MOSTRA QUAERERE PACEM, 10-11-12 giugno,
San Bernardo in Valle, Savona
Per la Festa della Mamma, le mie figlie mi hanno regalato un albero di cacao nel Camerun, attraverso Treedom: Pianta o Regala un Albero e segui la Storia Online, un sito che permette di piantare alberi a distanza e seguire online la storia del progetto che contribuiranno a realizzare.
Il seme dell’albero dal vivaio passerà alla terra e sarà quindi cresciuto da un contadino. Nel tempo, garantirà sostegno a una famiglia africana e aiuterà a migliorare l’aria del Pianeta per tutti noi.
Ecco, questo è un vero gesto di pace, al di là degli stereotipi e delle parole che, infine, si dimostrano sempre vuote. Un gesto di pace contro il razzismo imperante, contro il nazionalismo assurdo dei nostri tempi che tanto mi ricorda quello delle guerre mondiali, contro l’egoismo occidentale che ha asservito gli altri paesi, proprio esercitando la superiorità militare, impedendo loro di crescere e svilupparsi. È difficile capire quanto mi sia sentita felice di quel dono e molto privilegiata, soprattutto perché il mondo, in generale, non sta andando in questo senso.
Gli Stati producono e vendono armi fingendo di non sapere che le armi saranno usate per le guerre, cioè per uccidere e distruggere l’umanità. Negli Stati Uniti, addirittura, tutti possono possedere armi e sono previsti persino dei corsi per insegnare ai bambini dai 3 ai 5 anni il corretto utilizzo di un’arma divertendosi al poligono di tiro! La lobby delle armi fattura negli USA più di trenta miliardi di dollari l’anno e, in caso di guerre, ovviamente, molto di più! Infine, le guerre sono necessarie per “consumare” le armi ormai obsolete e acquisirne di più avanzate.
Negli ultimi anni, in Europa, è ritornata in auge la corsa agli armamenti e le parole “disarmo” e “demilitarizzazione” ci sembrano ormai preistoriche.
Nel ventunesimo secolo, nonostante l’evoluzione, noi non siamo diversi dagli antichi, anzi, siamo ancora più crudeli, visto il progresso tecnologico che può devastare molto più ferocemente di un tempo.
È del tutto inutile, dunque, citare guerre specifiche: ce ne sono tante nel mondo, alcune pubblicizzate insistentemente dai media e altre completamente dimenticate (non certo dai nostri fabbricanti di armi, però!).
Oggi sui Governi dominano in modo privilegiato i commercianti di armi: questa che sembra un’asserzione surreale, invece è pura realtà.
La soluzione dei conflitti attraverso una Diplomazia capace e attiva non viene attivata proprio perché impedirebbe lucrosi affari.
Anche i media sono coinvolti nella propaganda militare.
Johan Galtung[1] aveva già osservato, fin dagli anni ‘70, la tendenza dei giornalisti a confondere conflitto e violenza, raccontando il conflitto unicamente attraverso gli atti violenti da esso provocati. I giornalisti, infatti, consentono la parola più facilmente alle élite che non alle persone più vulnerabili e focalizzano l’attenzione unicamente su chi vincerà. Raramente sono evocate le cause distinte tanto geograficamente quanto temporalmente, assai di rado sono menzionate le possibili soluzioni non violente… È come se un inviato dovesse parlare di una malattia senza alludere anche ad altri mezzi di guarigione, a parte quelli più nocivi, ancor prima di far luce sulla natura della malattia. Le soluzioni ‘dure’ sono sovrastimate, in modo che quelle ‘dolci’ rimangano sconosciute e le responsabilità unidirezionali.
Il ‘giornalismo di pace’, invece, propone di riconsiderare i rapporti tra i giornalisti e le fonti d’informazione, i conflitti che riporta e le conseguenze delle informazioni che fornisce. Mette a disposizione dei reporter una serie di fonti di approfondimento sulla pace e i conflitti, per consentire uno spazio maggiore a soluzioni non violente e alla creatività. Galtung aveva definito la pace come assenza di violenza “strutturale”. Poiché la violenza strutturale si verifica quando le effettive realizzazioni umane restano al di sotto delle realizzazioni potenziali, la pace è la realizzazione, da parte dell’uomo, di tutte le sue potenzialità economiche, sociali e ambientali. In questa definizione rientrano anche i casi in cui non esiste un soggetto promotore della violenza diretta, ad esempio, in molti Stati africani le aspettative di vita sono basse senza che nessun agente utilizzi intenzionalmente la forza. Dunque, in questo scenario tanto ostile alla pace, noi cosa possiamo fare? Molto poco, naturalmente. I governanti, ovunque, seguono i loro interessi e non ascoltano l’opinione della gente. La Democrazia, spesso, non è differente dai governi autoritari, specialmente in questo periodo. I bisogni delle persone, il lavoro, la salute, il benessere sociale, sono sacrificati alle lobby e a consunti ideali di imperialismo, governo del mondo, neocolonialismo, suprematismo bianco, impoverimento degli altri popoli a nostro vantaggio. Allora, come insegna un’organizzazione per la Pace coreana (HWPL)[2], dobbiamo diventare tutti, nel nostro piccolo, “messaggeri di pace”. Fuori dai templi buddisti tibetani bandierine colorate appese all’aria diffondono sulla Terra i loro pensieri non violenti e così dobbiamo essere anche noi: bandierine al vento.
Nella mostra “Quaerere pacem”, il 10-11-12 giugno, nell’Orto di Cibele a San Bernardo in Valle (SV), una parte importante è animata dai bambini. Essi comprendono bene quanto possa essere facile stendere una mano all’altro, almeno fino a quando non diventano adulti. “Con la pace i bambini sono liberi, contenti, spensierati” scrive uno di loro, oppure “La guerra è brutta perché rende il mondo peggiore e muoiono tante persone innocenti”, o ancora “Noi non vogliamo la guerra perché ci sono bombardamenti, esplosioni…”
Le loro barchette simboliche attraverseranno, forse, le coscienze e ci indicheranno la rotta perché essi hanno consapevolezza del dolore di chi perde parenti e amici, di chi perde la propria casa e non sa più dove andare, di chi perde il lavoro e ogni altro bene.
Poi, c’è Claudio Carrieri. Quando ci si chiede se l’arte debba essere solo puro piacere o, invece, espressione formativa – interrogativa delle anime, Carrieri “è” la risposta.
Egli ha da tempo superato vecchi canoni estetici per dedicarsi alla riflessione, alla stimolazione dell’osservatore, sia che abbia lavorato sul tragico tema dei migranti che sulle odalische. In lui parla la storia dell’umanità tutta, l’amore per le forme di vita, per gli archetipi, in lui grida la sollecitazione a questa umanità crudele perché cambi il punto di vista. Egli è da sempre “un messaggero di pace” nella concezione di Galtung, quando ci indica le ingiustizie sociali come quando ci ammalia nelle rotondità delle forme o ci strazia nelle visioni di tragedia che vivono le persone innocenti.
Dunque, cambierà qualcosa in questo mondo dopo la mostra “Quaerere pacem” Io non lo credo. Nella mia gioventù ho manifestato parecchio contro la guerra del Vietnam, contro la Nato, come tanti/e ragazzi/e dei miei tempi. Allora, avevo la speranza che se noi fossimo stati forti e uniti, qualcosa sarebbe cambiato. Invece, non è cambiato nulla. Eppure, come spiega attraverso i suoi articoli, un mio amico prete missionario in Africa, padre Mauro Armanino, dobbiamo lottare lo stesso, tutti insieme, per correggere la mentalità di potere, denaro, corruzione e morte e per dare un futuro dignitoso a tutti gli esseri umani del Pianeta. Perché la guerra, infine, diventi un tabù simile a quello dell’incesto, come chiedeva Gino Strada. La nostra madre Gaia, che Carrieri ci mostra suggestiva ma disastrata dalle esplosioni come dall’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, deve iniziare a vestirsi di alberi e di fiori in un’eterna primavera di pace.
Renata Rusca Zargar
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