POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

lunedì, ottobre 30

NEL NIGER LO SPETTACOLO NON MANCA di P. MAURO ARMANINO

Nel Niger lo spettacolo non manca

Carissimo P. Mauro, 

lo so che non mi hai inviato il solito articolo settimanale, ben sapendo che la mia salute non mi avrebbe permesso di pubblicare sui miei blog, ma hai scordato che sono una cacciatrice di notizie, e quindi su 


dove i tuoi articoli vengono ripresi, ho trovato quel che mi mancava così, volente o nolente, eccoti anche sui miei due blog.
Ed io rispetto le tradizioni, non manco mai ai miei impegni. Ti ringrazio per la compagnia che mi hai tenuto durante la mia odiosa malattia, per il sostegno amichevole e spirituale che mi è stato di grande aiuto. Continua ad inviarmi notizie dal Niger. Sai che ci tengo tanto.
Danila

24 Ottobre 2023

Uno sguardo un po’ pirandelliano sulla commedia delle vicende del potere del Paese saheliano. Con l’improbabile tentativo di “evasione” verso la Nigeria del presidente deposto, e di tutto il suo seguito, tenuto in custodia nella sua residenza da ormai tre mesi. Mentre la gente comune, ancora una volta, rimane a guardare e attende, con sapiente calma, quanto potrebbe scaturire dalla fantasia politica di cui il Niger custodisce gelosamente il segreto. Sono infatti in molti a domandarsi quale sarà la prossima mossa di un copione non scritto eppure assai ricco di colpi di scena.

Il presidente deposto Bazoum con il rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’UE, Josep Borrell, quando l’Europa era disposta a sborsare 320 milioni di euro in armi per l’esercito di un Paese considerato “un’ancora di stabilità” indispensabile alle strategie della sicurezza del nord del Mediterraneo e un alleato fedele nella guerra contro i migranti. La foto è tratta da Nigrizia

Forse non mi sbagliavo quando, fin dall’inizio, mettevo in relazione quanto accaduto a Niamey il 26 luglio scorso e le settimane seguenti, con un’opera di Luigi Pirandello. Personaggi in cerca d’autore, sei nell’opera di Pirandello e molti di più nella realtà nigerina. In entrambi i casi è difficile o almeno problematico identificare l’autore. I personaggi si muovono, parlano, agiscono e chi scrive la parte è sconosciuto. Anche quest’ultimo fatto in ordine di tempo non fa che confermare quanto evidenziato. Un presunto tentativo di ‘evasione’ da parte del presidente riconosciuto dalla comunità internazionale tenuto prigioniero dai militari che avrebbero dovuto assicurarne la protezione. ‘Evasione’ si dice di un prigioniero che tenta di scappare dal luogo di detenzione nel quale si trova. Per alcuni potrebbe trattarsi di un legittimo tentativo di fuga dalla prigionia e per altri di ‘fuga’ considerando una custodia che dura da quasi tre mesi. Perlomeno rocambolesco l’insieme, perché tutta la famiglia, i cuochi e persino due persone adibite alla sicurezza sarebbero state coinvolte nel tentativo. Naturalmente il tentativo, o presunto tale, è fallito.

Erano le tre del mattino di giovedì 19 ottobre, secondo il comunicato ufficiale del governo, quando il tentativo di fuga è stato frustrato, Secondo il piano previsto, il deposto presidente avrebbe dovuto raggiungere con l’auto un quartiere periferico dove due elicotteri (di potenze straniere non citate), l’avrebbero infine condotto nella vicina Nigeria. Un film d’avventura, un romanzo, una messa in scena, una realtà ancora più reale di quanto si potrebbe immaginare… Personaggi in certa d’autore o autori in cerca di personaggi è difficile dire ma un’inchiesta è stata aperta dal procuratore delle repubblica e alcune persone sono state arrestate. Il popolo, ancora una volta, rimane a guardare e attende, con sapiente calma, quanto potrebbe accadere dalla fantasia politica di cui  il Niger custodisce gelosamente il segreto. Sono infatti in molti a domandarsi quale sarà la prossima mossa di un copione non scritto eppure ricco di colpi di scena.

Come accaduto nel confinante Burkina Faso, che ha commemorato l’assassinio di Thomas Sankara, avvenuto il 15 ottobre del 1987, anche nel Niger è stata lanciata la creazione di un fondo di solidarietà per la salvaguardia della Patria. Chi ha lanciato la proposta è l’attuale giunta militare al potere dal 26 luglio scorso e battezzatasi ‘Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria’, in breve CNSP. Il fondo in questione dovrebbe servire per contribuire a rafforzare le capacità di operazione delle Forze della Difesa e di Sicurezza. Detto fondo dovrebbe altresì servire all’assistenza delle persone sfollate, al ritorno e alla loro reintegrazione. Come non ricordare, a proposito di patria e della sua salvaguardia, quanto cantava Franco Battiato nel secolo scorso: “Povera patria/ Schiacciata dagli abusi del potere/ Di gente infame, che non sa cos’è il pudore/ Si credono potenti e gli va bene quello che fanno/ E tutto gli appartiene…”.

 I personaggi in cerca d’autore recitano in un dramma che solo la sabbia potrà forse rivelare, un giorno.

                           

P. MAURO ARMANINO - Niamey, 22 ottobre 2023



venerdì, ottobre 27

IMAGINE DI JOHN LENNON e IMMAGINATE PROVE D'ORCHESTRA NEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO



 Immaginate: prove d’orchestra nel Sahel
Cosa faremmo senza un nemico, un avversario da combattere, un’ostile presenza che accompagni il nostro pensiero politico. Ammettiamo infine. Sarebbe un guaio serio accadesse all’improvviso non avere più nulla o nessuno da combattere. Lo cantava squisitamente, il passato millennio, John Lennon nel suo famoso e mondialmente riconosciuto ‘Imagine’…
’Immaginate non ci siano patrie…non è difficile farlo, nulla per cui uccidere o morire…immaginate tutta la gente che vive la vita in pace …immaginate una fratellanza di persone, immaginate tutta la gente condividere tutto il mondo’… Lennon fu ucciso l’8 dicembre del 1980.
Il dramma di questi giorni passati e tutt’ora in atto non fa che confermare la veridicità dell’assunto sopra enunciato. Nei misteri della storia umana sembra che le parti in conflitto armato in Israele, Palestina abbiano entrambi bisogno di un nemico per giustificare le proprie politiche di resistenza o di occupazione armata. La maggiore responsabilità incombe sullo stato di Israele che la guerra permanente assicura come laboratorio riconosciuto di sorveglianza, armi e segregazione di tipo razziale. Dall’altra parte, con costi innumerevoli di vite umane si cerca di sopravvivere politicamente nello scacchiere del Medio Oriente.
Ma anche altrove, nel Sahel ad esempio, non si scherza  affatto. Immaginate smettessimo di costruire, identificare, usare e promuovere la ‘coltivazione’ di nemici … che rimarrebbe dei gruppi armati ‘terroristi’, delle spese militari, delle emergenze umanitarie e dei militari che saturano lo spazio sabbioso delle nostre politiche. Che il nemico sia reale o meno non importa. Ciò che conta è che esso sia ritenuto tale ed entri a pieno titolo nella realtà creduta da una parte dei cittadini. Ciò che è creduto vero diventa reale e dunque in grado di assicurare le conseguenze della sua esistenza. Ad ogni stagione politica arrivano puntuali i nemici!
Le forme culturali, ideologiche, religiose ed economiche secernono il tipo di nemico adatto al momento propizio che il potere del momento abbisogna per garantire e assicurare la propria stabile precarietà.  Qualcuno scrisse saggiamente che, nel caso si demoliscano le statue, di lasciare il piedistallo perché sarà sempre utile nel futuro, Gli eroi di ieri possono diventare i nemici di oggi e viceversa chi oggi è dichiarato nemico potrebbe essere riconosciuto salvatore della patria. Tra patrioti, combattenti, partigiani, nemici del popolo o terroristi si tratta spesso dal punto di osservazione dal quale si legge la realtà.
Nemici e divinità camminano spesso assieme perché affermano entrambi, per processi culturali affini, elementi di esclusione, discriminazione, appartenenza identitaria o cammino di salvezza per una parte del mondo. Sappiamo bene che, anche dal punto di vista psicologico, il nemico spesso contribuisce alla costruzione della proprio identità. Ci si misura ‘contro’ qualcuno e, specie in ambito politico, il nemico è colui che giustifica ogni tipo di strategia fino, talvolta, la propria esistenza. Non c’è nulla che renda compatto un popolo attorno ai propria capi come la chiamata a raccolta contro un nemico, vero o fittizio.
La difesa da un possibile o probabile attacco del nemico nel proprio territorio, la difesa del popolo, di una religione e, talvolta, dello stesso Dio, condurrà a compattare il popolo attorno ai propri capi. Quale potere, infatti, potrebbe sopravvivere a lungo senza un nemico accertato e riconosciuto da molti. Le stesse campagne elettorali si svolgono sullo sfondo del contrasto ad un nemico del popolo, della democrazia, o delle legittime aspirazioni di una parte di esso. L’eventuale scomparsa improvvisa e inattesa, no preparata, del nemico, lascerebbe un vuoto difficilmente colmabile da coloro che detengono il potere.
Per chi ha fatto del potere un fine in sé non potrebbe accadere nulla di peggiore che rimanere senza un nemico. Rimarrebbe come orfano e smascherato dalle parole di verità del bimbo della favola che, solo tra tutti, affermò che il re era nudo.

          Mauro Armanino, Niamey, 15 ottobre 2023


giovedì, ottobre 12

LE PAGINE DEL NATALE - sesta Edizione de CASA EDITRICE "L'ARGOLIBRO"

"Le Pagine del Natale": parte la sesta edizione!

 


L’Associazione Artistico-letteraria «Gli Occhi di Argo» e la Casa Editrice «L’ArgoLibro» organizzano la sesta edizione del Concorso Nazionale letterario gratuito “Le Pagine del Natale”.

Sono ammessi:

- racconti, fiabe, favole e leggende di massimo 4500 (quattromilacinquecento) caratteri spazi inclusi;

- poesie o filastrocche di massimo 40 versi.

Argomento: il Natale nelle sue molteplici espressioni, sfaccettature, manifestazioni.

Inviare il testo originale e inedito (è possibile partecipare a una sola sezione e con un solo elaborato) entro il 31 ottobre 2023 all’indirizzo largolibro@gmail.com. Gli elaborati vanno inviati in formato Word (.doc), non sono ammessi altri formati.


Entro tre-quattro giorni, la Redazione del concorso invia un’e-mail di conferma di corretta ricezione del file. In caso non giunga tale e-mail, si prega di contattare la Redazione al 3395876415 (anche con messaggio WhatsApp). 

La partecipazione al concorso È TOTALMENTE GRATUITA.

Un’apposita commissione, il cui giudizio è insindacabile, sceglierà i testi vincitori che saranno inseriti nella speciale Antologia realizzata e pubblicata dalla casa editrice «L’ArgoLibro» in occasione del Natale 2023.

L’inserimento nell’Antologia sarà GRATUITO.

I racconti e le poesie devono essere inediti, con l’adesione al bando si autorizza implicitamente «Gli Occhi di Argo» e «L’ArgoLibro» all’inserimento e alla pubblicazione nell’Antologia.

Gli autori resteranno titolari dei diritti sulle loro opere, fatta salva la pubblicazione di cui sopra per la quale non potranno richiedere alcun compenso.

L'antologia sarà ampiamente pubblicizzata e venduta sulle pagine web della casa editrice e gli autori inseriti interessati al facoltativo acquisto usufruiranno di uno sconto sul prezzo di copertina.

Con la partecipazione i concorrenti dichiarano implicitamente che i testi presentati sono di loro composizione, inediti, e accettano tutte le norme che regolano questo bando.
I dati personali saranno trattati secondo quanto disposto dalla legge sulla privacy 675/96.

Per qualsiasi ulteriore informazione: largolibro@gmail.com - 3395876415

DARE IL NOME GIUSTO ALLE COSE. ISTRUZIONI PER L'USO NEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO

  Dare il nome giusto alle cose. Istruzioni per l’uso nel Sahel

Ci siamo conosciuti dopo il suo soggiorno nella sezione femminile della prigione di Niamey mentre era incinta. Samira Sabou è giornalista e presidente dell’associazione di coloro che si esprimono pubblicamente tramite i ‘blog’. Dopo aver avuto problemi col figlio dell’allora presidente del Niger e tenuta sott’occhio dal regime precedente, sembra che pure con le attuali autorità militari del Paese le cose non vadano molto meglio. Scrive infatti un sito informativo della capitale...
‘Il 30 settembre 2023 è stata arrestata nel domicilio di sua madre a Niamey da diversi uomini col volto coperto che si sono presentati come membri delle forze di sicurezza. Essi, dopo aver esibito i loro documenti, hanno insistito perché Samira li segua nell’auto.  Dopo essere stata a sua volta incappucciata è stata condotta in un luogo sconosciuto. Da allora non ci sono tracce di lei e del luogo eventuale di detenzione. Il servizio delle inchieste criminali della polizia di Niamey afferma di non possedere nessuna informazione a proposito’. (Actuniger)
Samira riportava spesso sul suo blog articoli di varia origine e natura. D’abitudine cercava di pubblicare notizie da fonti certe. Secondo il detto di alcuni, in questi giorni era stata verbalmente minacciata e attaccata sui mezzi di comunicazione informale più utilizzati in città. Difficile parlare di un tragico errore, di semplice noncuranza giuridica o di squallida messa in scena per intimidire le parole. Ci troveremmo, anche in questo caso, in ciò che ricordava Karl Marx: quando la storia si ripete è dapprima tragica e poi diventa una farsa. Sarebbe dunque un caso di attitudini speculari al regime precedente, riconosciutosi nella parola ‘Rinascimento’ di qualcosa o qualcuno che in realtà non è mai nato. In questi ultimi anni le parole si sono gradualmente mutate in sabbia, polvere e vento che tutto ha cancellato al suo passaggio. Quanto scritto, promesso, affermato, assicurato e garantito è stato sistematicamente tradito nella menzogna delle parole. Questo è il peggior delitto che una persona possa commettere: manomettere le parole e dunque la realtà che di esse è l’esatta misura. Per questo motivo ogni regime al potere, peggio se totalitario, nulla teme quanto le parole.
Non accada che Samira, ossia la parola che ha tentato di dare un nome giusto alle cose è rivoluzionaria, come ricorda opportunamente Rosa Luxembourg. Portata via col viso coperto per impaurirla, la parola, sottratta dalla propria casa materna, deportata in un luogo tenuto segreto, la parola che è quanto di più serio e sacro ci sia perché le parole creano, fanno e disfanno il mondo. ‘Morte e vita sono in potere della lingua: chi l’ama ne mangerà i frutti’, scrisse il saggio nel libro dei Proverbi. Dire la verità significa chiamare le cose con il loro nome. 
… ‘Dal profondo di te stesso nascono i tuoi pensieri con quattro risultati diversi: il bene e il male, la vita e la morte, eppure su tutte queste cose domina la lingua’…, scrisse il saggio nel libro del Siracide. Liberare Samira è come tornare a liberare la parola che poi è l’unica rivoluzione che meriti davvero questo nome.

          Mauro Armanino, Niamey, 8 ottobre 2023

Ndr: À l'issue de son audition par la justice, la journaliste nigérienne Samira Sabou a été remise en liberté provisoire mercredi après-midi 11 octobre à Niamey.

lunedì, ottobre 9

RITORNO AD OSLO - SECONDA PARTE di DANILA OPPIO

 Ecco la seconda parte del mio viaggio a Oslo della settimana scorsa.

Dopo aver visitato il Museo dedicato a Munch, ho girato, in compagnia di mio figlio, altri luoghi interessanti della città, che non avevo potuto vedere in precedenza, pur essendo stata in Norvegia più di una volta, e in particolare a Oslo.


Mappa del centro di Oslo da cui si nota il Munch Museum e l'Aker Brygge. 


Qui ho gustato un ottimo sushi


Qui ho abitato, vicino alla scuola elementare Fernanda Nissen skole e al kindergarten e passeggiato lungo l'Akerselva, il fiume che attraversa la città,  con mio figlio, un fiume che in alcuni punti forma delle cascatelle piuttosto violente.





Girando un altro giorno lungo i moli del porto di Oslo, ho potuto fotografare angoli incantevoli, alcune foto sono di mio figlio




IL PORTO DI OSLO DOVE ATTRACCANO MOTOSCAFI, VAPORETTI, E A VOLTE ANCHE NAVI DA CROCIERA


DA QUI SI VEDE L'OPERA HOUSE 


SEDUTA A QUEL CAFFE'...ad AKERBRYGGE AMMIRAVO IL PANORAMA





E QUI I VELIERI 




MENTRE IL VENTO MI PETTINAVA
ED IO ASPETTAVO...UN TRENO PER YUMA,
PARDON, PER ENTRARE AL MUSEO 



STRADA FACENDO, UN PO' STANCA MI SIEDO
ALL'OMBRA DI UN CAVALLO IMBIZZARRITO, SPERANDO
CHE NON MI SCALCI
STATUA TITOLATA "The Landing" 



FUORI DAL CAFFE'...UCCELLACCI E UCCELLINI E SI AMMIRA LA
FORZA DEL FIUME, CON LE SUE FORTI CORRENTI CHE PRODUCONO CASCATELLE


E PER UNA CENA FUORI, PASSIAMO DAVANTI ALL'HOTEL 
DOVE ERO STATA ANNI FA, IL VULKAN A Grünerløkka
Il quartiere alternativo di Oslo

GGrünerløkka è senza dubbio il quartiere più trendy di Oslo. È il luogo perfetto per fare shopping e acquistare articoli di seconda mano, oggetti d'antiquariato o capi vintage in piccole boutique. Inoltre, Grünerløkka è il miglior quartiere di Oslo per ascoltare della buona musica dal vivo, sia per strada o nelle numerose caffetterie o taverne del quartiere. Se desiderate scoprire la parte più tranquilla di Oslo, vi consigliamo di fare una passeggiata a Grünerløkka fiancheggiando le sponde del fiume Akerselva. Qui ci siamo fermati a cenare presso il Vulkanfish, dove ho assaggiato per la prima volta il  "poke bowl" (in italiano: "ciotole di poke"), ovvero delle insalate miste a base di pesce crudo marinato tagliato a pezzetti, riso, verdure, frutta, semi oleosi e condite con varie salse. I locali in cui si preparano e consumano le poke bowl vengono denominati "pokerie" o "poke shop". Speriamo che qualcuno non si confonda e invece di dire Pokerie pronuncino porcherie! per quanto mi riguarda, il poke è ottimo!





Davanti al Municipio di Oslo

Come ero partita da Malpensa


e come sono tornata da Oslo, all'aeroporto


su sedia a rotelle, non perché mi fossi rotta qualcosa, 
ma tornavo sola e l'unico modo era quello di viaggiare 
su questo mezzo di trasporto. Così il servizio
di assistenza mi avrebbe accompagnato fino all'imbarco.
Sono stata la prima ad entrare nell'aereo, accolta dalle
hostess e dal pilota.  Insomma
anche questo mi è accaduto, una nuova esperienza, 
forse una premonizione per quando diventerò 
invalida per davvero! Ma la gioia più grande è stata quella di godere
 della compagnia di mio figlio, di sua moglie e del piccolo Leon.
Danila


LUCA GOLDONI CI HA LASCIATI il 7 ottobre 2023 a 95 anni - editoriali di FRANCESCO MORONI e DANILA OPPIO



Luca Goldoni   a novant'anni con il figlio Alessandro


Ho letto tanti anni fa alcuni libri di Luca Goldoni, mi era sfuggito o non ricordavo di averlo già sfogliato in passato, così un paio di settimane fa presi dalla mia personale libreria VIAGGIO IN PROVINCIA, del lontano 1984 e mentre leggevo, pensavo che Goldoni doveva avere una bella età, se già non fosse morto e non ne fui informata. Controllai e appresi che era ancora in vita, anche se in pessime condizioni di salute. Gli augurai mentalmente di vivere ancora a lungo, perché aveva rallegrato la mia gioventù con i suoi spassosi racconti, carichi di umorismo. In un ricordo del figlio, che lo racconta qui sotto, e che ho evidenziato in grassetto, nel libro che ho citato c'è proprio il racconto del signore sardo e degli alberi da sughero e ne ho riportato il parziale racconto. Incredibile coincidenza!

E oggi apprendo la triste notizia...e penso che certe persone che hanno dato tanto, avrebbero diritto all’eternità, pur rimanendo eterni con le loro opere o artistiche o letterarie. Addio Luca, ti voglio ricordare con le parole del tuo collega giornalista Francesco Moroni. 
Danila Oppio

Da Il RESTO DEL CARLINO 
Luca Goldoni, una delle figure più emblematiche del giornalismo italiano, ci ha lasciato all’età di 95 anni il 7 ottobre 2023. Si è spento nel pomeriggio all’hospice di Casalecchio di Reno, dove era stato ricoverato a causa di un peggioramento delle sue condizioni di salute 
La luminosa carriera di Goldoni
Goldoni non è stato solo un giornalista, ma anche un prolifico scrittore. Durante la sua lunga carriera, ha lavorato come cronista di nera e inviato di guerra per prestigiose testate come il Corriere della Sera, QN, Il Resto del Carlino, il Giorno e la Nazione. Tra i numerosi riconoscimenti ricevuti, spiccano il Libro d’oro, ottenuto per aver superato i tre milioni di copie vendute con i suoi lavori, e la Palma d’Oro al salone dell’umorismo per “Non ho parole”.
Ricordi indimenticabili
Nato a Parma nel 1928, Goldoni iniziò la sua carriera giornalistica per il quotidiano della sua città, la Gazzetta di Parma. Successivamente, si trasferì a Bologna per lavorare per Il Resto del Carlino. Una delle storie più memorabili della sua carriera riguarda la corrispondenza da Praga nel 1968, durante l’invasione dei carri armati sovietici. Goldoni, per eludere la censura sovietica, dettò la sua corrispondenza in dialetto parmigiano, un aneddoto che ha raccontato con orgoglio nel maggio 2021 Fra i suoi numerosi libri, alcuni dei più noti sono ‘Lei m’insegna’, ‘È gradito l’abito scuro’, ‘Italia al guinzaglio’, ‘Il sopravvissuto’ (premio Fenice Europa), ‘Il mare nell’anima’, ‘Cioè’, ‘Tranelli d’Italia’ e ‘Francesco Baracca’. Quest’ultimo, scritto in collaborazione con il figlio Alessandro, anch’esso giornalista, è dedicato all’aviere di Lugo. Luca Goldoni ha anche espresso una profonda ammirazione per Maria Luigia, duchessa di Parma e moglie di Napoleone, descrivendola come una donna avanti ai suoi tempi per l’epoca in cui viveva.
Morto a 95 anni, dopo una malattia che, seppure complicata da gestire, non gli aveva tolto l’umorismo e lo sguardo ironico sul mondo. Luca Goldoni ha vissuto molte vite: cronista di nera, inviato di guerra, osservatore di costume. Un giornalista vero, insomma. Di quelli forgiati da un mestiere che, per forza di cose, non esiste più.
Nato a Il Resto del Carlino, la sua firma si allarga nel tempo anche agli altri giornali del Gruppo, a periodici e testate nazionali. Ma è con i libri che la sua penna, mai scontata, trova il migliore respiro: celeberrimo il suo ’Sempre meglio che lavorare’, ma anche ’Dì che ti mando io’, ’Lei m’insegna’, ’Maria Luigia donna in carriera’ e molti, moltissimi altri.
Dalla storia agli animali, dalla politica al (mal)costume italiano. Ironico e corrosivo, mai inutilmente aggressivo e con un occhio particolarmente attento al territorio, agli avvenimenti appena passati come in ’Viaggio in provincia’, ’Bologna Kaputt’ (con Aldo Ferrari e Gianni Leoni) o ’Mettevamo il prete a letto’ (con Enzo Sermasi). La curiosità è stata la sua chiave, che gli ha permesso di scrivere di tutto, dallo sport ai jeans, con vera partecipazione
"Fino all’ultimo non ha perso il proprio umorismo. Quella serenità, unita a grande dignità, che lo contraddistingueva. Da un paio d’anni era sottoposto, non senza fatica, al trattamento di dialisi che riceveva a casa, mentre gli ultimi giorni li ha passati in hospice. Faceva fatica a parlare, chiaramente, eppure continuava ad arrabbiarsi con il suo solito piglio quando non trovava un termine o faceva fatica a pronunciarlo... E io rispondevo: ’Non preoccuparti papà. Le tue parole sono tutte qui, nei libri".
È un ricordo emozionato, sentito, commosso quello di Alessandro. Luca Goldoni per lui non era soltanto "un padre", ma "un amico, un collega". La persona che gli ha trasmesso ogni passione: la scrittura, in primis. Insieme hanno lavorato a più di un libro. Ma anche la lettura. E poi il mare, ovviamente. Il dolore della perdita è ancora permeante, ma Alessandro Goldoni si fa forza, raccoglie i pensieri e li mette in fila per ricordare il papà, morto ieri a 95 anni, con l’amore e l’ammirazione di un figlio, l’affetto di un amico e il rispetto di un collega. Perché, sottolinea, crede se ne sia andato davvero "uno degli ultimi tra i grandi del giornalismo".
Come sono stati questi ultimi, sofferti giorni?
"Lui ha sempre accettato tutte le cure con grande dignità. Siamo rimasti uno accanto all’altro praticamente fino all’ultimo, perché mia madre se n’è andata qualche anno fa ed eravamo io e lui. Ha continuato a prendere tutti i farmaci utili per alleviare le proprie sofferenze: era molto debilitato. Ma c’è una cosa che ha colpito tutti...".
Quale?
"Non ha abbandonato mai la sua ironia. Scherzava, faceva battute. Abbiamo passato un periodo a guardare tutti gli avvenimenti sportivi possibili, dal tennis fino alle partite di calcio. Lui ripeteva come gli avessero stufato tutti questi talk show televisivi... Diceva: ‘Sono sempre le stesse menate’ (ride, n.d.r.)".
Lo ha definito "padre, amico e collega".
"Ho imparato molto da lui. Ho imparato tutto. E, anche adesso, avevamo scambi continui. Era un rapporto bilaterale. Mi diceva: ‘Devi trovare una battuta calzante, puoi scrivere meglio di così’. E io ammiravo questo suo essere pignolo, questa sua ricerca ossessiva della parola giusta al posto giusto".
Quando si è avvicinato alla professione di suo padre?
"Ho sempre seguito i suoi consigli, fin da giovane, e ovviamente sono rimasto affascinato dal suo modo di scrivere. Poi è stato lui, con il tempo, che ha cominciato a chiedere consiglio a me. Ci scambiavamo idee, parole, impressioni. Sono contento di essere rimasto sempre accanto a lui, che rispondeva: ‘Sono felice che sei qui con me’...".
"Uno degli ultimi grandi giornalisti", diceva...
"Ma non lo dico perché parliamo di mio padre. Credo sia riuscito a inventare uno stile che, prima di lui, non esisteva: un modo di raccontare l’Italia, e di calarsi nei panni dell’italiano medio, unico e irripetibile. Con le sue parole riusciva a coinvolgere completamente il lettore, a fargli provare le stesse cose".
Grande empatia?
"Sì, sicuramente. Sono proprio i suoi lettori che continuano a ricordare a tutti cosa fosse la penna di Luca Goldoni...".
L’affetto verso chi ha raccontato la storia intera di un Paese non se n’è mai andato?
"Esattamente. Il suo pubblico ha sempre trasmesso grande affetto e devozione. Molti lettori hanno continuato a scrivere lunghissime lettere: volevano sapere cosa pensasse lui di certi avvenimenti, volevano continuare a leggere le sue parole. Poi c’è anche una pagina Facebook che, da tempo, complice la malattia, non riusciva più a seguire: penso di poter trovare qualcosa come migliaia e migliaia di commenti di seguaci e appassionati che, anche solo per uno scambio veloce, ci tenevano a fargli sapere il proprio pensiero. A scrivergli".
Una vita piena.
"Una persona che non ha mai smesso di viaggiare, che aveva visto il mondo intero, eppure non si è mai montata la testa. Era molto curioso".
Di più. Era davvero curioso! Mi ricordo quando una volta, in Sardegna, si fermò a parlare con un uomo incontrato per strada...".
Cosa successe?
"Aveva notato questo signore impegnato a tagliare il sughero. Si presentarono, si fermarono a parlare per parecchio tempo. Fu in quell’occasione che creò una definizione divertentissima, sottolineando come gli alberi sembravano indossare dei ‘calzoni corti’. Beh, mio padre e questa persona sono rimasti in contatto per tutta la vita e sono diventati grandi amici. Perché lui era così... Era dotato di un’umanità fuori dal comune.  
In quel libro che ho citato all'inizio, c'è proprio il capitolo "Chi conosce la Sardegna?" Cito il ricordo del viaggio fatto in Gallura: " E siccome né io né mio figlio siamo troppo ferrati in botanica, lui sosteneva che quelli erano lecci e io farneticavo di ulivi, finché incontrammo una casa con un uomo che trafficava sotto un trattore. Allora scesi e gli domandai che diavolo di piante erano....per la prima volta mi trovai di fronte all'albero del sughero, poco mancava credessi che i tappi spuntassero da terra (ma benedico le mie lacune, che noia sarebbe la vita se non ci  fosse ogni tanto qualche stupore infantile). ...Gavino non avrebbe mai smesso di spiegarci: gli alberi erano scorticati fino a metà (e con quella pelle nuda sembravano in braghe corte) perché sennò morirebbero, mentre così in nove anni si riforma la scorza...
Incrocio un’auto ferma in mezzo alla strada che lampeggia per poter svoltare. Mendica una gentilezza e io freno per favorire la manovra. Un ragazzetto in scooter sopraggiunge, mi affianca e mi grida "sveglia nonno!". Mi ha dato del vecchio bollito ma senza rabbia. Solo perché non concepisce che si possa rinunciare a un diritto. Diventeranno grandi anche loro, ma per adesso mi fanno sentire un sopravvissuto.
Come si sa l’uomo è il più infelice fra gli esseri viventi, perché ha coscienza anche della morte. Lo sa pure da giovane, ma non collega l’evento alla sua sorte personale. O meglio, ripete che tutti siamo destinati a morire, ma lo pensa in astratto: un modo di dire, tipo si vive una volta sola, la vita è fatta a scale ecc. È invecchiando che il nostro si scopre all’improvviso “zavorra” per i bilanci dello Stato, “soggetto a rischio” per gli agenti delle assicurazioni che lo valutano brutalmente come un’auto usata: quanti chilometri? che aspettativa di vita? E allora si sorprende ad amare svisceratamente il suo scampolo di esistenza.
In pubblico proclama che non ha paura di morire, ma quando si sveglia di notte avverte sensazioni inquietanti. I battiti del cuore rimbombano nel silenzio, quel ritmo così familiare, quand’è percepito nel polso, diventa angoscioso nelle immagini di un’ecografia che ora rivede nel buio: una forma che pulsa febbrile, quasi con affanno, e il microfono amplifica come una risacca il ritmato fluire del sangue: sessanta convulse contrazioni al minuto. Un impressionante spiraglio nel mistero della biologia. Chi ha progettato questo straordinario meccanismo che regola la vita? Nelle tenebre si accendono pallidi barlumi del Grande Enigma: le comunissime microonde del nostro forno o gli ultravioletti della lampada abbronzante sono le stesse misteriose forze che governano l’universo. Mi affascina il rapporto con Dio nell’allegoria immaginata da Albert Einstein. Un ragazzo si trova in un’immensa biblioteca tappezzata da libri scritti in molte lingue. Ha il sospetto che questa moltitudine di volumi siano disposti in un ordine logico, ma lui non sa quale. Con queste immagini – conclude Einstein – avverto la presenza di un potere superiore che si cela però nell’incomprensibile universo. Mi piacerebbe scoprire come la pensano su questo tema il mio giornalaio, il benzinaio, la postina. Ma come si fa ad aggredirli, hai paura di morire, esiste l’aldilà, hai un’idea di infinito? Una volta ho aggirato l’ostacolo con un mini-sondaggio sulla profezia dei Maya. Tutti ammettono che non sarebbe poi così assurdo: un’umanità come la nostra merita solo di sparire. E finire con tutto il mondo è meno triste che morire per conto proprio, non si vedono i parenti attorno al letto, non si ascolta oltre la finestra la vita che continua. Lo scenario più sofisticato di fine del mondo, me lo descrisse un liceale: "La luce si attenua lentamente come al cinema. Il cielo si illumina come lo schermo e si apre, rivelando cosa c’è ‘dietro’: e affiorano le immagini che ti facevano sorridere incredulo: il Signore con la barba, gli angeli con le trombe e tu stai volando come i violinisti di Chagall. Allora pensi: è un sogno, devo svegliarmi. E invece non ti svegli più". (Un finale da Oscar, non immaginavo per la fine del creato tanta creatività).
Ma adesso devo concludere e non posso esimermi da qualche confessione: quasi una TAC del mio ego. Il mio lavoro interferisce con la famiglia? Sì, ed è alienazione totale. Per esempio, mia moglie mi sta sottoponendo un problema di casa e io mi distraggo perché le sue parole mi suggeriscono la chiusa di un articolo. Sono sicuro di me? Da giovane no e adesso nemmeno: a costo di ricalcare un noto aforisma rispondo che se ho un po’ di sicurezza deriva dal sapermi insicuro, cioè insoddisfatto. Anche di questa risposta. Un'auto-definizione? Sono un egoista che soffre delle sofferenze che procura. Forse sono un ego-altruista. La mia gioventù in sintesi? Bombe, morte, fame, freddo. Però immense emozioni: la pace, le prime notti a luce accesa ballando il Boogie, la libertà, cioè andare in piazza a gridare "io sono contro". E una grande serenità dovuta al fatto che non esistevano smart, video, web, ovvero gli elementi che oggi trasformano tanti bulli in feroci criminali. Rimorsi? Sì: mi sono lasciato troppo consumare e assorbire dal mio lavoro: quando incontro degli amici – affermati professionisti, che si ritagliano il tempo per smestolare nelle mense dei barboni, guidare ambulanze, portare coperte ai clochard avvolti nei cartoni, regalare una passeggiata a qualcuno con il bastone bianco – mi sento in imbarazzo, come se avessi esaurito la mia solidarietà con qualche chiamata a Telethon. Peccato: riparerò nei miei secondi 90 anni.

Dei suoi secondi 90 anni ne ha vissuti altri cinque, e ritengo che sia stata una lunga vita ben spesa! Sono sempre stata una sua accanita lettrice, apprezzando il suo stile di scrittura, ma non ho mai osato trasmettergli il mio sentire. Lo faccio qui e ora, e se lui non mi può leggere, lo faranno i suoi estimatori.
Danila

RITORNO A OSLO di DANILA OPPIO - Parte prima - EDVARD MUNCH

 

Alla fine, sono riuscita a ritornare a Oslo, poiché desideravo visitare il nuovo museo dedicato a Munch. Un vero incanto, perciò pubblico per ora quanto ho vissuto in quella giornata dedicata all'artista famoso per L'URLO, ma mi hanno colpito altri suoi dipinti, dei quali pubblico un riassunto.

Al museo MUNCH puoi ammirare il lascito di Edvard Munch alla città di Oslo. Il lascito dell'artista include ben 1100 dipinti, 4500 disegni e acquerelli, 18000 opere grafiche, 6000 libri, lettere e altri documenti.

Oltre all'arte di Edvard Munch, il museo espone arte contemporanea di livello mondiale in un palazzo di 13 piani. Le mostre temporanee assicurano esperienze continuamente rinnovate, incluse le personali dei vincitori dell'Edvard Munch Art Award. Per chi ama l'architettura moderna, potrà meglio documentarsi su questo Museo davvero straordinario e non solo per le opere che contiene. Qui sotto il link:

https://www.infobuild.it/progetti/museo-munch-munchmuseet-architettura-estudio-herreros/


Autoritratto giovanile di Munch

Sala delle opere monumentali 

Il pittore e litografo norvegese Edvard Munch (1863–1944) fu uno degli artisti più significativi del Modernismo.
Il suo modo intensamente evocativo di trattare temi psicologici si basava su alcuni dei principi fondamentali del Simbolismo del tardo XIX secolo e influenzò fortemente l’Espressionismo tedesco dell’inizio del XX secolo.
La sua opera più famosa L’Urlo, realizzata nel 1893, è uno dei dipinti più iconici al mondo.


L’Urlo

Tre versioni dell’Urlo sono esposte a turno in una rotonda, per un’ora ciascuna, all’interno della mostra permanente Edvard Munch Infinite. Una soluzione volta a proteggere i delicati quadri. È evidente che quest’opera, una delle più famose in tutto il mondo, ha suscitato rinnovata attenzione negli ultimi anni. Si era pensato, erroneamente, che le copie diverse nel colore e nei particolari, fossero dei falsi, ma così non è. L'autore, infatti, di alcuni suoi quadri, ha eseguito varianti. 

L’Urlo è più importante e significativo che mai. In relazione alla pandemia di COVID-19, L’Urlo è giunto a riflettere la nostra ansia e paura collettiva per questo virus globale. A volte l’effetto è umoristico, come quando la sagoma dell’Urlo è raffigurata con la mascherina e con il disinfettante per le mani,” dice Maren Lindeberg, responsabile dell’ufficio stampa del MUNCH, il nuovo museo. La celebre icona ispirata a Munch compare spesso anche sui cartelli di protesta, in particolare alle manifestazioni contro il cambiamento climatico.

“Al contrario di quanto normalmente si crede è la natura che urla e non la figura nel dipinto, secondo quanto scrisse Munch stesso: ‘… un grande urlo infinito pervadeva la natura’”, prosegue Lindeberg. “Il museo espone le opere di Edvard Munch, ma anche mostre di altri noti artisti contemporanei. Questo museo è cinque volte più ampio del vecchio museo Munch, quindi avrai la possibilità di immergerti più che mai nel mondo di Munch,” afferma la responsabile dell’ufficio stampa del MUNCH, Maren Lindeberg. Oltre alle mostre e collezioni il museo ospita un programma molto vario di performance ed eventi di letteratura, musica, film e danza.

“MUNCH è una struttura che propone eventi culturali adatti a tutti, a prescindere dall’età o dall’esperienza personale. L’edificio offre un pieno di cultura coronato dalla miglior vista su Oslo e sul suo fiordo. Fai una sosta al bar o prendi un drink al cocktail bar proprio in cima, al tredicesimo piano,” prosegue Lindeberg.



  

Vista dal settimo piano del museo, sul porto di Oslo

Ed ora entriamo ad ammirare le opere dell'artista norvegese

L'immancabile Urlo (skriket)


Il ritratto di Friedrich Nietzsche 

Madonna da me fotografata

Questa è la figura del nudo di una donna perduta, di una carnalità stravolta dall'eccesso sessuale, di un soggetto vittima della sua stessa angoscia in un misto di sacro e di profano, è un soggetto totalmente opposto alla tradizionale iconografia della cultura cristiana. l quadro originale da cui deriva quest'opera era di per sé un compromesso con la censura.La litografia ha permesso un senso ben più ampio. La sensualità di questa Madonna è conturbante. Umana. Non è più un pio oggetto di venerazione astratto ma è una persona. Vera.

La vita attornia la figura. Una cornice di spermatozoi. Che rispettosamente non le si avvicinano. Rimangono confinati nella cornice. Come se questa Madonna fosse il centro della Vita ma non fosse toccata dal naturale corso della procreazione. Qui sotto la litografia con le varianti.


Il vampiro 

sotto, la copertina e il retro del libro da me acquistato all'interno del museo

La morte di Marat

ammirando il matrimonio bohemien

Autoritratto di Munch

Segue una serie di ritratti eseguiti dall'autore su richiesta 




 Ereditarietà

Di questo quadro, ho notato che sul Web molti hanno tradotto il titolo in Eredità, che non ha senso, infatti si nota che il piccolo morticino, nato deforme, possa aver avuto origini da un problema ereditato dai genitori, quindi la traduzione del titolo non corrisponde a Eredità, ma ad Ereditarietà. 


La pubertà


La bambina malata

La madre morta e la bambina

Come si rileva dai suoi dipinti, il pittore evidenzia la sua sofferenza, per tante disgrazie che hanno funestato la sua esistenza.

Edvard Munch (Løten, 1863 – Oslo, 1944) è stato uno dei più importanti artisti attivi tra Otto e Novecento perché assieme ad altri pittori suoi coetanei ha segnato un punto di svolta nella storia dell’arte. Ogni qual volta incrociamo il suo nome in un libro o in una mostra è sempre affiancato da altri due artisti: Paul Gauguin (Parigi, 1848 – Hiva Oa, 1903) e Vincent van Gogh (Zundert, 1853 – Auvers-sur-Oise, 1890). Si potrebbe pensare che questi tre maestri siano accomunati, in prima istanza, dallo scarso successo in vita e dalla fama postuma, ma in realtà si tratta di un’opinione errata. Infatti, nonostante sia un pensiero comune associare le opere più cupe e la triste vicenda biografica di Edvard Munch a una scarsa popolarità in vita, il norvegese ottenne un grande successo nella seconda parte della sua carriera. In realtà, ciò che accomuna i tre artisti è la carica soggettiva che caratterizza le loro opere, capace di andare oltre quello studio scientifico e oggettivo della realtà, portato avanti dalle correnti contemporanee degli impressionisti e dei puntinisti. Non a caso Munch, Gauguin e Van Gogh sono considerati anticipatori dell’espressionismo, quella corrente artistica che mira a esaltare il lato emotivo della realtà che ci circonda.

I più grandi capolavori di Munch sono il risultato di una vita tormentata e dolorosa, segnata da perdite familiari, insuccessi, alcolismo, nevrosi e solitudine. Come si vedrà più avanti, la vita di Munch fu piena di alti e bassi, che non hanno permesso all’artista di raggiungere quella stabilità mentale ed emotiva che la sua condizione economica e sociale gli avrebbe permesso. Infatti, nonostante la vita tormentata e solitaria, Munch riscosse grande successo presso la critica e il pubblico europeo, al punto che molti artisti, per esempio le avanguardie del Die Brücke e dei Fauves, riconobbero in lui un padre e un maestro della loro arte. Tuttavia, provare a etichettare l’arte del genio norvegese è un’operazione impossibile per la sua singolarità e anche perché Munch stesso rifiutò di farsi accostare a qualunque gruppo di artisti.

La vita di Edvard Munch

Edvard Munch nacque il 12 dicembre 1863 a Løten, una piccola cittadina norvegese nei pressi di Christiania (nome originario di Oslo capitale della Norvegia), secondo di cinque figli di Christian e Laura Catherine Bjolstad. Nel 1864 la famiglia si trasferì a Christiania, dove il pittore ebbe l’opportunità di entrare in contatto con un panorama culturale più ampio rispetto al piccolo comune di origine. Purtroppo, l’infanzia di Edvard fu segnata da vari lutti, a partire dalle morti della madre nel 1868 e della sorella maggiore Johanne Sophie nel 1877, entrambe causate dalla tubercolosi. Inoltre, la perdita prematura della madre portò il padre di Edvard a un crollo mentale che lo allontanò dai figli. Ciò incise profondamente sul rapporto tra il giovane Munch e il padre, il quale sognava per lui una carriera da ingegnere, ma alla quale Edvard preferì quella artistica, tanto che iniziò a seguire i corsi della Scuola Reale di Disegno.

Nel 1882 Edvard Munch e altri pittori affittarono insieme un atelier e affidarono la loro formazioni a due illustri pittori: il naturalista Christian Krihg e l’impressionista Frits Thaulow. Le opere di quest’ultimo ispirarono alcuni dei dipinti esposti nel 1883 al Salone delle Arti Decorative di Christiania, la prima mostra a cui partecipò il giovane pittore norvegese.

Nel 1885 Edvard Munch si trasferì a Parigi, dove lesse per la prima volta le opere del filosofo Søren Kierkegaard. Quest’ultimo teorizzò diversi modi di concepire l’esistenza; tra questi figurava la “vita estetica”, che si basava sul connubio tra arte e vita, che Munch reinterpretò in chiave personale come arte e dolore. Questo periodo parigino fu fondamentale sotto vari punti di vista: nel 1889 Munch organizzò la sua prima mostra personale e anche se fu un fallimento, ottenne una borsa di studio che gli permise di rimanere a vivere nella capitale. Il soggiorno francese fu anche un’occasione per farsi conoscere tramite alcune esposizioni, ma soprattutto per entrare in contatto con le opere di numerosissimi artisti, in particolare quelle di Vincent Van Gogh e di Paul Gauguin, che lo spinsero a ricercare uno stile personale che lo contraddistinguesse. Tuttavia, questi anni furono segnati anche dalla perdita del padre, evento che tormentò l’artista fino alla fine dei suoi giorni, dato che non era stato in grado di risanare i rapporti con lui. Proprio questa situazione segnò un punto di svolta nelle sue opere, che per qualche anno continuarono a essere esposte, ma senza riuscire a lasciare il segno nel panorama artistico.

Il 1892 fu un anno estremamente rilevante per la vita e la carriera di Edvard Munch. Il pittore norvegese fu invitato dall’Associazione Artisti Berlinesi a esporre alla loro mostra annuale. Tuttavia, l’esposizione durò soltanto una settimana perché le opere di Munch furono ritenute dalle autorità scandalose e oscene. Il provvedimento causò largo dissenso, al punto che un gruppo di artisti del sodalizio, capitanato dall’artista Max Liebermann, decise di scindersi dall’Associazione Artisti Berlinesi nel 1898, dando vita alla celebre Secessione di Berlino.

La censura non costituì comunque un colpo di arresto nella carriera di Edvard Munch. L’artista, infatti, fu capace di comprendere l’importanza dell’episodio e decise così di stabilirsi a Berlino. Nella capitale tedesca il norvegese fu riconosciuto come un grande pittore per il carattere unico delle sue opere, che gli permise di esporre in tutta Europa e perfino negli Stati Uniti. Il 1893 fu uno degli anni più importanti della sua carriera, per la produzione di alcuni dei suoi più grandi capolavori, come l’Urlo (leggi qui un breve approfondimento di carattere letterario e filosofico sul dipinto), caratterizzati da tinte fosche e fosforescenti e da soggetti macabri e inquietanti. Durante un’esposizione Munch decise di raggruppare sei opere in una serie intitolata Amore, il nucleo originale alla base del Fregio della vita: un ciclo unitario di dipinti che fu ampliato negli anni a seguire fino alla forma definitiva del 1902. Sebbene da una parte nel 1893 Munch raggiunse l’apice della sua carriera, dall’altra la sua tormentata relazione con la fidanzata Tulla Larsen si concluse tragicamente. Sempre nello stesso anno iniziò a dedicarsi alla realizzazione di opere grafiche e fotografiche, che ebbero un largo successo.

Negli anni a seguire, Munch viaggiò molto e riscosse una certa fama, al punto che vari gruppi di artisti gli proposero di unirsi a loro. Tuttavia, Edvard declinò sempre gli inviti preferendo vivere da solo, sprofondando in uno stato mentale instabile ed esasperato, aggravato dall’abuso di alcolici. Nonostante la terribile situazione, l’artista comprese da solo che non era più possibile continuare a vivere in questo stato e decise di ricoverarsi, seppur con la possibilità di continuare a dipingere. Dopo il ricovero, Edvard riuscì a condurre uno stile di vita più sano, ma sempre in solitudine. Infatti, il pittore decise di isolarsi quasi completamente dal resto della società. Gli ultimi anni della sua vita furono segnati dal tentativo di farsi apprezzare dalla sua madrepatria che lo aveva sempre ignorato, impegnandosi nella realizzazione di commissioni pubbliche e lasciando in eredità al sindaco di Oslo la maggior parte delle sue opere. Subito dopo aver raggiunto l’accordo con il sindaco, Edvard Munch morì nel 1944, a causa di una broncopolmonite.

Le opere, lo stile, il tormento di Edvard Munch

Le opere del primo periodo di Edvard Munch sono molto diverse da quelle della sua maturità: le tinte sono tenui e controllate, i personaggi sono calmi e rilassati e risentono ancora dell’arte di Edvard Degas che fu un artista per lui importante nei primi anni della sua carriera. Un momento di svolta è chiaramente percepibile nell’opera La bambina malata (1885-1886). Questo dipinto fu esposto per la prima volta con il titolo Studio e suscitò molte polemiche da parte della critica per il carattere di non finito e di incompiutezza della materia pittorica. L’opera riflette un evento personale, ovvero quello del decesso della sorella, che sembra raffigurata sul letto di morte accanto alla zia Karen che all’epoca si prese cura dei bambini dopo la scomparsa della madre. Sebbene il dipinto sia soltanto del 1885, il pennello di Munch sembra affrancarsi dallo stile impressionista e avvicinarsi a un tipo di pittura più soggettivo e carico di emozioni.

Come detto precedentemente, il 1892 fu l’anno della svolta nella carriera artistica di Edvard Munch. Ciò è intuibile in alcune opere di questi anni, come Malinconia. L’opera raffigura un paesaggio marino al tramonto, con un pontile sullo sfondo, dove sono rappresentate alcune figure e una barca in mezzo al mare. Nella parte inferiore della tela, sulla destra, compare un uomo identificabile come Munch, con l’orecchio poggiato sulla mano sinistra: la posa tipica della malinconia. Il dipinto trae ispirazione dalla delusione amorosa provata da un amico per una pittrice da lui amata. A partire da questa dolorosa esperienza, il maestro norvegese trae ispirazione per dar vita a un’opera che rappresenti l’angoscia e il dolore provato da ogni persona almeno una volta nella vita. Inoltre, è possibile notare come i toni siano incupiti e il sentimento della malinconia sia trasmesso tramite delle ampie e frettolose campiture di colore. La stessa tecnica è riscontrabile in un’altra opera dello stesso anno: Sera sul viale Karl Johan. Il dipinto rappresenta il tipico rituale borghese della passeggiata serale nella città di Christiania (attuale Oslo). Munch non si sofferma sulla raffigurazione dei dettagli anatomici dei singoli passanti, ma li rappresenta come un unico blocco di automi dallo sguardo vuoto, che procede nella stessa direzione. L’unico a separarsi da questa massa informe è un uomo col cilindro che cammina lungo la strada nella direzione opposta: si tratta dello stesso Munch, che si sentì sempre emarginato e lontano dalla società.

Sera sul viale Karl Johan
Il viale che porta a Palazzo Reale
che oggi è così, sul fondo la residenza di Re Harald V

Con il passare degli anni le opere dell’artista norvegese si semplificarono maggiormente e i colori diventarono più accesi e vibranti, con lo scopo di illuminare la tela e suggerire i sentimenti provati dal pittore al momento dell’esecuzione. Si tratta di emozioni forti e terrificanti: la gelosia, l’angoscia, la malinconia, la disperazione e la libido, che stanno alla base di numerose opere cariche di significati simbolici che alludono a sentimenti e vicende personali. A partire dal 1893, Munch decise di raccogliere diversi dipinti all’interno di un’unica raccolta organica che prese il nome di Fregio della vita, una narrazione della sua vicenda spirituale e affettiva. Inizialmente il Fregio fu composto da cinque dipinti, con il titolo di Amore. Successivamente Munch aggiunse altre opere a questa raccolta fino ad arrivare a ventidue dipinti in occasione della quinta edizione della Berliner Secession. Per l’esposizione, Munch suddivise il fregio della vita in quattro tappe: il Seme dell’amore, Sviluppo e dissoluzione dell’amore, Angoscia e Morte. Tra le opere del Fregio della vita compare anche il dipinto più celebre di tutto il corpus di Edvard Munch: l’Urlo. L’opera nota in tutto il mondo è ancora una volta la trasposizione in pittura di un’esperienza vissuta in prima persona dall’artista, di cui è possibile leggerne una testimonianza scritta: “mi fermai a guardare al di là del fiordo, il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando. Questo è diventato L’urlo”. Nel dipinto viene raffigurato il fiordo di Ekeberg, meta per le passeggiate domenicali e tipico scenario da cartolina. Ancora una volta Munch rompe con la tradizione e trasforma un luogo familiare in un inferno terrestre: il cielo si tinge di rosso sangue e l’uomo in primo piano, lontano dalle altre due figure sulla sinistra, si dimena in un urlo doloroso e terrificante, in risposta alla distorsione della natura intorno a lui. L’opera non può che creare ansia e un senso di turbamento nell’animo dello spettatore, che rimane pietrificato dinanzi al grido dell’autore che denuncia un’ansia sociale che lo accompagnò per tutto il corso della sua esistenza.

Un tema ricorrente del Fregio della vita è la donna, che nell’immaginario di Munch ha sempre rappresentato un ruolo sinistro e ambiguo. Tra le opere più celebri si menzionano Il Vampiro (1893-94) e Madonna (1894), che rappresentano due visioni personali distinte della figura femminile. Inizialmente il dipinto il Vampiro venne chiamato da Munch Amore e dolore, e l’artista stesso dichiarò che si trattasse “soltanto di una donna che bacia un uomo sul collo”. Solo in un secondo momento il suo amico e biografo Stanislaw Przybyszewski ribattezzò l’opera con il titolo odierno, in riferimento alla visione demoniaca e assoggettante della donna nei confronti dell’uomo. Infatti, nel dipinto l’uomo sacrifica la sua stessa vita abbandonandosi al bacio mortale perché assetato dal desiderio amoroso, che soltanto la figura femminile può soddisfare. Il secondo dipinto è sicuramente uno dei più scandalosi di tutta la storia dell’arte. Infatti, Munch raffigura una Madonna tutt’altro che vergine e distante dalla classica rappresentazione di questo soggetto. La donna è ritratta in una posa sensuale e provocatoria. L’artista realizzò cinque versioni dell’opera, tra le quali spicca l’esemplare in cui la cornice è decorata con degli spermatozoi, mentre in basso a sinistra compare la figura di un feto abortivo, a richiamare il mistero della nascita e il dogma della verginità. L’opera suscitò grandissimo clamore e fu accolta con aspre critiche da parte del pubblico benpensante dell’epoca.

Nonostante gli scandali e le tensioni suscitate dalle opere di Munch, il suo contributo fu fondamentale per il movimento espressionista: come ricordato anche sopra, il testimone della sua esperienza sarebbe stato in seguito raccolto dalla Secessione di Berlino. Su tutti occorre menzionare i nomi di Lovis Corinth, Max Liebermann e Käthe Kollwitz, che guardarono a Munch con convinzione e in certi casi riuscirono anche a suscitare scandalo esattamente come aveva fatto il loro precursore.

Dove vedere le opere di Edvard Munch

Per conoscere le opere di Edvard Munch è necessario pianificare un viaggio in Norvegia, dove sono raccolte quasi tutte le sue opere. Buona parte di esse sono raccolte all’interno del Munchmuseet di Oslo. Anche la Nasjonalgalleriet di Oslo, la prima istituzione pubblica ad acquistare opere di Munch, possiede un’intera sala a lui dedicata, al cui interno è custodita la versione più celebre dell’Urlo. Infine, nell’aula magna dell’Università di Oslo sono custoditi undici dipinti a olio di Munch, frutto di un concorso vinto dal pittore. Tuttavia, è possibile ammirare alcune opere anche al di fuori dei confini norvegese: per esempio alla Tate Modern di Londra è conservata una delle versioni della celebre opera La bambina malata.

Danila Oppio (con il sussidio di una ricerca in rete per la parte descrittiva)