L’amore per i libri: Helene Hanff, Angela Fabbri ed
io
Ciò che non ho detto, è che poi ho cercato presso la
Libreria Comunale, il libro da cui è stato tratto il film, scritto da Helene
Hanff. Ne ho reperito una ristampa del 1970, ma il libro è stato editato per la
prima volta nel 1987.
Posso dire che il film, girato come se si trattasse
di una pièce teatrale, ha aderito perfettamente al libro dell’autrice, che è
autobiografico e contiene uno scambio di corrispondenza tra la scrittrice
americana, che viveva a New York, e la libreria Marks & Co. con sede a 84,
Charing Cross Road, London, W.C.2, England. Si tratta di una serie di lettere
che ha avuto inizio il 5 ottobre 1949 e termina nell’ottobre 1969. La libreria
londinese ha chiuso i battenti nel dicembre 1970, per motivi di
ristrutturazione dell’intero stabile.
Non so se ricordate che tra la scrittrice Angela
Fabbri e me intercorrevano scambi di email, che ho spesso pubblicato su questo
blog.
Ebbene, ho riscontrato una grande somiglianza, nel
modo di scrivere, tra le due scrittrici. L’ironia mordace, il sense of humor, i
toni secchi eppur simpatici, sono presenti in entrambe. E quell’amore comune
per i libri. Desidero riportare una delle lettere di Helene, perché quanto mi
ha colpito, è stato il modo di vedere gli oggetti, da parte dell’autrice del
libro in questione, come se avessero vita
propria. Esattamente lo stesso accade ad Angela Fabbri.
“14 East 95th St.
13 ottobre 1950
BENE!!
Frank Doel,
tutto quello che ho da dirLE, è che viviamo in tempi depravati, distruttivi,
degenerati in cui una libreria - ripeto una LIBRERIA – si mette a strappare
libri antichi e belli e li usa come carta da pacco. Quando John Henry è uscito
da quelle pagine, gli ho detto: “Sua
Eminenza, avrebbe mai immaginato una cosa simile?”, lui ha risposto che no.
Avete strappato quel libro nel bel mezzo di una battaglia decisiva e io non so
neppure di che guerra si trattasse.
Il Newman è
arrivato già da una settimana, ma sto appena iniziando a riprendermi. Lo tengo
tutto il giorno con me sul tavolo, ogni tanto smetto di battere a macchina,
allungo una mano e lo tocco. Non perché sia una prima edizione, ma
effettivamente non ho mai visto un libro così bello. Mi sento vagamente in
colpa per il fatto di possederlo. Tutta quella pelle lucida, quelle incisioni
dorate, quegli stupendi caratteri devono stare in una biblioteca rivestita di
pannelli di pino in una casa di campagna inglese: va letto accanto al fuoco,
sprofondati in una lussuosa poltrona di pelle – non in un vecchio divano da
studio, in una baracca monocamera, a pianoterra di un edificio dalla facciata
di arenaria rossastra che cade a pezzi.
Voglio
l’antologia di Q. Avendo perso la sua ultima lettera, non sono sicura del
prezzo. Penso che costasse più o meno due dollari, allego pertanto due
banconote, mi faccia sapere se vi devo di più.
Perché non
me lo impacchettate con le pagine LCXII e LCXIII di modo che possa finalmente
scoprire chi ha vinto la battaglia e di che guerra si trattava?
HH
Ps. Ha per
caso in libreria il diario di Sam Pepys? Ne ho bisogno per le mie lunghe serate
invernali.”.
Segue uno scambio epistolare, e mi fermo alla
risposta di Helene Hanff data alla libreria londinese, e qui trovo ancora il
carattere somigliante a quello di Angela Fabbri.
“14 East
95th, St.
15 ottobre
1951
E QUESTO LEI
LO CHIAMA IL DIARIO DI PEPYS?
Questo non è
il diario di Pepys, questa è una miserabile raccolta di BRANI SCELTI dal diario
di Pepys, arrangiata da un qualche curatore da strapazzo, che crepi!
Posso solo
sputare dal disgusto.
Dov’è il 12
gen. 1668, giorno in cui sua moglie lo buttò fuori dal letto, inseguendolo poi
per tutta la stanza con un attizzatoio incandescente?
Dov’è il
figlio di Sir W: Penn che asfissiava continuamente tutti con le sue teorie da
quacchero? In tutto questo pseudo-libro, viene nominato UNA sola volta, e io
che sono di Filadelfia!
Allego due
banconote, mi arrangerò con questo coso fino a che non mi troverà un vero
Pepys. ALLORA strapperò in pezzi questo surrogato di libro, pagina per pagina.
E ME NE SERVIRO’ PER FARNE DEI PACCHETTI!
HH”
Per chi volesse leggere il libro, non voglio togliere
il piacere della lettura, anticipando troppe informazioni, perché è vero che la Hanff è a volte dura, arrogante
e senza peli sulla lingua, ma ha un cuore immenso. Infatti, più volte, durante
il periodo della recessione economica a Londra, la scrittrice si diede da fare
per inviare, attraverso la Danimarca, dei pacchi dono, in generi alimentari, ai
dipendenti della Libreria.
Il primo periodo postbellico si apre con una serie di sacrifici e
razionamenti resi necessari dagli enormi costi sostenuti durante il periodo
bellico: furono anni duranti i quali i londinesi dovettero fare i conti anche
con il razionamento di alcuni beni primari. Difficoltà che arrivarono a quel
1952, anno conosciuto come quello del Great Smog, cioè una letale combinazione
d’inquinamento, fumo e nebbia che avvolse totalmente tutta la città.
Potrei proseguire con altre pagine, per esempio dove la scrittrice
americana informa la Libreria inglese che il libro di Stevenson è talmente
bello, da mettere in imbarazzo la sua libreria fatta da cassette per le arance,
e che ha quasi timore a toccare quelle pagine color crema, di una pergamena
così delicata. Abituata a carta completamente bianca e alle copertine di
cartone rigido dei libri americani, non si era mai resa conto che un libro
potesse rappresentare un tale piacere al tatto.
Ma finirei per raccontarvi proprio tutto.
In ogni caso, l’amore per i libri appartiene anche a me, soprattutto per
i libri antichi, quelli che sono stati rilegati a mano, con le cuciture, e con
la copertina in pelle, stampigliata in oro zecchino, e in bassorilievo. Mi
riferisco a quelle edizioni realizzate con carta a mano, un po’ ingiallita dal
tempo e dall’uso. E qui, sfogliando le pagine di 84, Charing Cross Road, mi
sono rispecchiata un poco anch’io!
Danila Oppio