POETANDO
lunedì, gennaio 31
Just Like a Woman Pontifex cui segue il testo della poesia di Samina Zargar
PICCOLI ESERCIZI DI CONSAPEVOLEZZA di Zarina Zargar e Chiara Massobrio - co-autore e supervisor Antonino La Tona
Piccoli esercizi di consapevolezza
Autori: Zarina Zargar & Chiara Massobrio
Co-autore e Supervisor: Antonino La Tona
Caro lettore, ti pongo adesso alcune domande a cui dovrai rispondere con attenzione.
In che posizione si trovano le tue gambe in questo momento? Sono incrociate? Distese? Flesse? E la tua schiena è dritta? Inarcata? È appoggiata a qualcosa?
Ora: è stato difficile rispondere a queste domande? Prova a riflettere: dov’era la tua attenzione fino ad un momento fa? E dov’è adesso? Chi effettivamente, l’attimo prima di leggere queste righe, era consapevole dello stato del proprio corpo o di una parte di esso?
L’attività mentale, se ci facciamo caso, non parla mai al presente, ma dialoga sempre nel passato e nel futuro. Per moltissime persone, infatti, risulta davvero difficile godersi il dettaglio, il momento o la giornata che sta vivendo. Basta pensare a quante cose avvengono nel mondo e in noi stessi ogni giorno.
La maggior parte di queste vengono cancellate dall’esistenza perché non gli viene prestata attenzione. Tutti i giorni, per la maggior parte del tempo, viviamo in uno stato di inconsapevolezza e questo in una certa misura è adattivo: permette di fare un’infinità di cose automaticamente e di risparmiare risorse attentive da spendere in altri compiti, più o meno complessi.
Sicuramente anche ora sta succedendo: mentre i vostri occhi scorrono queste parole e il cervello decodifica le immagini posate sulla retina oltre ad analizzare il significato di ogni singola parola all’interno di questo contesto il vostro sterno si alza e abbassa, la vostra lingua deglutisce la saliva, il vostro dito scorre in automatico verso il basso sullo schermo.
Se facessimo caso ad ognuno di questi avvenimenti e a molti altri non saremmo più in grado di svolgerli tutti contemporaneamente. Spesso, però, questo meccanismo interno in grado di farci tralasciare le informazioni meno importanti diventa esageratamente generalizzato e noi, assorbiti dal mondo esterno o dalla nostra mente sempre troppo impegnata ad arrovellarsi su qualcosa, finiamo per perderci, e allontanarci da noi e dalla vita.
Esistono, fortunatamente, delle metodologie in grado di guidare ognuno di noi nell’esplorazione del modo che ha di vivere il momento presente e, più in generale, la vita. Le pratiche mindfulness-based, che letteralmente con il termine stesso si riferiscono alla capacità di essere pienamente presenti a se stessi, mirano ad allenare la capacità di stare nel presente in modo rilassato, ma allo stesso tempo vigile: perfettamente coscienti di ciò che sta avvenendo.
Per tornare alle vostre gambe: chi ce le aveva poste in quella posizione? Voi, ovviamente… Ma chi di voi l’ha fatto rimanendo presente a ciò che stava facendo?
Quello che avete compiuto prima focalizzando la vostra attenzione sulla posizione di diverse parti del vostro corpo è un piccolo esercizio di consapevolezza: la vostra attenzione, a partire dalle parole lette, si è spostata per qualche secondo alle vostre gambe e subito dopo alla vostra schiena per capire in che condizioni si trovassero. Questo fa parte della pratica della consapevolezza, detta appunto in inglese mindfulness, e si inizia con poco.
Il termine mindfulness, come già accennato, indica un preciso stato mentale che ha a che fare con qualità dell’attenzione e della coscienza che possono essere coltivate e sviluppate attraverso la meditazione (Segal et al. 2014).
Oggi il termine viene anche genericamente utilizzato per indicare un insieme di pratiche, talvolta organizzate in protocolli clinici, che si basano sull’ascolto del corpo, sulla respirazione e sulla presenza non giudicante di quello che accade nel momento presente.
La teoria sembra semplice, ma la pratica non lo è: ci vogliono disciplina, costanza e allenamento. Se, però, riuscirete a vincere le resistenze iniziali e le frustrazioni vi sorprenderete di quanto con l’esercizio si possa migliorare.
Di come si possa essere sempre più bravi a non lasciarsi trascinare dai pensieri, di come l’immaginazione possa diventare sempre più fervida e di quanto la sensibilità possa affinarsi fino a permettere di distinguere con precisione le sensazioni che arrivano dalle varie parti del corpo o dalle loro attività.
Da un punto di vista neuroscientifico l’attività meditativa mindfulness è associata a significative modificazioni delle onde cerebrali in favore delle frequenze Alpha e theta, le quali possono indicare uno stato di vigile rilassamento sia in soggetti sani che in soggetti affetti da diverse tipologie di disagio psicologico curato sia ambulatorialmente sia presso cliniche dedicate (Lomas et al., 2015).
Non a caso, una delle più influenti teoriche e psicoterapeute di successo degli ultimi decenni, la nota Marsha Linehan, ha focalizzato parte considerevole del proprio protocollo clinico denominato Dialectical behavior therapy sulla pratica della mindfulness.
La Linehan, che si é prevalentemente dedicata al trattamento del disturbo borderline di personalità caratterizzato da un elevato livello di impulsività e spesso da una scarsa capacità di restare in contatto con le proprie emozioni senza esserne travolti, ha dimostrato che gli esercizi di consapevolezza e accettazione risultano fondamentali per una corretta gestione dei propri stati emozionali e una corretta interpretazione della realtà (Linehan M., 2014).
Numerosi altri trattamenti, comunque, includono allenamenti basati sulla mindfulness come la Mindfulness-Based Cognitive Therapy per la riduzione delle ricadute depressive o la Acceptance and commitment therapy che aiuta il paziente a essere più elastico psicologicamente e quindi più resiliente.
Non é solamente la conoscenza di sé stessi a migliorare, seguita a ruota da una migliorata capacità di gestione del quotidiano. La ricerca scientifica sempre più ricca, infatti, dimostra anche che questo tipo di attività è in grado di attivare la corteccia prefrontale e la corteccia cingolata anteriore ed una pratica costante può nel lungo termine potenziare le aree associate alle funzioni attentive (Chiesa e Serretti, 2009).
Spesso, in un mondo frenetico e folto di impegni e necessità arriviamo al punto di perdere il contatto con il nucleo più profondo di noi stessi: chi siamo, cosa vogliamo e soprattutto cosa proviamo. Per questa ragione é importante darsi un momento per riprendere fiato, scollegarsi da tutto ciò che circonda e concedersi un momento privato ricco di benefici. La pratica costante della mindfulness può aiutare in questo: gradualmente contribuisce a potenziare le nostre capacità mentali di resistenza allo stress e allinearle al nostro corpo per incrementare, anche in breve tempo, la nostra salute fisica e mentale.
Un punto fondamentale, nella meditazione, è il respiro. Esistono diversi tipi di respirazione, ma per la mindfulness la cosa più importante è l’atto stesso della respirazione. Ecco qui un altro piccolo esercizio di consapevolezza. Vi accorgete che state respirando? E solitamente? La risposta è chiaramente “no”, eppure lo fate sempre: tutti i giorni dalla nascita, 24 ore su 24. É impossibile e non necessario essere costantemente focalizzati sui piccoli e grandi cambiamenti che avvengono ogni secondo nel nostro corpo.
Un piccolo esercizio per iniziare a praticare e avvicinarsi alle tecniche meditative, però, può essere quello di portare l’attenzione al respiro per qualche minuto al giorno, più volte al giorno, senza modificarlo. Da solo questo “semplice” esercizio, ripetuto quotidianamente, può rendere meno difficoltoso e più abituale essere consapevoli di sé e migliorare conseguentemente l’atteggiamento alla vita.
Nella continua corsa quotidiana che mira sempre più spesso a un obiettivo materiale (economico, di successo lavorativo, di ascesa sociale, ecc.), i momenti di pratica possono diventare dei veri e propri “ritorni a casa”. Non esiste la bacchetta magica, ma con un po’ di impegno si possono ottenere degli ottimi risultati. Si tratta soltanto di avere la curiosità di riscoprire il proprio corpo e l’esperienza delle cose più semplici, da sempre portatrici di valore autentico e troppo spesso dimenticate.
BIBLIOGRAFIA
Chiesa A., Serretti A. (2009). A systematic review of neurobiological and clinical features of mindfulness meditations. Psychological Medicine, volume 40.
Segal Z. V., Williams J. M. G., Teasdale J. D. (2014) Mindfulness. Al di là del pensiero, attraverso il pensiero.
Bollati Boringhieri. Lomas T., Ivtzan I., Fuab C. H. T., (2015). A systematic review of the neurophysiology of mindfulness on EEG oscillations. Neuroscience & Biobehavioral Reviews, volume 57, pages 401-410.
Linehan M. (2014). DBT? Skills Training Manual, Second Edition. Guilford Publications
domenica, gennaio 30
COULIBALY OSSIA L'AFRICA CHE CAMMINA di P. MAURO ARMANINO
Coulibaly ossia l’Africa che cammina
Torna da sua madre dopo sette anni con quattro valigie e due borse altrettanto pesanti. Coulibaly, dopo aver rubato i soldi del viaggio alla mamma era partito, con una dozzina d’amici, per diventare un campione di calcio in Tunisia. Aveva giusto 13 anni quando gli avevano presentato una coppia di adulti che, dietro compensazione, potevano dargli un futuro come calciatore in Nord Africa. Sul retro di un Toyota ‘pick-up’ si ritrova, senza saperlo, con i compagni di gioco nella città di Sebha, in Libia. Scorrono un paio di mesi attorno a casa, giocando a pallone e attendendo istruzioni per la tappa seguente. Arrivati a Tripoli gli amici scoprono di trovarsi in Libia e si accorgono della scomparsa della coppia, dileguatasi coi soldi e le speranze. Imprigionati in una casa della città, dopo qualche tempo riescono a fuggire ognuno per conto suo. Coulibaly trova lavoro in un ristorante per migranti come lavapiatti presso alcuni nigerini di lingua hausa. Non ha nessun desiderio di tentare di attraversare il mare e, aiutato da un ‘passeur’ egiziano a cui ha versato 130 euro, raggiunge l’Algeria. Dopo qualche peripezia raggiunge la periferia della capitale dove lavora per un paio d’anni come manovale. Decide infine di cercare lavoro ad Algeri e impara il mestiere di imbianchino.
Coulibaly rimane in Algeria dal 2016 fino all’anno in corso. Stanco di nascondersi alla vista dei poliziotti e militari che deportano i migranti, è il pensiero d’aver tradito la fiducia di sua madre Aicha, che lo spinge a prendere la decisione di tornare a casa. Tramite un amico incontra un’associazione umanitaria che aiuta i migranti a fare la strada di ritorno. Sul cammino di Tamanrasset è fermato e derubato da alcuni militari algerini di quanto aveva messo da parte per rimborsare quanto sottratto a suo tempo alla madre. Gli hanno portato via i suoi 300 euro e la somma che l’associazione aveva offerto per il viaggio. Arrivato a Tamanraset trova alcuni nigerini coi quali può conversare nella stessa lingua imparata a Tripoli e passare per un originario del loro stesso Paese. Lo portano con loro fino alla città di Tahoua al nord del Niger. Coulibaly, per continuare il viaggio fino a Niamey, si trova costretto a vendere alcune preziose paia di scarpe che aveva comprate in Algeria e messe da parte per la madre e la sorella maggiore. Ottiene i soldi sufficienti per pagarsi il biglietto fino alla capitale del Paese e chiede aiuto per continuare il viaggio a ritroso fino ad Abidjan, la capitale economica della Costa d’Avorio. L’aveva abbandonata da sette anni, ancora bambino.
Le frontiere da attraversare per raggiungere il suo Paese sono chiuse a causa del recente colpo di stato nel vicino Burkina Faso. Dovrà pagare un triciclo che trasporti i suoi bagagli, nei quali ha intasato scarpe, vestiti e sette anni della sua vita, da una parte all’altra della frontiera. Dice di aver portato tutte queste mercanzie per farsi perdonare da sua madre che l’aspetta, con la coscienza di averle procurato angosce e sofferenze per la sua nascosta partenza. Coulibaly, partito a tredici anni torna più che ventenne a casa e dice di non rimpiangere nulla del vissuto, a parte il furto iniziale. Sa leggere ma non scrivere e dice che, dopo un tempo di riposo, cercherà lavoro come imbianchino e andrà a scuola per imparare a scrivere la sua storia. Afferma di essere contento perché ancora vivo dopo quanto vissuto. Una metà delle sue borse contengono scarpe per ogni misura e occasione. Giura che le ha portate per andare lontano.
Mauro Armanino, Niamey, 30 gennaio 2022
sabato, gennaio 29
IN UNA BIBLIOTECA CHE NON CONOSCO...del Prof. GIULIO MARRA
Giulio Marra, professore ordinario di Lingua e Letteratura Inglese all'Università Ca' Foscari di Venezia dal 1981 al 2010. Dal 1987 al 1994, e dal 2002 al 2008 è stato direttore del Dipartimento di Studi Europei e Post-coloniali.
Nel 1995 fonda e dirige la rivista letteraria Il Tolomeo che pubblica inediti, interviste, recensioni di ciò che viene pubblicato e tradotto in Italia nel settore anglofono e francofono (Africa, Canada, Australia, India, Caraibi, Nuova Zelanda, Irlanda, Scozia).
Nel 1999 in collaborazione con le università di Bologna, Lecce, Macerata, Milano, Padova, Pisa, Roma, Siena, Torino, Trento, Udine, Venezia, Vercelli contribuisce a fondare l'AISLI, (Associazione Italiana per lo Studio delle Letterature in inglese), della quale ricopre l'incarico di Presidente dal 2001 al 2006. AISLI è divenuta nel 2010 l'AISCLI (Associazione Italiana di Studi sulle Culture e Letterature di lingua inglese).
Da molti anni è promotore di messe in scena di opere teatrali contemporanee (scelta dei testi e traduzioni inedite) presso il Teatro Goldoni di Venezia, il Teatro Universitario Giovanni Poli ed altri teatri. Fra le opere vanno ricordate: Baby Blues, Il caso Farhadi, Una linea nella sabbia, Joe Beef, Whylah Falls, Il villaggio degli idioti, Jessica, Office Hours.
§§§§§
È la storia di un incontro tra un sopravvissuto e un bambino morto nel disastro del Vajont. Il sopravvissuto ha vissuto una vita sportiva ma sempre segnata dal tragico episodio. Vita sportiva e ricordo si mescolano costantemente. Il bambino non può rispondere alle domande o ai racconti del sopravvissuto, in realtà il fratello maggiore.
Chi scrive ascolta il loro dialogo e si limita a fornire la struttura del loro incontro. L’immagine scelta è quella di un libro intonso, chiuso dal fango, trovato tra le macerie, che non riesce ad essere aperto in un dialogo tra i due protagonisti: in altri termini la prima e l’ultima copertina, tra l’inizio di una vita e la fine di una vita, che i due fratelli avrebbero potuto vivere e condividere. Immagino che il sopravvissuto abbia trovato un libro prezioso sul luogo della scomparsa biblioteca, come nella storia del villaggio di Guaca raccontata alla fine.
Le citazioni hanno la funzione di creare e di restituire il senso e il valore della comunità. La voce narrante si mescola a quella del sopravvissuto.
A memoria
Vorrei lasciare
mura piene di felicità
Di voci, di canti
D’assordanti cantilene
E di lacrime, che si srotolano
Come disegni di un arazzo
di gigli e rose
E di risa come ali d’uccelli
Alle finestre del cielo,
Mura che parlano con altra voce
Che ridono con altre risa,
Mura desolate e solitarie
disegni della memoria
Esse ora sono,
Vorrei che non si sentisse
Che il tempo è passato
lasciando il segno
Indelebile
Dell’addio,
Vorrei che l’oblio non fosse
Una dimensione della mente,
Vorrei che l’uomo e le sue arti
Servissero all’eternità,
Come giocolieri in un circo
lanciano aste e cerchi
Senza mai cadere,
Così cadono i sogni
in ragnatele, sospese
fra terra e aria,
Vorrei che non si dimenticassero le parole
dette tra queste mura
Canti e preghiere, fruscii di sillabe
Storie che forgiano il cuore,
Folate di vento tra rami d’autunno
Solo queste io sento
Andare e venire,
Mentre i quieti sogni d’aracne
Incorniciano gli angoli
Di mondi circolari,
nelle luci spente del tramonto
usciremo in punta di piedi
con parole già spese
e nessuno saprà che siamo vissuti qua
tutti, senza la pena
di rincorrere la felicità,
che la vita vi è passata fata morgana
d’ombre e luci, ormai
per magia le foglie rinsecchite corrono
come un tempo alle porte e alle finestre
per chiedere armistizi
all’effimero,
oasi di verde e fiamme,
nessuno risponde all’appello
ma le mura,
Ritte e ferme come inconcussi
Testimoni agitano nel silenzio
Ombre del tempo che fu.
IN UNA BIBLIOTECA CHE NON CONOSCO
“Mi senti? Mi senti? Mi sei vicino?”. Mi guardai intorno, cercando la provenienza di quel flebile sussurro. “Vicino?” mormorai tra me e me. Pensai che un bambino mi stesse chiamando, di nascosto. Succedeva così ogni volta che mi avvicinavo a quell’angolo di casa. “Ehi, tu… mi senti?” e ogni volta avevo un sobbalzo. “Mi senti?”. Feci attenzione. La flebile voce sembrava provenire da un libro azzurrognolo, del tutto intonso, rimasto tra le macerie della mia piccola biblioteca. Lo vidi. Lo raccolsi. Lo tenni tra le mani. Ma chi era quella voce, che ogni giorno mi aveva cercato? Eh, si, perché ogni volta che sentivo quella voce succedeva qualcosa dentro di me. Potenza della voce. L’anima reagisce ai luoghi dove passa, a un luogo che non ho mai dimenticato, a un luogo dal quale mi chiedo perché mi sono discostato, a un luogo che ho perso e sentito per tanto tempo lontano. Percorriamolo dunque quel luogo. Dall’inizio alla fine. Sulle ali ambrate della nostalgia, di una lenta nostalgia, di nessun colore e di tutti i colori, di nessun mezzo e di tutti i mezzi, di nessun ordine e di tutti gli ordini. Ci avvicineremo con passo incerto?
Faremo come Astolfo che cerca
Il senno di Orlando sulla Luna?
mercoledì, gennaio 26
IN MEMORIA DI AURELIA GREGORI 82120 AUSCHWITZ di Giulio Marra
Da Aurelia ad Aurelia. Da una madre alla sua neonata
In memoria di Aurelia Gregori 82120 Auschwitz
Testo del prof. Giulio Marra
1 -
Una storia fatta di tante storie, una storia di tanti giorni, miei, tuoi, di chiunque abbia camminato in questo mondo. Mi colpì un’idea che farfugliava nel profondo mare, al quale stavo dinanzi, e venne a galla, piano piano, in silenzio. Una storia? No, non una storia. Una trama in cui intrappolare qualche essere umano? No. E cosa rimane? Attimi, pensieri. Luoghi, sentimenti. Soprattutto un’idea, un’idea come eri tu. Eri ancora idea, un seme che deve prendere forma e ha in sé ogni forma. Costretta nel tempo e nello spazio lungo un filo spinato, sceglievo di non guardare mai le betulle che sporgevano oltre le mura, la mia e la tua anima non avrebbero potuto reggere, pensavo. Pensai di parlarti come parlai bambina, un giorno, al mio aquilone. Come se l’aquilone adesso fossi tu. Hai bisogno anche tu della mia mano? E io di sentirmi viva. “Dove andare?” mi chiese l’aquilone, frustato dal vento, e io gli risposi come ce l’avessi ancora in mano la corda che lo teneva legato:
Perché non t’innalzi
Da solo nell’aria
Senza l’aiuto delle mie mani?
Sei un’illusione lassù
immobile nel vento
Che mi passa davanti agli occhi?
L’ombra di una nuvola?
Il coreografo delle aeree correnti
In un concerto di nubi?
Non parlarmi
non sorridermi
non rispondermi
per dirmi cosa
dovrei fare
tu hai bisogno della mia mano,
affidi la libertà, illusione?, a uno spago
per mantenerti in volo e così, mai
scendere a toccare terra e acqua
sostanze ora pesanti sul mio cuore…
Ma poi vidi una bambina
Che scalciava nell’aria
Un’immagine riflessa
Di tempo addietro
Che rideva e correva
Nell’erba ventilata e spariva
In uno specchio evanescente.
LETTERA DA UN PADRE AI FIGLI di RENATA RUSCA ZARGAR
Torino, 16 luglio 2021
martedì, gennaio 25
Impressioni di lettura di ALESSANDRA GIUSTI per STORIE GIROVAGHE
Impressioni di lettura di Alessandra Giusti per STORIE GIROVAGHE
Ho letto con piacere “Storie girovaghe” dell’amica Danila. Una lettura scorrevole, gradevole, abbellita da disegni dell’autrice stessa e da altre belle immagini. Il genere racconto (o romanzo breve) è nelle mie corde e ritengo che lo possa essere in quelle di molti lettori. Io ho seguito l’ordine dell’impaginazione, ma avrei potuto tranquillamente leggere aprendo il volume a caso di volta in volta. I racconti sono infatti vari, gli argomenti e gli avvenimenti narrati, di fantasia o ispirati alla realtà, non sono legati cronologicamente tra di loro e consentono di spaziare liberamente da una pagina all’altra. Chiunque in questo bel libro potrà trovare riferimenti alla propria vita e ai propri interessi e pensieri; i racconti narrati, anzi, danno voce a pensieri che sentiamo nostri e che magari non siamo riusciti finora ad esprimere in modo adeguato. È questa secondo me la forza di questa pubblicazione, che non annoia mai il lettore. Riferimenti storici, letterari, scientifici, psicologici, sociologici e di quotidianità che scivolano via senza pesare, coinvolgendo chi legge, che si trova alla fine con il suo bagaglio arricchito senza essersene nemmeno reso conto, se non alla fine, quando un: “Bello!” esce spontaneo dal cuore. Grazie Danila! Se proprio dovessi soffermarmi su una in particolare di queste belle storie (leggendo mi è tornata alla memoria una canzone di quand’ero bambina: “Le piccole storie, che girano per il mondo…”) lo farei su “L’uscita di Carla”, rischiando però inevitabilmente di far torto alle altre. Ma un torto “buono”, una piccola preferenza che nulla vuole togliere al tutto. Sono un’appassionata lettrice e al termine di un libro, da sempre, ho l‘abitudine di dire a me stessa “Lo rileggerò”, oppure “Non lo leggerò più”. Rileggerò certamente “Storie girovaghe”!
Alessandra Giusti
domenica, gennaio 23
L'EUROPA COSì COME SI VEDE DAL SAHEL di P. MAURO ARMANINO
venerdì, gennaio 21
L’ARTE TERAPIA: Trasformare il dolore per eliminarlo - di ZARINA ZARGAR & CHIARA MASSOBRIO - Co-Autore e Supervisor ANTONINO LA TONA
Autori: Zarina Zargar & Chiara Massobrio
Co-autore e Supervisor: Antonino La Tona
Ormai ci siamo quasi abituati, molte attività che facevano parte della nostra vita quotidiana hanno subito un’esclusione o sono state diminuite di frequenza. Soprattutto le attività sociali, che riguardano lo scambio e il contatto con il nostro prossimo sono diventate vietate o comunque fonte di preoccupazione.
In questa situazione di limitazione, è importante riuscire a focalizzarsi su ciò che di positivo si può ancora fare e tenere bene a mente che noi esseri umani disponiamo di una formidabile capacità di adattamento, proprio quella che ci ha portati a essere sovrani del regno vegetale e animale.
Allora, perché non rispolverare vecchie abilità o addirittura scoprire di essere bravi in qualcosa e appassionarsi a ciò che non si era mai sperimentato prima?
Uno spunto utile ci arriva dall’arte terapia, ovvero l’attività artistica utilizzata con finalità terapeutiche e ricreative. Ovviamente per essere arte terapeuta occorre un titolo specifico, ma per essere allievi o semplicemente dare libero sfogo alla propria creatività non è necessaria alcuna competenza particolare. Altra cosa davvero importante: per creare un’opera d’arte in grado di esprimere se stessi e far impiegare il tempo a disposizione in maniera più piacevole non sono necessari materiali particolari, dispendio economico e ambienti affollati. È qualcosa che si può fare in qualunque momento della giornata standosene tranquillamente immersi nei comfort della propria casa.
L’arte terapia è una realtà affermata ormai da tempo e che ha ricevuto conferme relative alla propria influenza benefica addirittura dalle neuroscienze (Hass-Cohen, Carr 2008). Sembra avere la capacità di agire sulla zona limbica, sul sistema motorio e sulle aree corticali che con esso comunicano offrendo a chi la pratica nuovi feedback corporei e visivi in grado di produrre modificazioni psicofisiologiche (Hass-Choen, Carr 2008).
Si tratta di una pratica che può inserirsi agevolmente all’interno dei più diversi percorsi e approcci terapeutici, rivelandosi una risorsa ricca e adattabile.
In clinica può essere applicata in numerosissimi campi quali il trattamento di disturbi comportamentali, emotivi, cognitivi e neurologici, arrivando ad aiutare persone di tutte le età anche con deterioramenti severi (Chancellor et al. 2013), o con storie di traumi e violenze (Schouten et al. 2014).
L’utilizzo dell’arte in terapia sembra essere molto efficace in età evolutiva. Bambini e ragazzi, se inseriti in un contesto protetto, riescono spesso ad evocare ed esprimere contenuti ed eventi altrimenti difficili da raggiungere e svelare (Waller, 2006). La riflessione, unita all’analisi cognitiva ed emotiva, che passa prevalentemente attraverso la verbalizzazione, può cedere il passo a mezzi espressivi più vicini al mondo infantile, abbondantemente fantasioso e ricco di immagini. Le parole si trasformano in linee, colori, in segni impressi su un materiale, nella scelta di un certo tipo di manipolazione.
In tutto ciò il terapeuta può essere chiamato a partecipare attivamente, cogliendo l’occasione di costruire un vero e proprio linguaggio creativo e sensoriale con il paziente, unico e irripetibile.
Il presupposto da cui parte l’arte utilizzata come terapia è proprio questo: l’azione creativa come strada alternativa per raggiungere uno spazio “altro” che risiede al di là delle parole, il quale favorisce l’emergere di contenuti non del tutto elaborati e coscienti. L’emersione è di per sè terapeutica e la riscoperta della sensorialità ha la capacità di curare e placare l’attività mentale.
A qualunque età concedersi di fluire all’interno di un atto creativo può diventare un ottimo esercizio introspettivo e liberatorio, nonché uno strumento attraverso il quale indirizzare, convertire, trasformare stati emotivi intensi e soverchianti.
A questo proposito, tra le infinite tecniche che è possibile adoperare, l’uso puro del colore, al di là delle forme e della riproduzione di soggetti concreti o astratti, può di per se’ essere sufficiente a promuovere l’avvicinarsi, l’esplorare e l’agire sulla sfera emotiva (Withrow).
Non servono grandi abilità tecniche, è sufficiente la disponibilità a perdersi all’interno di ciò che si sta facendo, lasciandosi trasportare da quello che accade in corso d’opera.
Allora anche tutti noi possiamo tornare indietro nel tempo e ridiventare quei bambini che si illuminavano di gioia con soltanto un foglio e dei colori in mano.
Tra l’altro abbiamo a disposizione innumerevoli fonti di ispirazione grazie anche al web che ci racconta del riciclo creativo (a basso costo e impatto ambientale), delle nuove forme di arte precedentemente impensabili, della bellezza di poter trasformare qualcosa di sé in qualcosa di nuovo.
Arte non è solo trasferire colori dalla tavolozza alla tela. Arte è scrivere, cantare, recitare e inventare, raccontare di sé, coltivare il proprio mondo interiore, riuscire a condividerlo senza una modalità prestabilita. Esistono innumerevoli modi per farlo e non basterebbe nemmeno tutto lo spazio del web per scrivere un elenco completo.
La bellezza risiede proprio in questo: non c’è giusto e non c’è sbagliato, c’è solo qualcosa che va trasformato.
Si tratta di un’attività esente da rischi e effetti collaterali. Al massimo può capitare di sporcarsi un po’ le mani o disegnare un sorriso autentico dove questo non c’era. Provare per credere, non resta altro da fare!
CREARE!
Bibliografia:
Chancellor B., Duncan A., Chatterjee A. (2013). Art Therapy for Alzheimer’s Disease and Other Dementias. Journal of Alzheimer’s Disease 39, 1-11.
Hass-Cohen N., Carr R. (2008). Art Therapy and Clinical Neuroscience. Jessica Kingsley Publishers.
Schouten K. A., Niet G. J., Knipscheer J.W., Kleber R. J., Hutschemaekers G. J. M. (2014). The Effectiveness of Art Therapy in the Treatment of Traumatized Adults: A Systematic Review on Art Therapy and Trauma. Trauma, Violence & Abuse, 1-9.
Waller D. (2006). Art Thrapy for Children: How It Leads to Change. Clinical Child Psychology and Psychiatry, 11-127.
Withrow R. (2004). The Use of Color in Art Therapy. Journal of HUMANISTIC COUNSELING, EDUCATION AND DEVELOPMENT, volume 43.
CREARE!
CARO SINDACO DI VENERIANO di RENATA RUSCA ZARGAR
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