Oggi è una giornata triste. Il cielo è grigio-immobile. Un po' sono triste anch'io. Sta arrivando l'autunno, le foglie degli alberi si colorano in tutte le tonalità dal giallo al rosso. Ma ci sono anche le foglie che non cambiano mai, rimangono verdi, quasi provocatorie. "Sono più forte - sembrano dire - non cadrò a terra, resisterò."
E io cosa sono? Resistente o caduca?
In questi giorni, devo prendere la decisione più difficile della mia vita.
La prozia mi accoglie nel suo appartamento che dà su via Pietro Scotti. Dato che lei non esce più di casa per l’età, vengo a trovarla ogni settimana, il venerdì.
- Vieni, ti faccio il caffè. Mi offre, come al solito, quindi prepara la sua macchinetta napoletana con le mani che tremolano un po’. È vecchia, la prozia, anche se in buona salute. Ma è ostinata e non vuole andare dal neurologo per risolvere il noioso inconveniente del tremore. Così, quando le tazzine e la caffettiera oscillano nelle sue mani, ho sempre paura che rovesci tutto e, magari, si bruci o si faccia male! Per fortuna, finora non è mai successo niente del genere.
Il profumo delizioso invade tutta la cucina e, appena sedute, una di fronte all’altra, a gustare la bevanda, la prozia inizia a spiegarmi la storia del parentado che mi ripete puntualmente ogni volta che mi vede.
- Sai - mi racconta Mariuccia - nella nostra famiglia siamo tutte caffettone, te lo ricordi, no? Mia madre, tua bisnonna, amava tanto il caffè, ne beveva parecchie tazze al giorno ed è stata sempre bene: è vissuta assai a lungo, fino a novantatré anni. La nostra origine è ligure-piemontese. Mio padre era di Savona, faceva il carrettiere. Mia madre, invece, era di Farigliano, in provincia di Cuneo, era nata il 7 febbraio del 1890 ed era l’ultima di due fratelli e tre sorelle. A soli sei anni, purtroppo, era rimasta orfana: barba Giuseppin, barba Giors, magna Caterina e…- alla prozia non viene in mente il nome dell’ultima sorella di Marietta, la mia bisnonna - ah, sì, magna Teresin. La mandavano a scuola quando non c’erano dei lavori da fare in campagna, cioè quasi mai. Anzi, non la trattavano affatto bene, mia mamma ha preso tante botte dalla cognata che, una volta, le hanno fatto persino uscire il sangue dalla testa! Poi, un giorno, barba Giuanin, non mi ricordo più se era un parente o un amico, ma so che aveva il forno del pane in Lavagnola, che allora era un quartiere importante di Savona, è andato ad aiutare barba Giors per la vendemmia. Così, gli ha detto: “Lascia venire a Savona la Marietta, tanto ormai sta per arrivare l’inverno e in campagna c’è poco lavoro. Là può aiutarmi nella panetteria e poi, in primavera, torna qui.” Così, Marietta era stata mandata a Savona, dove faceva un po’ di tutto: portava il pane ai negozi, andava al mercato, faceva le pulizie… Era un lavoro duro, ma non certo come quello che aveva lasciato, e così non era mai tornata in Piemonte. Io la capisco, perché anche a me non piaceva andare in Piemonte. Una volta, quando ero ragazzina, per farmi prendere l’aria buona di campagna, mia madre mi aveva mandata da una zia. Mi annoiavo moltissimo, la zia mi faceva pregare in continuazione, mi dava poco da mangiare… Pensa che, al mattino, si buttava il contenuto del vaso da notte (cioè i bisogni) fuori della finestra! Strano, eh? Beh, di sotto c’erano i prati, naturalmente. -
La prozia ama tanto parlare della famiglia di un tempo passato. Chissà, se un giorno anch’io ricorderò con altrettanto piacere la mamma…
- Hai appena trovato lavoro - mi ha risposto mia madre quando le ho chiesto consiglio - vuoi già lasciare? Per cosa poi? Non avresti nessuna sicurezza e saresti sola in un paese che non conosci.
- Sì, ho trovato lavoro nel negozio “Cose di carta”, ma non è che sia il massimo! Un po’ faccio la commessa e un po’ preparo del materiale da vendere, di carta, appunto. Io desidero altro, voglio scolpire e affermarmi come scultrice.
- Puoi fare quello che vuoi nel tempo libero ma, almeno, alla fine del mese hai un salario. Poi, se un domani, diventerai famosa, potrai lasciare il negozio. È difficile, però, al giorno d’oggi! Con la crisi che c’è, chi vuoi che compri le sculture?
- Ma torniamo a mia mamma: era bella sai? - interrompe i miei pensieri la prozia Mariuccia - A Lavagnola, c’erano tanti che la volevano sposare, ma barba Giuanin le aveva consigliato di prendere Tugnin che era un gran lavoratore, perché così sarebbe stata bene. A dire il vero, a mia madre piaceva di più un altro, che però voleva solo divertirsi, e lei aveva seguito il parere di barba Giuanin e aveva sposato Tugnin, Antonio, mio padre, che era anche il più bello di Lavagnola. Così si diceva. La tua bisnonna era molto furba e mio padre la vedeva nell’ombra, cioè l’adorava! Tutte le mattine, egli si alzava prestissimo per andare a lavorare, scendeva in cucina e faceva il caffè nel pentolino, come usava allora, e glielo portava a letto. Sai, per mia madre quello era l’unico piacere perché, poi, anch’ella lavorava tutto il santo giorno.
Mariuccia si interrompe, intanto che sciacqua le tazzine e le rimette nell’armadio, sempre tremolando intensamente. Tugnin doveva davvero adorare la sua Maria, detta Marietta, tanto che anche la figlia era stata chiamata Maria, detta poi Mariuccia per non confondersi tra madre e figlia.
Che bella coppia erano stati. Avevano condiviso tutto, il bello e il brutto. Perché erano molto uniti.
Tugnin era riuscito, infine, a realizzare per loro una casa a tre piani con sei appartamenti e un negozio. Aveva avuto coraggio e capacità: andava alla mattina presto, prima di iniziare il suo lavoro di carrettiere, a prendere la sabbia nel fiume e la portava ai muratori. Marietta, in quel tempo, gestiva una latteria.
Fausto non si impegnerebbe altrettanto. Lui si accontenta. Aiuta il padre nella gioielleria di famiglia. - Così sono libero - confida – quando devo andare da qualche parte non ho problemi. Intanto, mio padre non si muove mai dal negozio. È un’attività che non mi piace, ma rende!
È vero, quando io non lavoravo ancora siamo andati parecchio in giro, anche solo a passeggiare vicino al mare. Lui era sempre disponibile. Adesso, io non posso più, ho un orario da rispettare. Ma Fausto è sempre a gironzolare per la città, al bar, al Prolungamento… Forse, non ha sogni da realizzare.
- Subito dopo il matrimonio - la prozia continua ancora la storia che mi ha narrato infinite volte e che pure mi appare, oggi, del tutto nuova - mio padre continuava il suo lavoro e, con il suo carretto tirato dai cavalli, andava al porto a caricare le merci che poi consegnava a destinazione. Insieme a Marietta, inoltre, gestiva un’osteria nella stessa casa dove abitavano, vicino al torrente Letimbro. Intanto, ero nata io, e poi, quando io ero ancora piccola, proprio in maggio, il mese del mio compleanno, l’Italia era entrata in guerra. Tugnin era partito per il fronte, nonostante a suo tempo non avesse fatto neppure il militare perché figlio unico di madre vedova. Ma si sa, in guerra devono andare tutti! Marietta era rimasta da sola a condurre l’osteria, mentre del carro e dei cavalli si occupava il garzone di mio padre. Subito, si credeva che la guerra sarebbe durata pochi mesi, poi, invece, il tempo era passato e si era capito che sarebbe andata per le lunghe. Tugnin rimaneva al fronte dove faceva il conducente, portava, cioè, da mangiare con una mula ai soldati in prima linea. Ogni tanto, scriveva alla Marietta e lei gli rispondeva. Si sapeva che le cose non andavano tanto bene per i soldati italiani: avevano freddo su quelle montagne, poi avevano dovuto arretrare fino al Piave, e si diceva che la guerra di trincea fosse terribile! Intanto, Marietta aveva dovuto disfarsi dei cavalli perché il garzone di mio padre era disonesto: rubava la biada per rivenderla e lasciava le bestie a soffrire la fame. Quanti sacrifici aveva dovuto fare mia madre per tirare avanti da sola! Ma ti annoio? Sei stanca di ascoltare queste vecchie storie?
- No, zia - le rispondo - mi piace sentir parlare della nostra famiglia, mi aiuta a chiarirmi le idee...
- Ah, bene. Sai, io sono vecchia ormai, e ho paura di essere noiosa. Dunque, alla fine della guerra le era arrivata una lettera, anzi, guarda, l’ho trovata qualche tempo fa in una vecchia scatola e l’ho messa da parte in questo cassetto per mostrartela.
Mariuccia tira il cassetto e prende un foglio un po’ strappato e ingiallito.
- Ecco, tieni, ci saranno degli errori ma non tanti, tuo bisnonno aveva fatto fino alla terza elementare e sapeva scrivere bene. Leggi cosa scriveva.
“Cara Marietta,
la guerra è finita ed o avuto il congedo ma prima di venire a casa devo andare a Venezia a trovare la mamma di un mio compagnio qui sotto le armi. Questo mio compagnio che si chiamava Bepi è morto colpito dal fucile nemico in trincea nel Carso. Egli mi aveva tanto parlato di sua madre che viveva solo per lui ed aveva fatto tanta fatica per alevarlo dato che era sola. Così ho deciso di portarle di persona le sue cose e raccontarle le ultime giornate di suo figlio. Non preoccupar ti arriverò presto. Venezia è un po lontana da qui dalle montagne dove ci troviamo è sul mare che si chiama Adriatico. Abraccia la Mariuccia chissà come sarà cresciuta
Tugnin"
Osservo la grafia infantile ma dura e sicura del mio bisnonno che, dopo più di tre anni di lontananza dalla famiglia, aveva scelto di allungare il viaggio del ritorno per rispetto dell’amicizia con un suo compagno di armi.
- Quando finalmente è arrivato a casa - continua Mariuccia, riponendo la preziosa carta nel cassetto - ha narrato alla Marietta il suo viaggio a Venezia. “Sapessi - le diceva - è una città nell’acqua, le strade non sono strade ma canali, per spostarsi bisogna prendere la barca, i palazzi si alzano nel mare… La madre di Bepi mi ha accolto in una misera stanza che si allaga quando dicono che c’è l’acqua alta, perché sono tanto poveri, ancora più di noi. Le ho consegnato tutto ciò che lui aveva, la sua catenina d’oro, i suoi stivali, e le ho parlato di quello che lui faceva e diceva, di quanto la rispettasse per tutti i sacrifici che aveva fatto per lui. Quella donna piangeva, ma mi ha ringraziato tanto perché le ho riportato almeno il ricordo di suo figlio, il suo unico amore… Sono contento di averlo fatto, anche se è poco, anche se a lei non è rimasto nulla e nessuno.”
Poi, nel 1920, è nato mio fratello Gino, tuo nonno e padre di tua mamma, e sai che cosa ha fatto mia madre, appena l’ha avuto tra le braccia, prima ancora di attaccarlo al seno? Gli ha dato un cucchiaino di caffè, per tirargli un po’ su il cuore, come lei diceva sempre quando, nei momenti difficili, offriva il caffè a qualcuno.
Che bella storia. Una vera famiglia.
Anch'io, ho tanti progetti.
Per questo, ogni tanto, allestisco delle mostre dei miei lavori o partecipo a qualche collettiva.
Un mese fa, ho mandato un'opera a una mostra a Milano. “Tempi moderni” era il soggetto da interpretare. Le foglie dell’autunno, antiche ma moderne, mi hanno ispirata. Quelle che cadono, come tanti di noi, nelle guerre, nelle malattie, nelle migrazioni, e quelle che non cadono, come i benpensanti, gli sfruttatori, i corrotti…
Io non sono neppure andata all’inaugurazione, dovevo rimanere in negozio. Dopo un paio di giorni, un tizio mi ha telefonato.
- Ho visto la sua installazione. - mi ha detto - Sono Beniamino Arditi, un gallerista che opera in Italia ma anche a Londra e a NewYork. Ha altri lavori pronti?
- Qualcosa avrei…
- Può farmeli vedere?
- Io sono a Savona…
- Venga a trovarmi a Milano nella mia galleria, ci saranno anche i miei collaboratori.
Ho chiesto a Fausto di accompagnarmi perché io non ho l’auto. Abbiamo stipato alcune sculture e qualche ceramica nel bagagliaio e siamo partiti.
- Sarà il solito buco nell’acqua. - ribadiva lui - Oppure ti daranno una miseria che non ti ripagherà neppure il materiale…
- Lo so, sarà così, ma se non ci provo mai, non arriverò da nessuna parte.
- Al giorno d’oggi, queste cose non sono più di moda. I giovani preferiscono gli oggetti di elettronica!
Quando siamo arrivati alla galleria, lui è rimasto fuori, è andato a girare per Milano.
- È meglio che non venga. - ha detto – Così sarai più libera. Se le prendono, anche per poco, dagliele, tanto cosa te ne fai?
Alla fine dell’incontro, ho ricaricato tutto in auto e ho chiamato Fausto perché tornasse dalla sua passeggiata. Siamo ripartiti per Savona.
- Allora, non hanno preso niente? Lo immaginavo che sarebbe stato un buco nell’acqua.
- No, è stato diverso. Hanno guardato bene le opere, le hanno fotografate. Hanno discusso tra di loro, mi hanno detto che apprezzano il mio modo di lavorare: esteticamente valido e con contenuti importanti. Mi faranno sapere al più presto.
- Non li sentirai mai più. Figurati, una galleria così famosa, avranno decine di grandi artisti… -
La prozia continua a ripassare le vicende familiari: prima l’osteria con i cavalli, poi la latteria, infine, finalmente, il tabacchino nella casa nuova.
- Nel negozio di tabacchino, c’era la cucina nel retro e il gabinetto nel cortile, così era sempre aperto, dalla mattina presto fino alla sera. Allora, si mesceva anche il vino, si vendevano i pesciolini di liquirizia e tante altre cose. Io e tuo nonno siamo cresciuti lì. Quando la facevamo arrabbiare, mia mamma ci inseguiva con l’asciuga-piatti. Solo che mio fratello era furbo e scappava, io, invece, mi mettevo a piangere in un angolo.
La prozia ride al ricordo. La bisnonna era buona, aveva preso tante botte da giovane e non voleva picchiare i suoi figli.
- Poi, la sera, si saliva su per una scala interna di legno al piano superiore, cioè qui, dove abito io anche ora, perché c’erano le camere da letto. In negozio, rimaneva il cane Dick, a fare la guardia. Sì, lo so, era un cane da pastasciutta, cioè piccolino, mingherlino, un bastardino, insomma, ma noi gli volevamo bene. D’altronde, se fosse arrivato qualcuno, avrebbe abbaiato e mio padre sarebbe sceso a vedere cosa succedesse.
Mariuccia parla, parla… Il mio pensiero vola, però, al sogno impossibile.
Mentre aspettavo di essere ricontattata dal gallerista, intanto, mi ero informata da uno dei miei ex insegnanti all'Accademia di Belle Arti. “È conosciuto come il Creatore, - mi aveva risposto il professor Zanda - perché gli artisti che lavorano con lui imparano molto e si affermano. Se tu avessi la fortuna di piacergli, sarebbe come essere stata miracolata! Ma tu sei molto brava, chissà…”
- Signorina, salti su un treno e venga in galleria! - mi aveva telefonato dopo alcuni giorni proprio il famoso gallerista.
- Con le sculture? - avevo chiesto, dunque, al dottor Arditi.
- No, da sola.
- Va bene, arrivo.
Ero andata senza farlo sapere a nessuno. Non avevo voglia di sorbirmi altri commenti acidi.
A Milano, il gallerista, insieme a un suo collaboratore, mi aveva spiegato:
- Noi pensiamo che il suo stile unito ai contenuti possa suscitare interesse nei mercati. Lei usa i materiali con padronanza e sta scardinando alcuni stereotipi della scultura e della nostra stessa cultura occidentale. Mi ricorda un po' Jimmie Durham, con il quale ho lavorato a New York. Naturalmente, dovrà ancora maturare ma è giovanissima… Quanti anni ha?
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- Bene. Sicuramente, lei saprà che qualunque pittore, scultore o altro, non esiste senza il suo gallerista. L’artista produce ma è il gallerista che lo propone e lo valuta, lo impone al mercato, insomma. Noi vorremmo provare con lei all’estero, poi, una volta raggiunta una certa fama, torneremmo in Italia. Non le nascondiamo che, oltre al valore artistico nel quale crediamo molto, questa sarebbe una manovra commerciale che potrebbe anche non riuscire. Anche se pensiamo che ci sia lo spazio perché vada a buon fine.
- Non ho capito… Cosa dovrei fare? Darvi le opere da portare all’estero?
- No. Lei dovrebbe seguire i suoi manufatti. Inizieremmo un percorso prima a Londra, dove lei dovrebbe presenziare alle mostre, comunicare con la stampa, essere molto attiva. Dovrebbe, intanto, continuare a creare perché siamo convinti di poter vendere bene i suoi lavori.
- A Londra?
- Sì, e poi a NewYork.
- Ma io sono una commessa, non ho mezzi finanziari…
- Le spese sarebbero tutte a nostro carico. È un investimento. Poi cominceremmo a guadagnare entrambi. Incasso metà a lei e metà alla galleria. Capisco che le sembri poco dato che è lei la creativa. Ma, come ho detto, per noi sarà un investimento che potrebbe anche non andare a buon fine e lei non perderebbe nulla. Ha dei legami importanti nella sua città?
- Mia madre.
- Non ha un fidanzato?
- Sì.
- Potrebbe ostacolarla?
-Non so.
- Ci pensi bene per qualche giorno. Poi, ci darà la risposta che speriamo positiva.
Non ci sono, dunque, sogni impossibili da realizzare: il segreto è continuare a seguirli, senza lasciarsi abbattere dalle difficoltà. Ma qual è davvero il mio sogno?
- Saresti matta a seguire quella gente chissà dove! - mi ha risposto Fausto piuttosto adombrato, quando gli ho esposto la questione - Dovresti lasciare tutto per andare dove? A fare cosa? La tua vita è qui, hai il tuo lavoro al negozio, tua madre… Cosa ti manca? Poi, ci sono io, stiamo bene insieme, no?
L’ho guardato senza parlare e lui ha continuato:
- Sei una bella ragazza, magari hanno pensato di approfittare di te. Quanti anni ha questo tizio?
- Non so, ma non è giovane.
- Ecco, vedi! Ha pensato di circuirti e di farsi l’amante bambina con la scusa della scultura. E tu ci sei cascata.
- No, non mi ha dato quell’impressione. Mi sembra un uomo serissimo. Anche il mio professore dell’Accademia me ne ha parlato molto bene…
- Certo. Nessuno ti dice quante ci saranno cascate con la scusa della cultura! Oggi non importa a nessuno dell’arte, fa gola una bella ragazza da illudere e manipolare. Quando sarai sola all’estero faranno tutto quello che vorranno di te.
- Potresti venire anche tu, almeno all’inizio, così non sarei sola e potremmo valutare insieme come siano le cose in realtà. Londra ti è sempre piaciuta.
- Ma non ci penso neppure! Questa è una stupidaggine. Non andrò mai a Londra per loro.
- Ma non sarebbe per loro, sarebbe per me.
- Cerca di ritornare alla normalità. Vai in negozio e vendi le tue creazioni di carta. Quando vorremo andare a Londra, lo faremo per conto nostro. Non telefonare più a quella gente. La tua vita è qui.
D’improvviso, lasciata la prozia, appena fuori dall’edificio di via Pietro Scotti, ho capito.
Il bisnonno Tugnin, tanti anni fa, non ha spezzato i desideri della bisnonna e neppure lei ha ostacolato i progetti del marito. Il loro segreto era assecondare le ambizioni l’uno dell’altro.
Fausto non ha rispetto per me.
Non si è mai interessato dei miei sogni: una vita con lui sarebbe come rinunciare alla mia identità. Non è amore quando non si ama l’altro così com’è, senza schiacciare le sue ambizioni, le sue passioni.
Sarà a Fausto che non telefonerò più non al gallerista!
Partirò per Londra e rischierò.
Forse, riuscirò a diventare, con il tempo, la scultrice che desidero essere o, forse, no.
Sono una foglia sempreverde e resisterò.
Quando, tra moltissimi anni, arriverà la conclusione della mia esistenza, mi tramuterò in una foglia rossa dell’autunno in attesa della fine.
Almeno, non avrò rimpianti e sarò orgogliosa di me stessa.
Renata Rusca Zargar
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