Morire di dolore o di vergogna
nel Sahel
Era il 16 giugno del 1976 a Soweto, nell’allora regime di apartheid del Sudafrica. Durante una manifestazione di protesta di studenti e scolari la polizia aprì il fuoco uccidendo quattro bambini. La foto del tredicenne Hector Pietersen ucciso divenne un simbolo della violenza della polizia sudafricana. Nella giornata furono uccise altre 23 persone. La giornata del bambino africano è stata celebrata per la prima volta dall’Organizzazione per l’Unità Africana il 16 giugno di ogni anno dal 1991. Da morire di dolore.
Il sistema scolastico nigerino e l’intera società sono stati sconvolti dall’uccisione, all’arma bianca, di un insegnante da parte di uno dei suoi alunni. Fine scuola ‘primaria’, un ragazzo neppure quindicenne, rivela in modo drammatico lo stato di violenza strutturale della scuola nigerina. Essa si chiama esclusione, impreparazione, commercio educativo, estroversione valoriale, isolamento dalla vita reale della società, assenteismo proverbiale dei genitori e liquidazione vocazionale degli insegnanti. Da morire di vergogna.
Come in altre aree del Sahel, il Niger bagna in un clima quotidiano di violenza. Non passa giorno che piovono i comunicati di attacchi contri i militari, i civili e i beni primari della gente. La parola che riassume tutto ciò sarebbe quella di ‘desolazione’, che evidentemente tocca anche e soprattutto gli scolari e gli studenti delle zone rurali, i più poveri, mentre le scuole dei ricchi possono continuare, ben difese, in città. Una violenza capillare che chiude per sempre il futuro di migliaia di bambini. Da morire di vergogna.
Nel vicino Burkina Faso, a causa degli attacchi dei gruppi armati terroristi, si registrano 3280 scuole chiuse che implica la diserzione scolastica di 511.221 allievi e di 14.901 insegnanti. Nel Mali, per lo stesso motivo, sono 150.000 i giovani e bambini estromessi dal processo scolastico. Nel Niger le scuole chiuse, non lontano dalla capitale Niamey sono 791 e gli scolari estromessi dalla scuola 63.306 di cui circa la metà sono ragazze. Nel Sahel circa undici milioni le persone hanno bisogno di assistenza alimentare. Da morire di dolore.
Nel Niger le cifre della fragilità alimentare sono ricorrenti e variano secondo il momento e le fonti. C’è chi parla di quattro milioni e mezzo di persone in insufficienza alimentare e due milioni e mezzo in quasi carestia. Altrove e in altri momenti, a partire da molto poco, c’è chi ha moltiplicato i pani perché tutti fossero sazi. Per questo e altro ha ragione il poeta dell’Uruguay Mario Benedetti. Una cosa è morire di dolore e l’altra è morire di vergogna. Lo scrisse a suo figlio e gli ricorda che è meglio piangere che tradirsi
Mauro Armanino, festa del Corpus Domini,
giugno 2022
Ho trovato un articolo di Padre Armanino, pubblicato su Il Fatto Quotidiano, 09 marzo 2020, che vedo come un incipit a questo suo nuovo scritto.
“Una cosa è morire di dolore e un’altra è morire di vergogna”. Mi è tornata in mente questa poesia di Mario Benedetti, compianto poeta dell’Uruguay, appresa mentre mi trovavo in Argentina. La cosiddetta distanza sociale, oggi riesumata, era stata da tempo introdotta e non casualmente e non certo per compassione si tengono aperti i supermercati e si chiudono le chiese e gli stadi e gli avvenimenti culturali e le scuole. Si troveranno buone giustificazioni di carattere medico e senza dubbio scientificamente motivate ma abbiamo perso, non da oggi, la dignità. Da tempo non sappiamo perché valga la pena vivere la vita e ci perdiamo, stolti consumatori consumati, dietro l’effimero che ci seduce per la sua nullità. Quanto ci appaiono vere le profezie di Pier Paolo Pasolini e il suo inascoltato grido del cambiamento antropologico in atto nel paese e in Occidente.
Una cosa è morire di dolore alle frontiere dell’Europa, nei deserti che vorrebbero raggiungere il mare, nei viaggi senza fine e nelle guerre comandate, finanziate e alimentate dai fabbricanti d’armi, europei, americani, cinesi e russi compresi. E l’altra è morire di vergogna come da troppo tempo si fa in Occidente dove la morte, prima parte della vita e celebrata con rintocchi di campane e la sommessa preghiera dei paesani, è stata censurata, di lei ci si è vergognati come fosse una sconfitta e persino le tombe sono giardini coltivati per illudere il tempo futuro.
Ecco perché lei, sorella morte, è tornata, con fattezze antiche e attuali, e passa attorno tra gente isolata, impaurita e scontenta della vita. Eravamo morti da tempo senza neppure accorgercene e facevano bene, i nostri antenati colpiti dalla peste, a rifugiarsi dove almeno le parole di conforto avevano un senso e magari si aspettava che qualche santo ci mettesse una pezza e ci si rendeva conto della fragilità umana e della morte che inciampa nella vita. Ha ragione Benedetti che morire di vergogna è la cosa peggiore che mai potrebbe capitare.
Nella poesia in questione che porta il titolo Uomo prigioniero che guarda suo figlio, il poeta scrive verso la fine del poema: “Uno non sempre fa quello che vuole/però ha il diritto di non fare/ ciò che non vuole”. Ci siamo persi gli anni più belli, quelle delle rivoluzioni e delle resistenze, quelli dei No operai e partigiani e, liquidando le grandi narrazioni della storia, ci siamo ridotti a fare la lista della spesa per il supermercato più vicino che possiede, tra l’altro, lo spazio giochi per i bambini e un ampio parcheggio per le auto, la domenica.
Magari le campane suoneranno, per ricordare che c’è un’ora e un tempo per tutto. Sentiremo il rimpianto, per un attimo, del mondo che avrebbe potuto essere differente, un mondo nuovo da inventare ogni giorno negli occhi di chi si innamora della vita. Perché, come ancora ricorda Benedetti alla conclusione della poesia citata: “è meglio piangere che tradirsi… piangi, ma non dimenticare “.
Poiché entrambi gli articoli portano il ricordo di un grande uomo, per chi non ha notizie su di lui, un breve cenno è d'obbligo.Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, noto come Mario Benedetti (Paso de los Toros, 14 settembre 1920 – Montevideo, 17 maggio 2009), è stato un poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano. (ma di origini italiane).
Nessun commento:
Posta un commento