POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

sabato, settembre 28

NULLA DI NUOVO SOTTO IL SOLE (E LA PIOGGIA) DEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO

 

Nulla di nuovo sotto il sole (e la pioggia) del Sahel
Così scriveva il saggio tanto tempo fa quando, ancora con onestà, si osservava la condizione umana nella sua drammaticità. Oggi si preferisce piuttosto descriverla come spettacolo. Le vittime, così come i drammi che si ripetono nel Sahel e altrove, confermano che il ‘nuovo’ è già accaduto.  C’è forse qualcosa di cui poter dire ‘ecco finalmente qualcosa di nuovo’... ciò era già stato nel tempo che ci ha preceduto e di cui non si serba alcun ricordo. Vanità delle vanità, scriveva il saggio, tutto è vanità. C’è un tempo per tutto e tutto per un tempo, dice il saggio.  Un tempo per cercare e uno per perdere.
In questo contesto ‘vanità’ va interpretato come sinonimo di soffio, alito, bruma del mattino che svanisce con l’arrivo del sole. Vanità sono le inconsistenze che sono presentate al popolo come necessarie. Come vaghe promesse di un mondo e futuro migliore che, certamente, arriverà domani o comunque a breve. Questione di giorni, anni o generazioni ma che, senza dubbio, accadrà quanto prima. L’arte della guerra continua a trasmettersi e, peggio ancora, quando si prende Dio come ostaggio, si giustifica. C’è un tempo per tutto, dice il saggio. Un tempo per tacere e uno per parlare.
Non c’è nulla di nuovo sotto il sole del Sahel. Così sembra nell’accaparramento, gestione e conservazione del potere politico, economico e religioso. Da elites civili a quelle militari purché il popolo degli umili, cioè il popolo di sabbia, sia escluso, controllato e condotto nella direzione stabilita dagli ‘illuminati’ del momento. Vanità sono le parole che non hanno più nessuna relazione con la verità e diventano il mezzo per imprigionare la realtà nell’ideologia dominante. La menzogna si riproduce grazie alla complicità delle parole vendute al vento. C’è un tempo per tutto, scrive il saggio.
Un tempo per dare la vita e uno per morire. Un tempo per piantare e uno per sradicare. Un tempo per distruggere e uno per costruire. Un tempo per gemere e uno per danzare. Vanità delle vanità, tutto, diceva il saggio, è vanità. I regimi di eccezione, quelli di transizione, le monarchie, le repubbliche e le dittature che preparano la democrazia, per finire nelle mani dei detentori di denaro contante. Anche questa è vanità, direbbe il saggio. C’è un tempo per tutto. Un tempo per essere cittadini e un tempo per vivere come schiavi. Un tempo per strappare e un tempo per unire.
Non c’è nulla di nuovo sotto il sole del Sahel. Passano le stagioni e passano anche i diritti che si pensavano inespugnabili. Il diritto di pensiero, della mobilità, di associazione, di professare convinzioni politiche e religiose, il diritto all’informazione e soprattutto il diritto a una vita decente. Vanità delle vanità, tutto è vanità, immagina il saggio. Perché c’è un tempo per ogni cosa e ogni cosa per un tempo. Un tempo per la guerra e uno per la pace che è quanto il Sahel e il mondo hanno smarrito. Quest’ultima è come un sentiero che, smesso di percorrere, è andato smarrito. Solo coloro che camminano disarmati ne ricordano l’esistenza, la direzione e il segreto.
                Mauro Armanino, Niamey, settembre 2024 

sabato, settembre 21

DOV'È IL DOLORE, LÀ IL SUOLO È SACRO di PADRE MAURO ARMANINO


Dov’è il dolore, là il suolo è sacro

Per il dolore è come per l’ingiustizia. Non ci si dovrebbe mai abituare alla loro pervasiva presenza. Molto spesso il dolore è una conseguenza dell’ingiustizia. Entrambi sono a loro modo una rivelazione. Il dolore è una delle risposte, quella forse più immediata e drammatica, alla separazione tra la realtà e l’anelito alla pienezza di vita. Rivela un disagio, spesso incomunicabile, con se stessi, gli altri e il mondo. L’ingiustizia si esprime come un tradimento perpetrato alla persona che viene privata del primo e fondamentale diritto che è il riconoscimento della sua inalienabile dignità umana.

‘Dov’è il dolore, là il suolo è sacro’, scrisse il drammaturgo e poeta di origine irlandese Oscar Wilde. Il Sahel è dunque un luogo sacro e come tale andrebbe accolto e rispettato. Il suolo di cui parla il poeta non è solo quello geologico o geopolitico. Il primo suolo sacro è costituito dalle persone, i corpi, le speranze e l’immaginario che caratterizzano ogni umana avventura. Il dolore che non trova parole per raccontarsi perché indicibile e prezioso come un pianto di madre. Il dolore che sembra arrivare ancora prima di nascere al mondo. Il dolore dei poveri che lo trasmettono, in silenzio, da padre a figlio.

Il dolore della morte per la fame che, secondo l’Ufficio di coordinazione delle azioni umanitarie, mette a rischio la vita di 33 milioni di persone nel Sahel. Questa carestia è la conseguenza di crisi che, come il deterioramento della sicurezza, l’instabilità e il clima, minacciano i mezzi di sussistenza delle famiglie. La violenza dei conflitti armati obbliga milioni di persone a fuggire dalle case e dalle terre per cercare un futuro precario altrove. Una vita passata scappando da un luogo all’altro e da una guerra alla seguente. Sembra difficile trovare un dolore che somigli a quello raccontato dagli scampati.

Perché il dolore è una maledizione, un mistero, un silenzio, parole che non bastano, un miracolo non accaduto e un grido inascoltato. C’è un dolore collettivo che non è la somma dei dolori individuali e che neppure i libri di storia riescono ad evidenziare. Il dolore lo si porta dentro come fanno i padri che la vita ha reso curvi e fieri per non aver pianto davanti ai figli. C’è il dolore del parto e quello che sembra del tutto irriverente e sterile. Il dolore tace perché difficilmente trova una riva dove approdare con la sicurezza di essere compreso. Come quello dei bambini che pochi sanno decifrare. 

Il loro dolore, quello dei bambini, non ha ancora trovato un lessico capace di trasmetterlo alle generazioni che verranno. I bambini presi come ostaggi per farne mendicanti sulle strade delle città e per impietosire i distratti consumatori di beni. Obbligati a lavorare nei cunicoli scavati in terra in cerca di minerali preziosi per l’industria e il commercio dei grandi. Il dolore dei bambini strappati troppo in fretta dall’abbraccio delle madri e dal futuro che i consigli del padre non potrà più ascoltare. Un recente rapporto sul Sahel rivela che i bimbi costretti a fuggire da casa sono circa 1, 8 milioni. 

Il dolore del tradimento sofferto o perpetrato non ha ancora trovato un’unità di misura per stimarlo. Le conseguenze di scelte politiche funzionali alle ideologie dominanti aggiungono dolore ai poveri che il sistema di dominazione ha reso inutile periferia. Il dolore dei giovani a cui vengono espropriati, venduti e manipolati i sogni di un futuro possibile. L’accanimento globale contro i migranti che ne sono una delle espressioni più libere e pure, genera rivoli di dolore che, come fiumi sotterranei, prepara sorgenti nel deserto. Nessun dolore andrà perduto perché scritto sulla palma della mano, sacra, di una madre.

      Mauro Armanino, Niamey, Settembre 2024




lunedì, settembre 16

LE PAROLE E LE COSE NEL SAHEL: ISTRUZIONI PER L'USO di P. MAURO ARMANINO

Le parole e le cose nel Sahel: istruzioni per l’uso 

...La risposta che Confucio (VI sec. a.C.) diede a un suo discepolo che gli chiedeva: «Maestro, che cosa faresti per prima cosa, se fossi capo dello stato?» «La prima cosa che farei – rispose Confucio – sarebbe quella di raddrizzare i nomi.»

Le parole sono le strade che percorriamo ogni giorno per arrivare agli altri, a noi stessi e alla realtà. Le parole sono semi che il vento trasporta e che, talvolta misteriosamente, danno frutti insospettati. Le parole sono sassi che feriscono o dei fili spinati che dividono come frontiere armate. Le parole tradiscono la vita oppure sono come sorgenti a cui abbeverarsi per continuare a sperare il futuro. Le parole ci fanno e noi facciamo le parole. C’è chi le custodisce gelosamente e chi le butta come orpelli senza importanza. Le parole indicano la direzione del cammino e, spesso, le scelte che si compiono. Tra parole, pensiero e azione c’è una sorprendente complicità. Nessuna parola, si sa, è innocente.

               La perversione della città inizia con la frode delle parole

La citazione è attribuita al noto filosofo greco Platone e trasmette un messaggio difficile a contestare. Chi ha il potere sulla scelta e sul senso delle parole ha anche il potere sulla definizione della realtà. Ci fu un tempo nel quale, nel Sahel, per definire chi cercava altrove fortuna si parlava di ‘esodanti e avventurieri’. Arrivò poi la parola migrante che si tramutò in clandestino e l’illegalità sfociò nell’irregolarità per toccare, infine, la criminalità. La trasformazione delle parole e la padronanza del senso che esse contengono, hanno comportato un cambiamento di visione della realtà migrante. 

Sono passati pochi anni e il dizionario sociopolitico del nostro spazio nigerino è stato attraversato da parole, concetti e orientamenti che l’hanno marcato. L’indipendenza, la Costituzione, le Conferenze Nazionali Sovrane, le elezioni e i mandati presidenziali. Il rinascimento, l’africanizzazione dei quadri, lo sviluppo endogeno, il partenariato vincente, la democrazia e la crescita compatibile. Il potere per servirsi del popolo, il pluralismo e la transumanza dei partiti mentre i Nigerini nutrono i Nigerini. Queste ed altre parole hanno segnato la vita sociale del nostro Paese negli ultimi decenni. I reiterati ‘colpi di stato’ ne hanno rivelato e insieme nascosto l’importanza e la drammaticità. In fondo la politica non è che il tentativo di tradurre o tradire, le parole portatrici di progetti sociali di chi detiene il potere in quel momento.

Grazie alla “presa di potere” del Partito, è passata da lingua di un gruppo sociale a lingua di un popolo.  Si è impadronita di tutti gli ambiti della vita privata e pubblica: la politica, la giurisprudenza, l'economia, la scienza, la scuola, lo sport, lo sport, gli asili e le camere da letto. (Victor Klemperer, L.T.I).

L’autore citato, filologo di formazione, ha scritto il suo diario durante la dittatura nazista in Germania. Lui, ebreo e dunque perseguitato, ha conservato la lucidità necessaria per sopravvivere grazie anche alla sua ‘decostruzione’del linguaggio dittatoriale del regime al potere. Si tratta di una lezione da imparare a memoria in tutte le circostanze e sotto tutti i regimi, compreso quello di eccezione attuale. L’attenzione alle parole e al loro uso dovrebbe costituire il primo compito degli intellettuali che meritano questo titolo. Essi e i comuni cittadini non dovrebbero delegare a nessuno il dovere di prendere sul serio le parole e usarle con circospezione, sapendone l’impatto sulla realtà quotidiana. 

La patria e la sua salvaguardia, la sovranità politica, economica, alimentare, culturale e umanitaria, il nazionalismo, il ritorno alla radici, la dignità, la sacralità delle frontiere e la sicurezza sono parte del nuovo lessico politico. Sappiamo quanto le parole elencate ed altre simili, possano contenere elementi di verità e possibilità di derive e divisioni con chi potrebbe dare loro contenuti diversi. 

Il rischio è quello evidenziato, tra gli altri, da Philippe Breton, politologo, ... Il discorso manipolato è una forma di violenza: in primo luogo contro la persona a cui è diretto e in secondo luogo contro il discorso stesso, che è il pilastro centrale della nostra democrazia

 Mauro Armanino, Niamey, settembre 2024

Ndr: aggiungo una breve ricerca giusto per far conoscere chi era Victor Klemperer 


Victor Klemperer. Filologo Tedesco (Landsberg an der Warthe 1881 - Dresda 1960). Ebreo, convertito al protestantesimo nel 1912, è stato soldato nell’esercito tedesco durante la Prima guerra mondiale. Esperto di letteratura francese, laureato con una tesi su Montesquieu, allievo di K. Vossler e collega di E. Auerbach, dal 1920 è stato professore di Filologia all'Università di Dresda. Nel 1935 dopo l’emanazione delle leggi razziali naziste è stato costretto a lasciare la cattedra. Obbligato a trasferirsi in una Judenhaus ("casa degli ebrei") e a lavorare in fabbrica con la stella gialla cucita sul petto, è scampato ai campi di concentramento solo perché la moglie non era ebrea. K. è noto per aver scritto LTI - Notizbuch eines Philologen, dove LTI sta per Lingua Tertii Imperii, pubblicato nel 1947 (trad. it. LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, 1998), una sorta di diario personale in cui ha annotato dal 1933 al 1945 le manipolazioni compiute sulla lingua tedesca da parte del nazionalsocialismo. La creazione di una nuova lingua, con l’utilizzo ad esempio di parole composte (soprattutto con Volk, "popolo") e dei simboli runici antichi che richiamavano alla Germani antica, serviva alla propaganda nazista a creare anche un nuovo pensiero asservito all’ideologia al fine di manipolare le masse. K. annotava tutti i dettagli non solo le parole, ma anche i gesti e i rumori della vita quotidiana, come per salvarla dalla tragedia storica e, nel contempo, per dare testimonianza di come dai minimi cambiamenti della vita si possa arrivare alla catastrofe.


martedì, settembre 10

IL FUORIGIOCO DI MOUSSA di Padre MAURO ARMANINO



                            Il fuorigioco di Moussa

Parte di nascosto dalla famiglia nel 2022. Sono quattro sorelle e tre fratelli coi genitori sorpresi dalla sua telefonata dalla capitale del Camerun, Yaoundé. Moussa si presenta di professione calciatore e gioca in difesa. Originario del Gabon che per molto tempo ha galleggiato sul petrolio attirando migliaia di lavoratori migranti, Moussa è convinto che il suo futuro sarà in una squadra di calcio d’Europa. Passa la Nigeria e attraversa il Niger per raggiungere l’Algeria. Trova lavoro come imbianchino nella capitale e riesce a mettere da parte i soldi sufficienti per completare il suo viaggio nella città di Sfax, in Tunisia. 
Lavorando come può in città si può permettere di pagare i 700 euro che il passeur gli ha chiesto per il transito in Italia. Siamo a inizio settembre dell’anno scorso. Profittando della notte, Moussa e una ventina di passeggeri con nove donne e alcuni bambini, si imbarcano su una zattera di ferro. Non sono lontani da riva quando una pattuglia della guardia costiera tunisina li intercetta e li riporta sul continente che avrebbero voluto lasciare per sempre dietro di sé.
è. Moussa e gli altri compagni di viaggio passano due mesi in prigione a Sfax. Con altre centinaia di migranti e rifugiati sono trasportati in bus nel deserto alla frontiera con l’Algeria e ivi abbandonati al loro destino.
Raccolti in un centro di raccolta e detenzione nella città di Tamanrasset sono poi caricati su camion come animali o mercanzia da vendere e abbandonati nell’ultima città frontaliera dell’Algeria col Niger, chiamata In Guezzam. La notte raggiungono il confine col Niger camminando nel deserto e osservando le luci lontane del villaggio di Assamka, provvisorio asilo per miglia di migranti espulsi e deportati. Passata la città di Arlit, Moussa, coi pochi soldi nascosti alle rapine dei militari, raggiunge Tahoua e, infine, Niamey. Alloggiato per un paio di settimane nella stazione del bus che l’ha trasportato alla capitale del Paese, è in cerca di cibo e alloggio. Cerca un lavoro qualsiasi che gli permetta di raggiungere l’ambasciata più vicina onde tornare al Paese natale. Suo padre si chiama Ibrahim e sua madre Fatima. Moussa, Mosè, non ha attraversato il Mare, perché ha saputo dopo di trovarsi in fuori gioco.
                                                                             
Mauro Armanino, Niamey, settembre 2024

lunedì, settembre 9

ANITA MENEGOZZO AL GRAN CENTRAL LITERARY A VENEZIA

 


Il quattro settembre al grand central literary festival è passato ed ora fa parte dei miei ricordi
Come ogni buon evento aperto che si rispetti, mi ha riservato non poche sorprese.
Gli articoli usciti sul" gazzettino" il giorno prima e sulla "nuova" il giorno stesso
mi hanno fatto ritrovare persone care dopo tanti anni.
Un grazie gigante a
Elvira Naccari Lucia Guidorizzi e Silvia Scagnetto che mi hanno lasciato giocare con il pubblico curando che ritmo e sostanza non ne risentissero.
Al titolare del Grand Central che mi ha assecondato
Mi spiace solamente di non aver potuto esserci tutta intera in esclusiva per ognuno e di aver trascurato un po' tutti.

Avevo avvertito Anita che non sarei potuta intervenire all'evento, e me ne dispiace moltissimo.

Una delle sue poesie:

In fondo non siamo che sconsiderate scintille
sfuggite al buon senso
di un imprecisato pensiero creativo
Esempi un po' goffi
di lampi e di tuoni
ognuno un po' troppo a ridosso degli altri
ci siamo aggrappati di peso a noi stessi
per non distaccarsi coi piedi dal suolo
e precipitare nel buco più nero
si trovi nel vuoto
Serbiamo raccolti nei palmi
sommari diluvi ed eterni castighi
coscienze degli avi
portate sul dorso dai figli dei figli
Noi gli uni per gli altri
fedeli peggiori nemici
e l uno dall' altro esiliati
nascemmo fratelli già invisi ai fratelli
fin dai più innocenti primati
che in vece dei nostri sorrisi
mostravano i denti
battendosi il petto coi pugni serrati
In fondo non siamo cambiati




martedì, settembre 3

Orchidea di Daniele Foschia

https://www.youtube.com/watch?v=_pzkCDqA7ss




Orchidea di Daniele Foschia



 Accolgo volentieri la richiesta del padre di questo giovane musicista.

Carissima Danila,
ti giro il link di youtube per ascoltare la prima canzone pubblicata da mio figlio Daniele (ha compiuto quest'anno 17 anni). 
S'intitola "Orchidea" ed è stata pubblicata con lo pseudonimo Daniele Foschia.
Si può ascoltare pure su spotify.
Se ti piace aiutaci a divulgarla.
Grazie di cuore.
Cari saluti,
Francesco Ferrante