POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

sabato, luglio 5

MITOLOGIE SAHELIANE MA NON SOLO di PADRE MAURO ARMANINO


           Mitologie saheliane ma non solo

Viviamo di miti e cioè di racconti o narrazioni che offrono credibili spiegazioni della realtà che ci circonda. Sono caratterizzati da eroi, dei o personaggi fantastici che influiscono sull’interpretazione del mondo e dettano scelte, comportamenti e visioni credibili della realtà. Ogni epoca e cultura, anche quelle ritenute ‘scientifiche’ o ‘tecnologicamente avanzate’, ha i suoli miti, evidenti o impliciti, riconosciuti o mascherati da apparente razionalità. Nella vita reale sono i miti accettati o subiti che orientano buona parte delle azioni che compiamo. I miti sono anche ciò che possono manipolare la realtà onde renderla funzionale al tipo di mondo e dunque di potere che ogni narrazione perpetua.

In Africa uno dei miti che va per la maggiore è quello della durata ‘divinamente voluta’ dei mandati presidenziali. La componente mitica del potere, pensato come espressione di un’elezione dai contorni divini, fa supporre che il capo non cerchi che il bene e la difesa del popolo. Non casualmente si allungano o trasformano la durata dei mandati che le costituzioni opportunamente avevano regolato per evitare abusi di potere. Quindi si cambia la costituzione o si inventano sistemi per aggirarne i limiti fino, se necessario, al colpo di stato istituzionale o a quello che passa attraverso le armi. Quest’ultimo mezzo apre la via al secondo e altrettanto allettante mito: quello della violenza e dunque delle armi che aiutano a tradurla in pratica come mezzo di trasformazione o di conquista del potere. Dietro questo mito si trova quello dei sacrifici umani che, soli, garantirebbero le fondamenta dello stato, della nazione e la sua identità. I cimiteri, le fosse comuni, i monumenti e le feste nazionali sono solo alcune delle espressioni di questo mito fondatore della storia. La facilità con cui si fabbricano, commerciano, usano e prosperano gli armamenti non è casuale. Il mito della potenza, nato con lo stato e da esso nutrito, non ha memoria. Il mese prossimo si  ricorda  che si realizzò la prima esplosione atomica a Hiroshima. Questa tragedia è volutamente dimenticata.

Mi permetto di inserire un testo col quale avevo partecipato ad un concorso indetto dalle Edizioni Pragmata di qualche anno fa, che richiedeva 100 parole per una foto / 100 palabras por una foto, ovvero si trattava di un Drabble, e che avevo titolato FUNGO MALEFICO:

Da anni desideravo rivedere la spiaggia di Marebello. Calma piatta, mentre i miei piedi, gonfi di atavica stanchezza, si lasciano accarezzare dalle languide onde del mare, che s’infrangono sulla battigia.

Arriva da lontano un vortice rabbioso, un ululare sordo, minaccioso, s’avvicina. Quella sua forma a fungo ricorda lo spaventoso evento del 1945 quando, il mattino del 6 agosto, alle ore 8,16, L’Aeronautica Militare Statunitense sganciò la bomba atomica “Little Boy” sulla città giapponese di Hiroshima, seguita, tre giorni dopo, dal lancio dell’ordigno "Fat Man su Nagasaki. Quanto dolore hanno provocato un ragazzino e un ciccione! La natura ricorda ancora, ribellandosi.

Danila Oppio

Questo racconto è pubblicato in una raccolta che si trova qui:


I regimi militari, che sembrano accompagnare la vita politica di una parte consistente dei Paesi del Sahel, sono anch’essi visti come ‘mitica’ soluzione alla corruzione del sistema politico organizzato attorno ai partiti e alle costituzioni. Sarà l’uniforme, le armi tenute in riserva, l’apparente o reale disciplina che sembrano incarnare, i militari come via di salvezza per il popolo si afferma come un altro mito che riesce ad aggregare ideali, giovani e aspirazioni sopite. La disciplina e l’uomo forte, dallo statuto simile a quello dello sceriffo gemellato con l’idea del re tradizionale, offrono ai militari una riserva quasi inesauribile di fiducia del popolo. I miti sono spesso e volentieri militarizzati e armati.

Infine, è la nazione, intesa come popolo che si identifica dentro uno spazio geografico e culturale prescelto per l’eternità, uno dei grandi miti creati della modernità. I confini, le bandiere, l’esercito, la cultura e la religione formano, così si pensa, un tutto omogeneo e coerente, frutto di una mitica discendenza fatti di eroi, navigatori e santi. Le competizioni sportive con l’inno nazionale, cantato con la mano sul cuore dagli atleti, rappresenta quanto di più emozionante ci sia nella vita. La nazione mitizzata si afferma come unico ambito identitario, e garanzia per usufruire dei diritti inerenti al cittadino. Alle frontiere si fa esperienza, spesso drammatica, di questo mito nazionale. 

Al confine, infatti, i ponti spesso diventano muri, reticolati, zone di non-diritto o di commercio transfrontaliero. I fiumi, i mari e i deserti si trasformano troppe volte in cimiteri non custoditi. Il mito che ne assicura il supporto simbolico sembra godere di un futuro assicurato. Ecco perché smitizzare l’immaginario ereditato e fare dei poveri e oppressi la propria ‘patria’ è l’unico sentiero da seguire.



              Mauro Armanino, Niamey, luglio 2025

sabato, giugno 28

LA GUERRA DI CUI NON SI PARLA di Padre MAURO ARMANINO

Donne venditrici di sabbia

La guerra di cui non si parla

Miete più vittime delle altre registrate nel mondo. L’anno scorso i conflitti armati riconosciuti tali erano 61. Quest’unica guerra uccide più che tutte i conflitti messe assieme. Si tratta della povertà o, se vogliamo, della miseria che porta con sè, troppo spesso nel silenzio, milioni di persone. Un pò come le cosiddette ‘morti bianche’ cioè quelle sul lavoro. Un’altra vera e propria battaglia quotidiana che vede come protagonista chi non è certo di tornare a casa dopo esserne uscito per lavoro, il mattino. Si calcola che l’anno scorso le ‘morti bianche’ hanno raggiunto i tre milioni.

La povertà è peggio perché per gli economisti si perde nelle statistiche mentre per la gente è una sparizione continua che passa inosservata. Ad essere cancellati sono i poveri. Le tracce della miseria durano a lungo perché coinvolgono i bambini, le donne e i giovani. La miseria è il frutto più immediato di guerre, movimenti forzati di popolazione, avversità climatiche ma soprattutto di classi politiche ammalate di potere e spogliamento del popolo nel più breve tempo possibile. Cause esterne, interne e purtroppo ‘eterne’ si perpetuano perché abbiamo smarrito la vergogna.

Sembra davvero scomparsa, la vergogna, dal lessico e soprattutto dal volto, le parole e le azioni. Si tratta di un sentimento, innato e allo stesso tempo culturale, che manifesta l’inadeguatezza tra ciò che è giusto e il nostro agire e sentire. La crescita, tutta occidentale, dell’individualismo e del fin troppo citato relativismo, non possono che produrre l’esilio della vergogna. Gli atti, le scelte, le parole e financo l’abbigliamento non tengono più in conto lo sguardo dell’altro. Il ‘principio responsabilità’ è stato spazzato via dall’utilitarismo capitalista che tutto mercifica e traduce, senza vergogna, in denaro.

Investire somme abissali, destinate a servizi sociali, in armi, ordigni letali studiati e programmati allo scopo di uccidere il ‘nemico’ fa ormai solo vergognare i pochi irriducibili ‘idealisti’. Nel frattempo, nel Sahel imperversa la vulnerabilità alimentare per milioni di persone, l’indigenza al quotidiano, la carenza di strutture educative e sanitarie. Mancano dispositivi che facilitino l’ingresso dei giovani nel mondo lavorativo. Irréductibles. La classe politica non si vergogna di nulla e così gli intellettuali attirati dalla retorica che sembra promettere loro un futuro. Persino i leader religiosi, senza vergogna, puntellano il sistema fatiscente.

Il Fondo Monetario Internazionale, che non è un ente di beneficenza, ha rilasciato un documento che, prendendo in considerazione il Prodotto Interno Lordo dei Paesi, stila la lista dei dieci Paesi col reddito pro capite più basso in Africa. Con tutti i limiti che questa operazione sappiamo comporta, rimane utile affacciarsi su questa strana e drammatica classifica che nasconde ciò che mostra ed evidenzia ciò che nasconde. Ci sono numeri che offuscano le cause e facilitano l’azione di sminamento del sentimento di vergogna che dovrebbe toccare i politici per primi.


Senza sorpresa, l’Africa sub-sahariana domina la classifica. I conflitti cronici, la debolezza istituzionale e una élite politica sempre più spesso militarizzata, non sembra in grado di offrire alternative coerenti ed efficaci alla precarietà di vita dei popoli che dovrebbe servire. Nell’ordine della lista si trova il Sudan del Sud, lo Yemen, il Burundi, la Repubblica Centrafricana, il Malawi, il Madagascar, il Sudan, il Mozambico, la Repubblica Democratica del Congo e il Niger, Paese nel quale ho il privilegio di trovarmi. Tutto ciò dovrebbe far vergognare chi profitta della miseria degli altri per arricchirsi o per illudere i poveri con vuote e false promesse di un domani migliore. 

Finché la vergogna non ritornerà ad essere una materia di insegnamento nella grammatica della vita quotidiana, sarà difficile cambiare lo sguardo sul mondo.

                         Mauro Armanino, Niger, giugno 2025


sabato, giugno 14

L'OMERTA' DEI BUONI di Padre MAURO ARMANINO

L’omertà dei buoni 

Era ciò che più dispiaceva a Norbert Zongo, giornalista del Burkina Faso barbaramente ucciso a causa del suo impegno per smascherare la violenza della menzogna nel suo Paese. Temeva l’omertà dei buoni, il loro colpevole silenzio, più che le azioni dei malvagi. Difficile dargli torto, soprattuto dopo la pubblicazione del recente rapporto realizzato dall’Istituto di Ricerca sulla Pace di Oslo, in Norvegia. L’anno scorso, nel mondo, sono stati registrati 61 conflitti, divisi in 36 paesi. L’Africa resta il continente più toccato con 28 conflitti implicando almeno uno Stato, segue l’Asia, il Medio Oriente, l’Europa e le Americhe. Il numero dei morti è stato, sempre secondo il documento, di circa 129 mila vittime.

L’omertà appare come una forma di solidarietà tra consociati, volta alla copertura di condotte delittuose celando l’identità di chi ha commesso un reato o comunque tacendo circostanze utili per le indagini. In altri termini possiamo parlare di riserbo assoluto per complicità spesso per timore di vendetta. Norbert Zongo non aveva torto a temere l’omertà dei buoni consociati a proteggere soprattutto la propria innocua e banale tranquillità di vita. Essa non va confusa con chi è preso come ostaggio dai gruppi armati che operano nel Sahel, designato come il teatro della violenza di gruppi ‘islamisti’ militanti più letale in Africa per il quarto anno consecutivo. Si parla di 10 400 morti.

Resta da evidenziare, rispetto all’aumento dei conflitti armati  nel mondo, la lista aggiornata dei Paesi produttori di armi che, non casualmente sono membri del Consiglio di (In) Sicurezza delle Nazioni Unite per grazia divina. Stati Uniti (43 per cento della produzione mondiale), Francia, Russia, Cina, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna, Corea del Sud e Israele. In questo ambito l’omertà diventa assoluta e coinvolge i partiti politici, i sindacati, la società civile, i credenti, i cittadini qualunque e le autorità religiose. Si coprono condotte delittuose come l’anti etico e vergognoso aumento delle spese per gli armamenti che coinvolge Paesi e continenti senza differenze politiche, ideologiche o religiose.

L’amico Ouoba di Makalondi, a un centinaio di chilometri da Niamey, non ha potuto raggiungere la capitale perché gli autisti temono attacchi dei gruppi armati. Qualche giorno fa un veicolo è stato bruciato e la gente viaggia ormai solo con la scorta armata. Droni, aerei, blindati, nuove reclute formate alla guerra e armi per combattere e ‘neutralizzare’ il nemico sembra l’unica narrazione del momento nel Paese. Lo ribadisce peraltro anche il testo del nuovo inno della Confederazione degli Stati del Sahel...’Soldati lo siamo tutti...Intrepidi e sovrani... per la parola e per le armi... col sangue e il sudore tu scriverai la storia’. Come comprovato dall’esperienza proprio questa è una storia che si ripete da troppo tempo . Come abbandonare definitivamente il mito della violenza sacrificale.

Spezzare la copertura di azioni delittuose, ossia l’omertà dei buoni non è impossibile. Un esempio è il discorso d’addio del capo redattore del New York Times, John Swinton. Afferma che i giornalisti non sono altro che... ‘Marionette e vassalli di magnati che si nascondono dietro la scena. Tirano le fila e noi danziamo... Il lavoro del giornalista consiste a distruggere la verità, a mentire senza limiti, a pervertire i fatti e gettarsi ai piedi di Mammona: siamo dei prostituti intellettuali’. L’omertà è spezzata.

Intanto l’amico Ouoba scrive in un sms che farà di tutto per arrivare domani a Niamey.




GIUSTIZIA E PACE



Cresimandi

                Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025

venerdì, giugno 13

LUNA DI FRAGOLA, OLEANDRO E FOTO DI PADRE NICOLA GALENO OCD DA BAMBINO - Poesie di PADRE NICOLA E FOTO




LUNA PIENA DELLE FRAGOLE . GIUGNO 2O25

commento di una corrispondente di Padre Nicola Galeno OCD

Deliziosi e tenerissimi questi versi ispirati da una materna luna che veglia solitaria sul nostro sonno che ci priva di un luminoso spettacolo. Grazie per aver generosamente colto il plenilunio con le sfumature di un’intimità preziosissima. NP



E non può mancare una foto di Padre Nicola quando era un bambino che indossava un saio legato a Sant'Antonio di Padova, che i suoi genitori avevano confezionato per ringraziare il Santo che lo aveva guarito dalla malattia. E infatti gli avevano anche dato come nome di Battesimo quello del Santo: Antonio!



sabato, giugno 7

SACRIFICATI di PADRE MAURO ARMANINO

Sacrificati

Nel Niger e in altri Paesi si celebra oggi il memoriale del sacrificio di Abramo. In Africa Occidentale questo giorno è chiamato Tabaski, nome di derivazione berbera che significa, appunto, festa. Le religioni chiamate monoteiste hanno in Abramo un comune antenato nella fede soprattutto per la sua dichiarata obbedienza e disponibilità a sacrificare il figlio della promessa. Isacco per la Bibbia e Ismael per il Corano è l’erede che all’ultimo momento è stato salvato dal sacrificio cruento ad opera del padre Abramo. E’ infatti un capro, secondo rispettivi libri ‘santi’ ad essere sacrificato al posto del figlio amato. Più d’un commentatore ha visto in questo episodio la condanna definitiva dei sacrifici umani sostituiti dagli animali. Nel caso si trattava di un ariete, un capro o qualcosa di molto simile.

In questi ultimi giorni alcune strade della capitale Niamey erano decorate da migliaia di capri parcheggiati il più vicino possibile dalle auto in transito onde facilitare l’acquisto e l’imbarco immediato della vittima prescelta. La transazione è in funzione della grandezza dell’animale, del prezzo e soprattutto dalle ridotte disponibilità finanziarie attuali dei fedeli. I tempi sono duri per mancanza di opportunità lavorative, la liquidità è occasionale e i debiti per la sopravvivenza si accumulano. Il divieto di vendere una parte degli animali all’estero non ha affatto facilitato l’economia di chi aspetta tutto l’anno questo momento per mettere da parte qualcosa per la famiglia. La vista della quantità di animali in lista d’attesa per la vendita sacrificale della festa può destare sentimenti particolari.

I proprietari degli animali li nutrono fino alla fine per renderli più presentabili e appetibili agli acquirenti. I ‘piccoli ruminanti’, come sono qui chiamati, forse non pensano neppure lontanamente a ciò che li aspetta. Sacrificati, sgozzati, liberati dalle interiora e stesi aperti su paletti di legno debitamente incrociati. Poi la legna è deposta per la cottura con le braci che produce l’aria di fumo infiltrata dal tipico sapore della carne rosolata. Per loro, gli animali, sarà tardi per capire come l’insieme era stato predisposto per il sacrificio rituale e che, tutto era già scritto fin dalla nascita. Nati per essere sacrificati per un giorno di festa, degli altri beninteso. La vista dei capri sacrificati genera anche tristezza perché non può non far pensare alle moltitudini sacrificate.

Purtroppo, i sacrifici di animali non hanno affatto sostituito quelli umani. I due generi sacrificati continuano affiancati, umani e animali, senza troppe resistenze dei comuni cittadini, risparmiati, per ora. La crescita rilevante della fabbricazione, vendita, commercio e uso delle armi prepara altri e numerosi sacrificati al sistema di spossesso globale della vita. La vergogna di quanto è accaduto e sta accadendo in quella particolare terra che è Gaza è fin troppo dolorosamente noto per continuare a chiudere gli occhi. Così per i sacrificati da interessi di potere e economici nel Sudan e nella Democratica Repubblica del Congo di cui si è, da tempo, perso il conto. Nel Sahel dove da anni i contadini sono ostaggi di gruppi armati di un’ideologia religiosa e politica necrofila che affonda le sue radici nell’assenza di uno stato degno di questo nome. I sacrificati in Europa per una guerra che troppi desiderano continui per meri interessi economici e geopolitici. 

I capri sacrificati di Niamey non sono che una metafora degli umani sacrificati su altari che talvolta non hanno scelto oppure hanno contribuito a costruire per ignavia o distrazione. Tutto potrebbe cambiare un giorno, senza armi in mano, con un semplice ‘no’ ai tiranni di turno.

                Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025















sabato, maggio 31

I SOGNI CONFISCATI E LA FORESTA di PADRE MAURO ARMANINO


I sogni confiscati e la foresta

Foto reperite nel web

Sono entrambi originari della Costa d’Avorio ed è per me come un piacevole ‘giocare in casa’. Non si dimentica mai il primo amore. Sbarcato in questo Paese nel millennio scorso, dal 1976 al ’78, la prima volta nel continente africano. Il ritmo della lingua, i luoghi e lo stile sono riconoscibili ad occhio e orecchio nudo. Traoré di mestiere panettiere e pasticciere nella città di Man, nel nord ovest della Costa d’Avorio. Partì l’anno scorso, coi suoi 32 anni e una famiglia lasciata a casa, per inventarsi un futuro diverso e più luminoso di quello che si trova tra le mani che impastano povertà e nulla più. Derubato come tutti i migranti dai gruppi armati nel Mali, raggiunge l’Algeria e lavora prima come panettiere e poi, al solito, in un cantiere edile ‘cinese’ della capitale. Al momento di ritirare il frutto del suo lavoro arriva ‘casualmente’ la polizia che spoglia i migranti di tutti gli averi, li arresta e li deporta a Tamanrasset in un centro di detenzione. Da lì, lui e gli altri saranno condotti al confine col Niger, in un luogo desertico che bisognerà attraversare per raggiungere la prima cittadina abitata, Assamaka.

Ali ha invece 19 anni. Non ha potuto terminare la scuola elementare e fatica a leggere e scrivere in francese. In Costa d’Avorio era apprendista riparatore di frigoriferi e climatizzatori. Vorrebbe imparare meglio il mestiere e mettere da parte il capitale per viaggiare in Europa, dove i sogni si infrangono sulle coste, o ancora prima di raggiungere il mare. Per questo passa un paio di settimane in Tunisia. Il tempo di essere deportato in Algeria e da lì, come Traorè suo compatriota, gettato nella fascia di deserto che non separa affatto l’Algeria dal Niger. Lui e Traoré mettono assieme i sogni confiscati dal sistema che stima né utile né sopportabile accettare chi non si adegua alle norme stabilite di sparizione programmata dei giovani per luogo di nascita. Ali e Traoré sono tra le migliaia di giovani che inventano, tessono, rischiano sogni non esportabili o delegabili ad altri. Assumono il rischio dell’incomprensione, della persecuzione e financo dell’eliminazione dei giovani che osano un futuro fuori dalle regole stabilite dal sistema dominante. Diventano, malgrado loro, rivelatori di violenza.

La stessa che accompagna da decenni la Democratica Repubblica del Congo, ex Zaire di Moboutu Sese Seko dittatore liquidato poi dai Grandi. Ousmane di 23 anni, imbianchino senza lavoro. Abbandona la capitale dove ha il dubbio di essere inghiottito dal nulla per la nascita in una famiglia numerosa e andare, con un sogno nascosto negli occhi, a sfidare il Mediterraneo. Sarà invece il mare di sabbia, il Sahara, nome che significa, per l’appunto, mare che pone una barriera invalicabile al suo andare. Passato il deserto algerino sarà catturato, spogliato degli averi e imbarcato, assieme agli altri e come pacchi postali sul camion fino alla frontiera di sabbia col Niger. Ousmane e i due ivoriani passano qualche giorno ad Assamaka, saturata con migliaia di migranti espulsi dall’ Algeria, la Tunisia, la Libia e il Marocco. L’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, a nome delle Nazioni Unite, è in difficoltà per accogliere, nutrire e ricondurre i migranti ai rispettivi Paesi di origine. Questa è la ragione per la quale i tre amici hanno raggiunto fortunosamente la capitale Niamey. Scampati dal deserto, Traoré Ali e Ousmane non vogliono chiudere i loro giorni in un labirinto umanitario che assomiglia fin troppo all’anticamera dell’inferno.

I sogni confiscati dal sistema non vanno affatto perduti perché sono come semi che seppelliti nel letame dei potenti, a loro insaputa, crescono e prosperano. Senza darlo a vedere e, ispirati da innumerevoli poeti scomparsi, si sono messi assieme. Stagione dopo stagione e albero dopo albero si è andata formando una foresta che nessuna cartina o rilevamento dall’alto potrà identificare. La foresta dei sogni confiscati offre riparo e cittadinanza alle utopie e a quelle che alcuni bollano come ‘illusioni’. Dentro la foresta si trovano gruppi di bambini che giocano con gli animali e inseguono farfalle di ogni tipo. Al centro del bosco c’è una sorgente d’acqua perenne che disseta i sogni e li affida, come preziosa eredità, al vento cha passa ogni mattina di buonora.


             Mauro Armanino, Niamey, giugno 2025



domenica, maggio 25

SPAZIO FRANTZ FANON - Psichiatra, antropologo, filosofo e saggista francese . Foto ricevute da Padre Mauro Armanino e altre reperite nel Web

Momenti di preghiera e riunioni a Niamey (NIGER)


Frantz Fanon

Frantz Fanon è stato uno psichiatra, antropologo, filosofo e saggista francese, nativo della Martinica e rappresentante del movimento terzomondista per la decolonizzazione.Nascita: 20 luglio 1925, Fort-de-France, Martinica, Morte: 6 dicembre 1961, Bethesda, Maryland, Stati Uniti




sabato, maggio 24

LA FEBBRE DELL'ORO NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO


La febbre dell’oro nel Sahel

Partito dal Paese più ‘giovane’ del mondo, il Sud Sudan, James si è prefisso di cercare l’oro ovunque si trovasse.  Parte dalla capitale Djuba nel 2021 e passa nell’altro Sudan per raggiungere il Ciad. Lavora per qualche mese in una zona aurifera e riesce a mettere da parte qualche centinaio di migliaia di franchi locali. Di ritorno dalle miniere è derubato dai banditi di quanto aveva faticosamente risparmiato. Arriva in Libia e vi rimane il tempo necessario per capire di andare dove l’oro è a portata di mano, per esempio nel confinante Niger. James si impegna per seguire il cammino dell’oro e ne trova quanto basta per decidere di partire. Ma solo per essere derubato da banditi o da ‘terroristi’ che gli portano via il ricavato di altri mesi di arduo scavo nelle miniere della zona. Non gli rimane che andare ancora più lontano e tentare la sorte nel confinante Burkina Faso.

Lavora duro per sei mesi e la somma accumulata passa il milione di franchi che gli sono sottratti da elementi dei gruppi armati che finanziano l’insurrezione nel Sahel anche grazie al sostegno dell’oro. Conoscono le zone, le piste, i passaggi e James può dirsi fortunato se ha salvato la vita. Gli hanno preso tutto quanto possedeva, soldi, borsa da viaggio e i documenti che gli rimanevano dopo tutti questi viaggi. Stavolta è l’oceano Atlantico a sedurlo perché raggiunge  prima il Togo e poi il Benin. Senza più nulla in tasca riesce in qualche modo a percorrere lo stesso cammino a ritroso. I militari del Burkina lo accompagnano alla frontiera col Niger. Sbarcato da una settimana nella capitale del Paese, Niamey, non esita a presentarsi presso le agenzie delle Nazioni Unite. Senza documenti di viaggio o d’identità appare nell’ufficio ‘migranti’ con un foglio che porta la scritta ‘Cattedrale Zongo’.

Accanto al nome della cattedrale c’era quello del sottoscritto e dunque James può raccontare la sua storia affascinante e tragica di cercatore d’oro. Non ha casa, cibo, lavoro, documenti e solo gli rimane la storia vissuta e il desiderio di tornare al suo Paese di origine con la complicità delle apposite istituzioni delle Nazioni Unite. James è consapevole che le locali autorità esigono documenti in regola e continua a sostenere che finora in Africa si poteva viaggiare così, liberamente e senza documenti particolari. E’ accampato presso l’Ufficio Polivalente delle Nazioni Unite per i rifugiati e richiedenti asilo i cui bisogni superano largamente le reali possibilità del Servizio. Convivono all’aperto altri sudanesi, centroafricani, somali e cittadini originari dell’Etiopia, Yemen e Palestina. Un’intera cartina geografica dei disastri provocati da interessi, guerre, lotte di potere, armi e follia geopolitica.

James rimane imperturbabile e anche quanto racconta di essere stato derubato dal ricavato dell’oro sembra come parlare di avvenimenti ineluttabili. La persona che ha attraversato il Sudan, il Tchad, la Libia, il Niger, il Burkina Faso, il Togo, il Benin e il ritorno nel Niger non è la stessa di prima. Lui stesso è stato attraversato dalle frontiere dell’oro e dei banditi che l’hanno derubato del lavoro e del tempo. James vuole tornare al suo Paese di origine, il Sud Sudan, malgrado il Paese sia tutt’altro che stabile, ma non gli importa. Afferma sottovoce che l’oro che cercava lontano si trovava dentro di lui.


             Mauro Armanino, Niamey, maggio 2025


sabato, maggio 17

NARRATIVE E REALTA' NEL SAHEL CENTRALE di Padre MAURO ARMANINO

Narrative e realtà nel Sahel Centrale


Com’è noto i fatti non parlano da sé. Vanno contestualizzati e soprattutto interpretati con onestà. Da ciò si deduce l’importanza crescente delle narrazioni che hanno l’ambizione di ‘raccontare’ la realtà. Quest’ultima è, come si suol dire, ‘testarda’ e come ogni verità che si rispetta arriva tardi ma, inesorabile, arriva. In questa parte del mondo si sono inventati i ‘griot’ o cantastorie che, con arte che si trasmette di generazione in generazione, narrano genealogie e avvenimenti che glorificano (e talvolta) contestano il potere. La realtà fatta di avvenimenti scorre, ambigua, tra le loro parole.  

Oggigiorno sono i social network che giocano questo ruolo in termini, spesso, di mera propaganda ideologica. Le parole chiave dei Paesi che compongono il Sahel Centrale, Burkina Faso, Mali e Niger, riflettono quanto sotto altri cieli si definisce populismo sovranista. La salvaguardia della patria si innesta sulla sovranità nazionale e il tutto sfocia in una ‘rifondazione’ che dovrebbe riaprire l’orizzonte, finora tradito, della vera realtà. Non casualmente dunque, questi paesi, per coerenza con quanto enunciato sopra, liquidano i partiti e la vita politica del Paese si traduce in meri simboli.

Le tre bandiere del Paesi citati poste sulle rotonde della capitale, sbiadite e dimenticate nel vento sono sostituite da una bandiera unica. C’è pure un nuovo passaporto che non apre le frontiere ancora chiuse per scelta. Si è creato un nuovo inno battezzato ‘La Confederale’. Operano comitati notturni e diurni che vegliano alla buona salute del regime presunto antimperialista, panafricanista e rivoluzionario. Si creano nuove alleanze e nuovi partner senza rinnegare i vecchi. Tra un simbolo e l’altro la realtà torna, ostinata, ad affacciarsi sull’arduo e inesorabile quotidiano dei cittadini nigerini.

Non casuale appare lo sforzo dei Paesi in questione di ‘orientare’ e rendere ‘compatibile’ coi regimi militari l’informazione e la ‘narrazione’ a senso unico della realtà. I giornalisti o i cittadini che sarebbero tentati di proporre una forma di racconto differente da quello ‘ufficiale’, incappano in sequestri, sparizioni, interpellazioni presso le unità antiterroriste e, talvolta, imprigionamenti. Il ‘Ministero della Verità’, come ricordava l’autore George Orwell, ha un brillante futuro davanti a sé. Non fosse che la realtà ha il difetto di essere testarda e, alla fine, si impone sempre.

George Orwell

                  Mauro Armanino, Niamey, maggio 2025


sabato 17 maggio 2025 Festa Nazionale in Norvegia

sabato 17 maggio 2025

        Il giorno della Costituzione norvegese è la festa nazionale norvegese. I norvegesi la chiamano semplicemente syttende mai, o Grunnlovsdagen, sebbene quest'ultima dicitura sia la meno frequente     Il 17 maggio è l'anniversario della firma della Costituzione del 1814. In Norvegia il Giorno della Costituzione è una festa grandiosa. e viene celebrato con una sfilata di bambini oltre ad altri eventi per adulti e bambini.

La nostra costituzione, che decretò la Norvegia una nazione indipendente, fu firmata il 17 maggio 1814. Nonostante l'indipendenza non fu pienamente raggiunta fino al 1905, questa data rimane la giornata nazionale della Norvegia, ed è una festa nazionale.

I Punti salienti della giornata sono la sfilata dei bambini, le bandiere norvegesi ed i costumi nazionali che riempiono le strade. La sfilata a Oslo è composta di circa 60.000 bambini oltre a bande musicali.




Foto scattata da mio figlio oggi, per la festa Nazionale Norvegese. I reali sono affacciati al balcone del palazzo Reale,  e il Re Harald V si intravede dietro la colonna a destra della foto. 


Il 17 maggio è soprattutto il giorno dei bambini, e il clou dei festeggiamenti è il corteo dei bambini. Oslo ha il corteo del 17 maggio più grande della Norvegia, con ca. 60 000 bambini di 100 scuole di Oslo. Il corteo è preceduto dalla Banda musicale della Difesa, e tra le varie scuole marciano molte delle bande musicali scolastiche della città.

Le scuole si dirigono da Festning plassen, Youngstorget e Stortorvet verso Karl Johans gate, e percorrono la via principale fino al Palazzo Reale, dove la famiglia reale saluta il corteo dal balcone. Dopo il passaggio dal palazzo reale, i bambini vanno in Rådhusplassen. Lungo la Karl Johans Gate e davanti al castello c'è sempre molta folla, con molte persone vestite negli abiti tradizionali in occasione della giornata.


Harald V (Skaugum, 21 febbraio 1937) è il re di Norvegia dal 1991, unico figlio maschio di Olav V e della principessa Marta di Svezia.

È il primo re di Norvegia a essere nato nel paese dai tempi di re Olav IV Haakonsson (1370 - 1387). Alla nascita era secondo nella linea di successione dopo suo padre. Nel 1940, a seguito dell'occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale, la famiglia reale andò in esilio. Harald trascorse parte della sua infanzia in Svezia e negli Stati Uniti. Tornò in Norvegia nel 1945 e successivamente studiò all'Università di Oslo, all'Accademia militare di Norvegia e al Balliol College dell'Università di Oxford. Nel 1957, alla morte del nonno, re Haakon VII, Harald divenne principe ereditario. Appassionato sportivo, rappresentò il suo paese nelle competizioni di vela alle Olimpiadi di Tokyo 1964, Città del Messico 1968 e Monaco di Baviera 1972 e più tardi divenne patrono della Federazione Internazionale della Vela. Nel 1968 sposò la borghese Sonja Haraldsen. Inizialmente tale matrimonio fu contrastato a causa dello status di comune cittadina della Haraldsen. La coppia ha due figli, Martha Louise e Haakon, l'erede al trono ed ora reggente poiché il padre è molto malato.

Harald V (Skaugum, 1937) è il re di Norvegia dal 1991. È il primo re di Norvegia ad essere nato nel paese dai tempi di re Olav IV Haakonsson (1370 – 1387). Nel 1940, a seguito dell’occupazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale, la famiglia reale andò in esilio. Harald trascorse parte della sua infanzia in Svezia e negli Stati Uniti. Tornò in Norvegia nel 1945 e poi studiò presso l’Università di Oslo, l’Accademia militare di Norvegia e nell’Università di Oxford. Nel 1957, alla morte del nonno, re Haakon VII, Harald divenne principe ereditario. Appassionato sportivo, rappresentò il suo Paese nelle competizioni di vela alle Olimpiadi di Tokyo 1964, Città del Messico 1968 e Monaco di Baviera 1972 e più tardi divenne patrono della Federazione Internazionale della Vela. Nel 1968 sposò la borghese Sonja Haraldsen. La coppia ebbe due figli, Martha Louise e Haakon, l’erede al trono.

E anche il suo re, Harald V, merita di essere meglio conosciuto. Con piacere raccolgo dal cassetto della memoria le forti parole da lui pronunciate nel Palazzo reale il 1° settembre 2016. Un discorso difficile in un periodo storico dominato dalla paura e dall’incertezza.

"La Norvegia è alte montagne e fiordi profondi. È spazi aperte e coste rocciose. È isole e arcipelaghi. È rigorose terre agricole e brughiere. Il mare lambisce le coste della Norvegia nel nord, ovest e sud. La Norvegia è il sole di mezzanotte e la notte polare. È inverni duri e inverni miti. È estati calde ed estati fredde. La Norvegia è un Paese lungo e scarsamente popolato. Ma prima di tutto la Norvegia è la sua gente.

I norvegesi vengono dal nord della Norvegia, dalla Norvegia centrale, dal sud della Norvegia e da tutte le altre parti della Norvegia. I norvegesi sono immigrati da Afghanistan, Pakistan e Polonia, dalla Svezia, Somalia e Siria. Anche i miei nonni centodieci anni fa vennero qui emigrando dalla Danimarca e dall’Inghilterra.

Non è sempre facile dire da dove veniamo, a quale nazionalità apparteniamo.

Casa è dove sta il nostro cuore, e questo spesso non si trova all’interno dei confini di uno Stato.

I norvegesi sono giovani e anziani, alti e bassi, fisicamente abili e persone su sedie a rotelle. Sempre più persone raggiungono cento anni d’età. I norvegesi sono ricchi, poveri e una via di mezzo.

Ai norvegesi piacciono il calcio e la pallamano, l’alpinismo e la vela – mentre altri preferiscono rimanere sul divano. Alcuni sono sicuri di sé, mentre altri fanno fatica a credere di essere all’altezza di se stessi.

I norvegesi lavorano nei negozi, negli ospedali, sulle piattaforme offshore. I norvegesi lavorano per tenerci al sicuro e protetti, per tenere il nostro Paese libero dall’inquinamento e per trovare nuove soluzioni per un futuro verde. I norvegesi I norvegesi sono giovani ed entusiasti, e persone anziane e sagge.

I norvegesi sono single, divorziati, famiglie con figli, e coppie sposate di lunga data. I norvegesi sono ragazze che amano ragazze, ragazzi che amano ragazzi, e ragazzi e ragazze che si amano l’un l’altro.

I norvegesi credono in Dio, in Allah, in tutto e in nulla.

Ai norvegesi piacciono i musicisti Grieg e Kygo, Helibillies e Kari Bremnes.

coltivano la terra e pescano. I norvegesi fanno ricerca e insegnano.

In altre parole, tu sei la Norvegia, noi siamo la Norvegia. Quando cantiamo ‘Ja, vi elsker dette landet’ (Sì, amiamo questo Paese, l’inno nazionale norvegese), dobbiamo ricordarci che l’inno parla di tutti noi. Perché noi siamo questo Paese. Quindi il nostro inno nazionale è anche una dichiarazione d’amore per il popolo norvegese.

La mia più grande speranza è che saremo in grado di prenderci cura l’uno dell’altro. Che noi continuiamo a costruire questo Paese basandolo sui valori della fiducia, della comunità e della generosità. Che noi siamo consapevoli di essere un solo popolo, nonostante ogni differenza tra noi. Che la Norvegia è una."


E questi sono i re del mio cuore, oltre che norvegesi di adozione. Leon, Anastasia e Matteo. 

sabato, maggio 10

PERCHE' NULLA CAMBI di PADRE MAURO ARMANINO

Perché nulla cambi

La cosa migliore è quella di cambiare tutto. Lo scrisse in un noto passaggio Tomasi di Lampedusa ne’ Il gattopardo’. Dal mio arrivo, nel 2011, il Niger viene classificato agli ultimi posti nell’Indice dello Sviluppo Umano. Il rapporto annuale, pubblicato recentemente dalle Nazioni Unite, seppur sfumando i dettagli, conferma che l’Africa sub-sahariana conserva in classifica le posizioni di coda. I fattori presi in considerazione per stilare la graduatoria sono tre. Si tratta della speranza di vita, l’indice di istruzione e il prodotto interno lordo pro capite. I regimi militari seguono quelli civili che sfociano in colpi di stato a loro volta creatori di periodi di eccezione e terminare, per ora, nella ‘rifondazione’ del Paese. Tutto ciò passa e il Niger rimane, nel rapporto citato, non lontano dall’ultimo posto della lista. 

Paese incastonato nel Sahel Centrale, il Niger, per la sua posizione geografica, è una Terra di Mezzo, uno degli spazi di passaggio verso l’Africa del Nord. Non casualmente fu proposto e in parte ‘imposto’ dall’Unione Europea come argine ufficiale alla mobilità dei migranti proveniente dalla costa atlantica o l’Africa Centrale. Il Niger divenne come una frontiera mobile, invisibile e reale per migliaia di persone che tentavano di tradurre a proprio conto il diritto di viaggiare così come sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani al numero 13. Secondo l’attuale ministro delle Giustizia e dei Diritti Umani nel rapporto periodico del Niger a Ginevra, il Paese ha ricevuto 1 844 661 migranti nel 2018 e 451 857 nel 2022. L’attuale regime ha abolito la legge che criminalizzava e dissuadeva la mobilità dei migranti.

Ciò cambia tutto e non cambia nulla perché la confinante Algeria continua ad arrestare, spogliare di tutti i beni, deportare, espellere e abbandonare migliaia di migranti nel deserto che la separa dal Niger. Sono migliaia i migranti che sopravvivono in condizioni al limite dell’umano nella cittadina nigerina frontaliera di Assamaka. Le cose non vanno meglio in Tunisia anche grazie agli accordi con l’Unione Europea con l’Italia in testa. Peggio ancora in Libia dove, dalla guerra della Nato e l’assassinio di Mohammed Kaddafi, nel 2011, ha ridotto in macerie incattivite un Paese che godeva di un livello di vita notevole. Da anni ormai i migranti, i rifugiati, i richiedenti asilo e le persone in cerca di lavoro in Libia sono detenuti e usati da schiavi in campi di concentramento più volte denunciati dall’ONU.

Nel 2025, l’Ufficio per la Coordinazione degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, stima che 4,8 milioni di persone, il 18,31% della popolazione, avrà bisogno di aiuto umanitario. Di questi più di tre milioni avranno bisogno di aiuto alimentare d’urgenza per la prossima stagione di passaggio. Inoltre, secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, il Niger accoglie un numero importante di rifugiati, richiedenti asilo e sfollati. Quest’anno ancora circa un milione di persone si trovano nel Paese, in particolare nelle regioni di Tillaberi, Diffa e Tahoua. Un Paese povero che si trova ad accogliere altri ancora più poveri. Anche in questo nulla è cambiato in questi anni dove tutto cambia perché niente cambi. Gli attacchi dei gruppi armati si intensificano e creano nuovi sfollati.

Proprio stamane è passato un migrante liberiano, vecchia conoscenza del nostro servizio. Dice di essere appena tornato dallo ‘snodo’ migrante che è la città di Agadez. Ha passato due anni in carcere con l’accusa di terrorismo perché si trovava al posto sbagliato nel momento sbagliato. E’ stato finalmente rilasciato perché l’accusa era infondata. Torna a Niamey, dove nulla è cambiato, senza una casa, abiti, cibo e un futuro da inventare sulle incertezze del passato. Mostra la carta d’identità che lo ha salvato e, prima di partire, chiede una croce perché ha smarrito quella che portava.




      Mauro Armanino, Niamey, maggio 2025