STORIE DELLA VITA E DEL MONDO
Il grande pino verde di nome Verpì, nelle sere di luna piena, raccontava, alle mille orecchie in ascolto, storie della vita e del mondo.
Mille occhi lo osservavano attenti e mille corolle di fiori si riaprivano un poco per non perdere neppure un sussurro.
IN VOLO
Verpì allargava i suoi rami come un ombrello, aggiustandosi con attenzione tutti i suoi aghi per essere sempre ordinato.
Gli uccellini, di giorno, andavano e venivano portando nel becco qualche gustoso vermetto o un filo di paglia per aggiustare il nido. Poi, quando il sole spariva dietro i monti, si accoccolavano, uno vicino all’altro, arruffando le piume morbide per stare al riparo.
Una sera, però, uno di loro volle anch’egli spiegare qualcosa alle creature del bosco.
Posato sul ramo più alto di Verpì, iniziò a cinguettare:
- Oggi, il cielo era azzurro e terso. All’alba, quando l’aria si tingeva lentamente di rosa, ho zampettato vicino al ruscello per bagnare il mio becco di acqua fresca e mi sono sistemato per bene le penne. Poi, mi sono lanciato verso l'alto e ho puntato lo sguardo in direzione di una simpatica nuvoletta bianca a ricci. Che gioia stendere le ali, penetrare l’atmosfera chiara del mattino, cinguettare con i compagni… Di lassù, si possono vedere i campi quadrati degli appezzamenti coltivati dai delicati toni di verde e marrone, le case dai tetti di lamiera a punta che luccicano al sole, i nastri grigi delle strade… Più lontano, le distese di prati, gli alberi frondosi dai mille ripari, le strisce d’acqua scura del fiume. Da un po’ di tempo ho fatto il mio nido sotto un tetto, di lamiera anch'esso, come tutti gli altri nel paese di montagna qui vicino, al limitare del bosco, in un confortevole spazio tra i mattoni rossi. Ho portato piumette e fili d’erba uno ad uno. Là mi sento al sicuro e, se la tempesta infuria, chino il capo sotto l’ala e chiudo gli occhi.
Nella casa di fronte a quella in cui abito, vive una dolcissima fanciulla. Mi piace guardarla mentre, davanti alla finestra, pettina i lunghi capelli neri e osserva intorno, o mentre lava e stende i panni nel cortile.
Sulla punta del tetto, mi sposto per curiosare meglio. Un giorno ho visto che la mia amica stava per uscire, quindi, ha imboccato un sentiero che porta un po’ fuori dall’abitato.
Andare da quelle parti piace anche a me: i prati odorano di fiori colorati, tanti altri uccelli miei amici vivono sugli alberi di quel bosco. Non ho potuto, dunque, fare a meno di seguirla.
Là c’era un uomo che l’aspettava: mano nella mano essi hanno percorso gioiosi il dolce pendio dai mille profumi.
Parlavano e intrecciavano speranze, lo so.
Che c’è di male, intanto, a intrecciare voli, rasentando veloci erbe sature d’insetti appetitosi? L’aria era frizzante e lambiva le piume, mentre mi alzavo e abbassavo nell’atmosfera. Poi mi sono posato su di un ramo a riposare.
Ed eccoli, occhi negli occhi, mani nelle mani…
Ero felice anch’io.
Dopo qualche alba e tramonto, ho visto la fanciulla appoggiata alla finestra con il viso tra le mani. Dai suoi occhi scorrevano lacrime brucianti, né si era pettinata a lungo i suoi magnifici capelli. Neppure usciva da casa, così ero rimasto anch’io là, nel mio nido sul tetto. Non mi andava di allontanarmi, né di alzarmi verso le nuvolette rosa. I cinguettii dei compagni, che sembravano chiamarmi, non mi attraevano come di solito.
Evidentemente, lui non c’era più, forse era partito, tornerà o no, io non sapevo.
Ella mi sembrava disperata. Ed era così da giorni e giorni. Non usciva più da casa, non si occupava più di sé stessa, solo fissava lontano l’orizzonte verde dei monti e piangeva.
Anch’io, una volta, ho sofferto tanto. Un giorno, uno dei miei piccoli stava imparando a volare. Le sue alucce scarmigliate sbattevano con entusiasmo ma, uscito dal nido, non era riuscito a raggiungere l’albero più vicino ed era scivolato a terra. Di là, tentava con tutte le sue forze di ripartire, di rialzarsi, ma zampettava disordinatamente, pigolando affannato senza poter sollevare il suo corpicino. C’era, là vicino, un gatto. Era stato un attimo. La belva, che si nasconde in quell’essere lento e sornione, era balzata come il lampo crudele che incenerisce. Un ultimo forte pigolio ed era tutto finito.
Per questo non potevo lasciarla sola. A volte, provare un grande dolore, può aiutare a comprendere quello degli altri. Rimanevo allora là, nel mio nido sul tetto, a cinguettare per lei. Forse, il mio canto sincero avrà potuto farle un po’ di compagnia.
Oggi, però, l’uomo ha bussato alla sua porta. Sono passate diverse stagioni da quando è andato via, è venuta la neve, sono fioriti tutti i fiori ed è tornata ancora la neve. Ora è primavera, e tutto sta riprendendo vita.
Quando ella ha aperto la porta, è balzata tra le sue braccia che l’hanno stretta al cuore. Poi, insieme, essi hanno imboccato di nuovo il sentiero che conduce fuori dell’abitato. Lungo il dolce pendio, hanno passeggiato mano nella mano, hanno corso a piedi scalzi nell’erba fresca e profumata del mattino, hanno chiacchierato e riso, occhi negli occhi. Hanno bevuto, insieme, dalle mani, l’acqua fredda del ruscello.
Forse, lui non partirà più.
Ho volato lassù, tra fiocchi di nuvole bianche e rosa, sfrecciando più in alto e sfilando, veloce, per tornare alle chiome degli alberi, verso gli appezzamenti coltivati, verso le case che mi paiono scatoline, più o meno, quadrate.
È un’emozione intensa la mia, adoro perdermi tra il verde delle foglie ove occhieggia il sole, amo risalire verso la luce o cinguettare in coro con i miei compagni. Tra poco, nel nido, avrò un’altra covata e credo che ci sarà anche una covata nella casa della mia vicina.
Allargo, dunque, le mie ali e punto verso l’alto. Lo so, non devo confondermi e desiderare di giungere all’estremo.
Come succede spesso a tante creature, il mio volo sarebbe spezzato.
Renata Rusca Zargar
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