Henri ha abbandonato una delle regioni più sfortunatamente ricche del suo Paese, la Repubblica Democratica del Congo, all’età 22 anni e. da allora, non vi è più tornato. Ha visto massacrare chi scappava dal martoriato Ruanda e poi, strada facendo, la nascita e lo sviluppo di gruppi armati al soldo di ditte e potenze straniere ‘affamate’ di risorse minerarie. Henri si trova a Niamey, col doppio degli anni dal giorno del suo esodo dal Paese natale e non è neppure riconosciuto dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Ha smesso di esistere dal punto di vista giuridico. Non è ‘rifugiato’, non è ‘migrante’, non è ‘sfollato’, non ha lavoro, non ha famiglia, non ha identità e solo gli rimane ciò che si ostina a chiamare un futuro. Per arrivare nel Benin, dove ha soggiornato per 11 anni con lo statuto di rifugiato, aveva attraversato il Centrafrica, il Cameroun e la Nigeria. Alla fine, le autorità, per ragioni politiche, hanno ritenuto che il suo statuto non era più sostenibile e allora Henri è partito in Ghana pensando di avere migliore fortuna con l’Alto Commissariato per i Rifugiati basato a Ginevra, in Svizzera.
Pensa dunque di prendere il proprio destino in mano per tentare di attraversare il mare di Mezzo che osserva con timore coloro che hanno l’ardire sfidarne il mistero. Abbandona dunque il Ghana e, con un lungo viaggio, raggiunge l’Algeria, una delle sponde del Mediterraneo. Ivi Henri è arrestato, detenuto e infine deportato alla frontiera col Niger e, nel 2019, è accolto dall’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni. Siccome Henri non vuole tornare nella sua regione di origine ancora in guerra, per motivi umanitari è affidato all’Alto Commissariato per i Rifugiati. Passa altri 4 anni come richiedente asilo in un campo-villaggio non lontano da Niamey chiamato Hamdallay, per vedere, infine, la sua domanda di asilo definitivamente respinta. L’istituzione gli offre una modica somma di denaro come ‘liquidazione’e Henri trova una camera da affittare in uno dei nuovi quartieri alla periferia della capitale, Niamey 2000.
La vita di Henri, nel suo cercare invano una terra d’asilo a causa della guerra permanente nel suo paese, appare come una delle metafore del nostro tempo. Entrambi, lui, il suo Paese e milioni di persone celebrano nel complice e assordante silenzio del mondo che conta, un esilio senza fine. Henri abita in uno dei quartieri del futuro di Niamey perché, in quella zona, gli affitti sono meno cari.




Padre Armanino con l'ambasciatrice della Spagna a Niamey (Niger)

              Mauro Armanino, Niamey, giugno 2024