Cécé con Padre Armanino
Nomi e storie di sabbia dal Sahel
Cécé, che faceva il piastrellista nella sua Guinea d’origine è appena tornato dall’Algeria dove non poteva mai uscire dal cantiere edile dove aveva trovato, infine, un lavoro precario. Dice che lo pagavano a volte e meno del dovuto. Non valeva la pena rimanere ancora ed ha scelto dunque di tornare a casa per ritrovare lo stesso mestiere che aveva lasciato l’anno prima. Un’andata e un ritorno a tappe che traccia geografie politiche, frontiere immaginate, espulsioni, deportazioni, allontanamenti mirati e destini sconfitti. Il sentimento di vergogna per quanto investito in termini di tempo, denaro, energie, sogni e rimpianti si mescola con l’amaro sollievo di essere, malgrado tutto, ancora in vita. Non è poco di questi tempi nei quali i mari, i deserti e soprattutto l’uso delle frontiere non sono che sofisticati sistemi di eliminazioni a punti.
Arrivano il giorno dopo ma sono in città, a loro dire, da un paio di settimane. Entrambi originari della Liberia e partiti assieme alla volta del Sudan con la segreta speranza di raggiungere, via l’Egitto, l’Europa. Maurice ha fatto l’università e insegnava mentre Amos si affermava come tecnico nell’ informatica. Solo che nel Sudan la situazione è tragica a causa della resistenza alla dittatura militare. Trovano inutile e impossibile rimanere ulteriormente nel Sudan e qui sopravvivono dormendo dove possono ospiti del Mercato Grande di Niamey. Sono in attesa di rifare il cammino di ritorno al Paese che li ha abbandonati dopo averli illusi con un presidente e una pace senza pane e fantasia. Profumano di viaggio e di avventure mai sopite perché vanno in Liberia con qualche anno e alcuni deserti in più da raccontare a coloro che hanno lasciato a casa.
Vivono, assieme a James, i suoi quattro figli e la madre, sotto una precaria tenda che non protegge da nulla. Come nuovi ‘naufraghi dello sviluppo’, come li definiva l’amico economista Serge Latouche anni or sono. Superstiti di un modello di società che non solo crea ma abbisogna di naufraghi come loro. Utili per tenere a bada la ciurma della nave, perché non si ammutini per dell’assenza di terra all’orizzonte. O allora sono anch’essi da annoverare tra i disertori che fuggono da quanto di più certo hanno, come noi, ereditato: una terra, le loro radici, una lingua e una storia. Rischiano un altrove senza avere le stesse garanzie di Abramo che, già anziano, aveva scelto di abbandonare la sua terra, con una parvenza di promessa divina.
Invece Alfred giura che non era mai passato da noi, che era tornato dall’Algeria, che lì era stato prima braccato e poi espulso. Che aveva perso il suo bagaglio rubato alla stazione dei bus e per questo non aveva documenti! Niente della sua storia, lo avrebbe confessato il giorno dopo, corrispondeva al vero eppure era la sua unica storia del momento. Lui e altri nomi sono gli artisti di un mondo che, forse, solo la sabbia può tornare a creare con un sorriso di complicità.
Mauro Armanino, Niamey, 22 gennaio 2023
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