POETANDO

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domenica, novembre 24

MILLE ANNI PER L' "AVE MARIA" 2° CONFERENZA D'AVVENTO DI PADRE CLAUDIO TRUZZI OCD


MILLE ANNI PER L’ “AVE MARIA”

** Il Santo Padre, Giovanni Paolo II, aveva affidato il Giubileo a Maria, 
«Un atto dovuto a Maria … non potrebbe essere una meditazione tranquilla sulla sua grandezza e bontà, rivitalizzando la preghiera che più spesso le rivolgiamo, l’“Ave Maria”?
Sicuramente dall’infanzia siamo cresciuti recitando “avemarie”. Può darsi che da allora l’abbiamo recitata migliaia di volte, questa semplice preghiera, una delle prime mandate a memoria. 
Perché non provare a recitarla, a meditarla, come se fosse la prima volta che lo facciamo, liberandola, cioè, da ogni peso di possibili abitudini meccaniche e monotonie, con cui talvolta la circondiamo?
Proprio così. Può darsi che l’ “Ave Maria”, 
– produca in alcuni l’eco di preghiere stanche e sonnolenti; 
– o suggerisca mormorii e bisbigli di vecchiette, più o meno devote;
– o ci trasporti a quei rosari parrocchiali detti da “avemarie mordi-la-coda”, perché sembra che stia lottando un gruppo con l’altro per iniziare la propria parte prima che l’altro abbia terminato la sua...
Tuttavia, né questo modo di pregare, apparentemente meccanico, è tanto negativo; né l’ “Ave Maria” può ridursi ad un pregare meccanico. 
– Primo, perché dietro quest’apparente automatismo labiale con cui si sgranano milioni di “avemarie”, non cessa d’esserci virtù: l’inestimabile virtù d’essere giunti a convertire la propria preghiera in qualcosa tanto spontaneo  – e per ciò stesso, meccanico – come la propria respirazione. 
– E sosteniamo il secondo, giacché, in verità, l’ “Ave Maria” è un tesoro che non possiamo camuffare nel biascicare di parole pronunciate a cascata. ...
L’ “Ave Maria” è una vera perla composta da verità rivelate e definizioni dogmatiche. In essa, una sola parola equivale a un piccolo inno; e termina con una supplica che è come un gemito sgorgante dal profondo della tragedia umana – fatta di peccato e di morte – e che poi si scioglie in un’attitudine di speranza e d’abbandono.
Nell’ “Ave Maria” si compie per intero il ciclo della maternità mariana. Riconosciamo Maria 
– come la madre che ci diede la vita; 
– come madre che veglia sulla nostra esistenza; 
– come madre, il cui influsso trascende la nostra piccola storia 
– come madre da cui dipende la nostra nascita alla luce, alla vita che non ha fine.
°   Di questa preghiera si sono date infinite definizioni. Da parte nostra consideriamola come il grido della coscienza collettiva del Popolo di Dio, che converte in lode e supplica il nucleo del messaggio rivelato»
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Quindi per questo prepariamoci a pregare insieme e con calma queste quarantuno parole, così, come se avessimo appena scoperto questa commovente formula di amore filiale. 
E contempliamo, passaggio per passaggio, col medesimo stupore di chi va scoprendo, una dopo l’altra, le diverse meraviglie dietro ogni angolo del cammino.
AVE!
Fra conoscenti è sempre stato normale salutarsi, per quanto fugace fosse stato l’incontro. 
Per questo pure Maria avrà salutato moltissime volte; e, a suo turno, sarà stata salutata da molti, sempre che, per esempio, s’incrociasse con qualche conoscente sulla strada. In un villaggio come Nazareth, tanto piccolo che neppure le meticolose mappe dei romani lo segnavano, tutti conoscevano la giovane Maria; tutti l’avrebbero salutata incontrandola, mentre andava alla fonte o con il gregge o in giro per qualche commissione. Tutti l’avranno stimata una ragazza buona, amabile e, sicuramente, tutti le avranno ricolto un saluto.
“La pace sia con te!” era il saluto più abituale di allora. Ebbene, anche oggi gli ebrei continuano a salutarsi con la medesima espressione, “Shalom!”. Finché un bel giorno... «Dio inviò l’arcangelo Gabriele in una città della Galilea chiamata Nazaret, ad una vergine, sposa di un uomo di nome Giuseppe della casa di Davide: il nome della vergine era Maria. Entrò da lei e le disse:“Salve, piena di grazia, il Signore è con te”!» (Lc 1, 6 ss.). 
Naturalmente questo saluto era molto più pregnante e sublime di quegli altri che accennavamo.
Fermiamoci un attimo ad approfondirne il significato e la ricchezza..
Il primo termine che l’angelo rivolge a Maria è la parola “Ave”. In italiano essa significa semplicemente “Io ti saluto”, “Dio ti salvi”. Equivale, né più né meno, al nostro “buon giorno!”. 
“Ave”, tuttavia, è un termine latino e l’arcangelo Gabriele certamente non si rivolse a Maria in latino, ma nel suo dialetto aramaico. Gabriele avrà usato la parola “Rannì”. Luca, però, non scrive il suo vangelo in latino o in aramaico, ma in lingua greca; e traduce “rannì” con “kairè”.
Perché tanta spiegazione d'idiomi? Per sondare nel vero significato di simile saluto, per scoprirne tutto un invito alla gioia. In effetti, quest'espressione greca significa: "Rallegrati!". Ed ogni volta che la dirigiamo a Maria, dovremmo farlo in questa chiave e con tale disposizione d’animo. Quando ripetiamo:
– «Rallegrati, Maria!», col profeta Gioele esclamiamo: «Alza grida di gioia, figlia di Sion. Rallegrati …, figlia di Gerusalemme. Non temere, perché Dio è con te!».
– «Rallegrati, Maria!», con le medesime parole dell’Angelo manifestiamo la ragione di tale gioia: «Tu concepirai e darai alla luce un figlio, che si chiamerà Figlio dell’Altissimo».
– «Rallegrati, Maria!» ti ripetiamo con il sacro autore, perché «tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la gioia di Israele, tu l’orgoglio del nostro popolo».
È interessante sottolineare come la gioia suscitata in Maria da tale saluto non poté esaurirsi a quel momento; né possiamo ridurla a un puro ricordo di qualcosa che passò. Al contrario. Dobbiamo essere convinti che noi stessi possiamo riprodurlo nel suo cuore ogni qualvolta le ripetiamo con amore tali parole.
Dopo l’esperienza della sua Annunciazione, Maria sarà continuamente salutata in mille ed una occasione dal popolo cristiano. E Maria capterebbe tutte le sfumature, come anche noi differenziamo i saluti a seconda di chi ce li rivolge e secondo le espressioni e i toni. E se questo è vero, che emozione per lei quando i suoi figli la salutano con le stesse parole che quell’arcangelo usò in quell’occasione. La gioia e trepidazione che sperimenta ogni volta che le ripetiamo: «Ave, Maria!».

L'ANGELO NON LA CHIAMÒ “MARIA”
Stando al racconto dell’evangelista Luca – come abbiamo già accennato – l'angelo Gabriele non si diresse a Maria per nome. Le disse semplicemente: «Salve (Rallegrati)».
Perché allora è stato inserito? Perché – supponiamo – sembra logico che il messaggero celeste, avendo di fronte e dirigendosi espressamente a lei, si risparmiasse il nome. Comunque sia, per quanto ci consta, il nome della Vergine non uscì dalle labbra del messaggero celeste.
Però, questo sì, “Maria” entrò nella preghiera; ed è ciò che a noi interessa.
Maria, nel linguaggio dell’epoca, si pronunciava “Myriam”, o forse “Mariam”. Così si erano chiamate la sorella di Mosè e di Aronne, e una certa figlia di Ezra. Non ci sono notizie di altre donne con questo nome in tutto l’Antico Testamento. Gli Ebrei prestavano molta attenzione al senso dei nomi; e quello di Maria ne racchiude vari e significativi: l’“amata”, la “preferita di Dio”, e pure, nella sua derivazione egiziana, la “bella”,
 l’ “attraente”. Secondo altri autori: “principessa”, “signora” sarebbero altri dei possibili significati di tale nome. Se così fosse, non saremmo lontani dal suo vero nome quando l’invochiamo “Nostra Signora”.
Avranno pensato a tutto questo quei santi genitori di tale singolare creatura – per tradizione li conosciamo come Gioacchino e Anna – allorché  imposero alla loro creatura il nome di Maria?
«PIENA DI GRAZIA»
Siamo soliti, tutti, tener in grande considerazione il nome che ci hanno imposto nel battesimo. Ciò non impedisce, tuttavia, che occasionalmente il nostro nome proprio si veda eclissato da diminutivi, appellativi, pseudonimi, storpiature, qualificativi sostantivati o altro ancora. Alcune volte – troppe volte –, nel cambio ci perdiamo, quando, per esempio, ci appioppano un appellativo ispirato ad un difetto fisico o mancanza morale o sociale. Altre volte, tuttavia, il soprannome equivale in tutto ad un titolo che onora il suo destinatario (pensiamo agli appellativi di Gesù: “Verbo Incarnato, Messia, Cristo, Salvatore”…).  Ebbene, come abbiamo osservato, nella scena dell’Annunciazione succede il medesimo fatto. L’angelo non si dirige alla Vergine menzionando il suo nome, chiamandola Maria. Si rivolge a lei con un soprannome prezioso: “La piena di grazia”. Giacché tale appellativo ci può forse lasciare un po’ confusi, sarà buona cosa soffermarci un attimo in questa calma meditazione dell’“Ave Maria” che stiamo facendo.
Attenzione: “Piena di grazia”.  Sì, però,… che cosa s’intende con simile termine “grazia”?
Perché lei è piena di tale grazia?
Per la teologia, e parlando in termini generali, “grazia” è tutto ciò che abbiamo ricevuto gratuitamente da Dio; in altre parole: tutto. Ha ragione s. Teresa di Lisieux o quel curato di Bernanos quando assicurano che «tutto è grazia!». In un senso più restrittivo, “grazia” è «ognuno di quei molteplici doni con cui Dio ci rende capaci d’ottenere la nostra trasformazione in Lui; di conseguire qualcosa d’incredibile, come vivere la sua vita divina, senza cessare d’essere uomini».
Seguendo i dottori della Chiesa, i teologi ci avvertono che una delle proprietà della cosiddetta “grazia santificante” [che rende “santi”, “amici di Dio”, “amati da Lui”.], è la sua “disuguaglianza”. Disuguaglianza che equivale, non al fatto che ne siamo dotati alcune volte di più e altre di meno, ma che è Dio che distribuisce tale forza, tale parte di Se stesso in proporzioni diverse ad ognuno dei suoi figli.
Qual è la causa di simile “disuguaglianza”? Da un lato, essa dipende certamente dalla nostra collaborazione con la volontà di Dio; tuttavia, per quanto sappiamo, dipende soprattutto dalla stessa volontà di Dio che riparte i suoi doni –  e, fra essi, la sua amicizia – come Lui vuole e quando vuole. 
Il motivo di tale maniera d’operare per noi è un mistero. Conviene bene ricordare che l’amore di Dio verso noi non dipende in primo luogo dall’essere noi più buoni o meno buoni; ma che è il maggior o minore amore che Dio ha verso le sue creature la causa della nostra maggior o minor bontà. 
Parlando con maggior proprietà e per chiarire meglio il concetto, è più esatto affermare che i santi giunsero ad essere tali per essere stati “i più amati da Dio”, che credere – come a volte facciamo – che i santi sono i più amati da Dio perché “lo amarono più“ che il resto dei credenti.
•  Ed ora ritorniamo al nuovo nome di Maria: “Piena di grazia”. 
Noteremo che le si addice proprio perché è stata la più amata di qualsiasi altro mortale dall’istante stesso del suo concepimento. L’amore, fattosi sguardo di Dio su noi, è sufficiente per renderci “belli”, come abbellisce il sole tutto ciò che tocca. Il peculiare sguardo dell’Altissimo fu proprio ciò che convertì Maria nella “piena di grazia”. «Perché hai trovato grazia agli occhi di Dio», le ricorda l’arcangelo. «Perché ha guardato all’umiltà della sua schiava», riconosce lei stessa.
“Piena di grazia”. Il termine greco è quasi intraducibile: kekharitomén. Possiamo tradurre: «Colmata di grazia, Tu che hai avuto il favore di Dio, Preferita da Dio, Tutta graziosa, Beneamata da Dio... Insomma: la privilegiata, colei che è diventata oggetto dell’amore di Dio. A qualcuno piace pure: “La contemplata”. Sì, colei su cui si è posato lo sguardo di Dio. Maria è “contemplata” per diventare tempio vivente della sua Presenza nel mondo. Resta il fatto che il nome nuovo, quello che possiede nel disegno di Dio, rimane un nome misterioso e, fortunatamente, intraducibile. Com’è misterioso ed inesprimibile l’Amore.
Profittevole sarebbe per il nostro spirito ricordare che anche su noi posa amorevole lo sguardo Dio Padre. Come risposta potremmo ricordare il consiglio di Teresa di Gesù: «Non vi chiedo che tiriate fuori – durante l’orazione – molti concetti; né che facciate lunghe e ponderate considerazioni. Vi chiedo soltanto che lo guardiate». E come impegno, ricordare i versi di s. Giovanni della Croce: 
«Quando tu mi miravi … la tua grazia s’imprimeva nei miei occhi…». 
Nulla, come questo scambio di sguardi, per imitare la “Piena di grazia”.  
– Esiste pure un altro cammino, oltre a quello teologico, per avvicinarsi alla meraviglia di simile pienezza di grazia. Esso consiste nel porre mano ad un semplice dizionario di sinonimi. 
La parola “grazia”, ci condurrà a termini come bellezza, gentilezza, amicizia, dono di Dio, amabilità, delicatezza, finezza, decoro…: traducendo, quindi, “piena di grazia” con graziosa, fine, ecc.
Grazioso è l’uccello che salta da ramo in ramo e grazioso il cardellino, creatura con vocazione di saltimbanco. Grazioso il ruscello canterino e graziosissimi i balbettii, i gesti e le azioni dei bambini.
Il fatto è che la grazia è come il primo splendore della bellezza. 
Il fatto è che in noi la grazia divina non è se non un cammino, un              inizio, una promessa di divinità. 
Il fatto è che il soprannome di Maria, “la piena di grazia” non fu se            non l’alzata del sipario della Storia.
La Storia, però, iniziò molto prima…, là nel Paradiso terrestre.  Il mondo appena uscito dalle mani di Dio, per forza ch’era attraente! Tutto era molto bello! Durò, pur-troppo, pochissimo. Fu lì che apparve il progetto di Maria, tanto bella, tanto graziosa quanto lo era stata Eva. Più ancora, giacché l’unica creatura in cui doveva trovare piena compiacenza lo sguardo di Dio era lei, Maria non poteva che essere per definizione la “piena di grazia”.
° Piena, in ogni battito del suo cuore. 
° Piena, in ogni sospiro del suo respiro.
° Piena, nei suoi misteri gaudiosi, dolorosi, gloriosi. 
° Piena, in favore degli altri.
IMMACOLATA CONCEZIONE
«Tutto si spiega – per quanto è possibile spiegare il mistero – in vista dell’Incarnazione. 
La Madonna doveva accogliere il Verbo nel proprio corpo. È stato affermato che Dio, finché non avesse trovato una madre, era come un re in esilio, uno straniero “senza città”. Soltanto perché Maria, nella sua sovrana libertà, ha accettato la proposta dell’angelo, Dio ha potuto assumere la carne, rientrare al centro della creazione, ricreare il mondo dall’interno. Il corpo, infatti, non è altro che il mondo divenuto interiore a una persona (micro-cosmo); e unicamente una persona poteva riaprire le porte del mondo, nel proprio corpo, all’Esiliato.
Dunque, Dio ha trovato una madre per il proprio Figlio; e l’ha “preparata”, formata in maniera tale che fosse degna di Lui. Certi capolavori riescono esclusivamente a Dio; certi capolavori riescono solamente a Lui.
L’Immacolata Concezione – da non confondere con il concepimento verginale di Gesù – significa uno spazio umano intatto, non contaminato, non guastato dal male, non inquinato dal peccato, sottratto alla presa del Maligno, dell’usurpatore.
Sarà bene notare. Tale “spazio sacro” non è stato preservato dalla sofferenza, ma dal peccato. È tuttavia opportuno insistere, non tanto sull’aspetto negativo del privilegio concesso a Maria («preservata da qualsiasi peccato»), quanto piuttosto sulla realtà positiva: «piena di grazia». 
L’Immacolata rappresenta il trionfo della grazia; e la Madonna è la creatura più colmata di grazia». Questa terra santa, intatta, non guastata, dovrebbe pure indicarci un modo per accostarci a lei con discrezione, liberandoci da una fastidiosa verbosità invadente. Mai separare l’amore dal pudore. La familiarità dalla discrezione.
[“Di Maria non se ne parla mai abbastanza”, ci ripetevano a scuola, citando un mariologo che allora (1960….) andava per la maggiore. Le conseguenze… “alluvionali”... L’affermazione è da correggere in “Non se ne parla mai abbastanza BENE”!!!]
Occorre cioè, imparare a parlare di lei senza forzature sentimentali e retoriche. Senza analizzare il mistero. Senza smancerie devozionali, ma anche senza le formule asettiche di certi teologi inamidati. 
Insomma, senza sporcare nulla.Soffocare la curiosità, affinché possa affacciarsi lo stupore».  (A. Pronzato)
Maria non è una creatura vuota, ma una creatura che ha saputo “fare il vuoto”. Maria è colei che ha permesso a Dio di agire … da Dio, di agire liberamente in lei.
Troppe persone religiose si dimostrano ossessionate da ciò che devono fare per il Signore. La Madonna ha intuito che la prima cosa da fare, per il credente,, e … lasciar fare a Dio, lasciarsi fare da Lui, riceversi da Lui, abbandonarsi alla potenza del suo Spirito.
Nell’invocarla, 
chiediamole la grazia di apprezzare, 
come nessun’altra, 
questa Presenza intima, quest'inserto di un “pezzo” di Dio 
nel nostro essere uomini, 
che è la “grazia”.

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