11 – STILE DEL CRISTIANO
a – ATTEGGIAMENTI COERENTI
1. FARISEO E PUBBLICANO
la gratuità del tuo Amore.
«Disse poi una parabola per alcuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri.
Due uomini salirono al tempio per pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo se ne stava in piedi e pregava così fra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini: rapaci, ingiusti adulteri, e neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana e offro la decima parte di quello che possiedo”. Il pubblicano invece si fermò a distanza e non osava neppure alzare lo sguardo al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, sii benigno con me, peccatore”. Vi dico che questi tornò a casa giustificato, l'altro invece no». (Luca 18, 9-14)
Dopo aver raccomandato una preghiera fiduciosa ed insistente, Gesù precisa quale sia l'atteggiamento giusto – ossia gradito a Dio – dell'orante.
Più che una parabola, questa è una lezione, una “storia esemplare”.
Si mettono in scena, nella cornice solenne del Tempio, due personaggi antitetici.
1 – Il fariseo, ossia l'osservante scrupoloso della Legge, il praticante fedele, la persona pia per eccellenza.
Lui prega nella posizione giusta, secondo il costume giudaico: in piedi, a testa alta, le braccia sollevate verso il cielo. E attacca con la preghiera più bella: l'azione di grazia, la lode.
Ma il difetto è che il fariseo non ringrazia Yahweh per la sua grandezza e misericordia, ma lo ringrazia per ciò che è lui, a differenza degli altri. Quest'uomo, per far risaltare meglio le proprie benemerenze, sente il bisogno di denunciare tutti gli altri (ladri, ingiusti, adulteri...).
Egli guarda, sì, in alto, ma anche dietro. E il pubblicano gli serve per ricordare a Dio che lui, per fortuna, non è come quello là. Tanto per essere chiaro e non dar adito ad equivoci...!
Passa, quindi, a snocciolare i suoi meriti, ad illustrare la propria condotta irreprensibile.
È uno che non si accontenta della normalità: compie più dello stretto necessario. – Sarebbe obbligato a rispettare il digiuno una sola volta l'anno (il giorno dell'Espiazione).
Ma lui digiuna due giorni la settimana [il lunedì e il giovedì], riparando così i peccati di tanti miscredenti.
– Dovrebbe pagare le decime [destinate alle spese del Tempio, ai poveri e al mantenimento delle scuole rabbiniche] soltanto sul frumento, il mosto e l'olio.
Ma lui si tassa volontariamente dei dieci per cento su tutti gli acquisti, senza eccezione. Sa, infatti, che i contadini e i commercianti si sottraggono spesso e volentieri a questo dovere.
E lui non vuole rendersi complice in nessuna maniera di una violazione della Legge. E rimedia anche per gli evasori, di tasca propria.– Il pubblicano, invece, è giustificato perché riconosce di essere peccatore.
Lui non si scusa; non guarda in direzione del fariseo [Non dice: «Quello va sempre in chiesa, ha una facciata irreprensibile..., ma è peggio degli altri!», e neppure: «Preferisco essere quello che sono», e neppure: «In fondo sono più onesto di lui»]. Sa di essere una canaglia, e lo riconosce. E per non esserlo più, ha bisogno della misericordia del Signore: non ha nulla di buono da offrire, e quindi tutto da ricevere da Dio.
Il pubblicano, facendo l'inventario dentro di sé, non trova nulla di cui vantarsi. Non cade nell'errore di sentirsi buono (o “meno cattivo”) confrontandosi con gli altri, ossia alle spalle del prossimo, a spese dei difetti altrui. In tal caso, diventerebbe automaticamente un fariseo (= si diventa farisei nel momento stesso in cui uno è sicuro di non esserlo!).
«Il pubblicano non parla degli altri, non critica gli altri. Non crede necessario demolirli per ottenere un eventuale favore da parte di Dio. La propria miseria gli basta. Conta unicamente sulla grazia di Dio» (A. Maillot).••• Per chi Gesù propone la parabola? «… [Gesù] disse questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri». Capita la lezione Il fariseo è pieno di sé e delle proprie “opere buone”. Non c'è spazio in lui, dove collocare i doni di Dio. Le credenziali della propria irreprensibilità che si sente in dovere di snocciolare, non hanno però valore agli occhi di Dio. I titoli di benemerenze, “il certificato di buona condotta” non servono nella preghieraDavanti al Signore, dobbiamo una buona volta imparare l'atteggiamento del povero, di chi non ha nulla, di chi non rivendica nulla. Le uniche credenziali valide, per Lui, gli unici titoli di benemerenza, sono le nostre miserie, il nostro vuoto, il riconoscimento della condizione di peccatori.
Soltanto quando siamo sinceramente convinti di non avere nulla di presentabile, solo allora possiamo presentarci davanti a Dio.
– Il fariseo ha bisogno di Dio per essere ammirato, affinché i suoi conti siano registrati nella banca del cielo.
– Il pubblicano ha bisogno di Dio per ripartire da zero.
E si direbbe che Dio abbia una simpatia spiccata, non per gli “arrivati”, ma per quelli che, percuotendosi il petto, gli fanno segno che hanno voglia di ricominciare... (Pronzato, Il pane della Domenica, C, 199)
O Signore,
ogni Tua parola è verità e luce che s’incarna come gesto d'amore e di salvezza nel profondo dell'anima.
Certe Tue affermazioni hanno un certo sapore di studiata invettiva da suscitare scandalo;
Esse mi fanno continuamente pensare:
«In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio».
E sempre stato così: dinanzi a Te, davanti alla Tua grazia
è più facile cedere da parte d’un peccatore, anche il più traviato.
Chi crede invece di essere nel giusto, farisaicamente a posto, blocca qualsiasi miracolo.
Chi sa costruire con arte certi schemi o modi di fare apparentemente positivi e docili
(ma in realtà vuoti, privi di contenuti vitali),
sarà preceduto nel regno dei cieli anche dai peccatori più ostinati.
Ho chiesto a Dio
Ho chiesto a Dio di donarmi la pazienza, e Dio disse: "No!".
Suggerì che la pazienza è il frutto della tribolazione. Non è donata: occorre conquistarla.
Ho chiesto a Dio di portarmi via l'orgoglio, e Dio rispose: "No!”.
Disse che non toccava a Lui portarlo via, ma che dovevo rinunciarci io.
Ho chiesto a Dio di darmi la felicità, e Dio disse: "No!".
Mi ricordò che lui mi dà i suoi doni. La felicità è compito mio.
Ho chiesto a Dio di evitarmi il dolore e Dio disse: "No!"
Disse che la sofferenza ci sottrae alla logica del mondo, e ci avvicina di più a lui.
Ho chiesto a Dio di far crescere il mio spirito, e Dio ripeté: "No!".
Disse, che io devo crescere da solo, e che lui mi poterà per farmi fruttificare.
Ho chiesto a Dio se mi amasse, e Dio approvò: "Si!".
Disse, che ha dato il suo unico Figlio che morì per me, e un giorno andrò in cielo perché credo.
Ho chiesto a Dio di aiutarmi ad amare gli altri come lui mi ama, e Dio sottoscrisse la mia richiesta:
"Ah, finalmente hai capito!".
SIGNORE,
Convincimi, una buona volta, che per Te, l’importante
non è apparire virtuosi..., – né avere la coscienza tranquilla..., – né essere in regola con la tua Legge.
Aiutami a comprendere che l’essenziale non è neppure considerarmi buono o cattivo,
ma soltanto il presentarmi dinanzi a Te, senza maschere, apertamente, tal quale sono.
Ficcami bene in testa; incidimi nel cuore il motivo, il titolo cui attribuire il mio vero valore:
la gratuità del tuo Amore.
Per il fatto che tu mi ami, Signore, io sono quel che sono:
sono buono..., sono santo..., o posso, per lo meno, aspirare ad esserlo.
Mai, il contrario.
Liberami dalla tentazione di pensare che se mi ami è per le mie “opere buone”,
per le mie “pratiche religiose”. Però aprile, questo sì, alla tua grazia.
La preghiera, Signore, – a dire di Teresa di Gesù –,
è il luogo donde proviene la luce per intendere le verità.
Che sia la verità su noi stessi, la prima verità che scopriamo...
La nitidezza, però, con cui uno scopre la propria miseria sotto la luce della tua grandezza,
non si trasformi mai in amarezza, né scoraggiamento;
al contrario, ci serva da trampolino per lanciarci verso Te, spinti dalla tua infinita bontà e misericordia.
La nostra Teresa di Lisieux – convinta che persino nelle case dei più poveri non si nega nulla ai bambini –
aspirava a presentarsi a Te, al termine della vita, in questo modo: «Con le mani vuote».
Soltanto così – pensava – avresti rovesciato su di lei tutti i tuoi doni. Aiutaci ad imitarla.
A parte tutto – e per miopi che possiamo essere –
se ci guardiamo nello specchio di una sincerità ‘media’… di che possiamo pavoneggiarci?
SIGNORE:
mi hanno raccontato ‘questa parabola: è una coppia imperfetta della tua; però sicuramente non ti offenderai.
Anzi, certamente sei stato Tu ad ispirare chi me l’ha raccontata:
«Quella domenica, due uomini uscirono in strada. Anche qui, uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo andò a Messa. Il pubblicano, al bar.
E il fariseo, in chiesa, pregava così, nel suo cuore:
«Ti ringrazio, o Dio!, perché non sono come gli altri uomini: corrotti, donnaioli, scansafatiche, drogati, dediti al vino...
e neppure quel “pubblicano” che s'è infilato nel bar, senza neppure pensare d’andare a Messa.
Vedi Signore, che io non solo osservo il precetto di Pasqua, ma che traccio una “x” sul modulo dell’“8 per 1000” a favore della Chiesa; appartengo a varie confraternite, digiuno e faccio penitenza...».
Da parte sua il “pubblicano”, chiacchierava con un amico al tavolo del bar: «Guarda, Pino, io avrò mille difetti. Sarò di manica larga nel trattare affari; sarò pure un proiettile in fatto di donne; se appena posso non è che mi “ammazzi’” in officina. Per questo ed altro mi potresti chiamare uno svergognato.
Però, ciò che non sono è l’essere “ipocrita”, come quel “fariseo” là che è andato in chiesa. Io non vado a Messa, né faccio elemosina affinché mi vedano. E non osservo ciò che la Chiesa mi dice, perché non mi sale da dentro...».
Vi dico – termina la parabola – che il primo si condanna in quanto superbo e fariseo.
Però anche quest’ultimo si condanna perché superbo lui pure, “pubblicano” e per tutte quelle schifezze cui ha alluso.
I NUOVI PUBBLICANI
Proteggici, Signore, dai “nuovi” pubblicani.
Da quelli che chiamiamo “vanitosi”.
Sai bene che oggi è di moda il proclamarsi “franchi” e “sinceri”. ... E... atei…, agnostici...
Ahi, Signore, Signore...!
Il tuo pubblicano era peccatore, ma umile.
I pubblicani di oggi, anche loro confessano peccati: soltanto che, quelli dei farisei con gusto sadico
mentre i loro..., i loro diventano quasi virtù, di cui gloriarsi...
Scusa, Signore, ma non so se ti sei reso conto che il “pubblicanesimo” di oggi,
oltre ad essere molto più di moda del fariseismo, è molto più a buon mercato e leggero:
cioè, far quel che pare e piace, e poi vantarsi d’essere sincero...,
non come uno di quei farisei repulsivi e ipocriti… [bacchettoni…!]
Basta questo! Gesù, facci comprendere che tutti nel DNA abbiamo qualcosa di fariseo.
E più di tutti, ... i moderni pubblicani.
………………….
2. PARABOLA DEI DUE FIGLI
«Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: – Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna –. Ed egli rispose: – Sì, signore! –; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse la stessa cosa. Ed egli rispose: – Non ne ho voglia –; ma poi, pentitosi, ci andò.
Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? Rispondono: – L'ultimo –.
E Gesù disse loro: In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.
È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute, invece, gli hanno creduto.
Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete neppure pentiti per credergli». Mt 21, 28-32.
Oggi farebbe meraviglia e darebbe scandalo se uno denunciasse le incoerenze che talora con tanta facilità contraddistinguono il “primo figlio” di casa. Un figlio “perbene”, perché conosce la diplomazia: con un sì, pronunciato con la bocca, salva le apparenze del decoro e dell'educazione. Se il cristianesimo fosse unicamente un assenso fatto a parole, avremmo già una totalità di coerenza cristiana.
Se la volontà del Padre si adempisse con le adesioni formali d’un sì pronunciato con un sorriso, saremmo tutti già perfetti, più di Cristo. Questa piccola parabola dei due figli sconvolge tutta la nostra perfezione formale, la nostra ipocrisia, il nostro falso sorriso. È una tremenda denuncia, purtroppo ancora attuale, che scende nel profondo dell'anima: il giudizio di Dio – che è poi la nostra coscienza nella sua purezza e responsabilità – non si lascia sorprendere neppure da mille sì, detti senza cuore.
È una parabola molto realistica. Siamo proprio fatti così, noi uomini: figli che fanno fatica a respirare con libertà e consapevolezza l'aria di casa.– O viviamo, senza voler porre problemi di coscienza e di impegno, confondendo il fare con un dire un sì senza seguito, rimandando casomai al domani l'attuazione di promesse e di scelte; – oppure viviamo in lotta, cedendo all'istinto di un “no” immediato, trovando anche giustificazioni a tale rifiuto; ma poi con fatica la volontà di Dio muove il nostro agire.• Il terzo figlio – colui cioè che dice subito di sì con la bocca e con il cuore – è solo il Figlio di Dio. Ma neppure Lui ha trovato facile compiere la volontà del Padre •.Gli uomini si rispecchiano nei due figli: il nostro impegno di cristiani coerenti sarà sempre pronunciare meno “sì formali”, pronunciare meno “no” istintivi... Ciò che importa dinanzi a Dio è attuare nella vita più volere che scaturisca dal cuore di Cristo.
Dio non metterà sulla bilancia del suo giudizio i “sì” o i “no” da noi pronunciati con fretta, ma i “si” o i “no” delle nostre incoerenze o dei nostri sforzi di bene.
Non ci salveremo neppure se sapremo essere abili e diplomaticamente educati nel coprire con un “sì” un disimpegno o una mancata testimonianza.
Se Cristo fosse qui oggi a ripetere con la potenza della sua parola quanto disse ai connazionali del suo tempo: «In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio», gli faremmo fare la stessa fine che ha subito ed accettato, morendo in croce. Lo tratteremmo come un ateo, come uno che ha poco rispetto della casa, come uno che scandalizza...
Eppure, questo Cristo è presente anche oggi in questa sua parola. Se siamo più che convinti nel dire che questa parola di Dio va proclamata, va annunciata al mondo, abbiamo la stessa convinzione nel ritenere che Cristo come ai suoi tempi si è rivolto agli ebrei, così oggi si rivolgerebbe a noi di casa?
• La parabola parla di figli, di un padre, perciò di una famiglia, di una casa.
Se un estraneo fosse incoerente, sarebbe più sopportabile; ma se un figlio fosse insincero – peggio, se facesse della propria fede una incongruenza o una continua bugia – sarebbe imperdonabile.
Dio Padre non ci chiede un'obbedienza già perfetta. Sopporta meglio di noi le nostre debolezze umane.
È più paziente di tutti: ci conosce e sa di che pasta siamo fatti. Chiede, però, sincerità. Preferisce magari un capriccio, un “no” detto per istinto o per ostinazione, più che un “sì” insincero.
Il figlio preferito da Dio è colui che strappa, magari con fatica, dopo tentennamenti e ripensamenti, un gesto di generosità, un atto di coerenza, uno sforzo di maggior impegno.
Chi obbedisce con tutta facilità, dà poca garanzia di sincerità.
L'obbedienza al Padre, cioè ad una coerenza di coscienza, di dignità umana, costa talora sangue.
Il nostro egoismo ci fa dire subito un “no”, se siamo sinceri. Il “sì” vissuto poi in una accettazione concreta del comando di Dio, esige sempre un sacrificio.
«Se l'egoismo è la causa d’una lotta per vivere da uomini e da cristiani, figli devoti di Dio, fratelli solidali nell'amore, la falsità – cioè il giustificare con un sì apparente un rifiuto a Cristo e al prossimo – è la più subdola tentazione per un discepolo del Signore.
– Quando si pensa di salvare la faccia con un gesto di formalità;
– quando si ritiene che basti rimanere dentro un recinto per essere figli devoti;
– quando l'obbedienza – cioè l'essere figli –, non procura alcuna ferita;
– quando non si è mai tentati di mandare tutto a quel paese con un “no” secco – che, se non altro, può significare una scelta e un atto di coerenza ...,
la nostra sarà una povera casa dove sarà sempre impossibile intenderci, vivere da fratelli, nell'armonia di chi lotta uno accanto all'altro per imparare a stare assieme, per sorreggersi reciprocamente, pur nella limitatezza e scontrosità di caratteri, ma con dentro una grande sete di bontà, d’amore, con un forte desiderio di dar più respiro a tutti, di capire e di aiutare chi fa più fatica a tradurre un “sì” nella vita di ogni giorno, perché magari frastornato da tanti “no” inconcludenti di chi dovrebbe essere il primo a dare il buon esempio con una testimonianza operativa nella vigna di Dio». (da Pronzato, Vangeli scomodi, 349)
O Signore,
ancora oggi dà magari nell'occhio uno scandalo morale
– e Tu hai condannato con durezza chi scandalizza i più piccoli –,
ma perché non dovrebbe dar nausea
chi incoerentemente vive una vita di fede,
senza sentire una sofferenza per il proprio agire,
senza voler dare un contenuto sincero e reale al proprio sì di fede?
L'apparenza non costruisce; la verità impone coerenza;
il tempo darà ragione di tutto quel bene che ciascuno si sforzerà di fare,
nonostante le continue tentazioni di un istintivo rifiuto per quanto Dio propone.
Non è necessario dire tanti “sì” nella vita: ne basta uno solo, ed è la scelta di Te, o Signore,
da rinnovare ogni giorno nello sforzo e nell'impegno di un amore al prossimo;
da attuare incondizionatamente, pur nei limiti di una debolezza umana, camminando sulla Tua strada:
«Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo». Don Giorgio De Capitani (Messaggero
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