Ho tra le mani un libro didattico del 1938,
scritto da Carlo Culcasi e titolato
POESIS – Ritmica e metrica italiana. Leggendo già le prime pagine, mi sono
posta innumerevoli domande riguardo al modo di fare poesia tempo addietro e
quello attuale.
Dall’introduzione: IL RITMO
“Dicono
alcuni: la poesia non è la prosa; la poesia non vive di concetti ma d’immagini:
la poesia non pronuncia giudizi ma esprime sentimenti; la poesia non parla ma
canta.
Dicono
altri: La poesia non si affaccia sul mondo della realtà ma spazia in quello
della fantasia; la poesia non cammina quasi sulla terra ma si erge in più
libera sfera; o, se cammina, ha il passo libero, spedito, veloce.
Ed
altri ancora: La poesia è come l’eco d’un mondo lontano al quale lo spirito
perpetuamente aspira; la poesia ci procura i diletti più vivi e profondi, ci fa
dimenticare le pene e le molestie della vita; ci consola, ci rapisce, ci
esalta.
Ma,
dopo queste e simili affermazioni, che tutte racchiudono una parte di vero, noi
seguitiamo a chiederci: Che cos’è dunque la Poesia? E in che consiste la sua
viva ed intima essenza?
E
per rispondere bisogna dire così La Poesia è quella che è, e si distingue dalla
Storia, dalla Scienza, dalla Filosofia o dalla prosa in genere, soprattutto
perché governata dal ritmo.
E,
senza il ritmo, la Poesia non esisterebbe; come del resto non esisterebbero
tutte le altre Arti.
Dicono
gli Estetici: le singole Arti, mentre sono uguali e almeno indistinguibili
rispetto al contenuto, perché tutte in sostanza esprimono o rappresentano il
nostro mondo interiore, si distinguono invece perché ciascuna di esse possiede
un suo particolare mezzo espressivo. La musica si esprime per mezzo dei suoni,
la poesia per mezzo delle parole, la pittura per mezzo dei colori, e così via.
Ma ciò non basta: bisogna aggiungere che le varie espressioni artistiche,
benché siano diverse, hanno tutte in comune un elemento unico ed essenziale,
che le congiunge, le imparenta, le rende sorelle: questo si chiama ritmo. Il quale non informa soltanto quelle Arti che
si dicono espressive (Danza, Musica, Poesia) ma anche quelle che si dicono
rappresentative (Pittura, Scultura, Architettura)”
E qui mi fermo, perché in seguito il testo
tratta del ritmo, lo stesso che appartiene al battito del nostro cuore.
La poesia ha una sua costruzione, che oggi non
è quasi più seguita. Ci sono termini che pochi conoscono, che esulano dai
versi, dalle strofe e dagli schemi metrici. Ci sono i tropi, i traslati, gli
emistichi, i versi piani, sdruccioli o tronchi, le elisioni, la dieresi (e chi
la usa più, se non nella lingua tedesca?), la sineresi, la tmesi, la pròtesi, l’epentèsi, la paragàge,
l’afèresi, la sincope, apòcope, l’iperbato, l’onomatopeia. E il polisindeto e l’asindeto? E’ roba da mangiare?
E ancora: il trocheo, il giambo, il dattilo, lo spondeo, l’anapesto, l’anfibrachio, e quindi la misura dei versi, come l’esametro, il pentametro, il senario, saffico, alcaico, adonio, ecc.
E poi ancora: gli endecasillabi, il decasillabo, il novenario, l’ottonario, il quinario, il quadrisillabo, il trisillabo, l’ottonario doppio, gli esametri leonini, le rime piane, quelle sdrucciole o tronche, alternate o no.
E ancora: il trocheo, il giambo, il dattilo, lo spondeo, l’anapesto, l’anfibrachio, e quindi la misura dei versi, come l’esametro, il pentametro, il senario, saffico, alcaico, adonio, ecc.
E poi ancora: gli endecasillabi, il decasillabo, il novenario, l’ottonario, il quinario, il quadrisillabo, il trisillabo, l’ottonario doppio, gli esametri leonini, le rime piane, quelle sdrucciole o tronche, alternate o no.
Mi
chiedo: chi conosce tutti questi termini e il loro utilizzo in poesia?
Anche qui non vado oltre perché mi perderei o addirittura
sclererei.
Un tempo per Dante, Ariosto, Tasso, Boiardo, e
proseguendo con Leopardi, Pascoli,
Carducci, D’Annunzio, Giusti, Gozzano ecc., le rime, e la metrica erano
indispensabili per potersi definire veri poeti, e ovviamente non doveva mancare
il ritmo.
Oggi quasi tutti i poeti moderni hanno
tralasciato questi canoni, per dedicarsi ai liberi versi, ma un punto resta
fermo: non deve mancare la musicalità, poiché senza di essa, possiamo parlare
solo di poesia prosastica che comunque, a mio modesto avviso, deve contenere
versi di forte espressività e musicalità.
Perché un tempo si studiavano le poesie a
memoria, ed erano abbastanza facili da ricordare? Perché erano composte
utilizzando rime baciate, o alternate, molto musicali e quindi con ritmo cadenzato.
Oggi è difficile memorizzare le poesie moderne, non c’è un vocabolo che facendo
rima con un altro, aiuti a ricordare il successivo!
Resta comunque inteso che anche i versi liberi,
per potersi definire Poesia, devono trasmettere emozioni, sentimenti, immagini,
suoni, impressioni, espressi in modo totalmente diverso da uno scritto in
prosa, diversamente sono solo parole e frasi messe a capo per dar loro
l’aspetto di una poesia, che però poesia non è.
E tutto questo mio dire si ricollega all’arte
rappresentativa. Tengo a precisare che sto esponendo solo il mio personale
pensiero.
Osservando le opere di Raffaello, di Caravaggio
e di tutti gli artisti del pennello, che con somma pazienza curavano i dettagli
di ogni singola opera, studiavano luci e ombre, l’effetto serico degli abiti
femminili, tanto che i loro quadri paiono fotografie, a paragone dell’arte moderna, che con quattro pennellate
realizza in tempi brevi quella che, a mio avviso molto impropriamente, viene
definita opera d’arte, sorrido divertita.
Stesso discorso vale per quanto
riguarda le opere scultoree. I bronzi di Riace, databili al V secolo a.C. sono
di una perfezione unica, così come il David di Michelangelo Buonarroti, ma
ancora più stupefacente è Il “Ratto di Proserpina“, scolpito nel 1621
da Bernini, che esprime divinamente l’atto repentino con il quale Plutone, invaghitosi di Proserpina figlia di Cerere, la
rapisce, accompagnato dal fedele cane a tre teste Cerbero. Come le dita della dea affondano nel volto maturo di
Plutone, allo stesso modo quelle del dio afferrano le carni della giovane con
un naturalismo strabiliante, rendendo “morbido” il marmo all’occhio dello spettatore. La
composizione ha molteplici punti di vista, è progettata per essere
guardata a 360° per apprezzarne ogni singolo centimetro cubo. E poi Canova, col
suo celeberrimo Amore e Psiche. Oggigiorno alcune sculture conservano ancora
una certa plasticità, eleganza nelle forme, altre sono inguardabili. Spesso sono realizzate con
l’ausilio di mezzi meccanici, manca la mano ferma e precisa che guida lo
scalpello, mi pare arte prêt-à-porter.
Penso a Lucio Fontana, che con i suoi quadri ha
preso per il naso un sacco di gente che, per l’improvvisa notorietà di quello
che è stato definito un artista, per l’esorbitante prezzo delle sue “opere” ha
creduto che la sua fosse Arte con la maiuscola. L’arte suprema di prendere in giro!
Nel blog La valigia dell’Artista di
Riccardo Moretti leggo:
Così per me è stato con i
famosi Tagli di Lucio Fontana. Dopo mesi e mesi
passati a rimuginarci sopra, intimorito dall’enormità dell’argomento, una sera
di ottobre ho deciso di fare i conti con alcune delle più complesse e
affascinanti opere d’arte del ventesimo secolo. Il loro creatore li ha
chiamati Concetti spaziali, in sostanza si tratta di un’importante
serie di monocromi interrotti da un delicato taglio centrale: un discreto,
sottile taglio da cui è sgorgato un inesauribile fiume d’interpretazioni. Un
taglio, perché un taglio ? L’evoluzione di un artista procede per tappe, alti e
bassi, cambiamenti di direzione, ripensamenti e decisivi passi in avanti, e
anche il nostro Lucio Fontana non è venuto meno alla buona tradizione.
La folta
collezione di tele tagliate è tuttora spiazzante, fonte di meraviglia per
alcuni e motivo d’indignazione per altri: soprattutto alla luce delle
quotazioni esorbitanti delle opere di Lucio Fontana. Cosa c’è, continuiamo a
chiederci, ma cosa c’è oltre quella tela, quel quadro, quella superficie,
quello spazio, oltre tutte queste parole che forse ho gettato al vento ? Cosa
c’è oltre quel taglio? Il muro. Oltre il taglio di Fontana c’è il muro.
(aggiungo di mio pugno, un muro di ottusità).
Vogliamo
parlare di Pietro Manzoni e le sue scatolette denominate “Merda d’artista”?
Il processo di storicizzazione della
“merda d’artista”, come autentica bomba a mano di natura post-dadaista,
consente alla celeberrima opera seriale del lombardo un costante e notevole
processo di rivalutazione economica. L’oggetto duchampiano, che riecheggia, a
livello del mercato alimentare dell’epoca, la diffusione pressante di carne in
scatola, crea un cortocircuito doppio, provocando sconcerto attraverso il
ribaltamento della natura del contenuto, che viene poi lanciato nelle gallerie
come opera d’arte. Dopo il record italiano del 2007, presso Sothebys – 124mila
euro per una scatoletta – va registrato il passaggio londinese da Christie’s,
nel 2012, con il risultato di 161,173 dollari pari a poco meno di 120mila euro.
Una delle famose scatolette è stata aggiudicata nel dicembre 2016 per 275 mila
euro, compresi i diritti d’asta, presso la casa milanese “Il Ponte’, dove si è
tenuta una vendita di Arte Moderna e Contemporanea. Si tratta del record
mondiale d’asta per una di queste scatolette di latta, del diametro di 6,5
centimetri e 4,5 d’altezza, sulle quali compare l’etichetta: ‘Merda d’Artista. Contenuto netto gr.30. Conservata
al naturale’.
Manzoni produsse novanta scatolette numerate e firmate, imponendo un prezzo di vendita – con una valutazione a peso moltiplicato per il prezzo dell’oro - strettamente connesso con l’operazione concettuale che stava compiendo. A livello di curiosità, si può aggiungere che le dichiarazioni in etichetta indicanti il contenuto, potrebbero non corrispondere alla natura della materia inscatolata. Bonalumi, amico di Manzoni, dichiarò al Corriere della sera, l’11 giugno 2007 . “Posso tranquillamente asserire che si tratta di solo gesso. Qualcuno vuole controllare? Faccia pure. Non sarò certo io a rompere le scatole”. Secondo altre fonti sommerse – che forse colgono meglio nel segno – forse Piero Manzoni si è limitato ad acquistare una partita di scatolette di cibo a lunga conservazione, senza pertanto procedere ad alcun inscatolamento che, in effetti, sarebbe stato inutile. Sarebbe bastato rimuovere l’etichetta originale e sostituirla con un’altra, operazione concettualmente perfetta e di limitato impegno. In questo caso le scatolette conterrebbero semplicemente cibo – carne, tonno? – ampiamente scaduto.
Manzoni produsse novanta scatolette numerate e firmate, imponendo un prezzo di vendita – con una valutazione a peso moltiplicato per il prezzo dell’oro - strettamente connesso con l’operazione concettuale che stava compiendo. A livello di curiosità, si può aggiungere che le dichiarazioni in etichetta indicanti il contenuto, potrebbero non corrispondere alla natura della materia inscatolata. Bonalumi, amico di Manzoni, dichiarò al Corriere della sera, l’11 giugno 2007 . “Posso tranquillamente asserire che si tratta di solo gesso. Qualcuno vuole controllare? Faccia pure. Non sarò certo io a rompere le scatole”. Secondo altre fonti sommerse – che forse colgono meglio nel segno – forse Piero Manzoni si è limitato ad acquistare una partita di scatolette di cibo a lunga conservazione, senza pertanto procedere ad alcun inscatolamento che, in effetti, sarebbe stato inutile. Sarebbe bastato rimuovere l’etichetta originale e sostituirla con un’altra, operazione concettualmente perfetta e di limitato impegno. In questo caso le scatolette conterrebbero semplicemente cibo – carne, tonno? – ampiamente scaduto.
Entrambi questi artisti hanno inventato il modo per far
abboccare tanti pesci creduloni. Come si fa a far pagare 10 milioni di lire
(all’epoca l'ho visto esposto in una Galleria d’Arte milanese) un quadro di Fontana,
monocolore e un paio di tagli? Semplice! Facendo credere che si tratti d'arte innovativa, rivoluzionaria, e chi non sapeva dove buttar via il proprio denaro,
accorreva ad acquistare queste meravigliose prese per il didietro, godendone
pure!
Per non parlare della Merda d’artista di Manzoni di cui ho
ampiamente trattato qui sopra.
Se un pittore imbratta la tela con pennellate di colore, e
lo fa usando espressioni cromatiche che colpiscono lo sguardo, posso
apprezzarlo perché la sua opera dona colore e luce alle pareti di casa, ma non
sarei mai disposta a spendere cifre iperboliche a favore di un imbrattatele.
Quest'opera l'ho ripresa a caso dl web, non so a chi appartenga,ma mi è piaciuta moltissimo per i suoi colori intensi e tenui allo stesso tempo, Rappresenta un paesaggio, molto surrealista, ma di piacevole impatto visivo. Non sarà mai venduta a cifre iperboliche, e chiunque potrebbe desiderare di averla esposta in una parete di casa. Resta comunque evidente che non ha richiesto lunghi tempi per la lavorazione, ampie pennellate, ma di buon effetto.
Mi sono un po’ dilungata perdendo
di vista, almeno all’apparenza, l’argomento iniziale, che trattava di poesia.
E allora, dopo la lunga parentesi
dell’arte figurativa, andiamo a vedere di recuperare quella poetica, per
esempio Dante, senza scomodare La Divina Commedia, ha descritto la “sua”
Beatrice nel modo più classico di fare poesia, con rime ed endecasillabi.
TANTO GENTILE E
TANTO ONESTA PARE
Tanto gentile e tanto
onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.
Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova:
e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.
Allo stesso modo, tanti altri poeti hanno composto
poesie in rima, in strofe, in quartine o endecasillabi, poi è giunto Baudelaire con l'invenzione del poème
en prose. Poco per volta le poesie hanno preso la forma di versi liberi, non
legati a schemi precisi. Spesso sono migliori dei versi in rima, e a volte
bastano due versi, per dare luogo ad un quadro completo. Poche parole,
sapientemente utilizzate, quasi fossero scritte per inciderle su una lapide.
SOLDATI
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
Soldati di Ungaretti fu scritta durante la guerra nel 1918. E'
costruita su un paragone tra le foglie e i soldati che sugli alberi, intesi come
trincee, combattono.
Come si sa l'Autunno è per le foglie il momento
di cadere e come esse anche i poveri soldati lo fanno.
Con la poesia Soldati, Giuseppe Ungaretti vuole mettere
in evidenza le sue sensazioni che sicuramente condivide con i suoi compagni.
Esse sono: angoscia e precarietà, che
accompagna i soldati al fronte nemico. C’è bisogno di altre parole, quando
queste poche dicono tutto?
Ognuno sta solo sul
cuor della terra
Trafitto da un
raggio di sole:
Ed è subito sera.
Ed è subito sera, fa parte della raccolta
omonima, pubblicata nel 1942, di Salvatore Quasimodo. Affronta la tematica, su
cui si è incentrata anche la poetica leopardiana e montaliana, della brevità
delle illusioni.
Quasimodo esprime, evitando ogni riferimento a
una realtà soggettiva, la condizione esistenziale universale della solitudine
dell’uomo e della precarietà della vita, e lo esprime in maniera estremamente
concisa come una "sentenza", una "massima" che con poche,
significative parole sintetizza una amara verità eterna in versi liberi.
Questa poesia si basa su un’estrema
condensazione lirica (tecnica ungarettiana) e non concede nessuno spazio alla
descrizione. Rientra nella tradizione ermetica basata sull’essenzialità delle
parole e sulla loro concisione.
I versi si basano su un’attenta ricerca di
musicalità e ritmicità.
Vi sono numerose allitterazioni (sta
solo sul…sole…subito sera; della terra trafitto da un raggio di
sole) e una assonanza (della
terra).
Ho preso ad
esempio, e non a caso, le due brevissime composizioni, poiché entrambe fanno
riferimento alla precarietà dell’esistenza umana, che spesso è permeata dalla
solitudine interiore. Chi crede che i gioielli siano quelli che indossavano le
dame di un tempo, molto vistosi, non tiene da conto che un piccolo diamante al
dito possiede un valore molto più alto di quel che si possa
pensare. Queste due poesie, a mio avviso, sono due diamanti che brillano nel
cielo poetico.
Oggi va
molto di moda la poesia giapponese e quasi tutti i poeti si vogliono cimentare.
Lo Haiku (俳句) è un
componimento poetico nato in Giappone nel XVII secolo e divenuto ormai famoso
in tutto il mondo.
Sembra che la sua forma attuale derivi dalla poesia Waka (和歌) o poesia Giapponese (successivamente chiamata Tanka
短歌, poesia breve).
Il Tanka era una forma di poesia costituita da 31 More (semplicisticamente tradotte con Sillabe), divise in una sequenza 5-7-5-7-7.
I primi tre versi dovevano essere "autosufficienti", quindi divenne naturale, nel corso del tempo comporre solo questi ultimi...
Sembra che la sua forma attuale derivi dalla poesia Waka (和歌) o poesia Giapponese (successivamente chiamata Tanka
短歌, poesia breve).
Il Tanka era una forma di poesia costituita da 31 More (semplicisticamente tradotte con Sillabe), divise in una sequenza 5-7-5-7-7.
I primi tre versi dovevano essere "autosufficienti", quindi divenne naturale, nel corso del tempo comporre solo questi ultimi...
Ecco quindi
che nasce l'Haiku, una forma di poesia alla portata di tutti, una poesia
apparentemente semplice ed immediata che, privata di ogni fronzolo, suscita
delle emozioni senza esprimerle, suggerisce delle visioni e crea delle
immagini.
Ma, come tutto ciò che è giapponese, Semplice non vuol dire facile, o semplicistico.
Ma, come tutto ciò che è giapponese, Semplice non vuol dire facile, o semplicistico.
In realtà
comporre una poesia Haiku può essere piuttosto difficile, tanto che uno dei più
grandi Poeti Giapponesi, Matsuo Basho (1644-1694)
scrisse:
"chi, nella sua vita, riesce a scrivere
cinque buoni haiku, può considerarsi un Poeta, chi riesce a scriverne dieci, è
un Maestro"
Matsuo Basho, scrisse migliaia di Haiku nella sua vita, eppure riteneva che
solo pochi dei suoi fossero effettivamente dei "Buoni Haiku",
intendendo degli haiku che avessero in sé tutte le caratteristiche richieste.
L’arte è
Arte, quello che la distingue dalle mistificazioni è un filo sottile, ma forte
come l’acciaio, una linea di demarcazione che il pseudo artista non sarà mai in
grado di oltrepassare.
La fama di
certi imbroglioni,
è spesso dovuta ai molti ricchi creduloni
che, pur di vantarsi nell’aver speso fior di
bigliettoni
per l’acquisto di una solenne porcata,
investono i loro quattrini nella cagata,
quella di Manzoni, ma anche di altri bricconi.
E il valore di queste schifezze aumenta con la
richiesta! Quando vi levate le fette di salame dagli occhi, e guardate alla
verità non solo con quei due ai lati del naso, ma con il terzo, quello
interiore, che vi fa vedere la realtà
quale veramente è?
Non tutti
sono poeti, non tutti sono pittori, scultori, scrittori, poiché ognuno ha i
suoi limiti ma, soprattutto, non ci si cura della perfezione, che
richiede tempo, calma e molta fatica. Se pensate che secoli fa i pittori
dovevano miscelare le polveri colorate, spesso costosissime, perché ricavate da
pollini, pietre preziose, gusci di molluschi con gli olii speciali, al fine di
ottenere la tinta desiderata e che oggi invece si acquistano i colori a olio o
a tempera pronti nei tubetti, già da questo si intuisce che non si voglia
perdere tempo per realizzare un vero capolavoro. Eseguita una pennellata, stesa
a casaccio sulla tela, ed ecco l’opera d’arte. Qualche parola messa a capo su
un foglio, ed ecco la poesia.
E poi ci
stupiamo che le opere di autori d’altri tempi, siano tanto belle e
durature? Non vivevano in questa epoca tecnologica,
di corsa, dove tutto va fatto di fretta perché non c’è tempo, non c’è tempo,
non c’è tempo…per far che? Neppure per vivere?
Danila
Oppio
Lucio Fontana s'era perso nei pensieri di far l'arte. Finchè diede un taglio ai pensieri e un taglio alla sua arte.
RispondiEliminaAngela Fabbri
Verissimo! Grazie per il commento!
RispondiEliminaDanila
Sì. E riguardo al quadro che ti è piaciuto tanto e è piaciuto tanto anche a me, il quadro di un autore meraviglioso e sconosciuto, ecco... Per me l'ha composto sovrapponendo tante pezze di colore. Un Patchwork non di lana, non di stoffa, non di parole, ma di luce.
RispondiEliminaAngela Fabbri
Non l'ho scritto, ma è vero, mi è piaciuto quel quadro di autore ignoto, per la sua cromatica luminosità, grazie per averlo detto tu al posto mio...sei sempre più avanti di me!
RispondiEliminaDanila
La prima cosa che ho pensato vedendo quel quadro sono state tante pezze di colore giustapposte in modo meraviglioso. Solo, non ho avuto tempo per scriverlo.
RispondiEliminaRiguardo quel che mi dici... Danila Oppio non è forse patchwork (casa) e patchword (poesia)?
Angela Fabbri
Lo avevi detto, sulle pezze di colore, simile ad un Patchwork, e Patchword è una mia silloge poetica in e.book!
RispondiEliminaCiao e grazie ancora
Danila