Festina
lente
(Dante e De vulgari eloquentia)
Il
Divino Vate, non sol di Commedia scrisse
Ma Vita
nova, Convivio, Egloghe, Le rime nuove
Epistole,
e tante altre. E tra queste opere
Sulla
cui bellezza ed eleganza non ci piove
Un
trattato filosofico-linguistico con cui
Si
propose di rintracciare un unitario volgare
Illustre,
cardinale, aulito e curiale.
Guidato
da esperienza e intuito personale
Pose
basi e anticipò argomenti
Di
quello che sarà il problema centrale
Dell’Unità
d’Italia, la ricerca dell’insieme
Linguistico
e culturale in una terra
Alquanto
frammentata e discordante.
Nel
primo libro rivela doti di geo-linguista
Ante
litteram, esponendo il concetto relativo
Alla
variabilità delle lingue nello spazio
E nel
tempo, e aree linguistiche individua
Dell’Europa,
dell’Asia e dell’Italia stessa.
Partendo
dall’origine della lingua, Dante
Avvia un
trattato, il cui primo parlante
Fu
Adamo, così l’adamitica lingua
Fu con
l’ebraico unitaria o attigua.
Dopo la
Torre di Babele, che il divino volere
Intese
punire nelle lingue, creando confusioni
La
superbia umana, fine si pose
All’unità
linguistica, così le genti
Si
dispersero e si diffusero idiomi differenti
nell’Asia
e nell’Europa di tutte le nazioni
La terra
del SI, la sua identità si va a trovare
Alle
terre dell’Oil e dell’Oc nel contrapporsi
Ma il
Vate va oltre, nella sua disamina
Così che
la prima cartina linguistica disegna
Almeno
dell’Italia, e del suo parlare.
Le
lingue variano col mutar del tempo
Così
come mutano i costumi degli uomini.
Egli passò
in rassegna tutte le parlate in volgare:
“Decentiorem
atque illustrem”. Più bella
E
illustre, nessuna più assurgere
A lingua
letteraria, in quanto il suo profumo
Avverte
in tutti i volgari, ma in nessun dei tali
Par si
trovi.
Egli affermò: “Il volgare italiano risuona
In mille
diverse varietà, dobbiamo perciò cercare
il più
elegante linguaggio d’Italia, quello illustre
E per
aver sgombro il cammino
In
questa nostra caccia, eliminiamo
Prima
dalla selva, i cespugli
E gli
intricati rovi.
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