POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

venerdì, luglio 26

LA PORTA E L'ALBERO DELL'INDIPENDENZA di Padre MAURO ARMANINO


L'albero di acacia, che è stato divelto da un camion, e sostituito da uno stilizzato in metallo, che serve a indicare dove si trova un'oasi.

Prima e dopo

nessuna carovana ha mai raggiunto il suo miraggio ma solo i miraggi hanno messo in moto le carovane (anonimo)

La porta e l’albero dell’indipendenza

L’attuale capo di stato ha decretato Il 26 luglio come nuova festa nazionale del Niger. Ciò per sottolineare la cesura tra un prima e un dopo l’ultimo colpo di stato militare che ha spodestato il presidente Mohammed Bazoum, a tutt’oggi detenuto nel palazzo presidenziale. Le festività, artisticamente orientate al ricupero delle culture tradizionali, durerà sino alla celebrazione della festa nazionale, il prossimo 3 agosto. Dal 1975 c’è l’usanza, per l’occasione, di piantare un albero come simbolo e contributo a rallentare l’avanzata del deserto. Si celebra, in qualche modo, l’Indipendenza dall’indipendenza per una nuova dipendenza, quella della ‘sovranità nazionale’. Il Paese è infatti indipendente dal giogo coloniale francese dal 1960, l’anno delle indipendenze per 14 Paesi dell’Africa subsahariana francese. Si aggiunsero il Congo Belga, la Somalia italiana e la Nigeria britannica. L’Etiopia, la Liberia e la Guinea avevano già gustato il frutto, dolce e amaro, della sovranità.

I militari che hanno preso il potere negli stati che hanno scelto di formare ‘l’Alleanza del Sahel’, il Mali, il Burkina Faso e il Niger, hanno affermato di aver risposto alle aspirazioni dei rispettivi popoli, stanchi dell’insicurezza, la miseria e la pessima conduzione politica. La modalità scelta dagli autoproclamati capi di stato e secondo il contesto dei Paesi citati è quella di unire i popoli attorno al valore della ‘sovranità nazionale’, come collante e nuova religione del momento. Non è dunque casuale che, in questo spazio saheliano, si punti al ricupero di un passato mitizzato, per così dire ‘imperiale’ per rifondare la sovranità.  È questa la ‘porta’ che vuole chiudere con 60 anni di ‘democrazia occidentale’ non adatta ai popoli del Sahel e aprire al passato delle tradizioni in grado di rifondare una ‘democrazia africana del Sahel’. Non appare dunque casuale, se questo progetto di ricostruzione politica vuole realizzarsi, la creazione e il mantenimento ‘aggiornato’ di un nemico. 

Siano i gruppi armati terroristi, il neocolonialismo, l’imperialismo, l’insieme degli statii dell’Africa occidentale che hanno applicato le sanzioni dopo il colpo di stato, le basi militari straniere sul posto e, in genere, quanti non sono d’accordo con questo progetto di ingegneria politica. Il nemico è insostituibile e varierà nel tempo, nello spazio e a seconda delle necessità del momento. I militari hanno giustificato la presa di potere adducendo come motivi principali la lotta all’insicurezza, la situzione economica e la pessima e corrotta gestione del potere politico. La ‘Salvaguardia della Patria’, missione che il Consiglio Nazionale dei militari si è data, si è gradualmente tradotta nella riappropriazione dell’identità profonda dei popoli del Sahel. Il rischio di assumere, tradurre (o tradire) le attese dei popoli è sempre molto alto quando ci arroga il diritto di rappresentarlo o manipolarlo. Una porta che si chiude e che si apre al passato per illuminare il presente come una sfida.

Esso è costituito, come sempre, dall’ostinatezza della realtà, puntuale e inesorabile nella sua perentorietà. Dal momento del colpo di stato alla data, le persone uccise (militari e civili) si contano a centinaia. Si prende atto che in alcune zone delle ‘Tre Frontiere’ (Mali, Burkina, Niger) lo stato è inesistente e la legge è dettata piuttosto da gruppi armati che manipolano la religione per fini di potere. Il numero di profughi e sfollati non è affatto diminuito. Migliaia di contadini non potranno lavorare la terra e questo aumenterà il numero delle persone in vulnerabiltà alimentare o in carestia che già si conta a milioni. Le condizioni di vita dei cittadini del Paese si sono ulteriormente deteriorate. Per le famiglie assicurare il cibo, la salute, l’educazione e gli affitti, rappresenta una scommessa alla sopravvivenza. Trovare un lavoro decente è come osare intraprendere il percorso di un combattente. La criminalità spicciola e quella più organizzata fanno ormai parte del quotidiano della città. 

Di tutto ciò, nella settimana festiva, probabilmente si dirà poco o nulla. Le danze tradizionali e gli slogan passeranno in fretta. Diceva il saggio, a ragione, che l’albero (della sovranità) si riconosce dai suoi frutti.

          Mauro Armanino, Niamey, 26 luglio 2024

lunedì, luglio 22

L'ULTIMA RIVOLUZIONE DEGNA DI QUESTO NOME di Padre MAURO ARMANINO

L‘ultima rivoluzione degna di questo nome

Uno spettro si aggira nel mondo e non è quello annunciato da Karl Marx e Friedrich Engels nel loro ‘Manifesto’. Non si tratta né del comunismo né del proletariato ad esso ideologicamente legato che avrebbe conquistato definitivamente il potere. Lo ‘spettro’ che attraversa il mondo odierno non è altro che la mobilità umana. Migranti, rifugiati, sfollati, turisti, operatori economici e culturali solcano lo spazio conosciuto e non ci sono ambiti, zone o luoghi che ne siano immuni. Ad ognuno, peraltro, la sua mobilità e va da sé che queste non siano coincidenti. Quelle considerate ‘pericolose’ sono quelle rappresentate in particolare da migranti e rifugiati. 

Questi ultimi, da soli, in compagnia e soprattutto con pochi mezzi a disposizione riescono, spesso a loro insaputa, a creare varchi nei sistemi di controllo, nelle geografie, i governi e le politiche di contenimento o quelle delle migrazioni ‘scelte’. Operano cioè una destabilizzazione della realtà costruita dai potenti a loro immagine e somiglianza nel perpetuare l’attuale segregazione del mondo. 

‘Io sono la guerra’, singhiozzava una signora esule dalla Repubblica Democratica del Congo dopo aver subito violenze nel corpo e nello spirito. Mohammed invece mostra con delicatezza alcune immagini registrate sul telefono che raccontano di gratuite violenze nel suo Paese di origine, la Somalia. Lui e la signora sono allo stesso tempo il messaggio, l’esilio e la sofferenza scolpita sui volti. Ciò̀ trasforma la loro vita in una drammatica metafora del nostro tempo. 

Sono loro che confiscano le frontiere, aggirano i muri, si feriscono sui fili spinati, scompaiono nei deserti e affogano nei mari. Con paziente fermezza intessono anni prima di raggiungere quanto il destino non aveva contemplato per loro. Appaiono, in questo fragile momento storico, sconosciuti protagonisti dell’unica rivoluzione in atto nel pianeta. Non figurano pertanto casuali i tentativi, destinati al fallimento, di bloccare, fermare, dirottare, negoziare o delocalizzare la destinazione del loro viaggio. Sanno che, come in ogni rivoluzione degna di questo nome, avranno incomprensioni, sofferenze e martiri. 

Ciò̀ che portano al mondo è troppo prezioso per essere abbandonato lungo la strada. Sanno che ci si può consolare della perdita del passato ma non di quella del futuro. 

Mauro Armanino, Niamey, luglio 2024

lunedì, luglio 15

SILENZI, SUSSURRI e GRIDA dal SAHEL di P. MAURO ARMANINO

Silenzi, Sussurri e Grida dal Sahel

C’è la ‘cultura del silenzio’ che fa tacere per consuetudine ciò che dovrebbe essere invece raccontato. Il silenzio, unico e non riproducibile, dei cimiteri. Il silenzio dei più poveri che nessuno si prende la briga di ascoltare. Il silenzio dei padri, in genere incompreso e quello delle madri in attesa. Il silenzio dei complici di iniquità. Il silenzio di chi acconsente a ciò che la maggioranza ha deciso. Il silenzio di chi non vuole esporsi per evitare di incorrere in problemi, critiche o persecuzioni. Il silenzio dell’auto censura di chi dovrebbe scrivere e informare sugli abusi del potere. Il silenzio dei profeti e dei veggenti cooptati dal regime della narrazione unica della verità. Il silenzio degli uomini di Dio che hanno smarrito l’origine e la sacralità della parola. Il silenzio che accoglie e custodisce il dolore della dignità ferita. Il silenzio di chi non ha più nulla da dire perché smarrito dall’abuso della violenza senza un volto. Il silenzio delle lacrime di chi ha visto tradite le speranze di un mondo nuovo.

C’è il sussurro della brezza del mattino che si avvolge attorno alle preghiere abbandonate nelle mani dei mendicanti. Il sussurro delle parole che tessono ogni giorno una realtà differente. Il sussurro della paziente attesa della pace e la giustizia che tardano ad arrivare. Il sussurro di chi non ha dimenticato di stupirsi della bellezza nel sorriso di un bimbo. Il sussurro della pioggia che feconda la terra e il seme sparso. Il sussurro del fiume che scorre verso il mare. Il sussurro del segreto di una vita vissuta in pienezza. Il sussurro del passato che suggerisce al futuro come inventare il presente. Il sussurro dei desideri mai formulati e di quelli dimenticati. Il sussurro dell’utopia che resiste alla tentazione di scomparire. Il sussurro dei cospiratori che non abbandonano la follia di un mondo ancora da scoprire. Il sussurro di un’amicizia sincera. Il sussurro del vento che inciampa tra gli i rami degli alberi. Il sussurro, lieve, di una verità liberata dalla paura.

Ci sono, infine, le grida. Le tre grida che risuonano come cori di canti lontani offerti a chi ha gli occhi e orecchie per ascoltare. Le grida di chi è stato forzato a scappare dalla propria terra e dalla propria patria che è la lingua. Le grida di chi cerca un rifugio e si trova, di colpo, senza le radici che lo sostenevano per dare una direzione al suo cammino. Le grida di chi, cercando lontano ciò che non trovava accanto, ha smarrito l’orizzonte del suo destino. Le grida di coloro che sono minacciati, feriti, uccisi e abbandonati da chi dovrebbe proteggerli. Le grida di coloro che sono buttati nel deserto o che il mare avvolge e copre per sempre. Le grida dei naufraghi e quelle di coloro che le politiche e le ideologie dominanti hanno estromesso dalla storia. Le prime grida sono di ribellione per una società che ha tradito quanto aveva loro promesso. Le seconde grida sono quelle della sofferenza generata dall’ingiustizia, la violenza e la menzogna. Le ultime grida, infine, sono quelle di un parto che fa nascere un mondo ancora tutto da creare.

                Mauro Armanino, Niamey, luglio 202

mercoledì, luglio 10

LA SABBIA E LE RELIGIONI DEL SAHEL di P. MAURO ARMANINO


La sabbia e le religioni del Sahel

Col tempo ci si abitua all’appello del muezzin che, tramite l’altoparlante di mattina presto, invita senza sconti i fedeli alla preghiera. Poi, corrente elettrica permettendo, altri altoparlanti si aggiungono e, per qualche minuto, il silenzio abitato della notte si accende di un mescolio inedito di voci, canti e sonorità. Si prega durante il giorno e poi la sera, nelle moschee e lungo le strade laddove esso è possibile e talvolta impossibile. Le feste musulmane ritmano l’anno civile e all’università statale i luoghi e i tempi di preghiera sono ormai parte del paesaggio accademico.
Il potere, qualunque sia la forma per esercitarlo ha, da sempre, assunto connotati religiosi. Dalle dittature alle monarchie messianiche passando per le repubbliche presidenziali, le nuove autorità sono in genere confermate da Dio tramite i capi religiosi che presumono di rappresentarlo. Quanto alla democrazia, nella quale il popolo sembra sovrano, essa prende i contorni di una divinità in cerca permanente di un piedistallo per giustificarsi.
Non parliamo poi delle rivoluzioni che non raramente rivendicano l’ineluttabile direzione della storia e che pertanto assumono un’aura divina o quantomeno sacralizzata. I sacrifici umani appaiono come strumento e mezzo naturale perché si possa portare a compimento quanto iniziato, spesso in modo casuale. Sembra difficile, agli umani, evitare di prostrarsi dinnanzi agli dèi, mutevoli, che caratterizzano ogni epoca dell’umana avventura.
In città si notano le croci delle numerose farmacie e quelle, più nascoste, delle chiese e dei templi. I campanili sono di modesta dimensione e le campane, dove esistono, non suonano neppure il giorno di Pasqua. Quanto alle croci che si portano al collo appaiono e scompaiono secondo le circostanze. Accade infatti che alcuni tassisti rifiutino di imbarcare coloro che le pongono senza troppa discrezione. Indossare un nome che suona come cristiano può creare problemi sul lavoro e a scuola.
Il nazionalismo, che si offre allo sguardo e commento dei politici sotto varie diciture, secondo i contesti, i linguaggi e le applicazioni, si apparenta al sovranismo e, occasionalmente al fascismo. In questi casi è lo Stato che si arroga prerogative divine di vita e morte sui cittadini e che, naturalmente, rivendica il diritto esclusivo di decidere tra verità e menzogna a seconda dell’interesse del momento. Il Leviatano, animale mitico può costringere i sudditi a abbandonare la propria sovranità in cambio di sicurezza e protezione. Ciò è quanto scrisse a suo tempo il filosofo Thomas Hobbes in un contesto di guerre senza fine tra religioni. Il Leviatano rappresenta lo Stato che si prende per Dio.
Le credenze delle religioni ‘tradizionali’ spesso vivono nell’ombra ma sono vive e vegete. Appaiono e scompaiono a seconda degli avvenimenti cruciali della vita personale e sociale. Malattie, ricerca di un lavoro, matrimonio da definire, decessi da evitare e, specie nei processi elettorali, riemerge quanto rimane sommerso nei tempi ordinari. Consultazioni di tipo magico, mistico, soprannaturale ed ecco che il mondo invisibile ritrova tutta la sua corposa e inevitabile forza persuasiva. Anche in questo caso i sacrifici di animali o umani sono una puntuale e rituale realtà.
Poi abbiamo, naturalizzato, il sistema capitalista, neoliberista, finanziarizzato all’estremo. Tutto e tutti trasforma in mercanzia vendibile sul mercato. Si tratta di una religione nella quale il dio è il denaro e ciò che esso rappresenta, in chiave simbolica e fattuale, per rivestire di potere chi lo possiede e dal quale, in definitiva, è posseduto. Dimmi chi adori e ti dirò chi sei, scrisse il saggio.
Quanto al ruolo della violenza, che si presenta come pervasiva in ogni fase della storia raccontata dei popoli, tramite le vittime, i perpetratori e i martiri, contribuisce a non lasciare abbandonati al loro destino i cimiteri. Le fosse comuni non sono così rare come potrebbe sembrare. Coloro che fabbricano, commerciano e acquistano armi, sono parte integrante del sistema religioso che ha definitivamente assunto la violenza, specie in ambito politico, come sacra.
Infine, la sabbia, presenza umile e feriale, ricorda a tutte le religioni, rivelate, inventate o supposte, che tutto parte e tutto torna a lei. A suo modo lei ironizza sui piedistalli, statue, imperi, dominazioni, guerre, templi e palazzi. Sa molto bene come vanno a finire coloro che si prendono per dei o coloro che li fabbricano a loro immagine e somiglianza. Nelle occasionali tempeste che tutto avvolgono nel suo nome, lei contesta le velleità di coloro che svendono la vita e la dignità per darsi un nome eterno. Lei è come uno specchio nel quale si riflette la vanità del prestigio, dei progetti e delle parole che, come polvere, il vento disperderà.

               Mauro Armanino, Niamey, luglio 2024

martedì, luglio 9

I MONTI AOSTANI, GIACOSA E L'AMICA ALESSANDRA GIUSTI con DANILA OPPIO

 


Alba nel cuore del Monte Rosa

Sto leggendo il libro che mi ha regalato Alessandra Giusti, NOVELLE E PAESI VALDOSTANI, scritto da GIUSEPPE GIACOSA, scrittore e poeta, ma Il suo nome nel mondo, tuttavia, è legato inscindibilmente alla collaborazione con Puccini e Illica per la stesura dei libretti delle opere: La Bohème (1896), Tosca (1899) e Madama Butterfly (1904), oltre alla stesura del libretto del primo grande successo pucciniano, Manon Lescaut (1893).

Ho gradito molto questi racconti che Giacosa ha dedicato all’amico Giovanni Camerana, con queste parole:

"Ti dedico queste novelle che mi incoraggiasti a raccogliere. Novelle senza intreccio, ma così voleva l’intento mio.  Nelle maggior parte di esse non invento, registro; di alcune potresti tu stesso attestare la verità. Ma se il lettore non ve la riconoscerà a nulla gioveranno le attestazioni mie e le tue. Non è dunque per chiamartene testimone, che metto il tuo nome sul libro; mi piace affermare qui la nostra vecchia amicizia, invocando il ricordo di quell’Alpe che tante volte ci ospitò insieme. 

Il tuo aff.mo

GIUSEPPE GIACOSA"


Scrivo ad Alessandra, che sto leggendo con grande interesse il libro che mi ha donato, e lei risponde:

Parlando di montagna, hai proprio messo il dito nella piaga. Quella che ora, per gli appassionati, è una vita scelta liberamente e la montagna un luogo di sogno, per la gente dei secoli scorsi la montagna era una nemica e un pericolo. Rendeva difficili gli spostamenti, faticosa l’agricoltura, dura l’esistenza. Non c’era né il tempo né l’idea di fare escursioni perché la povertà era tanta e le energie erano tutte concentrate sull’economia di sussistenza. Strade ce n’erano; ma erano sentieri impervi o piste che ora definiremmo trattorabili, che venivano percorse, quando il tempo lo permetteva, da carri trainati da muli. E non tutti avevano carri e muli, solo i più abbienti. C’era tanta povertà. Specie tra la zona valdostana più vicina al Piemonte, la zona di Gressoney e Pont Saint Martin, c’erano scambi economici: i valdostani portavano burro e formaggio e i biellesi davano loro la stoffa che già allora producevano. Si creò un legame che è rimasto in una bella tradizione: ogni quattro anni dal paese di Fontainemore, in Valle di Gressoney, parte una processione a piedi che dura tutta la notte e si conclude al Santuario di Oropa, a Biella.

Cara Dani, ti allego le foto promesse.

Alessandra Giusti


Mare di nubi viste ad alta quota


Cima del Castore, altezza Mt. 4.220

Ringrazio dal profondo del cuore Alessandra, per avermi fatto dono del bellissimo libro di novelle di Giacosa, e di avermi dato notizie precise in relazione dei racconti che sto leggendo e per le splendide foto che mi ha inviato della cordata di suo marito con gli amici che condividono la stessa passione per la montagna!

Danila Oppio

lunedì, luglio 8

UN ARTICOLO DA NON PERDERE - in ricordo del Professore Emerito di Medicina dell'ospedale MOLINETTE di Torino

Un Articolo da non perdere

Ricevo da Edi Morini che a sua volta riceve da: 

Da: Lodovico Marchisio <lodovico.marchisio@gmail.com>

Inviato: venerdì, luglio 5, 2024 6:11:46 PM

A: Famiglia prof. Milone Graziella° <pierantonio.milone@fastwebnet.it>

Carissimi tutti,

 quest’articolo vuole essere non un semplice itinerario ma anche un ricordo del caro amico Prof. Pierantonio Milone, (primario emerito di medicina dell’ospedale Molinette di Torino, uomo di grande fede e cultura, che ha vinto con la poesia in genere, le fotografie qui pubblicate e i suoi numerosi libri e socio GISM), mancato poco più di un anno fa. (vedi secondo articolo allegato). Ci legge in copia  la moglie Gabriella Abrate che ci ha concesso di pubblicare le sue stupende foto.

 Un abbraccio Lodovico e Roberta.









martedì, luglio 2

CRONACHE DI POLVERE di Padre MAURO ARMANINO


Cronache di polvere

Da luglio a luglio fa giusto un anno dall’ultimo colpo di stato nel Niger. Ancora una volta ci sono i militari al potere per la transizione non dichiarata ad un regime costituzionale e dunque democratico. Le marce e le ‘oceaniche’ allo stadio, partecipate soprattutto da giovani e bambini. Le bandiere del Paese al volante di tricicli, motociclette e taxi. I presidi notturni gestiti dai comitati di ‘veglia’ attorno alle rotonde principali della capitale. I raduni, le conferenze, le preghiere e l’emozione di aver vinto per la prima volta una battaglia simbolica col la Francia, Paese colonizzatore.  L’evacuazione delle basi straniere francesi e americane è andata assieme alla creazione dell’Alleanza degli Stati del Sahel. Poi si annuncia la fuoriuscita di questi Paesi dal consesso degli Stati dell’Africa Occidentale, la CEDEAO. Quanto menzionato è stato scritto sulla polvere che il vento ha disperso perché nulla di nuovo suggerisce a chi non vuole più leggere.

La bandiera russa giace accanto a quelle dei tre Paesi del Sahel sopra menzionati. Arrivano armi, istruttori e forse pure militari russi. Si riaprono gradualmente le frontiere chiuse per l’applicazione delle sanzioni in seguito al golpe militare. Rimane ostinatamente chiusa quella col Benin che, assieme a quella della Nigeria, assicurano il passaggio di persone e beni indispensabili ad un Paese come il Niger, senza sbocchi sul mare. Persino l’oleodotto di due mila kilometri, appena terminato, è reso inagibile per il contenzioso tra i due Paesi e le minacce da parte dei gruppi armati ‘islamisti’. Questi ultimi perpetrano azioni criminali che hanno costituito uno dei pretesti, se non il principale, per giustificare i colpi di stati nei Paesi citati. Una volta di più, in settimana, sono stati dichiarati tre giorni di lutto nazionale. Quanto accaduto è raccontato dalla polvere che il vento accarezza e che pochi, ormai, desiderano ascoltare.

Il confinante Burkina Faso, secondo il rapporto sull’indice del terrorismo globale del 2024, è il Paese più colpito nel mondo dal terrorismo. Con circa 2000 morti e 442 feriti il Paese ha superato l’Afghanistan come epicentro del terrorismo. Negli altri Paesi le cose non sono molto migliori e la regione delle ‘Tre Frontiere’, Niger, Mali e Burkina Faso, continua ad essere uno spazio di violenza e di morte. Torna vero un proverbio del posto che afferma … ’quando la casa del tuo vicino è in fiamme corri a bagnare la tua barba’… Ciò a significare la fragilità e il rischio di contaminazioni terroriste tra Paesi vicini. Rifugiati e sfollati si contano a centinaia di migliaia mentre sono milioni le persone in stato di carestia o in vulnerabilità alimentare. Dovremmo aggiungere le migliaia di migranti, imbarcati in convogli, espulsi e poi detenuti da un sistema umanitario impreparato a tale sfida. Quanto tradito è polvere che migra col vento e non trova occhi che vogliano indignarsi.

È passata la festa della Tabaski, memoriale del sacrificio del padre nella fede Abramo. I capri e altri ovini sono stati sacrificati dal popolo e, forse, come il popolo. I prezzi dei generi alimentari di prima necessità hanno raggiunto livelli proibitivi per le famiglie il cui reddito è lasciato nelle mani del Dio che il Sahel ha preso in ostaggio. Trovare un lavoro in questo contesto è una sfida permanente alle raccomandazioni e affiliazioni politiche diverse da quelle del regime precedente. Spenta la vita politica dei partiti rimane quanto della società civile si identifica con la narrazione dominante che il potere tiene ancora in vita. Si fanno preghiere e ci si sposa quando possibile. Ai semafori non mancano i vigili che rappresentano la normalità del traffico e, ignari della situazione politica di impasse nel Paese, i cammelli, gli asini e i ruminanti hanno la priorità nella circolazione. Quanto vive il Paese è polvere gettata nel vento che le prossime piogge trasformerà nel fango dove i bambini, giocando, insegnano ai grandi la pace perduta.

            Mauro Armanino, Niamey, luglio 2024