POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

sabato, agosto 31

REGIMI DI SABBIA NEL SAHEL di P. MAURO ARAMANINO


Regimi di sabbia nel Sahel

In questa porzione del Sahel è in fase di applicazione una forma artigianale di totalitarismo, ovvero la dittatura del controllo totale. Si tratta del tipo più sviluppato di regime dittatoriale. Oltre alla repressione, all'ideologia e al capo, si aggiunge la presenza del regime in ogni ambito della vita. Ciò nel contesto della svalutazione dei tipi di democrazia esperimentati finora e scelti come capri espiatori delle attuali ‘impasse’. Gli attacchi dei Gruppi Armati Terroristi, la crisi economica, le carestie e la ricerca di un’identità ‘autoctona’ hanno condotto all’idea di ‘rottamazione’ di una democrazia vista come una forma neo-coloniale di gestione della politica. Si tratta di un totalitarismo di ‘sabbia’.

Ahmed è originario della Somaliland...Dopo aver presentato il documento di ‘richiedente asilo’ e quello, plastificato, dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, condivide alcune delle immagini che il telefono cellulare ha registrato nel deserto. Ahmed dice di aver perso la sua patria, il figlio, deceduto al momento della nascita a Niamey e la propria salute. Si trova ospite precario in una delle case di accoglienza delle istituzioni di protezione umanitaria. Dice che il suo cuore non è più quello di prima. Le sue notti sono da tempo abitate da paure e incubi. Lui e molti come lui, passato dall’Etiopia al Sudan per arrivare all’inferno libico ce lo ricordano. Il primo totalitarismo è quello della violenza.

Di essa si vive in buona parte del nostro Sahel. L’indigenza, il ruolo nefasto dei gruppi armati di ‘ispirazione islamico-commerciale’, l’assenza dello Stato, l’allentamento dei legami culturali e l’esclusione crescente dei poveri sono alcune delle espressioni della violenza perpetrata quotidianamente nella società. Il totalitarismo della violenza si esprime anche nella ‘banalizzazione’ della stessa. Si risponde alla violenza con la violenza e questo porta alla ben nota e denunciata ‘spirale della violenza’ dalla quale non si potrà uscire finché si rimarrà in una logica di annullamento dell’altro come persona. Il totalitarismo si nutre della riduzione degli umani a cose, a oggetti scomodi.

Le migliaia di migranti che continuano a tentare la fuga dal totalitarismo della miseria e dell’invisibilità della ‘globalizzazione’ non sono che un sintomo del malessere che attraversa il mondo contemporaneo. Da una parte il totalitarismo di un’economia capitalista che rende superflua una grande porzione dell’umanità e dell’altra il totalitarismo della miseria che sopprime la vita e la speranza di un futuro differente. I mari e i deserti, ricordava recentemente il vescovo di Roma, papa Francesco ...’sono strade migratorie che si rivelano mortali...occorre dirlo chiaramente: ci sono coloro che lavorano sistematicamente a espellere i migranti e ciò, in tutta coscienza, è un peccato grave’.

I regimi di matrice totalitaria non possono evitare di controllare, orientare, dirigere, mettere in riga la comunicazione e l’informazione. Questo, sulla scorta di quanto anche le altre agenzie che producono notizie stanno facendo da anni, anche i Paesi del Sahel stanno costruendo la ‘loro’ agenzia che non potrà non farsi portavoce di coloro che la finanziano e dirigono. Come pure in ambito sociale, per un totalitarismo che si rispetti, non si potrà che andAre verso un controllo accresciuto dei cittadini, delle loro idee e dei loro comportamenti. Certo non siamo a livello delle Cina che assolda, a questo scopo, milioni di telecamere per ‘spiare’ o cittadini ma, la delazione e i regolamento di conti basteranno.

Qualche giorno fa, uno dei capi di uno stato del Sahel, affermava testualmente che ‘non esiste una libertà personale ma solo una libertà collettiva’. Ciò per evitare di cadere, secondo lui, nell’anarchia sociale. In effetti, nella frase citata, si può vedere in qualche parola lo stile stesso del totalitarismo di cui è questione. Chi si arroga il diritto di decidere l’uso della ‘libertà collettiva’? Qualche militare al potere grazie alle armi oppure i soliti illuminati che presumono aver trovato nella magica parola‘ Sovranità’, la chiave di volta per ridare dignità al popolo che essi presumono di rappresentare. Non c’è nulla di peggio che le ‘menzognere verità’ come ricordava il dissidente russo Alexander Zinoviev, per perpetuare un sistema totalitario. Per fortuna di sabbia, come sta scritto.


Ndr: aggiungo una breve nota che riguarda l'autore di cui Padre Armanino tratta. Alexander Zinoviev. 

Dopo aver conseguito la laurea in filosofia, diventò docente di logica presso l'Università statale di Mosca, rivelandosi uno fra i maggiori esperti di logica matematica. Ma a causa del suo pensiero critico nei confronti del regime sovietico venne progressivamente emarginato, fino all'espulsione prima dal PCUS, quindi dall'Unione Sovietica, dopo la pubblicazione in Svizzera di Cime abissali (1976), romanzo distopico e spiccatamente satirico[1], avente come bersaglio i protagonisti dell'ultimo ventennio di storia sovietica.[2].Trasferitosi nella città di Monaco, proseguì l'attività di docente, scrittore e saggista.[2] Dopo la caduta del muro di Berlino, nel periodo della perestroika inaugurata da Gorbaciov, fece numerose visite in patria per poi rientrare in Russia definitivamente. Morì a Mosca nel 2006.    Temi gemelli di Zinoviev sono la natura della società comunista sovietica e l'incapacità dell'Occidente di comprenderla. 

      Mauro Armanino, Niamey, 1° settembre 2024


lunedì, agosto 26

venerdì, agosto 23

RICORDANDO ALAIN DELON si Danila Oppio



Ne parlano tutti e forse non raccontano cose esatte o complete. Io ricordo la parte che ebbe Delon nel film IL GATTOPARDO.

L'attore divorziò da Nathalie Barthélémy nel 1969, e in quell'anno incontrò nuovamente Romy Schneider. Voleva lei al suo fianco nel film La piscina e lei accettò. Il loro feeling nel film non diede vita ad una nuova e travolgente storia d'amore, ma permise loro di restare uniti. Lei descrisse così il suo collega: "L’uomo più importante della mia vita resta Delon. È sempre pronto a tendermi la mano. Correrebbe in mio aiuto in qualsiasi momento. Alain non mi ha mai abbandonata a me stessa, né oggi né ieri", le parole riportate da Vogue.it.

La lettera che Alain Delon scrisse a Romy Schneider dopo la sua morte

Romy Schneider ad inizio anni '80 iniziò la lotta contro depressione, alcolismo, un tumore e la drammatica perdita del figlio, morto nel 1981 a soli 14 anni a causa di un incidente domestico. Nel 1982 fu trovata senza vita a Parigi, nella casa del produttore Laurent Petin, al quale era legata. Morì a 43 anni per un infarto e la sua scomparsa distrusse il cuore di Alain Delon. Appresa la notizia, l'attore si precipitò per guardarla un'ultima volta e per lei scrisse una lunga e struggente lettera d'amore. Queste le parole, riportate da huffingtonpost.it:

"Ti guardo mentre dormi. Sono accanto a te, sono al tuo letto di morte. Indossi una lunga tunica, nera e rossa, con un ricamo sulla parte superiore. Credo che siano fiori, ma non indugio troppo a osservarli. Ti dico addio, il più lungo di tutti gli addii, bambolina mia. Così ti ho sempre chiamata: bambolina. Non perdo tempo a guardare i fiori, guardo il tuo viso e penso che tu sia bella e che non lo sia mai stata così tanto come in questo momento. Penso anche che è la prima volta in vita mia che ti vedo quieta e serena. Si potrebbe dire che una mano delicata abbia lavato via dal tuo viso paure e dissidi. Ti guardo mentre dormi. Mi dicono che tu sia morta. In che modo ne sono colpevole io? …Ci si pone sempre questa domanda davanti a qualcuno che si è amato e si ama ancora. Questa emozione ci sommerge, poi torna indietro e alla fine ci si convince che tutto sommato non si è colpevoli. Non colpevoli, ma comunque responsabili. Ecco. Lo sono anch'io. È a causa mia che la notte scorsa il tuo cuore ha cessato di battere. A causa mia, perché 25 anni fa fui scelto per essere il tuo partner in "Christine". Tu arrivavi da Vienna e io ti aspettavo a Parigi con un mazzo di fiori in mano che non sapevo come tenere. Ma i produttori mi avevano detto: "Appena scende dalla passerella, vada da lei e le porga i fiori", io aspettai con i fiori in mano come un imbecille, in mezzo a un'orda di fotografi. Tu scendesti dall'aeroplano, io mi avvicinai. Dicesti a tua madre: " deve essere Alain Delon, il mio partner!". Nient'altro, nessun colpo di fulmine a ciel sereno. Così andai a Vienna, dove si girava il film, ed è stato là che mi sono innamorato follemente di te. E tu ti sei innamorata di me. Spesso ci siamo posti a vicenda la tipica domanda degli innamorati: "Chi è stato di noi due ad innamorarsi prima, tu o io?". Contavamo e rispondevamo: "Ne tu ne io, entrambi". Mio dio come eravamo giovani e felici! Alla fine del film ti dissi: "Vieni con me, andiamo a vivere insieme in Francia", e tu rispondesti subito: "Si, voglio vivere con te, in Francia". Ti ricordi vero? La tua famiglia, i tuoi genitori, andarono fuori di sé. E tutta l'Austria, tutta la Germania. Dissero che ero un usurpatore, un rapitore. Mi accusarono di portare via "l'imperatrice". Io un francese, che non parlava una parola di tedesco. E tu, bambolina, che non parlavi una parola di francese. All'inizio ci amavamo senza scambiarci una parola. Ci guardavamo e ridevamo. Bambolina, e io ero "Pepè". Dopo qualche mese, io ancora non parlavo tedesco, ma tu parlavi francese così bene che potemmo recitare in teatro. Quella volta il regista fu Visconti. Ci diceva che ci assomigliavamo, che avevamo fra le sopracciglia la stessa "V" che si increspava per la collera, per la paura di vivere, per il terrore. Lui la chiamava la "V di Rembrandt", perché diceva che nel suo autoritratto questo artista si era raffigurato con la stessa "V". Adesso ti guardo dormire e la "V di Rembrandt" è scomparsa. Adesso non hai più paura. Non stai più in agguato, non sei più preda di cacciatori. La caccia è finita e tu finalmente riposi. Ti guardo ancora e ancora e ancora. Ti conosco bene, in ogni dettaglio. So chi sei e perché sei morta. La tua indole, come si dice. A loro, agli "altri", io rispondo che l'indole di Romy era la sua indole. Questo è tutto! Lasciatemi in pace. Tu facevi male agli altri perché eri te stessa, compatta e unica. Una ragazzina che divenne una stella molto velocemente, troppo. Da questo provenivamo da una parte i tuoi capricci, i tuoi impeti di collera e le tue bambinate, sempre legittime, certo, ma con conseguenze inimmaginabili. Dall'altra, la tua autorevolezza professionale. Si, una ragazzina che non sapeva bene con cosa stesse giocando, con chi, e perché. È in questa contraddizione, e attraverso questa breccia che fanno irruzione la paura e l'infelicità. Quando ci si chiama Romy Schneider e quando si è nel fiore della propria vita e si ha la tua sensibilità e il tuo temperamento. Come si può spiegare chi eri tu e chi siamo noi, i cosiddetti "attori", come si può far capire che noi, recitando, interpretando, essendo qualcun altro da quello che realmente siamo, impazziamo e ci perdiamo? Come si può far capire la difficoltà, il bisogno di possedere un carattere forte ed equilibrato per riuscire a rimanere in qualche modo in piedi? Ma come possiamo noi, trovare questo equilibrio in questo mondo. Noi, i giocolieri, i clown, i trapezisti da circo ai quali i riflettori indicano la strada dorata? Dicesti una volta "Non so cosa io debba fare nella mia vita, ma in un film sono in grado di fare tutto". Non possono comprendere che più un attore è grande e più diventa inadatto alla vita. Greta Garbo, Marylin, Rita Hayworth…..e tu…. e mentre tu riposi io urlo e piango, piango accanto a te, piango perché questo lavoro schifoso non è un lavoro per una donna. Ed io tutto questo lo so perché l'uomo che io sono è quello che meglio di ogni altro ti ha conosciuta, quello che meglio di ogni altro ti ha capita. Perché sono anch'io un attore. Eravamo della stessa razza, bambolina, parlavamo la stessa lingua. Non possono capirci loro, gli "altri". Gli attori si, gli altri no. È inspiegabile. E quando si è una donna come te, non possono comprendere che di questo ci si può anche morire. Io ti scrivo a casaccio, senza un ordine preciso. Bambolina mia, così aggressiva, così piena di ferite. Non sei mai riuscita a capire ne ad accettare il ruolo di personaggio pubblico che tu stessa avevi scelto e che amavi. Eri un personaggio pubblico e le grandi implicazioni di questo non le hai mai comprese. Tu hai rifiutato il ruolo e tutti i ruoli che questo lavoro porta con sé. Ti sei sentita assalita, trafitta, violentata nella tua sfera personale. E tu, tu l'hai sempre saputo che il destino ti prendeva con una mano quello che ti dava con l'altra. Abbiamo vissuto insieme più di 5 anni. Tu con me, io con te. Insieme. Poi la vita….quella nostra vita che in fondo non interessava a nessuno ci ha separati. Ma ci siamo chiamati, spesso, si proprio così, ci siamo dati dei segnali. Alla fine, ci fu il film "La piscina", ci siamo ritrovati con il fine di lavorare insieme. Venni a prenderti in Germania, conobbi David, tuo figlio. Da quel film in poi tu sei mia sorella, io tuo fratello. Fra di noi tutto era chiaro, schietto. Nessun'altra passione. La nostra amicizia risiedeva nel sangue, nella somiglianza e nelle parole. E dopo ci fu nella tua vita ancora infelicità e la paura. Bambolina mia, questo lavoro così doloroso! Ho vissuto con te oppure solo al tuo fianco? Fino alla morte di David c'era il lavoro a tenerti la testa fuori dall'acqua, poi David se ne è andato e il lavoro non ti è stato più sufficiente. Non mi ha stupito affatto la triste notizia che anche tu ci avevi lasciato. Di cosa avrei dovuto stupirmi? Del tuo non-suicidio, forse. Ma non del tuo cuore distrutto. Mi sono detto: "Eccola, la fine del tunnel!". Ti guardo mentre dormi. Tuo fratello Wolfie e Laurent entrano nella stanza. Parlo con Wolfie. I nostri ricordi vanno alla mia casa di campagna. Ai doberman che ti facevano così paura. A tante altre storie…. più di 20 anni fa, in Baviera, in un piccolo paesino. Wolfie aveva 14 anni, io 23 e tu 20. Ridemmo molto quando ci fu annunciata la visita del presidente francese del "Romy Schneider fan club". Vedemmo arrivare una ragazza giovane e slanciata, con un paio di occhiali, carina….. si chiamava Bernardette. Quando tornammo a Parigi la chiamammo. Divenne la nostra segretaria, per sei anni. Lei è ancora la mia segretaria! Ti guardo mentre dormi, solo ieri eri viva e hai detto a Laurent: "Vai a dormire, io vengo fra un po', resto ancora con David ad ascoltare musica!". Questo lo hai detto ogni sera. Prima di coricarti volevi rimanere da sola con il ricordo di tuo figlio. Ti sei messa a sedere. Hai preso carta e penna e hai disegnato, per Sarah… disegnavi per la tua piccola figlia, finché non hai avuto dolori al cuore e improvvisamente. Così bella. Bella, ricca, famosa. Di cos'altro avresti avuto bisogno? Di pace, e di un po' di felicità! Ti guardo mentre dormi. Sono di nuovo solo. Mi dico: tu mi hai amato. io ti ho amata. Io ho fatto di te una francese, una star francese. Si, è per questo che mi sento responsabile. E questa terra che tu hai amato per causa mia, è diventata anche la tua patria. La Francia. Wolfie ha deciso, e anche Laurent ne ha espresso il desiderio, che tu rimanga qui per sempre in suolo francese. A Boissy. Là, dove fra un paio di giorni verrai raggiunta da tuo figlio David. In un piccolo luogo dove hai appena ricevuto le chiavi per la tua casa. Là volevi vivere, vicino a Laurent, vicino a Sarah. Là dormirai per sempre. In Francia. Vicino a noi, vicino a me. Del tuo viaggio fino a Boissy me ne sono occupato io, così da alleggerire Laurent e la tua famiglia. Ma non sarò presente né in chiesa né alla tomba. Wolfie e Laurent mi capiscono. Ti prego di perdonarmi, tu sai che io non avrei potuto in nessun modo proteggerti da questa gente avida, da questa massa di libidinosi, da questo "spettacolo" di cui hai sempre avuto paura. Perdonami. Verrò il giorno successivo e staremo da soli. Bambolina, continuo a guardarti, a guardarti ancora. Con i miei sguardi voglio inghiottirti e dirti ancora che non sei mai stata così bella e così tranquilla. Riposa in pace. Io ci sono. Da te ho imparato un po' di tedesco. Le parole:" ich liebe dich".

La storia con Schneider terminò anche per l'arrivo di Nathalie, la donna che Delon sposerà nel 1964 e da cui avrà il primo figlio Anthony, nato lo stesso anno. La loro storia d'amore terminerà quattro anni dopo, con un divorzio. Pare che pochi mesi prima di sposarsi, Delon avesse avuto una relazione con l'attrice Marisa Mell che avrebbe lasciato poco prima di sposarsi. Il rapporto con l'ex moglie proseguirà anche dopo, i due, infatti, continueranno ad avere un legame forte.

Dal 1968 al 1983 Delon intrattiene una relazione con l'attrice Mirelle Darc che conosce durante le riprese di Addio Jeff. Fu Delon ad avere il classico colpo di fulmine e per lei lascerà Nathalie. La donna rivelò: "Non fece subito clic, non dissi ‘È l'uomo della mia vita'" ma presto le cose cambiarono. La rottura avvenne perché Delon voleva essere ancora padre, ma l'attrice non poteva avere figli. Quando nel 2017 l'attrice morì, l'attore la definì la donna della sua vita, benché durante questi 15 anni Delon ebbe altri flirt con Veronique Jannot, Sylvia Kristel, Sydne Rome e Dalila Di Lazzaro.

La storia con Rosalie van Breemen e la nascita di Anouchka e Alain-Fabien

L'incontro con la modella olandese Rosalie van Breemen avvenne nel 1987 sul set del video della canzone Comme au cinéma. Lei ha 21 anni, mentre lui ne ha 52 ma, nonostante ciò, i due si innamorano e hanno due figli: Anouchka che nasce nel 1990 e Alain-Fabien che nasce nel 1994. I due, però, si separano nel 2001.

L'ultima compagna, Hiromi

L'ultima compagna di Alain Delon è una donna giapponese, Hiromi, con cui ha cominciato la relazione a 85 anni. A rivelarlo è stato lui stesso in un'intervista a Paris Match, in cui presentò la donna giapponese: "La mia compagna giapponese Hiromi è stata molto presente al mio fianco durante tutta la mia convalescenza". L'attore ha avuto alcuni problemi di salute nel 2019: "Durante la mia convalescenza sono stato aiutato da una persona, la mia compagna giapponese, che si è presa cura di me per mesi". Una persona vicina all'attore ha detto che i due si sono conosciuti sul set diversi anni prima: "Per molto tempo, una semplice amicizia li ha uniti. Col tempo, i loro sentimenti si sono evoluti. Hiromi ha avuto un ruolo indiscutibile nella guarigione di Alain, ma anche nella sua nuova serenità". Qualche mese fa, però, i figli l'hanno allontanata, come ha denunciato lei stessa: "Mi vedevano come una minaccia" denunciò.

continua su: https://www.fanpage.it/spettacolo/personaggi/la-lettera-di-alain-delon-a-romy-schneider-lepilogo-della-loro-storia-damore/

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Aggiungo che un uomo affascinante come Delon possa aver fatto perdere la testa a molte donne, così come l'ha persa lui per altre, Ma sono persuasa che un attore bravo come lui, colpiva non solo per la sua innegabile bellezza, per per il fascino e la bravura nella sua recitazione.

Un ricordo se lo merita. 

Danila Oppio

LA LEGGENDA DELLE STELLE ALPINE di GIOVANNA GIORDANI


LA LEGGENDA DELLE STELLE ALPINE

- Io piangerò, quando te ne andrai – disse la guglia rocciosa alla neve che si stava sciogliendo ai primi tepori della primavera.

- Avrai la compagnia del sole e delle stelle – rispose la neve.

- Sono lontani – replicò la roccia

Allora la neve sostò un attimo pensierosa e parlò così:

- Ti lascerò un dono prezioso che sarà la tua compagnia, ma dovrai custodirlo affinché non sia calpestato o distrutto -.

La roccia promise, e attese.

Fu così che all’inizio dell’estate apparvero, tra le crepe rocciose, delle stelline bianche e vellutate come la neve alla cui vista la guglia pianse di gioia.

La neve aveva mantenuto la promessa. Era un dono meraviglioso e le rocce continuarono a custodirlo orgogliose e grate perché sapevano che era prezioso ed ineffabile, come la vita.


Giovanna Giordani


SCHIAVITÙ VOLONTARIE E FRAGILI LIBERAZIONI NEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO



Schiavitù volontarie e fragili liberazioni nel Sahel

La schiavitù, processo nel quale la persona è espropriata della sua umana dignità, non è affatto terminata. Difficile dimenticare la tratta atlantica di milioni di schiavi preceduta e accompagnata dal quella dei mari orientali attraverso le piste carovaniere del deserto. In questo ambito Paesi ‘cristiani’ e ‘musulmani’ hanno utilizzato entrambi la schiavitù come sistema economico e sociale, mare Mediterraneo compreso. La tratta degli schiavi ha saputo adattarsi e prosperare nelle mutevoli contingenze storiche senza nulla peere della sua cinica strategia di annientamento. In Africa Occidentale la pratica della schiavitù si riproduce in vari Paesi a seconda dei gruppi etnici, dei rapporti di potere culturale, economico e politico. Per ogni epoca le sue ‘compatibili’ schiavitù.

Nella notte del 22 al 23 agosto del 1791 iniziò l’insurrezione nell’isola di Santo Domingo, oggi Repubblica di Haiti, che avrebbe giocato un ruolo determinante nell’abolizione della tratta atlantica degli schiavi. Ed è in questo contesto che la giornata internazionale della memoria della tratta degli schiavi e della sua abolizione è commemorata ogni anno il 23 agosto. Detta celebrazione vuole inscrivere questa tragedia nella memoria collettiva dei popoli col progetto interculturale ‘Le Strade delle persone ridotte in schiavitù’. Alcuni luoghi della costa atlantica, come la ‘ Porta del non-ritorno ’ di Ouidah nel Bénin e quella dell’isola di Gorea in Senegal, sono emblematici. Le porte di ‘non-ritorno’ si sono oggi moltiplicate perché la mercificazione delle persone si è, col tempo, perfezionata.

Tutto, proprio tutto, è stato gradualmente trasformato in mercanzia. Il tempo, le frontiere, il corpo umano, la sessualità, il lavoro e la vita stessa fin dal suo scaturire nel grembo materno. Dalle nostre parti si assiste all’arruolamento di bambini nei gruppi armati, lo sfruttamento degli stessi nelle miniere e nelle piantagioni per sfociare infine nella mendicità, la prostituzione e il lavoro domiciliare. D’altra parte è bene non dimenticare che, nel Sahel, la prima e grande schiavitù è la miseria. Le sue figlie naturali sono le carestie che si riproducono con paziente regolarità e coinvolgono, secondo le ultime statistiche della ‘Alliance Sahel’, almeno 38 milioni di persone. Quanto accade in Libia coi migranti che sono da tempo detenuti, imprigionati, sfruttati e, spesso, violentati, è storia ben nota.

Quanto alla schiavitù mentale, fonte e culmine di tutte le servitù elencate, essa inizia il giorno nel quale si accetta, spesso con inconscia gratitudine, la propria schiavitù. Senza sudditi sinceri, fedeli e consenzienti nessuna schiavitù e nessun tiranno potrebbe esercitare il suo potere di dominazione. Ricordava infatti Etienne de la Boétie...’ (Poeta e umanista francese (Sarlat, Dordogna, 1530 - Germignan, Bordeaux, 1563). Fu magistrato nel tribunale di Bordeaux, dove divenne amico di Montaigne (che parlò di lui nei suoi Essais e curò la pubblicazione delle opere); tradusse Plutarco e Senofonte. Espresse il suo pensiero, d’ispirazione stoica, oltre che in poesie in latino e in francese, nel celebre Discours de la servitude volontaire ou le Contr’un (post., 1576; trad. it. Discorso sulla servitù volontaria), dissertazione retorica sull’arbitrarietà di ogni potere, utilizzata dai calvinisti per legittimare la loro causa. Questo scritto fu poi ripreso e plagiato da Marat in Chaînes de l’esclavage (1774) e riscoperto da Lamennais.) Sono dunque i popoli stessi a lasciarsi o per dire meglio a farsi maltrattare, sarebbero salvi solo se smettessero di servire. È il popolo che si fa servo e si taglia la gola; che, potendo scegliere fra essere soggetto o essere libero, rifiuta la libertà e sceglie il giogo, che accetta il suo male, anzi lo cerca’. Nel Sahel i colpi di stato a ripetizione e l’avvilimento delle esperienze democratiche post indipendenza sono lo specchio dei nostri popoli.

Scrive ancora de la Boétie...’non è forse evidente che i tiranni per imporsi hanno sempre cercato di abituare i popoli non solo ad ubbidire e servire ma anche a venerarli?’. Nessun cambiamento, trasformazione o autentica rivoluzione potrà cadere dall’alto di un’illuminata minoranza civile o militare. Le uniche ‘liberazioni’ possibili non possono che scaturire, nutrirsi e crescere a partire dalla debolezza e la fragilità dei poveri che, soli, hanno il segreto della quotidiana lotta per la resistenza. Il primo passo sarà quello consigliato dall’autore citato...’ Decidete una volta per tutte di non servire più, e sarete liberi! Vi chiedo ...soltanto di smettere di sostenerlo e lo vedrete, come un colosso di cui si sia spezzata la base, crollare sotto il proprio peso e spezzarsi’. E’questa la vera porta di non-ritorno.

        Mauro Armanino, Niamey, 23 agosto 2024

domenica, agosto 18

CENSURE DI POLVERE NEL SAHEL di Padre MAURO ARMANINO



                            Censure di polvere nel Sahel

Sono sparite in sordina da un giorno all’altro. Le bandiere dei Paesi membri della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale non sono più in vendita. Negli affollati crocevia della città di Niamey, tra semafori claudicanti, vigili per regolare il disordinato traffico del rientro si vende di tutto. Datteri, pura acqua potabile in sacchetti di plastica, ciabatte di fabbricazione artigianale, guinzagli per cani inesistenti, giocattoli cinesi di plastica, gabbie per i canarini e persino copie in formato gigante del Corano. Le uniche bandiere ammesse sono quelle degli Stati dell’AES, il Mali, il Burkina Faso e il Niger e, da qualche mese, bianca, blu e rossa a bande orizzontali, quella della Federazione Russia. Sulla altre si è applicata, senza alcune legge scritta, l’auto- censura commerciale.

L’ordinanza del governatore della regione di Niamey ha recentemente annunciato una serie di misure per contrastare l’accattonaggio crescente nella capitale del Paese. I mendicanti saranno suddivisi e ricondotti ai villaggi di provenienza. Nei casi di recidiva questi ultimi saranno portati nelle zone di grande irrigazione del Paese e obbligati a lavorare, seppur non in modo ‘forzato’. In effetti il generale governatore spiega la mendicità, nazionale e internazionale dei bambini e donne soprattutto, con la pigrizia e la ricerca di soluzioni facili. La censura dei poveri non data d’oggi, purtroppo. Sembra una delle costanti della storia umana. Censurare i poveri, renderli invisibili invece di lottare contro le cause che producono la miseria è una strategia senza futuro. Nel frattempo, si coltivano i talibé nelle strade.

‘La censura è il controllo della comunicazione da parte di un'autorità, che limita la libertà di espressione e l'accesso all'informazione con l'intento dichiarato di tutelare l'ordine sociale e politico’. Recita così la definizione ufficiale della parola in questione alla quale si può aggiungere che si tratta di una ...’severa obiezione mossa alla condotta altrui: incorrere nella censura dei malevoli, critica, disapprovazione, biasimo e condanna’. Sono questi fattori che incidono nel modo di porsi in relazione con la ‘maggioranza’ più o meno silenziosa che spesso applaude il potere. Com’è noto dagli studi di psicologia sociale, le persone seguono i dettami del pensiero dominante. Ricordava Karl Marx che ...’le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante’.

Capiamo perché ampie porzioni della ‘società civile’ del Paese, i mezzi di comunicazione, l’esercizio della giustizia, i sindacati degli insegnanti come quelli di altri lavoratori hanno, assieme a un’autorevole parte delle autorità religiose, integrato la narrazione dominante. Quando, appena un anno prima, le stesse giuravano fedeltà incondizionata alle autorità nel potere in quel momento. Suona edificante quanto rilevato dal giornalista maliano Mohamed Attaher Halidou in un recente post... ‘Se le libertà vengono confiscate, è perché l'opinione pubblica applaude agli eccessi totalitari e alle ingiustizie di ogni tipo senza capirle’. Confiscare è voce del verbo censurare.

‘Se le libertà vengono confiscate, è perché gli artisti non hanno più ispirazione e preferiscono compiacere con discorsi demagogici lontani dalla loro arte, dalla bellezza, al servizio del pubblico. Se le libertà vengono confiscate, è perché gli intellettuali sono rimasti in disparte e hanno accettato il regno del pensiero unico, rendendosi complici della morte del pensiero e della riflessione nel Paese.Se le libertà vengono confiscate, è perché la classe politica ha pervertito la politica. Nessun ideale, nessuna convinzione, nessuna linea... Se le libertà vengono confiscate, è perché i leader religiosi sono diventati ciechi sostenitori del potere a scapito della parola di Dio e degli interessi delle vedove e degli orfani. 

In realtà, sono tutti d'accordo. Alleati del potere contro i più deboli’.

         Mauro Armanino, Niamey, agosto 2024

sabato, agosto 10

LA FEBBRE DELL'ORO NEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO




                         La febbre dell’oro nel Sahel

Appena qualche hanno fa si parlava con enfasi di ‘diamanti di sangue’. Ciò in riferimento al ruolo giocato da questo simbolo di bellezza, prestigio e perennità nella nascita, lo sviluppo e la perpetuazione dei conflitti armati. Alcuni di questi, grazie tra l’altro alla facilità di commercio e trasporto, avevano contribuito a finanziare le ribellioni armate in Sierra Leone, Liberia e Angola. Anche la vendita di tronchi di legno pregiato aveva giocato un ruolo simile seppur in minore misura. In effetti il controllo delle transazioni del legname sembrava più facile e non si è mai parlato seriamente di questo commercio. Charles Taylor, uno dei ‘signori’ della guerra in Liberia, aveva utilizzato entrambe le risorse al tornante del millennio!

Lo spazio saheliano è ricco di vari minerali e tra questi spicca lo sfruttamento dell’oro. Assieme alle armi, alla droga e alle persone, secondo vari osservatori, contribuisce in modo rilevante al finanziamento dei ‘gruppi armati terroristi’, i GAT, come vengono talvolta definiti. Il fenomeno è conosciuto, studiato eppure, stranamente, non appare alla luce la dicitura ‘oro di sangue’, eppure proprio di questo si tratta. Con lo scopo di finanziare i gruppi armati continuano i rapimenti di persone, specie nelle zone di frontiera con la vicina Nigeria...Ma è l’oro, ormai, a farla da padrone.

L’oro, ‘nervo della guerra nel Sahel’, rileva la rivista ‘l’opinion’ che sottolinea quanto le giunte al potere, i gruppi armati e jihadisti si affrontino per il controllo delle miniere d’oro nello spazio sahel-sahariano. ‘La corsa all’oro costituisce una nuova manna finanziaria e opportunità di reclutamento per i gruppi armati’, si può leggere nel recente rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, UNODOC. Le multinazionali che sfruttano l’oro del Sahel sono essenzialmente australiane, canadesi, russe e sudafricane, associate ad attori nazionali, Una parte importante dell’oro del Sahel usa circuiti clandestini e passa tramite i libanesi e altri agenti basati in Svizzera, Turchia, Dubai, Singapore e Cina.

Anche in seguito alla desolazione e distruzione della Libia ad opera dell’Otan, nel 2011, armi, gruppi ben formati al terrorismo e finanziati da poteri non troppo occulti, hanno seminato morte e distruzione nel Mali e poi nei Paesi adiacenti, il Burkina Faso e il Niger. Quanto alla Nigeria l’impatto nefasto della setta chiamata ‘Boko Haram’, è cominciato ancora prima, provocando l’esodo di milioni di persone all’interno e all’esterno del Paese. Il ruolo poi, di gruppi come Al Qaida e lo Stato Islamico, ha fatto del Sahel una delle nuove frontiere del terrorismo internazionale. L’oro ha il colore di guerra.

‘Finché c’è guerra c’è speranza’, recitava così il titolo di un film apparso sugli schermi nel 1974. Un’affermazione a prima vista paradossale ma non quanto possa sembrare. Secondo l’istituto per la Pace, basato a Stoccolma in Svezia, praticamente tutti gli stati nei vari continenti hanno aumentato le spese militari. Ciò è vero anche per i Paesi del Sahel più colpiti dalla violenza armata ‘terrorista’. Ciò ha significato, tra le altre cose, un graduale spostamento del baricentro del potere. Passare dal potere politico a quello ‘militare’ non è stato difficile. I colpi di stato dei militari nel Sahel non sono casuali.

La ‘speranza’ della guerra riguarda, evidentemente i gruppi armati, i fabbricanti e i commercianti d’armi e l’apparato militare che, anche grazie a ciò, può giustificare la conquista e la permanenza al potere. Il perdurare del conflitto armato è ben visto anche da quei giovani che, marginalizzati e frustrati dall’esclusione sociale, potranno trovare nelle armi un’identità e posizione che difficilmente avrebbero raggiunto in una situazione ‘normale’. E, infine, la continuità della guerra non può che favorire le imprese che patteggiano coi gruppi armati e, come sempre, il mondo umanitario.

Presto o tardi bisognerà tentare di capire fattori esogeni ed endogeni di questa guerra quotidiana. Ideologhi, mandanti, esecutori e condizioni che continuano a favorire la perpetuazione della violenza armata in questo straordinario spazio umano che nel passato, assieme a conflitti armati, jihad, imperi, colonialismi ed esodi, ha saputo creare ambiti di creativa convivialità. Sahel significa in arabo ‘riva, sponda’, riferito naturalmente al grande ‘mare’ chiamato Sahara. Sotto certe condizioni il Sahel potrà offrire una ‘riva d’oro’ differente alla nobile popolazione che l’abita. La prima di queste è la verità.

                                    Mauro Armanino, Niamey, agosto 2024

mercoledì, agosto 7

NOI POPOLO NIGERINO SOVRANO di P. MAURO ARMANINO

            

Noi, Popolo nigerino sovrano

Comincia con questa affermazione il preambolo dell’ultima Costituzione del Niger prima che essa fosse sospesa dal colpo di stato militare del 26 luglio dell’anno scorso. Si trattava della carta fondamentale della settima repubblica, adottata il 25 novembre del 2011. Documento nato dopo un anno di transizione seguito ad un precedente colpo di stato militare. Il primo articolo, riguardante lo Stato e la sovranità, ricorda che lo Stato del Niger è una Repubblica indipendente e sovrana. Alla veglia della celebrazione dell’anno 64 dell’indipendenza, il prossimo 3 agosto, può essere interessante tentare di mettere in relazione le due proprietà citate. La sovranità nell’indipendenza e l’indipendenza nella sovranità.

Entrambe le caratteristiche citate, da interpretare in chiave dinamica e creativa, si fondano e realizzano ciò che potremmo chiamare la ‘dignità’. In nome della dignità della persona e del popolo, si parlerà di indipendenza come condizione non eludibile alla pratica della sovranità. La dignità è inerente a ogni persona umana. Alla Repubblica incombe il dovere di riconoscerla, proteggerla e promuoverla. Essa precede lo Stato che dovrà creare le condizioni per renderla effettiva e operativa. Ciò accade di solito tramite il diritto che, attraverso le leggi, ha lo scopo di rimuovere quanto potrebbe impedirne l’esercizio. Solo che, lo sappiamo, le leggi funzionano solo se il popolo veglia a non farsi rubare la dignità.

I ladri di dignità esistono davvero e molto spesso si spacciano per benefattori del popolo. Il colonialismo e il neo colonialismo ne sono un esempio eclatante. Il fascismo, il militarismo, la trasformazione del mondo in merci, i mezzi di comunicazione vassalli del denaro, le elites religiose vendute al potere e altri simili amenità scippano la dignità del popolo. Ecco perchè il primo compito di ogni persona e comunità dovrebbe consistere nel far crescere la consapevolezza dell’inalienabile dignità di ogni essere umano. Ciò implica dunque il dovere di creare spazi e ambiti nei quali la dignità sia promossa e, quando necessario, difesa. Rivendicare la dignità perduta e ritrovata passa attraverso la cittadinanza attiva del popolo.

L’articolo 4 della soppressa Costituzione ricorda che la sovranità nazionale appartiene al Popolo e che nessuna frazione dello stesso, nessuna organizzazione o individuo può attribuirsene l’esercizio, neppure i militari. Il popolo, ricorda l’articolo 6 della Costituzione, esercita la sua sovranità per mezzo dei rappresentanti eletti e per referendum. Il collante tra l’indipendenza del Paese e la sua Sovranità passa per la dignità. Ciò naturalmente implica che le condizioni di vita dei cittadini siano degne, Cibo, casa, lavoro, salute, educazione e partecipazione politica sono ambiti non negoziabili se si assume come compito il riconoscimento della dignità. Dimenticare questo significa mistificare sia l’indipendenza che la sovranità. Rimarrebbe solo il vuoto di parole buttate nel vento che la polvere seppellirà nel cimitero delle promesse tradite.

         Mauro Armanino, Niamey, 2 agosto 2024