POETANDO
martedì, dicembre 28
STORIE GIROVAGHE - NUOVA VERSIONE di DANILA OPPIO
lunedì, dicembre 27
IL PASSAPORTO SCADUTO E LE SALDATURE DI JEAN - di P. MAURO ARMANINO
Il passaporto scaduto e le saldature di Jean
Non sembra ma dieci anni passano in fretta. Avevo ottenuto il passaporto un paio di mesi prima di partire alla volta del Niger. Chi avrebbe mai immaginato di vivere una decade nel Paese, dove ero sbarcato il mese di aprile del 2011. La data di scadenza del documento è stata ampiamente superata. Il solo documento valido attualmente in mio possesso è il permesso di soggiorno, rinnovabile ogni anno a determinate condizioni. La mia libera mobilità si trova di colpo mortalmente colpita: senza un passaporto valido è impossibile viaggiare regolarmente ad di fuori del Paese. Ma anche all’interno del Paese, da tempo ormai, è complicato spostarsi liberamente per chi ha una nazionalità ‘occidentale’ o si trova ad avere un altro colore. La storia è strana davvero, ci sono corsi e ricorsi e avvenimenti non programmati che fanno sorridere persino la sabbia, notoriamente abituata al detto che tutto cambi perché niente, in fondo, cambi.
Nascere in un Paese o in un altro non è affatto innocente. Il luogo, oltre le retoriche del mondo villaggio e della sedicente globalizzazione che tutto avrebbe normalizzato’, conserva un’importanza cruciale per la vita reale di una persona. La speranza di vita, la cultura, l’affiliazione religiosa, l’educazione, le opportunità di lavoro, le prospettive matrimoniali, i viaggi e in genere la qualità della vita sono legate al fattore geografico fin dalla nascita. Casualità, causalità, imponderabile lotteria senza numeri preferenziali, provvidenza divina o semplice e indiscutibile destino segnato. Tutto questo e molto altro ancora, per riconoscere e accettare che la porzione di terra nella quale si è nati deciderà molto del nostro futuro. Anche la mobilità, dunque, sarà in funzione del luogo nel quale il documento di viaggio del cittadino è stato confezionato. La nazionalità allora aprirà o fermerà le frontiere di transito o di destinazione del cittadino.
Per le nazionalità, che i più ricchi possono comprare, è stato stilata la classifica dei Paesi a seconda della qualità delle nazionalità che permettono, ai loro detentori, di muoversi con maggiore o minore facilità nel mondo. Il rapporto in questione, pubblicato l’anno scorso, suddivide i Paesi in cinque liste a seconda dei parametri interni, legati alle possibilità economiche, allo sviluppo umano, alla pace e la stabilità. Ci sono poi i parametri esterni, quali la facilità a ottenere i visti necessari e le condizioni per stabilirsi nel Paese. Il documento organizza i Paesi del mondo in categorie che variano dalla più alta alla meno alta qualità. Il grafico, opportunamente colorato, rappresenta il passaggio dai più ai meno qualificati in termini di nazionalità. Nel Nord del Mondo, senza sorpresa, appare la più marcata e pregiata nazionalità. L’Africa è classificata nella zona di ‘bassa qualità’ con l’area orientale e centrale al suo interno, di bassissima qualità.
Anche per questo Jean ha abbandonato sei mesi or sono il nativo Camerun perché non poteva pagarsi la macchina saldatrice. Ed è per comprarne una nuova che voleva raggiungere la Spagna passando dal Marocco. Attraversata la Nigeria approda a Cotonou nel Benin e per pagarsi la tappa seguente lavora come ‘manicure’, poi a Malanville carica barre di ferro sui camion e a Dosso nel Niger, per lo stesso motivo, fabbrica pane e dolci. A Niamey la capitale è imbrogliato e derubato del passaporto, dei soldi, dello zaino, del cellulare e del progetto di continuare il viaggio. Da una settimana deve giustificare la sua nazionalità e ricorda solo il numero ‘whatsapp’ della sorella minore rimasta nel Paese. Suo padre è morto nell’infanzia e sua madre invece è deceduta da due mesi. Jean ha 24 anni e possiede tutto il tempo per saldare i conti con la sua vita. Il mio passaporto, invece, è scaduto dal passato mese di febbraio ed è solo la sabbia del Niger che, nella complicità, mi ha offerto un permesso di soggiorno, rinnovabile.
Mauro Armanino, Niamey, 26 dicembre 2021
giovedì, dicembre 23
IL NATALE DEL PIANETA di RENATA RUSCA ZARGAR
IL NATALE DEL PIANETA
Il Pianeta Terra non aveva tempo di fermarsi un momento.
Un po’ doveva girare su se stesso, un po’ intorno al Sole, poi, c’erano la rotazione del suo asse che gli sembrava di essere una trottola e, recentemente, aveva persino saputo dagli scienziati che l’Universo si stava espandendo trainando il sistema solare con sé come l’uvetta in un panettone che lievita!
Tutte questioni complicate.
Meno male che almeno lei, la Luna, non creava confusione: sorrideva sempre, mentre transitava intorno con quel suo faccione rotondo, come al solito.
Ultimamente, però, le cose non andavano bene.
Gli esseri umani si erano moltiplicati strepitosamente: negli ultimi trent’anni erano addirittura raddoppiati.
E non bastava! Avevano sporcato l’ambiente, riempito l’atmosfera di fumo nero, lordato l’acqua con scarichi e immondizia, sterminato animali e piante…
- Dai, non te la prendere. - consolava la Luna, mentre illuminava quel Pianeta a cui era affezionata da tempo immemorabile - Vedrai che gli umani faranno pulizia e sistemeranno tutto.
- Figurati! Sono degli sconsiderati. Se guardi bene, persino nei Mari e negli Oceani ci sono intere isole di plastica gettata via avventatamente che né il sale né le onde possenti riescono a eliminare! A causa del loro lerciume, poi, i virus imperano ovunque e neppure io riesco più a combatterli. Come non posso arginare gli sconvolgenti alluvioni, uragani, tempeste… -
Il Pianeta era davvero stanco, non ce la faceva più a sopportare tanta gente maleducata e senza rispetto che aveva ridotto i suoi ammalianti paesaggi a una vera e propria discarica.
Un giorno o l’altro, si sarebbe lasciato cadere in un buco nero o si sarebbe avvicinato al Sole facendo friggere tutto quanto!
La Luna non sapeva più cosa rispondere e gli inviava ogni notte solo un tenero abbraccio di luce.
Una mattina, però, la Terra aveva notato un considerevole gruppo di persone che si erano riunite per discutere del futuro dell’ambiente. Molti, specialmente i giovani, erano allarmati per i cambiamenti climatici. I ghiacciai perenni, difatti, si scioglievano, i mari si alzavano sommergendo terre popolose, venti furiosi trascinavano via case e abitanti generando onde gigantesche che invadevano paesi e città. Il surriscaldamento del Pianeta causato dall’inquinamento, dall’uso dei combustibili fossili, dallo spreco delle risorse, stava mettendo a rischio la stessa razza umana. Tutto questo era scritto su tanti cartelli e striscioni ripresi dalle televisioni mentre bocche consapevoli di ragazzi e ragazze urlavano al mondo intero.
- Finalmente, hanno capito! - meditava la cara Terra - Forse, i miei inquilini cambieranno, prima che sia definitivamente troppo tardi!
- Vedi che avevo ragione! - confermava il raggio arancio della Luna.
Non si sa, però, se i grandi magnati, quelli che governavano il mondo senza preoccuparsi della povera gente, avevano davvero deciso di correggere la rotta e di rimediare ai disastri.
Certo è che poco tempo dopo quelle giornate di studio e di protesta, era sopraggiunto il periodo del Natale: una festa sacra per un terzo degli abitanti del Pianeta. Un’importante occasione, dunque, per celebrare la nascita di Gesù che era venuto, molti secoli prima, a salvare l’umanità.
Per ricordare quell’evento miracoloso, allora, si tenevano ovunque luci accese di giorno e di notte: colorate, intermittenti, sui balconi, alle finestre, nelle strade; mentre gli alberi, tagliati via dalle foreste e trascinati in città, si slanciavano addobbati e luminosi verso il cielo. Numerose auto, poi, giravano senza posa per condurre ogni persona a comprare regali spesso inutili, incartati e infiocchettati a festa. Il povero Pianeta, in pochi giorni, sarebbe stato ancora più puzzolente e ingombro di spazzatura.
Era solo spreco, tanto spreco.
- Non meritano nulla questi popoli! -aveva concluso, infine, la Terra, mentre le sue lacrime di dolore scivolavano via nello spazio.
Quell’anno avrebbe potuto essere una prima occasione di evitare inutile dissipazione di energia per cominciare, almeno dal poco, a cambiare vita e custodire se stessi e quanto avuto in dono.
Un tempo lontano, infatti, Gesù era venuto in una stalla; non possedeva nulla se non un grande sogno: portare il Bene sulla Terra. La rievocazione più giusta sarebbe stata la gioia chiusa nel proprio cuore, la felicità di aiutare chi aveva meno, scaldare chi aveva freddo, accogliere chi soffriva. Invece no. Come al solito, chi aveva già tutto poteva bere e mangiare persino fino a stare male. Chi non aveva nulla, invece, continuava a essere rifiutato da tutti, rimaneva nella neve e nel ghiaccio a patire.
- È tutto vano, dunque. Gli umani sono incorreggibili. -
Neppure la Luna aveva più la forza di obiettare perché, questa volta, la Terra aveva proprio ragione.
Gesù, però, dall’alto di una stella ascoltava quei pensieri. I corpi celesti erano arrabbiati e delusi! E non a torto. Uomini e donne sembravano talmente ciechi ed egoisti da non accorgersi del precipizio che avevano imboccato. Certo, non tutti. Molti si impegnavano, denunciavano i problemi, lottavano per il Bene. Ma non contavano nulla.
Dunque, il momento era giunto.
Sarebbe sceso di nuovo sulla Terra.
Forse, in un barcone, forse, in un villaggio senza acqua né elettricità, forse, al confine spinato nel freddo tra quelli che nessuno voleva, forse, in una prigione insieme alle vittime di uno dei tanti crudeli dittatori o, addirittura, sotto i cartoni dove dormivano gli esclusi agli angoli delle vie.
- Chissà se lo riconosceranno. - rifletteva ancora il nostro Pianeta – Chissà se accoglieranno un bimbo abbandonato invece di chiudere gli occhi del cuore e limitarsi ad addobbare uno splendente albero di Natale. Chissà se riusciranno a trovare la forza di mutare davvero. -
Intanto, rivolgendo anch’esso un’accorata preghiera, continuava, per il momento, a girare.
Renata Rusca Zargar
martedì, dicembre 21
LA PICCINA DEI FIAMMIFERI di RENATA RUSCA ZARGAR
domenica, dicembre 19
VOLTIAMO PAGINA di PADRE MAURO ARMANINO
sabato, dicembre 18
LA SEDUTA SPIRITICA di RENATA RUSCA ZARGAR
venerdì, dicembre 17
SINESTESIA D'AVVENTO di UMBERTO DRUSCHOVIC
sabato, dicembre 11
I PADRI ASSENTI E GLI OCCHIALI DI SCARTO di P. MAURO ARMANINO
venerdì, dicembre 10
UNA RAGAZZA DA RESET di RENATA RUSCA ZARGAR
UNA RAGAZZA DA RESET
Si è conclusa da poco con grande successo la mostra organizzata a San Marino, presso il Palazzo SUMS, delle opere partecipanti all’originale Concorso STOP – RESET – START. La competizione, assai particolare, era stata indetta dalla Carlo Biagioli. una società che offre un team di esperti per la soluzione di qualsiasi problema e che promuove il territorio della Repubblica di San Marino attraverso pubblicazioni periodiche, tra cui anche tutto quanto serve per aprire un’attività a San Marino. (Carlo Biagioli Srl - Consulenti globali)
Dunque, Reset!
Quante volte, assediati dalla quotidianità, abbiamo avuto desiderio di chiudere con il passato e ricominciare, così come si può farlo su un mezzo tecnologico cancellando tutto!
Gli artisti (beati loro!), sollecitati dall’input della Carlo Biagioli, avevano avuto la bella opportunità di esprimere, ognuno con i propri strumenti artistici, tra cui scultura, pittura, fotografia, scrittura, cosa avrebbero voluto-potuto fare.
Samina Zargar, affascinante youtuber che, con il suo canale “Up and down”, ci racconta gli alti e bassi della vita, aveva raccolto la sfida.
Nel video, chiamato proprio “Reset”, si è mostrata assediata dal patema del lavoro, l’auto in panne, i messaggi, le mail, le crisi politiche, climatiche, aziendali e persino i genitori ansiosi… Cosa fare, dunque? Reset! Infine, recita l’artista nel filmatino, non si vede più nessuno: finalmente, un po’ di pace! Però, siamo spariti anche noi che la stavamo guardando. Come mai? Certo, sparisce chi non è se stesso, chi vive una vita non sua (come tanti di noi che subiscono e che sono indifferenti, oppure che sono schiavi dei social, dell’opinione altrui, del perbenismo). Rimane solo lei, la protagonista, perché si è reinventata. “Sii te stesso, vivi la tua vita”. Lei, nel frattempo, parte per la Luna: una fantastica luna che “balla”!
Il concetto che noi non siamo più noi stessi perché abbiamo paura di mostrarci agli altri è sviluppato anche in un altro lavoro: “Un gatto blu è più vero di te”, ribadisce, infatti, Samina.
Qualche volta, può succedere che un semplice video di pochi minuti ma dal significato davvero profondo riesca a farci riflettere e, chi lo sa, a cambiarci la vita: Reset o Un gatto blu è più vero di te speriamo che siano davvero le occasioni per tutti, anche in un tempo tanto triste e difficile, di un nuovo INIZIO e di un po’ più di coraggio.
Guarda i video completi:
Facciamo Reset
Un gatto blu è più vero di te
Renata Rusca Zargar
UNA FOGLIA IN AUTUNNO di RENATA RUSCA ZARGAR
Oggi è una giornata triste. Il cielo è grigio-immobile. Un po' sono triste anch'io. Sta arrivando l'autunno, le foglie degli alberi si colorano in tutte le tonalità dal giallo al rosso. Ma ci sono anche le foglie che non cambiano mai, rimangono verdi, quasi provocatorie. "Sono più forte - sembrano dire - non cadrò a terra, resisterò."
E io cosa sono? Resistente o caduca?
In questi giorni, devo prendere la decisione più difficile della mia vita.
La prozia mi accoglie nel suo appartamento che dà su via Pietro Scotti. Dato che lei non esce più di casa per l’età, vengo a trovarla ogni settimana, il venerdì.
- Vieni, ti faccio il caffè. Mi offre, come al solito, quindi prepara la sua macchinetta napoletana con le mani che tremolano un po’. È vecchia, la prozia, anche se in buona salute. Ma è ostinata e non vuole andare dal neurologo per risolvere il noioso inconveniente del tremore. Così, quando le tazzine e la caffettiera oscillano nelle sue mani, ho sempre paura che rovesci tutto e, magari, si bruci o si faccia male! Per fortuna, finora non è mai successo niente del genere.
Il profumo delizioso invade tutta la cucina e, appena sedute, una di fronte all’altra, a gustare la bevanda, la prozia inizia a spiegarmi la storia del parentado che mi ripete puntualmente ogni volta che mi vede.
- Sai - mi racconta Mariuccia - nella nostra famiglia siamo tutte caffettone, te lo ricordi, no? Mia madre, tua bisnonna, amava tanto il caffè, ne beveva parecchie tazze al giorno ed è stata sempre bene: è vissuta assai a lungo, fino a novantatré anni. La nostra origine è ligure-piemontese. Mio padre era di Savona, faceva il carrettiere. Mia madre, invece, era di Farigliano, in provincia di Cuneo, era nata il 7 febbraio del 1890 ed era l’ultima di due fratelli e tre sorelle. A soli sei anni, purtroppo, era rimasta orfana: barba Giuseppin, barba Giors, magna Caterina e…- alla prozia non viene in mente il nome dell’ultima sorella di Marietta, la mia bisnonna - ah, sì, magna Teresin. La mandavano a scuola quando non c’erano dei lavori da fare in campagna, cioè quasi mai. Anzi, non la trattavano affatto bene, mia mamma ha preso tante botte dalla cognata che, una volta, le hanno fatto persino uscire il sangue dalla testa! Poi, un giorno, barba Giuanin, non mi ricordo più se era un parente o un amico, ma so che aveva il forno del pane in Lavagnola, che allora era un quartiere importante di Savona, è andato ad aiutare barba Giors per la vendemmia. Così, gli ha detto: “Lascia venire a Savona la Marietta, tanto ormai sta per arrivare l’inverno e in campagna c’è poco lavoro. Là può aiutarmi nella panetteria e poi, in primavera, torna qui.” Così, Marietta era stata mandata a Savona, dove faceva un po’ di tutto: portava il pane ai negozi, andava al mercato, faceva le pulizie… Era un lavoro duro, ma non certo come quello che aveva lasciato, e così non era mai tornata in Piemonte. Io la capisco, perché anche a me non piaceva andare in Piemonte. Una volta, quando ero ragazzina, per farmi prendere l’aria buona di campagna, mia madre mi aveva mandata da una zia. Mi annoiavo moltissimo, la zia mi faceva pregare in continuazione, mi dava poco da mangiare… Pensa che, al mattino, si buttava il contenuto del vaso da notte (cioè i bisogni) fuori della finestra! Strano, eh? Beh, di sotto c’erano i prati, naturalmente. -
La prozia ama tanto parlare della famiglia di un tempo passato. Chissà, se un giorno anch’io ricorderò con altrettanto piacere la mamma…
- Hai appena trovato lavoro - mi ha risposto mia madre quando le ho chiesto consiglio - vuoi già lasciare? Per cosa poi? Non avresti nessuna sicurezza e saresti sola in un paese che non conosci.
- Sì, ho trovato lavoro nel negozio “Cose di carta”, ma non è che sia il massimo! Un po’ faccio la commessa e un po’ preparo del materiale da vendere, di carta, appunto. Io desidero altro, voglio scolpire e affermarmi come scultrice.
- Puoi fare quello che vuoi nel tempo libero ma, almeno, alla fine del mese hai un salario. Poi, se un domani, diventerai famosa, potrai lasciare il negozio. È difficile, però, al giorno d’oggi! Con la crisi che c’è, chi vuoi che compri le sculture?
- Ma torniamo a mia mamma: era bella sai? - interrompe i miei pensieri la prozia Mariuccia - A Lavagnola, c’erano tanti che la volevano sposare, ma barba Giuanin le aveva consigliato di prendere Tugnin che era un gran lavoratore, perché così sarebbe stata bene. A dire il vero, a mia madre piaceva di più un altro, che però voleva solo divertirsi, e lei aveva seguito il parere di barba Giuanin e aveva sposato Tugnin, Antonio, mio padre, che era anche il più bello di Lavagnola. Così si diceva. La tua bisnonna era molto furba e mio padre la vedeva nell’ombra, cioè l’adorava! Tutte le mattine, egli si alzava prestissimo per andare a lavorare, scendeva in cucina e faceva il caffè nel pentolino, come usava allora, e glielo portava a letto. Sai, per mia madre quello era l’unico piacere perché, poi, anch’ella lavorava tutto il santo giorno.
Mariuccia si interrompe, intanto che sciacqua le tazzine e le rimette nell’armadio, sempre tremolando intensamente. Tugnin doveva davvero adorare la sua Maria, detta Marietta, tanto che anche la figlia era stata chiamata Maria, detta poi Mariuccia per non confondersi tra madre e figlia.
Che bella coppia erano stati. Avevano condiviso tutto, il bello e il brutto. Perché erano molto uniti.
Tugnin era riuscito, infine, a realizzare per loro una casa a tre piani con sei appartamenti e un negozio. Aveva avuto coraggio e capacità: andava alla mattina presto, prima di iniziare il suo lavoro di carrettiere, a prendere la sabbia nel fiume e la portava ai muratori. Marietta, in quel tempo, gestiva una latteria.
Fausto non si impegnerebbe altrettanto. Lui si accontenta. Aiuta il padre nella gioielleria di famiglia. - Così sono libero - confida – quando devo andare da qualche parte non ho problemi. Intanto, mio padre non si muove mai dal negozio. È un’attività che non mi piace, ma rende!
È vero, quando io non lavoravo ancora siamo andati parecchio in giro, anche solo a passeggiare vicino al mare. Lui era sempre disponibile. Adesso, io non posso più, ho un orario da rispettare. Ma Fausto è sempre a gironzolare per la città, al bar, al Prolungamento… Forse, non ha sogni da realizzare.
- Subito dopo il matrimonio - la prozia continua ancora la storia che mi ha narrato infinite volte e che pure mi appare, oggi, del tutto nuova - mio padre continuava il suo lavoro e, con il suo carretto tirato dai cavalli, andava al porto a caricare le merci che poi consegnava a destinazione. Insieme a Marietta, inoltre, gestiva un’osteria nella stessa casa dove abitavano, vicino al torrente Letimbro. Intanto, ero nata io, e poi, quando io ero ancora piccola, proprio in maggio, il mese del mio compleanno, l’Italia era entrata in guerra. Tugnin era partito per il fronte, nonostante a suo tempo non avesse fatto neppure il militare perché figlio unico di madre vedova. Ma si sa, in guerra devono andare tutti! Marietta era rimasta da sola a condurre l’osteria, mentre del carro e dei cavalli si occupava il garzone di mio padre. Subito, si credeva che la guerra sarebbe durata pochi mesi, poi, invece, il tempo era passato e si era capito che sarebbe andata per le lunghe. Tugnin rimaneva al fronte dove faceva il conducente, portava, cioè, da mangiare con una mula ai soldati in prima linea. Ogni tanto, scriveva alla Marietta e lei gli rispondeva. Si sapeva che le cose non andavano tanto bene per i soldati italiani: avevano freddo su quelle montagne, poi avevano dovuto arretrare fino al Piave, e si diceva che la guerra di trincea fosse terribile! Intanto, Marietta aveva dovuto disfarsi dei cavalli perché il garzone di mio padre era disonesto: rubava la biada per rivenderla e lasciava le bestie a soffrire la fame. Quanti sacrifici aveva dovuto fare mia madre per tirare avanti da sola! Ma ti annoio? Sei stanca di ascoltare queste vecchie storie?
- No, zia - le rispondo - mi piace sentir parlare della nostra famiglia, mi aiuta a chiarirmi le idee...
- Ah, bene. Sai, io sono vecchia ormai, e ho paura di essere noiosa. Dunque, alla fine della guerra le era arrivata una lettera, anzi, guarda, l’ho trovata qualche tempo fa in una vecchia scatola e l’ho messa da parte in questo cassetto per mostrartela.
Mariuccia tira il cassetto e prende un foglio un po’ strappato e ingiallito.
- Ecco, tieni, ci saranno degli errori ma non tanti, tuo bisnonno aveva fatto fino alla terza elementare e sapeva scrivere bene. Leggi cosa scriveva.
“Cara Marietta,
la guerra è finita ed o avuto il congedo ma prima di venire a casa devo andare a Venezia a trovare la mamma di un mio compagnio qui sotto le armi. Questo mio compagnio che si chiamava Bepi è morto colpito dal fucile nemico in trincea nel Carso. Egli mi aveva tanto parlato di sua madre che viveva solo per lui ed aveva fatto tanta fatica per alevarlo dato che era sola. Così ho deciso di portarle di persona le sue cose e raccontarle le ultime giornate di suo figlio. Non preoccupar ti arriverò presto. Venezia è un po lontana da qui dalle montagne dove ci troviamo è sul mare che si chiama Adriatico. Abraccia la Mariuccia chissà come sarà cresciuta
Tugnin"
Osservo la grafia infantile ma dura e sicura del mio bisnonno che, dopo più di tre anni di lontananza dalla famiglia, aveva scelto di allungare il viaggio del ritorno per rispetto dell’amicizia con un suo compagno di armi.
- Quando finalmente è arrivato a casa - continua Mariuccia, riponendo la preziosa carta nel cassetto - ha narrato alla Marietta il suo viaggio a Venezia. “Sapessi - le diceva - è una città nell’acqua, le strade non sono strade ma canali, per spostarsi bisogna prendere la barca, i palazzi si alzano nel mare… La madre di Bepi mi ha accolto in una misera stanza che si allaga quando dicono che c’è l’acqua alta, perché sono tanto poveri, ancora più di noi. Le ho consegnato tutto ciò che lui aveva, la sua catenina d’oro, i suoi stivali, e le ho parlato di quello che lui faceva e diceva, di quanto la rispettasse per tutti i sacrifici che aveva fatto per lui. Quella donna piangeva, ma mi ha ringraziato tanto perché le ho riportato almeno il ricordo di suo figlio, il suo unico amore… Sono contento di averlo fatto, anche se è poco, anche se a lei non è rimasto nulla e nessuno.”
Poi, nel 1920, è nato mio fratello Gino, tuo nonno e padre di tua mamma, e sai che cosa ha fatto mia madre, appena l’ha avuto tra le braccia, prima ancora di attaccarlo al seno? Gli ha dato un cucchiaino di caffè, per tirargli un po’ su il cuore, come lei diceva sempre quando, nei momenti difficili, offriva il caffè a qualcuno.
Che bella storia. Una vera famiglia.
Anch'io, ho tanti progetti.
Per questo, ogni tanto, allestisco delle mostre dei miei lavori o partecipo a qualche collettiva.
Un mese fa, ho mandato un'opera a una mostra a Milano. “Tempi moderni” era il soggetto da interpretare. Le foglie dell’autunno, antiche ma moderne, mi hanno ispirata. Quelle che cadono, come tanti di noi, nelle guerre, nelle malattie, nelle migrazioni, e quelle che non cadono, come i benpensanti, gli sfruttatori, i corrotti…
Io non sono neppure andata all’inaugurazione, dovevo rimanere in negozio. Dopo un paio di giorni, un tizio mi ha telefonato.
- Ho visto la sua installazione. - mi ha detto - Sono Beniamino Arditi, un gallerista che opera in Italia ma anche a Londra e a NewYork. Ha altri lavori pronti?
- Qualcosa avrei…
- Può farmeli vedere?
- Io sono a Savona…
- Venga a trovarmi a Milano nella mia galleria, ci saranno anche i miei collaboratori.
Ho chiesto a Fausto di accompagnarmi perché io non ho l’auto. Abbiamo stipato alcune sculture e qualche ceramica nel bagagliaio e siamo partiti.
- Sarà il solito buco nell’acqua. - ribadiva lui - Oppure ti daranno una miseria che non ti ripagherà neppure il materiale…
- Lo so, sarà così, ma se non ci provo mai, non arriverò da nessuna parte.
- Al giorno d’oggi, queste cose non sono più di moda. I giovani preferiscono gli oggetti di elettronica!
Quando siamo arrivati alla galleria, lui è rimasto fuori, è andato a girare per Milano.
- È meglio che non venga. - ha detto – Così sarai più libera. Se le prendono, anche per poco, dagliele, tanto cosa te ne fai?
Alla fine dell’incontro, ho ricaricato tutto in auto e ho chiamato Fausto perché tornasse dalla sua passeggiata. Siamo ripartiti per Savona.
- Allora, non hanno preso niente? Lo immaginavo che sarebbe stato un buco nell’acqua.
- No, è stato diverso. Hanno guardato bene le opere, le hanno fotografate. Hanno discusso tra di loro, mi hanno detto che apprezzano il mio modo di lavorare: esteticamente valido e con contenuti importanti. Mi faranno sapere al più presto.
- Non li sentirai mai più. Figurati, una galleria così famosa, avranno decine di grandi artisti… -
La prozia continua a ripassare le vicende familiari: prima l’osteria con i cavalli, poi la latteria, infine, finalmente, il tabacchino nella casa nuova.
- Nel negozio di tabacchino, c’era la cucina nel retro e il gabinetto nel cortile, così era sempre aperto, dalla mattina presto fino alla sera. Allora, si mesceva anche il vino, si vendevano i pesciolini di liquirizia e tante altre cose. Io e tuo nonno siamo cresciuti lì. Quando la facevamo arrabbiare, mia mamma ci inseguiva con l’asciuga-piatti. Solo che mio fratello era furbo e scappava, io, invece, mi mettevo a piangere in un angolo.
La prozia ride al ricordo. La bisnonna era buona, aveva preso tante botte da giovane e non voleva picchiare i suoi figli.
- Poi, la sera, si saliva su per una scala interna di legno al piano superiore, cioè qui, dove abito io anche ora, perché c’erano le camere da letto. In negozio, rimaneva il cane Dick, a fare la guardia. Sì, lo so, era un cane da pastasciutta, cioè piccolino, mingherlino, un bastardino, insomma, ma noi gli volevamo bene. D’altronde, se fosse arrivato qualcuno, avrebbe abbaiato e mio padre sarebbe sceso a vedere cosa succedesse.
Mariuccia parla, parla… Il mio pensiero vola, però, al sogno impossibile.
Mentre aspettavo di essere ricontattata dal gallerista, intanto, mi ero informata da uno dei miei ex insegnanti all'Accademia di Belle Arti. “È conosciuto come il Creatore, - mi aveva risposto il professor Zanda - perché gli artisti che lavorano con lui imparano molto e si affermano. Se tu avessi la fortuna di piacergli, sarebbe come essere stata miracolata! Ma tu sei molto brava, chissà…”
- Signorina, salti su un treno e venga in galleria! - mi aveva telefonato dopo alcuni giorni proprio il famoso gallerista.
- Con le sculture? - avevo chiesto, dunque, al dottor Arditi.
- No, da sola.
- Va bene, arrivo.
Ero andata senza farlo sapere a nessuno. Non avevo voglia di sorbirmi altri commenti acidi.
A Milano, il gallerista, insieme a un suo collaboratore, mi aveva spiegato:
- Noi pensiamo che il suo stile unito ai contenuti possa suscitare interesse nei mercati. Lei usa i materiali con padronanza e sta scardinando alcuni stereotipi della scultura e della nostra stessa cultura occidentale. Mi ricorda un po' Jimmie Durham, con il quale ho lavorato a New York. Naturalmente, dovrà ancora maturare ma è giovanissima… Quanti anni ha?
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- Bene. Sicuramente, lei saprà che qualunque pittore, scultore o altro, non esiste senza il suo gallerista. L’artista produce ma è il gallerista che lo propone e lo valuta, lo impone al mercato, insomma. Noi vorremmo provare con lei all’estero, poi, una volta raggiunta una certa fama, torneremmo in Italia. Non le nascondiamo che, oltre al valore artistico nel quale crediamo molto, questa sarebbe una manovra commerciale che potrebbe anche non riuscire. Anche se pensiamo che ci sia lo spazio perché vada a buon fine.
- Non ho capito… Cosa dovrei fare? Darvi le opere da portare all’estero?
- No. Lei dovrebbe seguire i suoi manufatti. Inizieremmo un percorso prima a Londra, dove lei dovrebbe presenziare alle mostre, comunicare con la stampa, essere molto attiva. Dovrebbe, intanto, continuare a creare perché siamo convinti di poter vendere bene i suoi lavori.
- A Londra?
- Sì, e poi a NewYork.
- Ma io sono una commessa, non ho mezzi finanziari…
- Le spese sarebbero tutte a nostro carico. È un investimento. Poi cominceremmo a guadagnare entrambi. Incasso metà a lei e metà alla galleria. Capisco che le sembri poco dato che è lei la creativa. Ma, come ho detto, per noi sarà un investimento che potrebbe anche non andare a buon fine e lei non perderebbe nulla. Ha dei legami importanti nella sua città?
- Mia madre.
- Non ha un fidanzato?
- Sì.
- Potrebbe ostacolarla?
-Non so.
- Ci pensi bene per qualche giorno. Poi, ci darà la risposta che speriamo positiva.
Non ci sono, dunque, sogni impossibili da realizzare: il segreto è continuare a seguirli, senza lasciarsi abbattere dalle difficoltà. Ma qual è davvero il mio sogno?
- Saresti matta a seguire quella gente chissà dove! - mi ha risposto Fausto piuttosto adombrato, quando gli ho esposto la questione - Dovresti lasciare tutto per andare dove? A fare cosa? La tua vita è qui, hai il tuo lavoro al negozio, tua madre… Cosa ti manca? Poi, ci sono io, stiamo bene insieme, no?
L’ho guardato senza parlare e lui ha continuato:
- Sei una bella ragazza, magari hanno pensato di approfittare di te. Quanti anni ha questo tizio?
- Non so, ma non è giovane.
- Ecco, vedi! Ha pensato di circuirti e di farsi l’amante bambina con la scusa della scultura. E tu ci sei cascata.
- No, non mi ha dato quell’impressione. Mi sembra un uomo serissimo. Anche il mio professore dell’Accademia me ne ha parlato molto bene…
- Certo. Nessuno ti dice quante ci saranno cascate con la scusa della cultura! Oggi non importa a nessuno dell’arte, fa gola una bella ragazza da illudere e manipolare. Quando sarai sola all’estero faranno tutto quello che vorranno di te.
- Potresti venire anche tu, almeno all’inizio, così non sarei sola e potremmo valutare insieme come siano le cose in realtà. Londra ti è sempre piaciuta.
- Ma non ci penso neppure! Questa è una stupidaggine. Non andrò mai a Londra per loro.
- Ma non sarebbe per loro, sarebbe per me.
- Cerca di ritornare alla normalità. Vai in negozio e vendi le tue creazioni di carta. Quando vorremo andare a Londra, lo faremo per conto nostro. Non telefonare più a quella gente. La tua vita è qui.
D’improvviso, lasciata la prozia, appena fuori dall’edificio di via Pietro Scotti, ho capito.
Il bisnonno Tugnin, tanti anni fa, non ha spezzato i desideri della bisnonna e neppure lei ha ostacolato i progetti del marito. Il loro segreto era assecondare le ambizioni l’uno dell’altro.
Fausto non ha rispetto per me.
Non si è mai interessato dei miei sogni: una vita con lui sarebbe come rinunciare alla mia identità. Non è amore quando non si ama l’altro così com’è, senza schiacciare le sue ambizioni, le sue passioni.
Sarà a Fausto che non telefonerò più non al gallerista!
Partirò per Londra e rischierò.
Forse, riuscirò a diventare, con il tempo, la scultrice che desidero essere o, forse, no.
Sono una foglia sempreverde e resisterò.
Quando, tra moltissimi anni, arriverà la conclusione della mia esistenza, mi tramuterò in una foglia rossa dell’autunno in attesa della fine.
Almeno, non avrò rimpianti e sarò orgogliosa di me stessa.
Renata Rusca Zargar