UN FILO D’ERBA PER VOVA E VIKTORIA
di GIULIO MARRA
Vova si fermò e s’inchinò a osservare un sottile filo d’erba, un niente nell’immensa natura, uno zinzino verde che a stento si teneva ritto. “Non mi vorrai spezzare” sussurrò il neonato filo d’erba. Vova non sentì le parole, non le intendeva, erano dette in una lingua diversa dalla sua. “Mi strapperai, mi strapperai?” chiese tremolando il filo d’erba, mosso da un alito di vento, un fremito, un leggero fremito di infantile natura. Si affidò al vento, alle irrequiete foglie del pioppo che ogni piccola brezza muove sfarfallanti di bagliori argentati, ‘sostanza visibile del vento ’, promessa di vita: “Non strapparmi, diventeremo amici noi due, diventeremo grandi e saremo amici”.
Hanno gli alberi un cuore? Hanno occhi e voce? È mai accaduto che un albero rispondesse a una semplice domanda umana: albero, ma tu sai che io, Vova, esisto? Non hanno gli alberi occhi e voce come Vova, ma gli alberi di castagno dalle foglie giallo-oro illuminano il mondo. Vova le conserva essiccate, tra le pagine di un libro, un agguato alla memoria che scatterà quando le ritroverà conservate in un vecchio libro o tra le pagine di un diario, come accadrà alla piccola amica, Iehor, che nel suo diario immagina fate tra le fronde, elfi e folletti uscire dai boschi. Iehor disegna una grande tavola imbandita con il cibo dei suoi sogni: “A me piacciono tanto le patate novelle, di quelle che si mangiano senza sbucciarle.” Nel disegno si vede anche una torta e dei piatti di frutta fresca. Anche Yuri ama fare colazione come Iehor e mostra una foto sul cellulare di una tavola imbandita con uova, bacon, avocado e dolci per una domenica di relax. E Jaroslava Mahuchikh spera di ritrovare la sua amata città, Dnipro, e gli amici, le passeggiate, e il nostro delizioso bortsch. Quando vengono chiamati per nome, alla chiamata rispondono: “Ci sono!”. Nel diario, la piccola Iehor disegna alberi in fiamme. Tagliati all’altezza di un metro, diventeranno sculture e verranno decorati. Seduto sui tronchi colpiti e sradicati vicino al bunker di fortuna, Vova immagina che i tronchi serviranno per fare tavole, sedie e panche di casa. “Rappresentare la guerra per come si mostra” dice Dmytro Hainetdinov: “Ci sono stati episodi non solo di terrore: abbiamo esposto anche cibo che alcuni soldati russi, i corpi d’élite mandati a occupare l’aeroporto, hanno regalato ai vecchi e ai bambini ucraini nascosti sottoterra… in Ukraine Crucifixion.”
2-
Passò il tempo. Vova si ritrovò nello stesso luogo dopo molti anni e gli volle qualche secondo per capire dove si stava inoltrando, dal nulla si materializzava un bosco, gli era bastato alzare gli occhi per vederselo davanti. Il filo d’erba non era più un filo d’erba, nel trascorrere degli anni era diventato un albero sano, frondoso, orgoglioso, amante dell’aria e del cielo azzurro. Le ombre che gettava sul terreno erano raggi trattenuti dalle chiome verdeggianti, disegnavano tracce e vie segrete. Vova camminava cauto, turbato, attento, fuggiva, era inseguito?
Camminava guardandosi attorno come se da ogni dove sbucasse una minaccia, dietro i tronchi bruni e nelle ombre disegnate sul terreno, nel frusciare melodioso delle foglie. Non ricordava di essere stato in quel prato, di essersi seduto accanto al piccolo filo d’erba e d’averlo accarezzato? Rami sottili risuonavano come corde di violino, gli parlavano al cuore come parla al cuore la musica. Ricordava la voce di un abete rosso, di una quercia, di un carpino bianco? Gli rispondeva dall’Italia Piergiorgio Ratti: “Come posso far cantare un mela, una lantana, un ontano nero, un nocciolo? La risposta è in una “fantasia verde” per sette piante soliste, sax e orchestra”, a cui si aggiunge il fiume Dnepr, il verde fiume, l’usignolo di Kiev, anche se la guerra farà di quelle acque un fiume di sangue, e si aggiunge il rospo smeraldino di prati e giardini con il pu puup pup del suo canto in ore serali. Una “fantasia verde” è stata creata. Fare musica in tempo di guerra aiuta, rinvigorisce, conforta e dà coraggio. Proveniente da una famiglia di immigrati ebrei di origine ucraina e lituana innamorata della musica, la musica per Gershwin era l’aria che respirava, il cibo che lo nutriva, la bevanda che lo ristorava, l’emozione che suscitava ricordi, un incontro, un amore, un Porgy and Bess. Per lui comporre era illuminazione improvvisa e poteva capitargli anche di sentire una musica nuova proprio quando era immerso nel rumore. È così anche per i giovani musicisti ucraini?
3-
A Vova il bosco parlava di quando, bambino e filo d’erba, si erano incontrati. Non un filo d’erba, ora un filo di speranza e di dolore.
“Così finisce la mia vita?” sussurrò. “Aspetto di morire quando la vita mi ha distrutto, non vorrei morire quando la vita non mi ha distrutto”. Il colpo che l’aveva ferito lo costrinse a fermarsi. “Avessi il mio pesco! Mi addormenterei ai suoi piedi, appoggiato al tronco, e la mia ferita guarirebbe.” Arrivò un refolo di vento sul quale volava un leggero amento di quercia che rispose: “Lo so, lo so... soo... sooo… Vova. Così faresti ingiallire le foglie del roseo pesco che cadrebbero una dopo l’altra.” Vova sapeva che questo sarebbe successo se si fosse seduto accanto al pesco, trasmettendogli la sua ferita. Se ne sarebbe liberato, ma il pesco l’avrebbe assorbita e sarebbe morto. A volte le leggende servono per sperare di conservare la vita e se ne inventano ora dopo ora. Il mondo si potrebbe sacrificare pur di salvare la propria vita. Avesse trovato un gelso! Le gemme dei futuri frutti ‘colte con la mano sinistra’ e senza che toccassero terra ‘portate come amuleto’ arrestavano ogni tipo di emorragia. Perciò Plinio conclude: ‘le meraviglie… che riguardano quest’albero… sembrano più quelle di un essere vivente’. Gli zingari della Transilvania e della Romania alla festa di primavera tagliano un giovane salice che a sera viene circondato dai malati e dai vecchi che sputano su di lui tutte le volte dicendo: “Tu morirai presto ma lascia vivere noi.” Poi le donne incinte depongono un loro indumento sotto i rami. Se l’indomani vi è caduta sopra una foglia di salice, sanno che il parto sarebbe stato facile.
Vova non si reggeva in piedi. E si sedette appoggiandosi al tronco di un noce. In lontananza, si sentivano spari. Gli creavano un tumulto nel petto di cui non riusciva a liberarsi. Qualcuno da un momento all’altro sarebbe apparso?
Si appoggia al tronco del noce, la ghianda di Giove, Juglans regia, che protegge con la sua chioma tondeggiante, con rami vigorosi, donando quel senso di maternità che solo un albero di noce sa dare. Vova inizia a pensare, a ricordare, come tra mura famigliari, miti, favole e leggende dove è facile imbattersi in fate che fanno l’altalena nei gusci di noce, noci amuleto che proteggono dai fulmini, dalle malattie o dalle sventure, o magiche noci che racchiudono tesori e oggetti fatati; abiti e stoffe come la serica tela della rana trasformata in principessa… gusci di noce sui quali, secondo una leggenda slava, gli uomini trovarono rifugio dal diluvio universale.