La distruzione di Gerusalemme avverrà quando sarà pronto l'imperatore romano Tito, il sacrilego profanatore del Tempio, il vendicativo distruttore di popoli; ma già aleggia nell’aria qualcosa che lascia intravedere “l’ira funesta” dei Romani).
La fine del mondo avverrà solo quando Dio vorrà, ma ha già fatto capire che essa avverrà; Lui sa di che cosa ha fatto il mondo e che consistenza ha la sua composizione.
Si ricordino dunque gli uomini che il tempo passa velocemente e che come l’estate giunge immediata-mente dopo le foglioline del fico, così la fine può avvenire dal mattino alla sera di un “giorno” più o meno lungo. Ma non dimentichi l’uomo che ci son conclusioni previste ancor più velocemente; guarda per esempio la vita di un fiore o la vita di un uomo.
E qui siamo entrati – con parlare... in italiano – in fatti estremamente chiari.
Tanto che noi anziani – che ci pare ieri quando ci spuntarono i primi baffetti (parlo di uomini, si capisce) – già ne abbiamo tagliati, lisciati dei mezzi chilometri e ci pare ieri che ponevamo le date 1950 -’80-’95-’99 ecc. e siamo nel 2024, e non abbiamo tanta certezza di raggiungere il 2026 o al 2029.
Il che, in parole povere, vuol significare che
1° – tra le prime foglioline del fico e il fico con la goccia d’oro,... beh! c’è un fiato:
2° – e che ... appena defunti..., siamo già nel mondo nuovo, come se il vecchio fosse distrutto.
Ma non prendiamocela poi tanto amaramente, perché se rimanesse sempre la primavera dalle foglioline tenere, addio bei fichi; ma addio anche buon vino, buon pane, e gioia del raccolto, come dire: addio speranza!
UN FICO CHE NON RISPETTA LE STAGIONI
(Dio chiede “miracoli”)
«L’indomani, uscendo essi da Betania, Gesù ebbe fame. E veduto di lontano un fico che aveva foglie, andò a vedere se vi trovasse qualcosa; ma, avvicinatosi, trovò soltanto foglie. Non era, infatti, il tempo dei fichi.
Prendendo allora a parlare, disse all’indirizzo del fico: “Nessuno mai più, in eterno, mangerà frutto da te!”. E i discepoli udirono.
(…) Passando la mattina dopo accanto al fico, lo videro secco dalle radici. Pietro si ricordò e disse: – “Rabbì, vedi! Il fico che hai maledetto s’è seccato!” .
E Gesù prese a dir loro: “Abbiate fede in Dio. In verità vi dico: chiunque dirà a questa montagna: Levati e gettati nel mare! E non esiterà in cuor suo, ma crederà che accadrà ciò che dice, l’otterrà» (Mc., 11, 12-14; 20-23)
Più volte ho tentato di evitare l’episodio del fico sterile. Mi dava un gran fastidio.
La pretesa di Gesù di cogliere un frutto allorché non è ancora la stagione, mi sembrava assurda, oltre che ingenua. Difficile trovare una giustificazione “ragionevole”. Meglio scantonare. Meglio epurare quella pagina del vangelo, scomoda. La scomodità è un conto, il ridicolo, un altro.
– Voltaire ci aveva riso a crepapelle. I teologi avevano cercato in tutte le maniere di scavalcare pietosamente la difficoltà, con modesti risultati.
Alcuni interpreti avevano persino insinuato il dubbio che il fatto derivasse da una tradizione spuria.
Alla fine, però una conclusione s’imponeva: proprio la sua non-ragionevolezza è la garanzia della sua autenticità.
Quindi dobbiamo fare i conti anche con questo povero fico che ha l’unico torto di rispettare le stagioni. Si potrebbe definire una pianta colpevole di osservare scrupolosamente il regolamento!
Fosse almeno un parabola! Potremmo sempre scoprire un’applicazione che non faccia a pugni con la nostra logica. Invece si tratta di un episodio realmente accaduto. È un episodio che diventa parabola: la parabola che documenta le assurde pretese di Dio nei miei riguardi.
E, allora, per capire, per non scandalizzarmi, devo sbarazzarmi del mio buon senso; devo sradicare le mie esigenze razionali.
Quanti tentativi di ridurre a “dimensioni ragionevoli” le pretese di Cristo! Quante rassicurazioni ci sono state date in proposito. Quante volte abbiamo udito labbra “devote” sentenziare: “Dio non pretende tanto…”. Evidentemente, per questi “tranquillizzatori” di mestiere, l’episodio del fico che viene maledetto, dev’essere stata una banale svista del Signore, un grosso abbaglio in fatto di calendario.
Gesù Cristo non esige molto; e non ci chiede neppure moltissimo. Ci chiede semplicemente l’impossibile. Pretende il miracolo. Quasi ci dicesse: l’amore deve far miracoli!
“Ho un professore esigentissimo”, si lamenta lo studente. Eppure Dio è “peggio” ancora. Quando vai a sostenere l'esame d’italiano, ha il coraggio d’interrogarti in … trigonometria.
“Il mio padrone non capisce nulla”, sbotta l’operaio. “Cinquecento bulloni al giorno. E lui adesso ne esige seicento. Non sa che cosa vuol dire…”.
Eppure il Signore è ancora “peggio”. Aspetta da te il bulloni anche quando sei in ferie…
“La mia superiora sceglie soltanto me, che sono super-occupata…”. Eppure il Signore ti chiede quest’atto di fede, perché ha fiducia in te…
“In casa mia i miei pretendono e si aspettano che faccia tutto io, che ormai sono anziana…”. Eccetera, eccetera...
•• Torniamo all'episodio.
1 – «Gesù ebbe fame. Veduto di lontano un fico che aveva foglie, andò a vedere se vi trovasse qualcosa».
Lo vedo avvicinarsi a me. Ha fame. Punta lo sguardo e mi fruga dentro, perché cerca “qualcosa”:
un frutto, anche uno solo, in mezzo al fogliame.
Fa l’inventario della mia mercanzia, per scoprire “qualcosa” che interessa a Lui.
Mi auguravo che non si occupasse di me, non mi individuasse. Si accontentasse di passarmi accanto. Uno dei tanti alberi che fiancheggiano la strada.
Perché concentrare la sua attenzione proprio su me? Perché frugarmi con quegli occhi implacabili?
Egli ha fame. E io sono un albero da frutto. Non una pianta ornamentale.
2 – “Ma avvicinatosi, trovò soltanto foglie”. Cioè
Un laico. “Il mio nome scritto sul registro dei battesimi. La tessera dell’Azione cattolica. L’immaginetta nel portafoglio. La medaglia di san Cristoforo sul cruscotto dell’auto. “Ho uno zio Monsignore”.
Le mie chiacchiere… “Sono stato in pellegrinaggio ad Assisi, Lourdes, Medjugorie… Sono stato attento alla predica del parroco e risposto alla s. Messa. Sono persino abbonato al quotidiano cattolico, leggo il settimanale diocesano e ricevo il Bollettino di Sant’Antonio. Non vado a vedere – o non vedo – porcherie, sul computer ... Non faccio del male a nessuno…”.
Gesù:… Soltanto “foglie”; commenterebbe il Signore. “Tutto lì il tuo cristianesimo? Ma io voglio frutti, non foglie. Ho fame e la tua ombra non mi riempie lo stomaco…”.
3 – “Non era, infatti, il tempo dei fichi”.
Noi: “Signore, ragiona: non è la stagione; non ho avuto tempo. Perché tanta fretta? Sii comprensivo, dunque. Non sono un santo, in fin dei conti. Persino il sacerdote col quale mi sono consigliato, mi ha detto che posso star tranquillo, che non sono obbligato…
Avrei dovuto parlare? Prendere posizione? Ma non era opportuno; ci vuole prudenza, non bisogna precipitare le cose, si rischia di compromettere tutto.
E poi,… non se ne sarebbe cavato nulla ugualmente. Non è la stagione!
Signore, controlla per favore il tuo calendario. Ci dev’essere uno sbaglio. Vedi di regolarlo sul mio, e lasciami … in pace”.
4 – “Prendendo allora a parlare, disse Gesù all’indirizzo del fico: – Nessuno più in eterno mangerà frutto da te –. E i suoi discepoli udirono”.
Udirono… Chissà se anche compresero che la fede deve spuntarla sulle false necessità? Che l’amore ha il dovere di compiere miracoli?
“Tenevo un’agenda – confessa uno scrittore – sul mio tavolo. [Come molti di voi, credo]. Ogni giorno ci erano segnati i miei appuntamenti, le scadenze. Insomma, tutto ciò che dovevo fare.
Certi fogli erano massacrati di richiami, di impegni. Osservandoli, riconoscevo di “fare fin troppo”. In alcuni giorni, quando ero letteralmente strangolato dal lavoro, rubavo ore al sonno, per rispettare l’agenda. E mi illudevo di essere tremendamente esigente con me stesso.
Se avessi lasciato quell’agenda nelle mani del Signore… Vi avrebbe scritto sopra cose impensate, richieste folli, scadenze impossibili, cifre spropositate. Ed io, leggendo quelle esigenze assurde, avrei strabuzzato gli occhi e avrei avuto l’impressione d’impazzire.
Avrei dovuto, invece, essere ubriaco di gioia, perché era segno che Dio mi riteneva capace dell’impossibile. Se Lui cerca il fico fuori stagione, significa che ama, stima quella pianta fino al punto di ritenerla capace del miracolo.
Chi non ama, chiede quisquilie. Gli uomini chiedono così poco alle creature: briciole di tempo, il corpo, la bellezza, qualche attimo di piacere, un po’ di considerazione, una manciata di denaro, qualche applauso, qualche inchino più o meno spontaneo…
Non li amiamo. Si limitano, perciò, a chiedere loro delle miserie.
E così ci comportiamo verso Dio!! “Cercate prima il Regno di Dio, e tutto il resto vi sarà dato”. Sono parole di Gesù. Invece anche con Lui ci fermiamo alle “cianfrusaglie”, all'accessorio.
Dio invece, mi ama. Mi stima immensamente. Mi chiede, infatti, tutto. Esige da me l'impossibile.
Gesù Cristo non è morto in croce affinché io “non facessi del male a nessuno”, ma affinché diventassi capace di fare miracoli. (liberamente da Pronzato – Vangeli scomodi – 319)
Gesù ripete spesso [e lo chiede il Padre stesso per il suo Figlio]: “ASCOLTATE!”
La nostra preghiera dovrebbe essere spesso questa: “Signore, apri la mia mente e il mio cuore!”
Ma che cosa comporta “ascoltare”?
Parlare è facile; non così ascoltare.
Udire, come chi sente piovere, sentire il suono di campane senza saper da dove venga,
anche questo risulta semplice.
Non così dell'ascoltare.
Porsi all'ascolto di qualcuno, in primo luogo significa
allontanare tutto ciò che può distrarre
il nostro udito, la nostra mente, il nostro spirito.
Ascoltare è costruire un silenzio bastante denso che esprima il grido interiore:
“Ora non esisti che tu solo!
Ora non esiste per me altro suono che la musica delle tue parole!".
Porsi all'ascolto di qualcuno significa arrestarsi,
fermarsi in un luogo, por fine all'agitazione, come per dire:
"Ora tu sei il mio centro, la mia metà!
La mia strada conduce solamente a te!”.
Porsi all'ascolto di qualcuno significa
staccare lo sguardo da se stessi e volgerlo verso l'altro,
giungere a faccia a faccia, come per dire:
"Sono qui! Non esiste per me nessun altro interesse!
Sono pronto ad accogliere persino il sussurro delle tue parole!”
Ascoltare equivale ad accogliere,
ad aprire completamente le porte dietro cui uno si ripara,
ad abbattere tante fortezze e frontiere dietro cui noi ci barrichiamo.
Ascoltare un altro equivale a non far caso a noi stessi e preferire l'altro.
È preferire colui che mi sta dinanzi,
ed accoglierlo con il suo sacco colmo di vestiti più o meno puliti;
però che sono suoi...
È accettare che entri in me,
significa ricevere l'altro con i suoi sogni e i suoi desideri,
con i suoi gusti e disgusti; con le sue preferenze e fobie.
È prevedere che butterà per aria
gli scaffali della mia esistenza, ordinati con tanta cura;
significa cedergli il posto; offrirgli le chiavi di casa, come se gli dicessimo:
"La tua presenza butterà tutto a gambe all'aria, però corro il rischio: ti ascolto!".
••• Stiamo per entrare in Quaresima.
Ebbene, la Quaresima è proprio il tempo dell'ascolto,
perché è il tempo in cui, lentamente, assimiliamo questa Parola
che è venuta ad abitare fra noi.
Quaresima è il tempo in cui tutti coloro che ascoltano la Parola
imparano a cambiare le loro tenebre in chiarore;
il tempo in cui, ponendosi in ascolto,
assumono il rischio di intraprendere un cammino verso la luce.
La Quaresima è il tempo in cui gli uomini ascoltano il Signore
attraverso l'altoparlante di ogni prossimo.
È quando tutto ciò che indurisce i cuori, si scioglie dinanzi al calore del Vangelo.
È quando sbocciano sulle labbra parole nuove
e nel cuore sentimenti nuovi
e la condotta si apre ad attitudini nuove....
Così nasce l'Altro – Dio – in noi.
Per questo, perché... la Quaresima è il tempo del nascere!
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