POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

domenica, novembre 30

I VESTITI NUOVI DELL'IMPERATORE di Padre MAURO ARMANINO

I vestiti nuovi dell’imperatore
I personaggi della nota fiaba del danese Hans Christian Andersen sono ancora di attualità. L’imperatore vanitoso e narcisista che cura la messa in scena dell’apparenza. Due imbroglioni che si fingono provetti sarti e sfruttano la vanità del re e lo illudono con meravigliosi abiti inesistenti. I suoi ministri e i cortigiani non osano, per timore, riconoscere la realtà per denunciare l’artistico misfatto dei sarti. Mentre passa il corteo dell’imperatore e il popolo che applaude, c’è un bimbo che nota la realtà e, solo, svela la nudità del re. A questo punto anche la gente osa deridere lo spettacolo di un re svestito.  Quest’ultimo continua, senza alcun abito e malgrado tutto, il corteo regale annunciato.

Gli imperi nascono, vivono e prosperano solo tramite imbrogli, illusioni, armi e immaginari a buon mercato di promesse non mantenute. Chi ne favorisce la creazione e la continuità non è altro che la vanità e dunque l’illusione di onnipotenza che ne consegue. Il delirio di potere abbisogna di rivestirsi di abiti e uniformi.  Conta infatti apparire ad ogni costo per coprire il vuoto che lo pedina. Il potere diventa fine a se stesso e si confonde coi mezzi per ottenerlo e gestirlo. Il vuoto si arma, concepisce guerre, semina discordie, provoca divisioni, assolutizza le nazioni e si vuole predatore di alterità. Gli imperi nascono dalla vanità e l’arroganza che si trasforma in religione di stato.
Gli imperi non mancano mai di faccendieri che seducono, promettono e che, con le lusinghe e le menzogne, rendono possibili e fattibili gli scopi e le follie mortali dei principi, dei re e dei militari al potere. Vendono illusioni, fingono di assecondare le vanità e i misfatti dei potenti mentre non fanno che renderli ancora più menzogneri e codardi. Contribuiscono a creare una realtà inesistente e funzionale al delirio di potere che si trasforma in un idolo necrofilo. Sono mercanti che si arricchiscono vendendo il nulla di cui si nutre il potere. Il loro mercimonio funziona perché il re e i poteri che li rappresenta si circonda di ministri e cortigiani che lo assecondano per connivenza.
La viltà, la convenienza, la speranza di trarne dei benefici o una possibile promozione spinge parenti, amici, intellettuali, poeti, religiosi e artisti a confezionare la stessa finzione della realtà. Il re non ha nessun abito, il potere si mostra com’è, fragile, ridicolo, cieco e spietato allo stesso tempo. Nessuno osa dirlo e allora la realtà e il reale si allontanano l’uno dall’altro definitivamente. Tra l’accadimento e il racconto di questo si inserisce la menzogna che è il tradimento del fatto. L’onestà delle parole è travisata e rivenduta al miglior acquirente dello spettacolo col quale si confisca la realtà. Il re, i sarti e i cortigiani non sono altro che attori comici e consumati nel dramma che si chiama impero.
Il corteo potrebbe chiudersi nella banalità dell’effimera gloria delle parate militari e dei matrimoni tra principi se non ci fosse stati lui, il bambino. Nella favola di Andersen tra tutti i presenti, spettatori compresi, sarà solo un bimbo che, scevro da calcoli opportunistici e compiacenti, grida la nudità del re! Non è casuale che, per l’autore danese, la verità sia detta da un bambino, simbolo dell’inedita novità che la vita gli offre come privilegio in occhi non colonizzati dalla menzogna. Il potere del re, dei principi, dei generali e degli imprenditori religiosi che ne confiscano l’esercizio sono senza abiti, ridicoli, buffi e vulnerabili. Pagliacci di un circo che continua ad attirare gli ignavi spettatori paganti.
Proprio un bimbo che riconosce e grida la verità dell’inganno può offrire a tutti, poteri compresi, la possibilità di redimersi. Forse è anche per questo che, non casualmente, in Occidente i bambini sono osteggiati, evitati e, spesso, percepiti come una minaccia. Eppure, solo un bimbo ci salverà.


Bambino Gesù della Melograna di  Sandro Botticelli 
     Mauro Armanino, Padova, fine novembre 2025


Padova
         

                  
                                                           

lunedì, novembre 17

MI TACCIO PER PUDORE di ANITA MENEGOZZO

 


Anita Menegozzo

Mi taccio per pudore
per istintiva predisposizione
al margine e all'incerto
La penna ormai la esercito soltanto
a spingere il silenzio
sul fondo del palato
In tempi di rumore compiaciuto
non prendo posizione che di rado
e fuggo la ragione ad ogni costo
almeno tanto quanto temo il torto
Per ogni orba certezza
così come per ogni sconsiderata sorda conseguenza
mi dolgo di spavento

domenica, novembre 16

La privatizzazione del futuro e i suoi disertori di Padre MAURO ARMANINO

La privatizzazione del futuro e i suoi disertori


(Il 1984 è stato un anno bisestile caratterizzato da eventi storici significativi, progressi tecnologici e sviluppi nella cultura popolare, ma il 1984 fu l'anno in cui si svolgeva l'omonimo romanzo distopico di George Orwell, pubblicato nel 1949. L'anno reale non vide l'avverarsi delle peggiori profezie del libro su una società di sorveglianza totalitaria, ma la coincidenza della data stimolò molte riflessioni culturali sul controllo statale e sulla manipolazione della verità.)

Chi controlla il presente controlla il passato. Chi controlla il passato controlla il futuro. Lo scrisse il romanziere e militante George Orwell nel suo libro dal titolo ‘1984’. Ci troviamo nell’altro millennio e siamo testimoni più o meno consapevoli del progressivo spossessamento del futuro dei poveri. Si trovino essi nella parte ‘sud’ o ‘nord’ del mondo così com’è stato ridotto in questi ultimi decenni della storia. La tragedia provocata delle oltre 50 guerre in atto nel pianeta e la conseguente creazione di milioni di rifugiati e richiedenti asilo non è altro che un futuro trafugato e che mai più troverà dimora. La strategia di controllo mirato e spesso istituzionalmente violento delle migrazioni internazionali conferma, specie nelle migliaia di morti alle frontiere, l’arbitraria e spesso definitiva sottrazione del futuro a che aveva il diritto di cercarlo altrove. Non c’è nulla di più grave, nella vita umana, della confisca o dell’esproprio del futuro. Prendere come ostaggio il futuro di un popolo, di una classe sociale o di età è commettere un crimine le cui conseguenze sono irreparabili.

Non casualmente i politici, i generali, i commercianti e i religiosi promettono, ognuno a suo modo, un futuro differente ai sudditi, cittadini, fedeli o semplicemente clienti. Passato, presente e futuro si giocano nell’oggi che sfugge per distrazione, manipolazione o per scelta. I tempi sono stagioni che abbiamo comunque vissuto, sperato e atteso nell’apertura all’inedito di un futuro che pensiamo possibile. Tutti inconsciamente crediamo, come fanno i contadini, che si seminano oggi i grani conservati dal passato per raccoglierne, domani, i frutti. Si ha fiducia che il futuro non sia totalmente deciso o addirittura precluso dal luogo della nascita o dalle circostanze avverse del destino. Attentare alla speranza che domani non sia la banale ripetizione dell’oggi o di quanto già vissuto nel passato ma avventura di un altro mondo possibile è il più spietato dei genocidi. ‘Della perdita del passato’, dice in un romanzo lo scrittore libanese-francese Amin Maalouf, ‘ci si consola facilmente, è dalla perdita del futuro che non ci si riprende’.

L’orchestrata rapina del futuro passa anche attraverso la propaganda, la società dello spettacolo, le ideologie millenariste che si ostinano a promettere la felicità e l’eldorado per domani. Prima però sono necessari sacrifici, rinunce e sofferenze. Domani, certamente, arriverà Godot, personaggio enigmatico nel teatro dell’assurdo dell’irlandese Samuel Beckett. Godot non arriverà mai sulla scena e i due protagonisti passeranno il tempo in una tragica attesa senza futuro. Si mutila il futuro dei poveri tradendone i sogni con politiche economiche basate sull’esclusione e la morte. Si instilla nell’educazione in famiglia e negli istituti scolastici la paura del futuro perchè non controllabile o semplicemente incerto. L’inverno demografico dell’occidente economicamente abbiente non è che un sintomo, peraltro di un’eloquenza unica, dell’espulsione del futuro di un’intera civiltà. Non è dunque casuale che, nella presente fase storica ci sia una moltiplicazione di campi di detenzione per i migranti e carceri contestualmente saturate. In entrambi i casi il futuro è letteralmente sospeso o spento.

Fortuna ci sono loro, i disertori. Non seguono le indicazioni di percorso tracciate anzitempo dai maestri del tempio e i dottori della legge. Non aderiscono ai progetti confezionati o ai piani stabiliti dagli illuminati del sistema o l’intelligenza artificiale. Tra loro si trovano i poeti e i resistenti di ogni tipo che ridanno senso, gusto e vita alle parole cadute in disuso. Disertano come possono i paradisi occasionali e tutto ciò che sembra assicurare il successo. Si contano numerosi tra i marginali e in genere i poco importanti della società che conta. Non hanno fatta propria l’arte della guerra. Vivono nella loro patria ma come stranieri, ogni patria straniera è patria loro e ogni patria è straniera.

educatori, sacerdoti e Vescovo.
Sestri Ligure  

Mauro Armanino, Casarza Ligure, novembre 2025

lunedì, novembre 10

COME MILITARIZZARE LA SOCIETA', ISTRUZIONI PER L''USO di Padre MAURO ARMANINO


Come militarizzare la società, istruzioni per l’uso

Sono le tre parole che ho sentito più usate dal mio ritorno dal Sahel. In questi pochi mesi mesi, armi, guerra e sicurezza sono proprio quanto credevo aver lasciato partendo dal Niger. Dopo 14 anni di permanenza tra le zone più ‘critiche’ dell’Africa pensavo di trovare ben altra musica tornando a casa. I militari al potere nei tre stati confederati nel Sahel centrale, i gruppi armati affiliati ad Al Qaida e Stato Islamico, quelli di autodifesa, mercenari di varia provenienza e armi in quantità. Questo sembra essere il sentire e vivere quotidiano nel Mali, Burkina Faso e Niger. Società nelle quali l’ambito militare appare tanto pervasivo da incidere nei ritmi e stagioni politiche di questi Paesi. Mi sbagliavo.
Dall’altra parte del mondo, colui che per convenzione unilaterale si chiama ‘Nord’, si trova lo stesso clima solo declinato in un contesto che definire democratico è altrettanto fuorviante. Bisogna armarsi e riarmarsi, accrescere la potenza per colpire prima dell’eventuale attacco nemico. Occorre prepararsi alla guerra che verrà, probabilmente presto o comunque quando sarà necessario. La propria sicurezza sarà cercata, promessa e garantita, anzitutto e dappertutto. Per la nostra tranquillità ci sono le aree video-controllate nei bus, nei treni, i luoghi pubblici, le chiese, le frontiere e in ogni tipo di entrata che meriti questo nome. Anche in questa porzione del mondo si opera la militarizzazione della società.
Il canale privilegiato per la crescente militarizzazione della società è, naturalmente, il linguaggio che opera attraverso narrazioni preconfezionate a misura della realtà che si vuole imporre. Da tempo non è il reale che veramente conti ma il tipo di realtà o meglio il consenso che da essa si desidera veicolare. 


Ron Suskind  giornalista

I mezzi di comunicazione sono consapevoli di quanto disse al giornalista Ron Suskind del New York Times nel 2004 un consigliere dell’allora presidente degli USA George W. Bush. ‘ Non è più in questo modo che il mondo funziona. Adesso siamo un impero e, quando agiamo, noi creiamo la nostra propria realtà. Mentre voi studiate, giudiziosamente come lo desiderate, questa realtà, noi operiamo di nuovo e creiamo altre nuove realtà...che voi potrete debitamente studiare: è così che funziona...Noi siamo gli attori della storia e a voi non rimane che studiare ciò che noi facciamo’...


                                                         Dino Buzzati


Per condurre a buon porto l’operazione la costruzione del nemico, vero, presunto, possibile o inverosimile, rimane una tappa primordiale. Da questo punto di vista basterebbe rileggersi il ‘Deserto dei tartari’, di Dino Buzzati. Il giovane soldato Giovanni Drogo che spende la sua vita in una fortezza di confine e proprio quando il nemico sembra finalmente giungere è lui che scende per l’ultimo e definitivo viaggio. Viviamo come in una fortezza in attesa dei barbari e nel frattempo ci si arma, e si prepara la guerra per dare la sicurezza che, com’è noto, solo il cimitero può garantire. L ’Occidente sembra determinato a trasformarsi in un immenso cantiere che organizza il cimitero dei sogni.
Demilitarizzare i pensieri e le parole. Mettersi all’ascolto del reale di cui i poveri sono il volto censurato. E, soprattutto, come disse nel 2002 a Bari la docente di linguaggio Nurith Peled Elanan il cui figlio di 13 anni è stato ucciso ...’ Termini come libertà e onore, Dio e pace, il bene del Paese e anche democrazia possono essere armi letali...siamo coloro che sanno che non c’è pace o libertà, nessun bene e nessun Dio dopo la morte di un bambino’.

Mauro Armanino, Casarza, novembre 2025

domenica, novembre 2

Ipocrisie, sofferenze e profezie nel quotidiano di Padre MAURO ARMANINO




Ipocrisie, sofferenze e profezie nel quotidiano


Assistiamo e talvolta operiamo come attori consumati in una quotidiana commedia che poi, abusivamente, chiamiamo storia. L’ipocrisia è proprio questo continuo recitare parti, copioni o improvvisando, sul palcoscenico dell’effimero. Si programmano e, infine, producono bombe, armi, missili e si ricomincia a parlare di test atomici come eventuale deterrente per il prossimo nemico. Il tutto per arrivare alla pace perpetua, occasionale e ovviamente precaria. La pace si trasforma in tregua prima di riprendere in mano le armi. L’ipocrisia, ossia l’arte della recitazione, finzione o dissimulazione possiede vari sinonimi che, senza pretesa di completezza parlano di falsità, doppiezza, simulazione o semplicemente menzogna. Sono tutte variazioni sul tema che rispondono al senso etimologico della parola di origine greca. L’ipocrita era l’attore che interpretava la parte che il copione gli affidava. Risulta dunque oltremodo difficile distinguere la finzione dalla realtà perché tutto o quasi si è convertito in spettacolo di intrattenimento per i passeggeri di una nave senza meta. La frase, attribuita al teologo e filosofo danese Soren Kierkegaard è ancora di attualità. ’State attenti: la nave è ormai in mano al cuoco di bordo, e le parole che trasmette il megafono del comandante non riguardano più la rotta, ma quel che si mangerà domani’. 

La realtà è ostinata, testarda come il quotidiano che ci opprime, seduce o semplicemente ‘accade’. In essa diventa ineludibile ciò che chiamiamo, spesso con poco pudore, sofferenza. Essa accompagna la storia, quella vera, fatta di lavoro, precarietà, lotta per la sopravvivenza, minacce, guerre, esili e deportazioni. La sofferenza di un mondo in perpetua gestazione e come sorpreso lui stesso dall’umana coerenza nel crearla. Essa, la sofferenza, muta, silenziata o confiscata dall’abitudine, trova spesso nel grido e soprattutto nelle lacrime l’unico cammino per manifestarsi. Scrisse a questo proposito il filosofo e saggista francese Jaques Derrida ...’ Nel momento stesso in cui velano la vista, le lacrime svelerebbero il proprio dell’occhio. Ciò che fanno uscire fuori dall’oblio in cui lo sguardo le tiene in riserva, sarebbe niente meno che la verità degli occhi di cui le lacrime rivelerebbero la destinazione suprema. Avere in vista l’implorazione piuttosto che la visione, indirizzare la preghiera, l’amore, la gioia, la tristezza piuttosto che lo sguardo’. L’indicibilità delle sofferenze dei padri, delle madri, dei giovani, dei bimbi, di coloro che non nasceranno mai e del tradimento perpetrato censurandone le cause. La memoria della sofferenza scava ferite e come dei solchi nel quali si può scegliere, a volte, cosa potervi seminare dentro. L’odio, la vendetta o l’inizio di un futuro diverso per tutti.

I profeti sono coloro i cui occhi sono stati velati e poi svelati dalle lacrime. Hanno negli occhi l’implorazione e la preghiera perché sono passati e hanno ascoltato la ‘grande tribolazione’. Spesso perseguitati, incompresi, travisati, abbandonati, vilipesi e non raramente ignorati. I profeti del nostro tempo come di quello passato sono coloro che parlano e tacciono quando a parlare è il martirio dei loro corpi e delle loro parole. Passano frontiere e scelgono di camminare le strade che hanno un cuore. Raccontano storie lontane e, nelle loro mani, le parole tornano a vivere e a credere che ci sia un altro mondo quando le lacrime saranno seminati nei solchi della vita. I profeti scrivono sulla sabbia e poi affidano al vento le minute e fragili parole rubate di nascosto ai sogni dei bimbi che giocano sulle strade


Ipocrisia



poesia di Aldo Palazzeschi


            Mauro Armanino, Genova, 2 novembre 2025