POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

sabato, gennaio 28

L'IMPERO DEL SILENZIO NEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO


Edvard Munch - L'Urlo

      L’impero del silenzio nel Sahel


Il silenzio, in qualunque modo usato e applicato, è pericoloso tanto quanto la parola. D’altra parte, a ben pensarci, uno non sta senza l’altro perché sono entrambi figli dell’esitazione originale. Il compito di dare un nome alle cose, nell’affresco biblico del libro della Genesi, è parte costitutiva dell’opera creatrice dell’umanità. Parola e silenzio, ciascuno a modo loro, creano o sottraggono qualcosa di inedito alla realtà. Così come per la parola anche il silenzio si presenta sotto variegate e talvolta opposte forme. C’è, ad esempio, il silenzio complice di chi vede e sa ma, per opportunismo o vigliaccheria, tace quanto avrebbe dovuto essere gridato dal tetto. Questo tipo di silenzio si apparenta a quanto, anni or sono, scriveva il giornalista di investigazione del Burkina Faso Norbert Zongo, trovato ucciso il 13 dicembre del 1998 in un’auto … ‘La cosa peggiore non è tanto la cattiveria dei malvagi quanto il silenzio dei buoni’… Il silenzio complice in questione sembra avere una lunga vita nel Sahel e, con ogni probabilità, anche in altre zone.
La cultura del silenzio, di cui si parla con allusioni più o meno esplicite, a popoli e tradizioni ancestrali, si riferisce ad un silenzio che protegge, custodisce, conserva e salvaguarda l’onore e il buon nome della famiglia, della persona o del gruppo. Le popolazioni di origine contadina sviluppano una particolare capacità nell’assumere e creare impenetrabili barriere allo sguardo esterno e molesto di chi appare come ‘straniero’. La violenza famigliare, simboli culturali, iniziazioni rituali ma anche efferati delitti o strategie di dominazione potranno perpetuarsi anche grazie a questo tipo di silenzio. In positivo esso permette di ‘resistere’ e ‘dare una ragione’ all’insensatezza di aspetti della realtà che sfuggono ad ogni tentativo di comprensione. Evidentemente questo non giustifica affatto un tacere, il silenzio appunto, che in definitiva, viene come a ratificare lo stato ‘naturale’ delle cose e dei rapporti sociali. Esso ha, in particolare, caratterizzato l’attitudine di generazioni di donne che hanno sofferto in silenzio l’oppressione e la violenza.
C’è, poi, un silenzio forse unico nell’esperienza umana che è quello del dolore. E’ il silenzio che, spesso, segue il grido di dolore o di rabbia. Come se non esistessero parole in grado di dire, spiegare o semplicemente balbettare l’immensità del dolore di cui si fa l’esperienza. La malattia, la fame, la guerra, le persecuzioni, l’ingiustizia patita, la riduzione dell’umano a cosa mercantile, il tradimento e l’improvvisa scomparsa di una persona cara. Questo e molto altro, da mettere sotto il capitolo infinito della sofferenza, proprio per la sua radicale appartenenza al singolo, diventa indicibile. Solo il silenzio, un silenzio denso e, per certi versi, fecondo, può in qualche misura comunicare l’incomunicabile. E ‘il silenzio del testimone dei campi di sterminio dell’epoca nazista che i ‘sopravvissuti’, tra di loro Elie Wiesel e Carlo Levi, hanno vissuto e patito per anni. Hanno avuto bisogno di tempo per tentare di tradurre, spesso ad increduli, il dramma innominabile che li ha cambiati per sempre. I campi continuano in Libia e, lo sappiamo, rimane solo l’Urlo’.
Potremmo infine citare il silenzio che, in assoluto, tutti li contiene e che, a suo modo, li esprime: il silenzio di Dio. Potremmo definirlo come il silenzio assoluto perché oltre e prima del quale tutto rischia di cadere nell’assurdo.  Un silenzio attribuito a Dio oppure frutto di coloro che hanno dimenticato ciò che attraversa ogni umana esperienza. In realtà, contrariamente a quanto si dice, all’inizio di tutto ciò che costituisce la vita e cioè l’amicizia, il lavoro, la morte, il male, la violenza, la sopraffazione, le persecuzioni e l’amore, non troviamo la parola ma il silenzio! Esso è portato via dal vento e, per una misteriosa opera della creazione, lo trasforma in polvere che, del silenzio, è l’immagine più fedele.
    
   Mauro Armanino, Niamey
 27 gennaio, Giorno della Memoria

lunedì, gennaio 23

AL DI LA' DELLA REALTA' di MARTINA D'URSO - recensione di RENATA RUSCA ZARGAR


Al di là della realtà

 Al di là della realtà - Martina D'Urso

 - Libro - Mondadori Store

Recensione di Renata Rusca Zargar

Mi è capitato, quasi per caso, di leggere questo primo romanzo di una giovane signora caprese. Sono rimasta subito assai colpita dalla prefazione della notissima Barbara Alberti che promuove le Nuove voci, cioè nuovi autori italiani.

Ho pensato, dunque, che fosse la solita pubblicità: in fondo, tutte le storie possibili e impossibili sono state già scritte nel grande oceano della Letteratura.

Ho iniziato, comunque, a scorrere le pagine, lasciandomi avviluppare dall’ambientazione ben inserita nella magica città di Napoli, con le sue bellezze, i suoi personaggi caratteristici, le sue tradizioni, “un vero e proprio stile di vita”, come evidenzia l'autrice. Persino, mi è parso di  risentire in bocca il gusto della pasticceria napoletana assolutamente indimenticabile.

Ho trovato, inoltre, qualche passo di filosofia dell’esistenza stampato in carattere corsivo, come ad esempio, “Il vuoto”, “L’accontentarsi”, “La trasformazione del sentimento” e alcuni altri. Attraverso di loro, sono entrata direttamente nella psicologia dei protagonisti e nel senso profondo degli avvenimenti.

Nel testo, appaiono anche una ventina di righe dedicate a Capri, con la “sua tipica forma ondeggiante” che potrebbe “assomigliare” a tante cose come “una donna incinta stesa di lato” o  “una principessa dormiente” e molto altro. Emerge, dunque, dal cuore l'isola desiderabile dove è bello andare in vacanza ma anche vivere, camminando immersi nella natura più fitta e odorando il sapore del mare.

Quello che, però, mi ha lasciata ancora più straordinariamente stupita è la vicenda raccontata, dolce e originale: una storia d’amore onirica, un sogno nei sogni dell’esistenza. Non ho potuto abbandonare le pagine fino a quando non ho saputo tutto di Gaia e di Marco, augurandomi trepidamente di poterli ritrovare alla fine felici come in una favola.

“Osa vivere la vita che hai sognato. Vai avanti e realizza i tuoi sogni.” (Ralph W. Emerson) è una delle importanti citazioni che si trovano nel libro. Non so se l’autrice desideri scrivere ancora altri romanzi. Penso che ne varrebbe la pena perché è davvero una bravissima storyteller. Rende speciali i suoi personaggi e cattura armoniosamente i lettori perché essi stessi prendono parte  ad accadimenti immaginosi che ognuno vorrebbe aver vissuto.

Renata Rusca Zargar

sabato, gennaio 21

NOMI E STORIE DI SABBIA DAL SAHEL di P. MAURO ARMANINO



Cécé con Padre Armanino

       Nomi e storie di sabbia dal Sahel

Cécé, che faceva il piastrellista nella sua Guinea d’origine è appena tornato dall’Algeria dove non poteva mai uscire dal cantiere edile dove aveva trovato, infine, un lavoro precario. Dice che lo pagavano a volte e meno del dovuto. Non valeva la pena rimanere ancora ed ha scelto dunque di tornare a casa per ritrovare lo stesso mestiere che aveva lasciato l’anno prima. Un’andata e un ritorno a tappe che traccia geografie politiche, frontiere immaginate, espulsioni, deportazioni, allontanamenti mirati e destini sconfitti. Il sentimento di vergogna per quanto investito in termini di tempo, denaro, energie, sogni e rimpianti si mescola con l’amaro sollievo di essere, malgrado tutto, ancora in vita. Non è poco di questi tempi nei quali i mari, i deserti e soprattutto l’uso delle frontiere non sono che sofisticati sistemi di eliminazioni a punti.

Arrivano il giorno dopo ma sono in città, a loro dire, da un paio di settimane. Entrambi originari della Liberia e partiti assieme alla volta del Sudan con la segreta speranza di raggiungere, via l’Egitto, l’Europa. Maurice  ha fatto l’università e insegnava mentre Amos si affermava come tecnico nell’ informatica. Solo che nel Sudan la situazione è tragica a causa della resistenza alla dittatura militare. Trovano inutile e impossibile rimanere ulteriormente nel Sudan e qui sopravvivono dormendo dove possono ospiti del Mercato Grande di Niamey. Sono in attesa di rifare il cammino di ritorno al Paese che li ha abbandonati dopo averli illusi con un presidente e una pace senza pane e fantasia. Profumano di viaggio e di avventure mai sopite perché vanno in Liberia con qualche anno e alcuni deserti in più da raccontare a coloro che hanno lasciato a casa.

Vivono, assieme a James, i suoi quattro figli e la madre, sotto una precaria tenda che non protegge da nulla. Come nuovi ‘naufraghi dello sviluppo’, come li definiva l’amico economista Serge Latouche anni or sono. Superstiti di un modello di società che non solo crea ma abbisogna di naufraghi come loro. Utili per tenere a bada la ciurma della nave, perché non si ammutini per dell’assenza di terra all’orizzonte. O allora sono anch’essi da annoverare tra i disertori che fuggono da quanto di più certo hanno, come noi, ereditato: una terra, le loro radici, una lingua e una storia. Rischiano un altrove senza avere le stesse garanzie di Abramo che, già anziano, aveva scelto di abbandonare la sua terra, con una parvenza di promessa divina. 

Invece Alfred giura che non era mai passato da noi, che era tornato dall’Algeria, che lì era stato prima braccato e poi espulso. Che aveva perso il suo bagaglio rubato alla stazione dei bus e per questo non aveva documenti! Niente della sua storia, lo avrebbe confessato il giorno dopo, corrispondeva al vero eppure era la sua unica storia del momento. Lui e altri nomi sono gli artisti di un mondo che, forse, solo la sabbia può tornare a creare con un sorriso di complicità.

       Mauro Armanino, Niamey, 22 gennaio 2023


martedì, gennaio 17

IL RIMORSO di JORGE LUIS BORGES e COMFORT ZONE di ANNA MONTELLA a confronto


 

MAMMA LI TURCHI di ANNA MONTELLA


 

IL FEMMINISMO DELLE DIFFERENZE - presentazione di RENATA RUSCA ZARGAR


 



Il femminismo delle differenze


Sabato 14 gennaio è stato presentato a Savona, nella saletta dell’Associazione culturale HumanaMente in via della Marina, il saggio di Tommaso Badano “Il femminismo delle differenze” (Il femminismo delle differenze – Il Filo di Arianna)        https://www.ilfilodiariannaedizioni.eu/?product=il-femminismo-delle-differenze                                                          
A intervistare l’autore con domande profonde e incalzanti è stata la prof.ssa Manuela, membro attivo di HumanaMente.
Il testo di Badano, infatti, è ricco e complesso. Si avvale, prima di tutto, di un esauriente excursus storico sulle società matrilineari e patrilineari, con un punto di osservazione privilegiato sui gruppi matriarcali.
Spiega, poi, alla luce delle più recenti scoperte scientifiche, le difformità neuro-biologiche e psicologiche tra uomo e donna, dimostrando le differenze che esistono nel cervello tra maschi e femmine. Elenca, quindi, molti comuni stereotipi di genere e cita importanti figure femminili nella letteratura. Una ricerca, dunque, assai articolata a cui l’autore non fa mancare considerazioni di studio e personali che coinvolgono la moderna globalizzazione finanziaria e capitalista.
In qualità di “donna che scrive storie di donne”, come io mi definisco, avevo avuto la bella sorpresa di essere invitata a tale presentazione. Leggere il saggio di Badano è stato così assai stimolante e utile a riflettere e analizzare notizie che, forse, avrei lasciato in secondo piano.
Credo che, in generale, noi Italiani dobbiamo ancora meditare e discutere sulle tematiche del femminismo – e in questo senso sono utili i saggi - perché il concetto di superiorità assoluta del maschio non è affatto tramontato. Ricordo con molta tristezza, ad esempio, una scena di alcuni mesi fa quando, una mia conoscente incinta che aveva saputo dall’ecografia il sesso del nascituro, si è messa a urlare a tutti per la strada: - È un maschio! È un maschio!!!! - Insomma, sembrava che stesse facendo l’uovo di due rossi!
Personalmente, mi sono sempre interessata alla storia delle donne degli ultimi secoli, in particolare alla sottrazione di diritti civili quali quello del voto, perché ritenute non “abbastanza equilibrate mentalmente”, tanto che ho scritto un romanzo (per ora non pubblicato) dal titolo “Suffragette e lavandaie” che fa riferimento a una lavandaia savonese e a una suffragetta londinese.
Soprattutto, però, ho vissuto l’ondata femminista degli anni ‘60-’80, trovandomi per studio a Genova dal ‘69 al ‘73.
I miei libri delle elementari e, in parte quelli delle medie (Economia domestica), risentivano degli stereotipi di donna “angelo del focolare” e “regina della casa”, accudente per sua “essenza” in casa e persino al bordello. Concetti che fin da bambina rifiutavo con determinazione.
A Genova, invece, era comune partecipare alle proteste e agli scioperi degli operai, specialmente dell’Ansaldo, perché a quel tempo studenti e operai manifestavano insieme. Allora si gridava “Il corpo è mio e lo gestisco io”, stanche di essere sempre sotto padrone: prima la famiglia di origine e poi i mariti.
Sono diventata, infine, una persona diversa, libera nelle scelte e convinta del diritto di ognuno alla felicità.
Nel 1987, sono partita per l’India da sola. Là ho conosciuto quello che sarebbe diventato mio marito. In una società in cui la donna era in gran parte analfabeta (non esiste l’obbligo scolastico), egli stava naturalmente dalla parte delle donne perché sapeva quanto fosse pesante la loro vita. Infatti, quando sono nate le nostre figlie, la prima cosa sulla quale ha sempre insistito era che dovessero studiare.
Dato che io non sono propriamente un “angelo del focolare”, in casa ci siamo sempre suddivisi i compiti, pure in cucina (è un ottimo cuoco), ma soprattutto lui  si è  occupato parecchio delle figlie e non ha mai contestato le loro scelte. Io e le figlie ricordiamo con tenerezza che, quando loro erano piccole e piangevano di notte, perché magari avevano mal di pancia o altro, si alzava sempre lui perché io dormivo. Nella nostra coppia, abbiamo trovato un equilibrio paritario dettato dall’amore e dal rispetto.
Anche l'ONU, nel tempo, ha sollevato il problema femminile e ha organizzato varie conferenze mondiali che avevano per tema proprio i diritti di tutte le donne del mondo. Fondamentale è stata quella di Pechino del 1995 che ha specificato i punti essenziali da raggiungere: diritto all'istruzione, diritto alla salute e a una procreazione sicura e assistita, diritto al tempo, diritto alla proprietà e all'eredità, diritto al lavoro, diritto alla rappresentanza politica, protezione contro ogni forma di violenza. Sappiamo, però, quanto la strada sia ancora lunga in tanti paesi del mondo! Persino in Italia, dove sembrerebbe che abbiamo raggiunto alcuni traguardi, nel lavoro le ragazze tra i 25 e i 34 anni hanno il 25% di probabilità in più rispetto agli uomini di vivere in estrema povertà. Le donne continuano a fare lavori più precari, pagati in media tra il 16 e il 22% in meno rispetto agli uomini e in condizioni di sicurezza peggiori, oltre a essere quelle più coinvolte nei lavori domestici e di cura.
La violenza domestica, il traffico di donne sul mercato del sesso, lo sfruttamento delle bambine sono fenomeni ancora diffusi qui e ovunque. Ma anche dove le donne hanno potuto studiare o accedere a posizioni di potere non hanno pari diritti. In Arabia Saudita, ad esempio, le donne hanno gli stessi tassi di istruzione universitaria delle tedesche, ma devono ancora avere la protezione di un guardiano maschio. In Ruanda, che ha uno dei più alti tassi di partecipazione femminile alla vita politica, il diritto di famiglia e i diritti di proprietà sono ancora a favore degli uomini.
Nonostante, quindi, la lotta per la dignità delle donne non sia affatto conclusa, ormai, io penso che si debba passare a un’altra fase, superando la dicotomia maschio-femmina.
In questi anni, abbiamo imparato dalla scienza che esistono e devono avere uguale cittadinanza tutte le identità sessuali: lesbiche, gay, bisessuali, transgender e chiunque sia alla ricerca del suo genere.
 Ormai, dobbiamo aver compreso che siamo tutti esseri umani e, in quanto tali, dobbiamo avere gli stessi diritti e opportunità. È una questione morale.
Se poi siamo religiosi, ancora meglio: siamo tutti figli di Dio e rispettare Dio è anche rispettare tutte le sue creature.

Renata Rusca Zargar

sabato, gennaio 14

IL PREZZO DELLA SABBIA E LA SABBIA DA BUTTARE DI NIAMEY di P. MAURO ARMANINO



             Il prezzo della sabbia e la sabbia da buttare di Niamey

C’è sabbia e sabbia.  Quella che si vende, quella gratuita e quella da buttare. La sabbia bianca è più cara di quella rossa ma entrambe sono aumentate di prezzo a Niamey, capitale e cantiere permanente. I motivi dell’aumento dei prezzi della sabbia da costruzione sono molteplici. Complice il livello dell’acqua del fiume è più difficile trovare posti utili all’operazione. Le tasse della municipalità e il rincaro del gasolio rendono il viaggio di sabbia col camion più oneroso a seconda dalla distanza da percorrere. Molta gente vive della sabbia. Gli scavatori, i rivenditori, i trasportatori e infine i lavoratori sui cantieri che, grazie alla sabbia, sbarcano il lunario in questi tempi di recessione armata. 

La sabbia gratuita si respira con la polvere, si porta in giro senza accorgersene, si adagia come un tappeto e si confonde con la cronaca. Il quotidiano dei cittadini né è impregnato perché, dalla politica all’economia passando per il lavoro, la sabbia è come un cane fedele che aspetta il ritorno a casa del padrone. Inutile lamentarsi della lentezza della connessione del net, dell’incertezza della linea telefonica appena riparata o delle fatture esorbitanti dell’elettricità. La sabbia costituisce come il collante di un mondo che, senza di lei, cadrebbe nel mercantilismo più feroce di cui la gestione della pandemia del Covid ha dimostrato i limiti.

La sabbia da buttare, invece, si trova di norma lungo le strade della città. Passano con irregolare scadenza i pulitori che, armati di giubbetto verde, ramazza, pala e carriola, ammassano la sabbia e poi la spostano più in là di qualche metro. Essa, consapevole della sua identità, torna appena possibile al posto a lei assegnato dal destino. La sabbia da buttare è costituita dalla maggioranza del popolo che vive nell’indigenza. Appare il più sovente come carico da buttare, se necessario, per salvare la nave dal naufragio. Sono decretati inutili, invisibili e superflui. Sono coloro che si sanno attraversati dalle elezioni presidenziali, le campagne elettorali, i progetti di sviluppo e le promesse di un paradiso nel caso tutto il resto andasse male. 

Delle tre sabbie citate, quella che è aumentata di prezzo, quella gratuita e la sabbia da buttare, sarà quest’ultima che, come preziosa eredità, rimarrà per sempre sulle strade della storia.

   Mauro Armanino, Niamey, 15 gennaio 2023



lunedì, gennaio 9

ANNO NUOVO E POLVERE ANTICA: IL TEMPO DEL SAHEL di P. MAURO ARMANINIO



                         Anno nuovo e polvere antica:

 Il tempo del Sahel

Cambiamento climatico o no, la polvere portata dal vento è arrivata puntuale come un orologio svizzero di una volta. Qui nel Sahel abbiamo tutto il tempo del mondo, all the times in the world, cantava il grande Louis Armstrong. Sotto il sole del Sahel abbiamo un tempo per tutto e tutto per un tempo, proprio come affermava a partire dall’esperienza, il saggio Qoelet. Un tempo per partorire e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per deforestare. Un tempo per piangere e uno per ridere, un tempo per lamentarsi e un tempo per danzare. Un tempo per abbracciarsi e un tempo per astenersi. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per custodire e un tempo per buttare. Un tempo per parlare e un tempo per tacere, un tempo per amare e un tempo per odiare. Un tempo per la guerra e un tempo per la pace che il Sahel ha persa. Chi potrebbe affermare, dice ancora il saggio, che qualcosa è accaduto per la prima volta?

Altrove non c’è più tempo e anche per questo si moltiplicano gli orologi in modo esponenziale. Li si trova dappertutto, dai cellulari alle insegne delle farmacie passando per i negozi senza dimenticare quelli ancora ai polsi dei nostalgici. Il tempo non basta mai per la semplice ragione che quando diventa la misura del denaro o come una preda da cacciare sarà sempre altrove: un passo in avanti. Qui sappiamo bene che il tempo va abitato con rispetto e stupore per quanto può offrire ogni giorno perché ogni giorno è una vita. Ci si attarda a salutare senza contare il tempo e se qualcuno muore tutto si ferma ad oltranza per vivere bene il commiato. Qui nel Sahel, tra il tempo e la vita, si è sviluppata un’ingenua complicità perché ciò che conta è il presente. La casa, il lavoro, la salute, la scuola, i matrimoni, la politica e persino le religioni, costituiscono l’esempio più eloquente dell’incertezza che trova nella polvere il suo destino. La polvere è da noi la misura del tempo.

Sono cambiati i calendari perché si è deciso che l’anno nuovo è arrivato e poi, nell’insieme, tutto continua come e quanto prima. Non c’è nulla di magico nella storia umana perché essa non fa che raccontare a memoria quello che le abbiamo insegnato con le viltà e gli eroismi di ogni giorno. Ecco perché vale la pena mettersi in ascolto della polvere, fedele compagna quotidiana del Sahel. Umile, paziente, tenace, fedele, costante e lieve, arriva col vento come alleato e offre a tutti, senza distinzioni di ceto sociale o discriminazioni di classe, la sua gratuita Epifania. In effetti tra il tempo e la polvere si è instaurata come un’alleanza che il passare delle stagioni e degli imperi non ha fatto che rendere più autorevole. La polvere copre il tempo con delicata premura e il tempo, da parte sua, ricorda alla polvere che in lei e da lei tutto nasce e tutto torna. L’eternità non è che polvere che il vento porta lontano, verso il mare.

                                                                                            

     Mauro Armanino, Niamey, 8 gennaio 2023

venerdì, gennaio 6

IL SEGRETO DI AMRIT KAUR di LIVIA MANERA SAMBUY - recensione di DANILA OPPIO

 


Livia Manera Sambuy is an Italian literary journalist and contributing editor to the literary pages of the leading Italian daily newspaper, Corriere della Sera. She is the author of two documentary films on Philip Roth and of the book You’ll never write about me again (Feltrinelli, Milan, 2015).

Livia Manera Sambuy è una giornalista culturale che scrive di libri e scrittori dell'area anglo-americana sulle pagine letterarie del Corriere della Sera. E’ l’autrice di due documentari su Philip Roth, e del libro Non scrivere di me (Feltrinelli, 2015).

Livia Manera Sambuy est une journaliste culturelle italienne, spécialisée dans les livres et les écrivains anglo-saxons, pour la rubrique littéraire du quotidien de référence Corriere della Sera. Elle est autrice aussi de deux films documentaires sur Philip Roth, et du livre N’écrire pas sur moi (Feltrinelli, Milan, 2015).


Livia Manera Sambuy è nata in Italia. Mentre studiava Lettere Moderne all'Università degli Studi di Milano, ha iniziato a lavorare come reporter culturale per diverse testate italiane, tra cui i quotidiani nazionali La Repubblica e La Stampa. Nel 1986 ha tradotto per la casa editrice Garzanti Di cosa si parla quando si parla d'amore di Raymond Carver. Dal 1981 al 1990 è stata redattrice collaboratrice del supplemento letterario Tuttolibri de La Stampa, specializzata in letteratura contemporanea inglese e americana. Nel 1990 e nel 1991 è stata responsabile dell'Ufficio Pubblicità della casa editrice Einaudi. Dal 1992 al 1997 ha lavorato ancora per Tuttolibri de La Stampa, poi è stata inviata speciale del settimanale Liberal (1998-99), e ha iniziato un lavoro di scouting decennale per il dipartimento di narrativa straniera dell'editore italiano Rizzoli. Dal 1999 è redattore collaboratore delle pagine letterarie del principale quotidiano nazionale italiano, il Corriere della Sera. Alcuni suoi profili di scrittori come Kurt Vonnegut, David Foster Wallace o Philip Roth, originariamente scritti per il Corriere della Sera, sono apparsi anche su testate estere. Fa parte del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Santa Maddalena di Donnini (Firenze). È stata membro della giuria del Premio Letterario Internazionale Von Rezzori dal 2005 al 2010. Nel 2010 ha realizzato un documentario su Philip Roth, Philip Roth sans complexe, per il canale culturale franco-tedesco ARTE e per la RAI italiana. Nel 2012 ha scritto e co-diretto Philip Roth: Unmasked, un nuovo film documentario per la serie PBS "American Masters". Nel 2015 ha pubblicato un libro di incontri molto personali con alcuni scrittori nordamericani, dal titolo Non mi scriverai mai più (Feltrinelli, Milano, aprile 2015). Ora sta lavorando a un altro libro di “saggistica narrativa”. Dal 2008 vive a Parigi ma viaggia molto negli Stati Uniti, in Italia e nel Regno Unito

Il segreto di Amrit Kaur
Autore: Livia Manera Sambuy
Pubblicato da Feltrinelli - Settembre 2022
Pagine: 320 - Genere: Narrativa Contemporanea
Formato disponibile: Brossura, eBook
Collana: I narratori
ISBN: 9788807035128
ASIN: B0B5VJXLGK

Il segreto di Amrit Kaur, di Livia Manera Sambuy è un mystery avvincente, basato su fatti e personaggi reali, un commovente ritratto di donne, attraverso i secoli e i continenti, alla ricerca della libertà a qualsiasi costo. 

A pochi giorni dal funerale del fratello, Livia si ritrova in un museo di Mumbai, davanti all’immagine di una giovane donna avvolta in “un sari impalpabile e traslucido”, una principessa indiana. È vero, come legge nella didascalia che accompagna lo scatto, che la principessa ha venduto i suoi gioielli per salvare vite di ebrei? E che per questo è stata arrestata, ed è morta in un campo di concentramento? “È così,” scrive l’autrice, “che è cominciata quest’avventura: come un lampo di curiosità in un momento della mia vita in cui il senso di perdita era così intenso da oscurare sia il passato sia il futuro. Desideravo saperne di più. Desideravo capire che cosa avesse spinto una principessa del Raj a lasciare l’India per Parigi negli anni Trenta; e soprattutto desideravo scoprire che cosa l’avesse trattenuta là finché era stato troppo tardi.” Istintivamente, visceralmente, Livia si lascia coinvolgere nel mistero, perdendosi nella storia del Raj britannico, tra i diamanti e gli zaffiri dei suoi palazzi, tra i balli e i giubilei dell’aristocrazia del Novecento, e nelle vite di personaggi straordinari come il maharaja Jagatjit Singh di Kapurthala, il banchiere ebreo Albert Kahn e l’esploratore russo Nicholas Roerich, tutte tessere di un mosaico che lentamente restituisce nella sua sorprendente interezza la figura di Amrit Kaur. Dopo l’incontro con la figlia ottantenne della principessa, “Bubbles”, la ricerca assume una nuova dimensione: mentre si sforza di riavvicinare una figlia alla madre che l’ha abbandonata, Livia si ritrova a sciogliere alcuni nodi della sua stessa vita. Il segreto di Amrit Kaur è un mystery avvincente, basato su fatti e personaggi reali, un commovente ritratto di donne, attraverso i secoli e i continenti, alla ricerca della libertà a qualsiasi costo. Un romanzo in cui perdersi, per ritrovarsi.
Se volete leggere l’introduzione del libro, lo trovate a questo link: 


Livia Manera per me è una scrittrice coi fiocchi e contro-fiocchi, il libro che vi sto presentando è molto interessante, dai contenuti storici, pur se imperniati sulla storia di una nobile famiglia indiana, dei Maharajah Mandi e Kapurthala – Consiglio vivamente la lettura di un valido romanzo che tratta del periodo storico tra le due Guerre Mondiali e dell’impero anglo-indiano fino all’indipendenza dell’India, con tutto quanto accadde.


Con il termine di Impero anglo-indiano oppure Impero indiano (in inglese British Raj, detto anche Territori della Corona in India) si indica l'insieme di domini diretti, indiretti e protettorati che il Regno Unito e i suoi predecessori accumularono e organizzarono nel sub-continente dal XVII al XX secolo.
Esso comprendeva per tradizione sia i territori amministrati direttamente dal Regno Unito (chiamati collettivamente British India), sia i territori governati da regnanti indigeni ma sottoposti a protettorato inglese (detti Stati principeschi. 
L'idea di uno stato unitario per comprendere i domini britannici nella regione geografica dell'India, avvenne dopo il 28 giugno 1858, ovvero dopo i moti indiani del 1857 che imposero la soppressione della Compagnia britannica delle Indie orientali ed il trasferimento dei suoi territori direttamente alla Corona inglese nella persona della Regina Vittoria, Il nome di impero indiano nacque invece nel 1876, quando la regina Vittoria venne proclamata imperatrice d'India.
Con l'indipendenza concessa nel 1947, grazie alle campagne non violente di Gandhi, sui territori del cosiddetto Raj britannico sorsero gli attuali stati di India, Pakistan (a sua volta diviso dopo l'indipendenza del Bangladesh, nel 1971) e Birmania. Grazie a questi domini, dal tempo della regina Vittoria nel 1876, fino a Giorgio VI, nel 1947, i sovrani britannici poterono fregiarsi del titolo di "Imperatori d'India".
Il subcontinente indiano fu il possedimento che più di ogni altro rese l'Impero britannico una superpotenza mondiale; in esso viveva oltre il 75% della popolazione totale dell'impero e fu il principale esportatore di materie prime.

Quanto riportato sopra è ripreso da Wikipedia, il contenuto del libro è talmente avvincente che, e so di ripetermi,  consiglio vivamente la lettura! 

Danila Oppio




SIDDY, LA STELLINA VAGANTE di GIOVANNA GIORDANI

E' una fiaba che avevo scritto qualche anno fa per i bambini piccoli e cresciuti...Un caro saluto a voi che avete la pazienza e la bontà di leggere! GIOVANNA GIORDANI



SIDDY, LA STELLINA VAGANTE

Siddy era una stellina molto piccola ed era quasi senza luce. Era nata così, da una famiglia di stelle grandi e magnifiche che si potevano ammirare nel cielo. I suoi genitori-stelle e le sue sorelle-stelline le volevano molto bene e si rammaricavano che non potesse splendere come loro. Nelle limpide notti d’inverno le stelle si specchiavano fra di loro, ma Siddy non rifulgeva come le altre e se ne stava in disparte con un’ombra di tristezza sul faccino circondato dai suoi piccoli raggi quasi invisibili. 

Gli anni passavano e dal cielo le stelle assistevano a tutto quello che avveniva sul pianeta Terra dove vedevano gli umani che spesso si azzuffavano e si facevano del male, ma qualche volta, per fortuna, alcuni si abbracciavano. Alle stelle piacevano particolarmente quelli che si abbracciavano e non si facevano del male.

Certe notti le stelle si accorgevano che alcuni umani si soffermavano a guardarle tanto intensamente solleticando così la loro vanità e allora si divertivano e ridevano diventando così sempre più splendenti.

Una notte d’inverno particolarmente limpida e serena la nostra Siddy chiese ai suoi genitori di poter scendere sul pianeta Terra poiché le era sembrato di vedere, fra l’oscurità che lo avvolgeva, una luce particolare che sembrava perfino più bella e luminosa della loro.

I genitori-stelle dapprima risposero con un “no” deciso, ma poi, a seguito delle continue insistenze della loro figlioletta che era nata così diversa da loro, decisero di acconsentire, ma ad una sola condizione: avrebbe dovuto far ritorno prima dell’alba.

Siddy felicissima si mise in cammino e cominciò a scendere lentamente dal cielo verso quella luce che l’attirava come una calamita. La Terra ormai non era più così lontana e lei stava sorvolando grandi pianure, laghi, mari e montagne, seguendo sempre quella bellissima luce. Finché giunse sopra una grande prateria dove i pastori conducevano le loro greggi. A loro poi si univano altre persone e perfino dei re. Siddy ormai era proprio vicinissima e poteva anche sentire le loro voci. Ecco, parlavano proprio della luce verso la quale lei si stava dirigendo e riuscì a udire solo queste parole: - Verranno anche gli angeli e canteranno divinamente -. Siddy era davvero sempre più incuriosita e, mano a mano che si avvicinava alla sua meta, si accorse che quella luce speciale proveniva da una capanna dove stava una mamma, un papà e un bambino in una culla. Ma, meraviglia delle meraviglie, il bambino era attorniato da quel fulgore accecante che lei aveva visto dal cielo e tutto intorno un coro di angeli cantava dolcissime canzoni. Lei li aveva visti ancora gli angeli passeggiare dalle sue parti, ma non sapeva che sapessero cantare così bene!

Siddy era emozionatissima, sentiva dentro di lei una grande curiosità e, piano piano, cercando di non farsi notare si avvicinò a quella capanna e cercò di appoggiarsi leggera sul tetto da dove le sembrava di poter ammirare meglio quello spettacolo meraviglioso. Appena adagiata sul bordo del tetto di paglia Siddy si sentì pervadere da una grande gioia e, mentre gli angeli cantavano, le parve che il bambino nella culla le sorridesse. La piccola stellina si rese conto allora che qualcosa di straordinario stava accadendo proprio a lei, poiché la luce che emanava quel bambino la stava avvolgendo facendola splendere come non mai. Le persone che si inginocchiavano davanti a quel pargoletto nella culla alzavano lo sguardo anche verso di lei e si accorse di non essere mai stata così felice in vita sua. Passò così tutta la notte, una notte che Siddy desiderava non finisse mai. Ma, appena l’alba si annunciò all’orizzonte, si ricordò della promessa fatta ai suoi genitori-stelle e cercò di staccarsi delicatamente da quel luogo meraviglioso mentre quel bellissimo bambino ora stava dormendo col sorriso sulle labbra. Gli angeli avevano smesso i loro canti per non svegliarlo e tutto intorno regnava pace e serenità. 

Siddy iniziò a muoversi lentamente, si ricordava benissimo la strada verso il cielo e raggiunse senza batter ciglio la sua famiglia stellare. Quando i suoi genitori, le sue sorelle e tutte le stelle del vicinato la videro arrivare la accolsero con un grande “ohhhhhh”, poiché Siddy era diventata una stella di una luminosità indescrivibile e la sua luce era diversa e senz’altro più bella di quella delle altre stelle. Le fecero tante domande e allora la stellina che una volta splendeva poco, raccontò del suo incontro con il Bambino nella culla circondato da quella luce che lei aveva voluto raggiungere dal cielo e di come quella medesima luce l’aveva avvolta durante tutta la notte. Raccontò di come gli angeli avevano cantato delle bellissime canzoni vicino alla culla di quel luminoso bambino e di come poi lui si era dolcemente addormentato.

- Credo di aver capito – disse a Siddy la sua mamma-stella - quel bambino splendeva di una luce che, al confronto, la nostra è ben poca cosa, e te ne ha voluta donare un po’ perché l’hai voluta vedere da vicino -

- Siamo fieri di te carissima figlioletta - dissero allora i suoi genitori-stelle.

- Anche noi - ripeterono in coro tutte le altre stelle.

Poi nel cielo si fece una grande festa e Siddy era veramente al colmo della felicità.

Anche ai giorni nostri, nelle notti serene e senza vento, scrutando attentamente il cielo stellato, si può intravedere la bellissima Siddy e, a fissarla bene, può succedere che lei faccia giungere un suo piccolo raggio negli angolini dei cuori che accolgono volentieri la luce ineguagliabile della bontà.

Giovanna Giordani