Lo sbarco avviene a Mazara del Vallo, al comando della spedizione vi è Assad Ibn al-Firat che punta su Siracusa, la capitale, che però resiste. Cade Girgenti (Agrigento) e dopo un anno di lotta si arrende Palermo, che diventerà capitale. Siamo nell'831. Successive sono la resa di Messina, Modica, Ragusa, passano dieci anni prima che si arrenda Castrogiovanni e venti prima che si arrenda Siracusa.
A questo punto gli Arabi vorrebbero invadere l'Italia Continentale, ma sono divisi da essa dallo Stretto di Messina. Per questo nuovo capitolo della storia ci vengono incontro le cronache latine del IX e dell’XI secolo. Si parla di Saraceni a Brindisi, a Taranto. Soggette a scorrerie saracene furono la Sardegna e la Corsica, ma maggiormente la Calabria, la Campania e il Molise dove gli Arabi si insediarono per qualche tempo. Si ricordano il sacco del Monastero di Montecassino e quelli delle Basiliche di San Pietro e San Paolo a Roma e ancora, nel 935, erano in Liguria a Genova. Gli Arabi risalivano anche l'Adriatico verso Ancona, spingendosi fino a Cherso. Vanno considerati durevoli i due emirati di Taranto e Bari (dall' 847 all' 871).
Il primo emiro barese, al-Khal Fun ❉ rilasciò un diploma destinato a diventare un riferimento in tutti i secoli della conquista musulmana:
"Nel nome di Dio, clemente e misericordioso. Questa è sicurtà concessa dal servo di Dio, Omar, Principe dei Credenti, agli abitanti di Aclia. A tutti senza distinzioni, o malati o sani, egli garantisce la sicurtà per loro stessi, per i loro beni, per le loro chiese, per i loro crocefissi e per tutto ciò che riguarda il loro culto... Non saranno maltrattati per causa della loro fede, né alcuno fra essi sarà danneggiato.".
La Sicilia, dopo la conquista, gode di un periodo lungo di pace e prosperità, viene inserita in un'area ricca, il mondo islamico, culturalmente ed economicamente. Il tutto viene favorito dalla facilità delle comunicazioni, la disponibilità delle risorse produttivi, tecnologiche e ideologiche e dall'uso dell'arabo come lingua franca.
Religiosamente la Sicilia occidentale fu intensamente islamizzata, quasi al 50%. I Cristiani rimasti nell'Isola erano tollerati e protetti generalmente, ma nella condizione di dhimmî (comportava il pagamento di una tassa dagli aderenti ad una religione rivelata, viventi sotto la protezione dell'autorità musulmana).
I Musulmani di Sicilia hanno contributo intensamente allo sviluppo delle scienze teologiche:
Muhammad ben Khurâsân e Ismâ'îl ben Khalaf nella raccolta e nell'approfondimento degli ahâdîth. Assad ben al-Fûrat e Yahyâ ben Umar nello studio di diritto o figh.
Abd Allâh, di origine siciliana, ha tradotto all'arabo un trattato greco di botanica di Dioscuride. Nelle scienze linguistiche ricordiamo Mûsâ ben Asbagh, Abû abd-Allâh Muhammad al-Kattâni (1035-1118) e Sa'îd ben Fat'hûn. Come poeti siculo-arabi ricordiamo Abd al-Rahmân ben Hassan, Ja'far ben yûssuf e Ibn al-Khayyât. A quell’epoca era d'uso che i doti si spostassero frequentemente nell'Umma (mondo islamico) sia per frequentare altri dotti, sia per apprendere o per insegnare. Questo rendeva abbastanza vivace la circolazione delle idee.
Sono i Fatimiti di Ifriqiya che delegarono i fedeli Kalbiti a rappresentare la sovranità in Sicilia. Lo scenario è di discordie, rivolte di palazzo e delitti di Stato, incominciano a sorgere delle signorie locali e va anche fronteggiata la costante minaccia bizantina.
Nonostante l'arrivo di rinforzi dal Maghreb e l'eroica resistenza capeggiata da Ibn Abbâb (Benavet) Palermo cade nel 1072. La conquista normanna guidata da Ruggero il Guiscardo fu completata dopo 30 anni di guerra e fini nel 1091 con la caduta di Noto.
Finita la conquista Ruggero fece seguire una grande tolleranza per i Musulmani. Molti di loro furono arruolati come soldati in reparti speciali nel suo esercito. Nel 1111 viene incoronato Ruggero II, si faceva chiamare al-Mu'tazz bi-llâh e firmava spesso come al qiddîs (il re grande e venerabile), mantenne la Sicilia nella grande circolazione culturale e commerciale del mondo islamico. Per volere dello stesso re, il geografo al-Sharif al-Idrissî, figura rappresentativa della comunità islamica sicula, scrisse la famosa opera Al-Kitâb al-Rujâri (il libro di Ruggero), grande opera di geografia completata nel 1154. La sua corte era affidata anche ai funzionari di lingua e competenza araba; c'erano dei fityân (paggi), hâjib (ciambellani), Janîb (aiutanti di campo), Jâmadâr (addetti agli abiti) ecc...
La Sicilia ritorna cristiana con i Normanni, ma se furono lunghi i tempi della conquista, furono ancora più lunghi quelli della scomparsa della cultura musulmana dall'isola. Il periodo di maggior fioritura artistica e culturale della Sicilia musulmana ha coinciso con i tempi della terza dinastia Kalbita, Palermo fu capitale di arti, lettere e soprattutto poesia, questa Città divenne il faro di questa Civiltà che si propagò per tutta la Sicilia e giunse perfino a lambire il Mezzogiorno d'Italia. Non si contano gli influssi islamici nell'architettura, nella pittura, nella ceramica, nella decorazione per non parlare dei numerosi arabismi presenti nella nostra lingua (libeccio, scirocco, darsena, tariffa, fondaco, gabello, elisir, sofà, zenit, ecc...) e nei numerosi toponimi: Alcamo, Marsala, Caltagirone, Sciacca, ecc...
VITA QUOTIDIANA E CULTURA
I costumi islamici in Sicilia si diffusero rapidamente. Appaiono i primi minareti da cui sembra che derivi il campanile e le prime moschee. I nuovi quartieri s'ispiravano allo stile moresco: ampie case bianche con piccole finestre. All'interno, circondato da un porticato, il patio, un cortile con fontane e piante. Alle pareti compaiono gli "azulejos" piccole piastrelle che formano mosaici, il pavimento era ricoperto da tappeti. I Musulmani amavano molto la vita sociale. Di solito si riunivano il venerdì, giorno di festa. A queste riunioni partecipavano solo uomini. Bevevano sciroppi di frutta e tè che alcuni mercanti avevano portato dalla Cina. Caffè e tabacco erano ancora sconosciuti. Amavano molto la musica e la danza, spesso si concludevano così i banchetti. Gli strumenti musicali più diffusi erano cinque: arpa, oboe, liuto, tamburo e chitarra.
Tenevano molto alle buone maniere e il comportamento a tavola era ineccepibile: mangiavano a piccoli bocconi, masticavano bene, non mangiavano aglio e cipolla, non si leccavano le dita e non usavano gli stuzzicadenti. Il gentiluomo musulmano si lavava ogni giorno, si profumava con acqua di rose, si depilava le ascelle e si truccava gli occhi. Per la strada ogni tanto si fermava davanti ai numerosi portatori di specchi per controllare e accomodare la propria acconciatura. Si vestiva con eleganza e non indossava pantaloni rattoppati. I passatempi preferiti dei gentiluomini erano la lotta dei galli, gli scacchi e la caccia. Tra il popolo erano diffusi il gioco dei dadi e quello della tavola reale.
Oltre che nei costumi della vita quotidiana, gli Arabi lasciarono profonde tracce del loro passaggio nella cultura: Palermo sorsero scuole arabe dove si insegnava la sfericità della Terra e i punti cardinali. Lo studio degli astri era molto diffuso e l'astronomia è loro debitrice di molto termini: azimut, zenit, nadir, ecc... Ancora adesso in Sicilia sopravvivono un po’ dovunque modelli di architettura araba e quando questa cultura dopo il mille si incontrò con quella normanna nacque la più alta civiltà del medioevo europeo, da cui più tardi derivò quella del Rinascimento.
Anche nell'agricoltura gli Arabi portarono innovazioni: le irrigazioni delle "huertas" (come quelle della "conca d'oro" presso Palermo), colture del cotone, della canna da zucchero e del riso, dell'arancio, coltura della seta, industrie tessili, ceramiche, ecc... Degno di nota è anche il grande sviluppo urbano, i musulmani avevano fissato definitivamente la capitale della Sicilia a Palermo che nel X secolo contava già 300.000 abitanti e in tutto l'occidente musulmano era seconda solo a Cordova. Molti porti sulla costa opposta del Tirreno: Amalfi, Salerno, Napoli, Gaeta erano economicamente nell'orbita di Palermo e della Sicilia musulmana. La moneta del califfato fatimita era il Dinar che aveva corso in tutta l'Italia meridionale ed era imitato altrove. Quando la conquista normanna (1061 - 1089 ) riunisce questo territorio musulmano ai territori cristiani d'occidente, gli scambi si fanno più intensi. Le tecniche della coltura della seta e la sua lavorazione arrivano ad esempio nell'Italia settentrionale (Lucca, Venezia).
La Sicilia e l'Italia meridionale hanno acquistato nell'epoca musulmana conoscenze d'ogni tipo, come la Spagna: conoscenze mediche, filosofiche, astrologiche, scientifiche. Questo fenomeno come abbiamo già detto continuerà durante il periodo normanno e alla corte di Federico II, la Sicilia e la Spagna costituiscono i punti più importanti attraverso i quali sono penetrati in Occidente gli influssi orientali, che contribuiranno a determinare quella che sarà l'opera di sintesi del grande Rinascimento italiano.
❉al-Khal Fun (è una mia considerazione, non certa ovviamente, ma il nome ricorda molto il termine dialettale "Cafone".
Questa è solo una pagina del testo dell'autore, e mi sono basata su questa, ma ho aggiunto un mio commento:
Qui sotto, articolo estrapolato parzialmente Dal Corriere di Napoli
L’argomento di oggi per la rubrica “Colori partenopei” è la presenza dell’elemento “arabo” a Napoli. Attraverso il racconto di Adriana Riccardi, una studentessa magistrale all’università “L’Orientale” di Napoli, andremo a scoprire cos’è la lingua araba e come ha influenzato la lingua napoletana.
L’influenza sulla lingua napoletana
Sicuramente la lingua araba è stata di grande rilevanza per il dialetto napoletano: ciò è dimostrato dai numerosi contatti verificatisi tra le due culture nel corso della storia fino ad oggi. Di fatto, la presenza di numerose etnie nel territorio non vanno affatto trascurate. Nella lingua napoletana, sono presenti numerosi arabismi, alcuni utilizzati con frequenza – anche inconsapevolmente – nel linguaggio quotidiano.
La studentessa ci fa vari esempi. La parola “cantaro” è un’unità di peso pari a 100 rotoli (circa 90 kg) e deriva dall’arabo “qintar”. Ricorre nella colorita espressione “Fa’ tre fiche nove ròtole e quatto ceuze nu cantaro”, riferita a chi “la fa troppo pesante”. Le parole “caraffa” e “giarra” sono denominazioni proprie della piccola brocca in vetro dal contenuto inferiore al litro e derivano da “garaf”.
La parola “mammone” è un lemma, che viene evocato per spaventare i bambini vivaci e deriva da “maymum” (scimmione). La parola “paposcia”, che indica una pantofola vecchia e deformata, viene ripresa da “babusc”, la classica calzatura orientale con la punta rivolta all’insù. Inoltre, abbiamo “abbezzèffe”, che significa “in gran quantità, abbondantemente” e deriva dall’arabo “bizzaf”. Infine, il termine “acciacco” (malanno, infermità) deriva dall’arabo “saqqa”.
L’inconsapevolezza dei napoletani
“Onestamente non credo che i napoletani siano consapevoli dell’importanza che la cultura araba ha avuto nel territorio. Non colpevolizzo i napoletani in quanto io stessa, prima di conoscere l’arabo, ero del tutto inconsapevole di ciò. Di fatto, soltanto coloro che posseggono un’ampia conoscenza della Storia (soprattutto per quanto riguarda l’area del Mediterraneo) e della cultura araba (compresa la lingua, chiaramente), possono dire di esserne a conoscenza”, ammette Adriana.
Ci sarebbe da dire molto di più, ma l'articolo risulterebbe troppo lungo.
Danila