POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

martedì, marzo 28

GALLERIA D'ARTE NORMA TROGU - seguono agli altri suoi quadri

che troverete nello spazio dedicato alla bravissima pittrice o digitando nella casella ricerca Galleria d'Arte Norma Trogu, o semplicemente scrivendo il suo nome e cognome.   




COLORI INTENSI ALLEGRI CHE PORTANO GIOIA!

domenica, marzo 26

sabato, marzo 25

COME NASCERE IN STRADA A NIAMEY di P. MAURO ARMANINO



Come nascere in strada a Niamey

Una strada sterrata impastata di polvere non lontano dallo stadio Seyni Kountché e adiacente al palazzo che ospita il Ministero della Giustizia. Giusto accanto all’ufficio di accoglienza e registrazione dei migranti dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, OIM. Proprio lì sulla strada, sabato scorso, è nata una bimba.  Mamana è la madre, originaria della Sierra Leone, mentre il padre, della stessa nazionalità è al momento irreperibile. Una bimba nata in esilio a Niamey, sulla strada, luogo di transito, incontro, scambio, compravendita, attesa, passaggio, spazio di vita politica e sociale. La strada è il luogo dal quale veniamo e al quale torniamo se è vero che la vita non è che un viaggio, un pellegrinaggio o un sentiero dove la meta si confonde con lo stile e la modalità del cammino. Lei è nata nella notte come per illuminare il mondo e si trova adesso, assieme alla madre, ospite delle strutture dell’OIM, in attesa di tornare, un giorno, al Paese.
Loro, Francesco e Laura, si erano sposati serenamente in chiesa, una cappella in seminterrato tra pochi intimi con lo statuto di richiedenti asilo. Originari del Sud Sudan che avevano abbandonato a causa della guerra civile che aveva tutto distrutto del loro passato. Cercano ingenuamente futuro a Niamey con l’aiuto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, HCR. Ai loro due figli, domenica scorsa, si è aggiunto un terzo, nato anche lui in esilio e, senza saperlo o volerlo, già richiedente asilo, come tutti i neonati di questo mondo, abituato ormai alle stranezze degli umani. Durante la cerimonia del matrimonio Laura, la sposa, posava la mano sul suo ventre che già annunziava il prossimo arrivo di un nuovo passeggero in cerca d’autore. Laura e suo marito avevano avuto un tempo di apprensione perché, nel recente passato, un figlio si era perduto prima della nascita. La gioia del padre era sobria e intensa come quella di un uomo.
Altre donne migranti sono incinte e potrebbero dare alla luce le loro creature nella capitale del Niger. Stranieri e compagni di esilio con altre migliaia di migranti espulsi, deportati, abbandonati, perduti e ritrovati. Una città nella città fatta di bambini che ancora non sanno che troveranno documenti, frontiere, fili spinati e mani amiche occasionali che non metteranno in discussione il sistema. Dormono in strada o accanto alle stazioni di approdo delle compagnie dei bus con le madri che li nutrono per un miracolo quotidiano chiamato solidarietà tra poveri. Sono in buona compagnia perché, malgrado una recente diminuzione della natalità nel Niger è ancora la più importante del mondo. La speranza di vita alla nascita è di 53,4 anni, ben al di sotto della speranza di vita media nel mondo che è di circa 71 anni.
Si aggiungerebbero ai neonati che fanno del Niger il Paese più ‘giovane’ del pianeta. Poveri nell’economia e ricchi di nuove persone che potranno cambiare il mondo oppure lasciarlo com’è. Tutto dipenderà dal modo col quale saranno assunte le sfide o le opportunità che la sabbia, il vento e il destino non ancora scritto potrà creare. Intanto, nell’altro continente chiamato Europa, continua l’inverno demografico e sulle strade non nascono bimbi ma pannelli pubblicitari, centri commerciali e bar. C’è chi addebita il calo demografico alla crisi economica e all’incertezza per il futuro. Non si vuole che i nuovi arrivi siano nella nave che conduce alla perdizione. In realtà la crisi è ancora più radicale e rivela quanto l’Occidente abbia smarrito la speranza che nasce, appunto, sulla strada della vita.

           Mauro Armanino, Niamey, 26 marzo 2023

venerdì, marzo 24

LACRIME di RENATA RUSCA ZARGAR


Dipinto di Anne Marie Zilberman

LACRIME


Lacrime rotolano sulle guance

come chicchi d'uva

scivolano giù in silenzio

e bruciano gli occhi


Allora vorrei scavalcare i balconi

per venire da te

e forse anche tu vorresti

-non so-

dimenticare gli ostacoli

e sciogliere il dolore

in un abbraccio


Prima che venga tardi

prima che ci raggiunga il buio

gelido

della notte


Renata Rusca Zargar


Albenga, 19 marzo 2023


giovedì, marzo 23

LA SOLITUDINE di RENATA RUSCA ZARGAR

 

LA SOLITUDINE

In questi giorni, ho capito per la prima volta cosa sia la solitudine.

In realtà, a me piace essere sola perché non ho paura a stare con me stessa. Inoltre, ho tante cose che adoro da fare. Prima di tutto, curo il mio blog con il quale cerco di veicolare contenuti progressisti che ritengo utili per la società. Qualche volta, poi, quando ho qualcosa di particolare da dire, scrivo un articolo, un commento, una recensione o altro. Infine, ma non per ultimo, sto lavorando a un romanzo sull'imperatore Tiberio nel periodo in cui visse a Capri. Questo testo, che ha anche una parte moderna su un pescatore di Capri, è molto impegnativo. 

Stare sola vuol dire anche avere tutto il tempo della giornata per sé, suddividerlo senza obblighi di orari, mangiare quando viene fame, dormire quando viene sonno. Tutti aspetti che reputo positivi.

Ora, però, sono sola e la solitudine mi opprime, rende il mio tempo lunghissimo, libero sì, ma inutile perché non ho voglia di fare niente. 

Vedo scorrere lentamente le ore, quelle che mi avvicinano al termine della vita e che detesto perdere senza renderle produttive perché so che non torneranno.

Ma non ho voglia di fare nulla.

I figli sono lontani e sono stata proprio io a insegnare loro che sia necessario andare, seguire la propria strada, i propri interessi. Non sacrificare mai se stessi per i genitori.

Il punto è, però, che il compagno di una lunga parte della mia vita è stato operato. Quell'operazione (di routine, al ginocchio, nulla di particolarmente drammatico) è come se l'avessi subita io. Ho avuto tanta paura che morisse, prima, che stesse male, che soffrisse, dopo.

In più, dato che è lontano, sentirlo solo per telefono è tristissimo perché non lo vedo e penso che forse non stia bene, mi pare abbia la voce sofferente, forse, che abbia troppo dolore, chi lo sa! 

Ho sperimentato così, per la prima volta, questo sentirmi sola, impotente e inutile.

Un tempo, scavalcavo le sbarre degli ospedali per andare la mattina all’alba, prima che aprissero, da mio padre che, negli ultimi anni, aveva subito tanti ricoveri. Ero sempre presente. E l’ho fatto non solo con mio padre ma con tutti i parenti che negli anni a turno sono stati malati. Poi, si sa, sono morti tutti, purtroppo, perché si arriva sempre là.

Ora non sono più in grado, tutto mi spaventa perché non sono più giovane e quello che facevo ridendo, facilmente, ormai non riesco più farlo. 

Qui, a Savona, un tempo l’ospedale era in centro città. Quando avevo qualcuno da assistere, finito l’orario di visita, mi cacciavano dal reparto. Io, allora, rientravo passando dall’obitorio: salivo delle scale interne e arrivavo al piano del ricoverato di turno. Nonna, genitori, zie, zii...

Lo facevo con determinazione e leggerezza perché volevo fare coraggio a chi stava soffrendo.

Ora il vecchio ospedale non esiste più ma, se anche ci fosse, io sarei come tutti in portineria, in attesa dell’orario permesso, schiacciata dagli eventi. Non più capace di saltare la vita con l’incoscienza e la sicurezza di un tempo.

Mia madre diceva sempre “Largo ai giovani” e aveva completamente ragione.

Largo ai giovani, dunque, sempre che i giovani non siano, come spesso succede, vittime di indifferenza e menefreghismo.

Renata Rusca Zargar

mercoledì, marzo 22

PADRE NORBERTO, il piede (e la barba) che non c’è più e il missionario che vuole camminare ancora. di P. FEDERICO TRINCHERO



Padre Norberto, il piede (e la barba) che non c’è più e il missionario che vuole camminare ancora.

Racconto – e qualcosa di più – di un’esplosione di grazia.
Notiziario dal Carmel di Bangui n° 34, 22 Marzo 2023
Come quasi ogni fine settimana, anche il pomeriggio dello scorso 10 febbraio padre Norberto parte dalla missione di Bozoum per recarsi in uno dei venticinque villaggi da lui seguiti, ormai da molti anni, per celebrare l’Eucaristia. La meta è Bokpayan, a 55 km da Bozoum, dove ha intenzione di fermarsi per alcuni giorni. Padre Norberto è accompagnato da fra Igor e da quattro operai perché c’è una scuola da riparare. Dopo aver attraversato un piccolo ponte di legno, e prima di attraversarne un secondo, la macchina guidata da padre Norberto salta improvvisamente su una mina. Gli operai, seduti sul cassone posteriore, vengono scaraventati in aria e la vettura, completamente distrutta nella parte anteriore, si arresta sul fossato a lato della strada. Fra Igor, assordato per il boato e in una nuvola di polvere, riesce ad uscire passando sopra il corpo di padre Norberto che, semicosciente, viene faticosamente estratto dal veicolo dai tre operai rimasti illesi. Fra Igor ha solo ferite lievi, mentre uno degli operai riporta alcune fratture alla spalla. Padre Norberto è invece gravemente ferito ad entrambi gli arti inferiori. Due giovani in moto, avendo sentito l’esplosione, fanno marcia indietro e si recano immediatamente sul luogo dell’incidente. In Centrafrica non esistono le autoambulanze. Bertrand e Emilio, come due buoni samaritani, interrompono il loro viaggio. Questa volta non è un sacerdote che passa oltre indifferente, ma è il sacerdote stesso che, saltato su una mina sulla strada che da Bozoum sale a Bokpayan, giace ferito, con una forte emorragia in corso e quasi morente. Bertrand e Emilio caricano padre Norberto sulla loro moto e lo trasportano all’ospedale di Bozoum, a 22 km di distanza, salvandogli la vita.
Padre Norberto Pozzi, classe 1952, è un missionario Carmelitano Scalzo originario di Lecco. Aveva quasi trent’anni quando, quasi per caso, venne informato che i Frati Carmelitani Scalzi cercavano un volontario per lavorare nella loro missione in Centrafrica. Norberto, che da poco aveva lasciato la fidanzata, lascia anche il lavoro, le canzoni di Celentano e, nel 1980, arriva a Bozoum. E inizia a costruire chiese, scuole, dispensari e un seminario. Dopo otto anni decide di entrare nell’Ordine Carmelitano. Si reca quindi in Italia per il noviziato e gli studi di teologia. E la sua voce, vigorosa e baritonale, si converte al canto dei salmi della preghiera conventuale. È in questi anni che, giovane seminarista, conosco padre Norberto, nominato nostro assistente. Ordinato sacerdote nel 1995, padre Norberto rientra in Centrafrica dedicandosi soprattutto all’evangelizzazione dei villaggi nella savana, alle scuole e agli ammalati, annunciando il Vangelo in quelle chiese che aveva costruito da giovane laico. Ogni tanto padre Norberto si arrabbia, perché all’Africa vuole così bene che non sopporta, quando sono in gioco le esigenze del Vangelo, compromessi o pigrizie. Per ben tre volte è vittima degli agguati dei banditi, in uno dei quali i proiettili si conficcano nel poggiatesta del sedile, in un altro le pallottole raggiungono la scatola delle marce e, in un altro ancora, è derubato e rischia di essere sequestrato.
Ma ritorniamo all’ospedale di Bozoum, dove accorrono padre Marco e padre Juan. Le ferite di padre Norberto vengono ripulite dalle schegge, medicate e poi vengono effettuate due trasfusioni: tutto quello che si doveva e si poteva fare in un piccolo ospedale nella savana del nord del Centrafrica. Ma la situazione necessita al più presto un trasporto nella capitale perché padre Norberto è in pericolo di vita.
La notizia mi raggiunge mentre mi trovo, con i nostri seminaristi, nel monastero delle carmelitane scalze di Yaoundé, in Camerun. Contatto subito l’Ambasciatore italiano che, immediatamente, chiede ai responsabili delle Nazioni Unite in Centrafrica un elicottero per trasportare padre Norberto a Bangui. Purtroppo in Centrafrica non è possibile volare di notte, neanche per un’emergenza. Si esclude un trasporto in macchina fino all’ospedale di Paoua, 120 km a nord di Bozoum. Il viaggio sarebbe troppo lungo e pericoloso. Il volo viene quindi rimandato al mattino, sperando che padre Norberto possa superare la notte.
Mi appresto a celebrare la Messa con i miei confratelli e le mie consorelle. Quando pronuncio le parole “Questo è il mio corpo… questo è il mio sangue…” penso a quanto siano vere per questo mio confratello che sta fisicamente perdendo una parte del suo corpo e versando il suo sangue per l’Africa, per la Chiesa, per i più poveri, per i fedeli del villaggio di Bokpayan per i quali avrebbe voluto celebrare l’Eucaristia. Ora offre un’altra Eucaristia, sull’altare di un letto dell’ospedale di Bozoum, all’esterno del quale si radunano spontaneamente dei cristiani, soprattutto giovani, per pregare perché padre Norberto non muoia. In serata padre Marco gli amministra l’unzione degli infermi. E, a turno, i padri, le suore e i cristiani di Bozoum vegliano tutta la notte accanto a padre Norberto in attesa dell’elicottero. Ma non si prega solo a Bozoum. Un incendio di preghiera, più forte dell’esplosione della mina, divampa improvvisamente in Centrafrica, in Italia e in altri parti del mondo. Tante, tantissime persone pregano per padre Norberto, anche se non l’hanno mai conosciuto. Pregano il rosario, la preghiera preferita e irrinunciabile di padre Norberto.
Al mattino arriva finalmente l’elicottero delle Nazioni Unite del contingente del Bangladesh. Padre Norberto e gli altri feriti vengono trasportati a Bangui. Dopo una sosta all’ospedale civile della capitale, padre Norberto viene trasferito all’ospedale militare dei caschi blu e preso in carico da una équipe di medici serbi. Un’infermiera, con grande dispiacere di padre Norberto, si permette di tagliargli la barba, la barba più bella e più lunga di tutto il Centrafrica. “Meglio la barba che una gamba”, diciamo noi per sdrammatizzare e scongiurare il peggio. L’indomani, dopo un intervento di tre ore, Padre Norberto, i cui parametri vitali sono preoccupanti, viene trasportato d’urgenza, con un aereo delle Nazioni Unite, a Entebbe, in Uganda, e poi ricoverato in terapia intensiva al Nakasero Hospital di Kampala, la capitale del paese. L’Ambasciata italiana si prende immediatamente cura del nostro confratello.
La sera del giorno seguente, lunedì 13 febbraio, mentre mi trovo ancora Yaoundé, padre Norberto subisce un altro intervento chirurgico durante il quale vengo contattato. I medici ritengono necessaria l’amputazione del piede sinistro, quasi completamente distrutto a causa dell’esplosione. Non è una decisione facile. Mi consulto con il medico dell’ambasciata e soprattutto con Claudio, medico e fratello maggiore di padre Norberto.  Se il piede è di Norberto, Norberto di chi è? Dei frati o della famiglia Pozzi? Claudio sa bene che, dal 1980, il Carmelo è ormai la famiglia di Norberto. Ma resta pur sempre suo fratello. Con Claudio, medico in pensione, competente e rispettosissimo della nostra famiglia, l’intesa è perfetta e ogni decisione è concordata insieme senza difficoltà. L’arto non può essere recuperato e l’amputazione è inevitabile per evitare il rischio di setticemia e per permettere a padre Norberto di poter tornare a camminare con una protesi. Padre Norberto accetta serenamente. Mi vengono alla mente le parole di Gesù, ascoltate il giorno precedente durante la Messa domenicale: “Se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna”. Il caso di Norberto è un po’ diverso. Non perché si tratta del piede sinistro invece che della mano destra, ma perché – non per scandalo, ma per fedeltà alla propria missione – il Vangelo chiede di lasciare tutto, di perdere sé stessi. Anche una parte del nostro corpo.
La sera di venerdì 17 Febbraio arrivo finalmente in Uganda, la perla dell’Africa. Kampala, situata poco sopra all’equatore a 1.200 m di altitudine, è una grande e moderna città affacciata sul lago Vittoria, il più grande dell’Africa e dove si trovano le sorgenti del Nilo. Sono ospite del Nunzio Apostolico, mio compaesano, che gentilmente mette a mia disposizione la sua macchina e il suo autista. Prima e durante il mio soggiorno in Uganda tante persone si sono rese disponibili per assistere padre Norberto come la dott.ssa Anne, Johnson, sr. Sylvie, Stefano e Manolita… Non sapevamo di avere così tanti amici a Kampala!
Sabato mattina abbraccio finalmente padre Norberto che si trova ancora in terapia semi-intensiva. Non ricorda nulla dell’esplosione. Non mi parla del piede che non c’è più, ma del desiderio di tornare in Centrafrica, di terminare la costruzione di una chiesa in un villaggio, della necessità di qualcuno che possa continuare il suo lavoro tra i cristiani della savana. E quando gli trasmetto tutti i messaggi ricevuti, da tanti amici conosciuti e sconosciuti, si schermisce, quasi imbarazzato per tanta e improvvisa notorietà. E mi dice di essere, lui, alto e muscoloso, nient’altro che un piccolo uomo.
In pomeriggio riesco a fare una breve visita a Namugongo, il santuario dei martiri ugandesi. Qui, tra il 1885 e 1887, ventidue cristiani cattolici, tra i quali il giovanissimo Kizito, e altrettanti anglicani, servitori del re Mwanga II, vennero torturati, mutilati, trafitti da lance e infine bruciati per aver rifiutato di rinnegare la loro fede davanti alle pretese del sovrano, scrivendo con il loro sangue una delle pagine più intense dell’Africa nera cristiana. Prego per padre Norberto, che per fortuna è vivo, per tutte le persone, soprattutto bambini (ben diciannove nel 2022), che a causa delle mine sono purtroppo state uccise. Prego per la conversione di quegli uomini che, come trappole micidiali, hanno seminato di ordigni le strade del Centrafrica. E che credono, ma si sbagliano, di amare il Centrafrica.
Dopo alcuni giorni – di fronte anche all’eventualità di un’ulteriore amputazione, che per fortuna non avverrà – decidiamo di trasferire padre Norberto in Italia perché possa essere curato a Bologna. Non è un’impresa semplice trasportare un malato in simili condizioni. E non soltanto dal punto di vista economico e burocratico, ma soprattutto tecnico. Con l’aiuto dell’Ambasciata italiana e dei miei confratelli riusciamo ad organizzare l’impresa. La sera di giovedì 23 febbraio lasciamo il Nakasero Hospital e, in ambulanza a sirene spiegate, attraversiamo Kampala, un agglomerato urbano di circa 8.000.000 di abitanti, per raggiungere l’aeroporto di Entebbe. Poco dopo la mezzanotte partiamo, con un volo della compagnia KLM diretto ad Amsterdam, accompagnati da un medico ugandese. Poi, con un piccolo jet dell’Air Ambulance e un equipaggio medico, raggiungiamo Bologna, dove ad attenderci troviamo la Croce Rossa Italiana. Dopo quasi 16 ore di viaggio, da Kampala a Bologna, arriviamo finalmente all’Istituto Ortopedico Rizzoli. Quando abbraccio Claudio, non riesco a trattenere le lacrime: “Missione compiuta!”, gli sussurro, “Siamo riusciti a portare tuo fratello vivo in Italia!”. E mi racconta di Cerry (così lo chiamano nel rione di Acquate), quinto di sei figli e nato settimino. Sua madre utilizzò come incubatrice il calore di una vecchia stufa. Da piccolo, Norberto aveva difficoltà a parlare. Chi l’avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe partito in Africa per annunciare il Vangelo?
“Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza”: sono le parole del profeta Isaia che cantano la bellezza dei piedi di ogni missionario che annuncia il Vangelo e che porta la pace dove c’è la guerra. Tante volte ci ricordate che la nostra missione comporta un rischio per la vita. E noi vi tranquillizziamo, dicendo che non è vero. Per una volta siamo costretti a darvi ragione. Uno di noi, per annunciare il Vangelo, per portare la pace dove c’è la guerra, ha veramente rischiato la vita.
Grazie, padre Norberto, per il coraggio e la dedizione con cui hai annunciato il Vangelo e con cui desideri annunciarlo – anche con un piede solo – in un paese che ancora inciampa sul cammino della pace. Chi di noi, nella tua situazione, avrebbe mantenuto la tua stessa serenità? Starti accanto è stato un onore e un privilegio. La macchina distrutta a Bozoum, la barba tagliata a Bangui, il piede lasciato a Kampala, il cuore rimasto in Centrafrica… ma il missionario vuole camminare ancora.

Padre Federico
A nome di padre Norberto, dei miei confratelli e della famiglia Pozzi desidero ringraziare in particolare alcune persone:
-     Bertrand e Emilio.
-     Dott. Boris Imere-Mbioko e tutto il personale dell’ospedale di Bozoum.
-     Le Nazioni Unite della missione Minusca in Centrafrica, i caschi blu del contingente del Bangladesh e i medici del contingente serbo.
-     Le Ambasciate italiane a Yaoundé e a Kampala; in modo particolare gli ambasciatori Filippo Scammacca del Murgo e Massimiliano Mazzanti, il vice-ambasciatore Mario Savona, il dott. Maurizio Destro e la dott.ssa Catherine Namara.
-   Il personale del Nakasero Hospital di Kampala; in modo particolare il dott. Edward Nadumba, la dott.ssa Anne Mbiya Kapinga e il sig. Parfait Harerimana.
-   Mons. Luigi Bianco, don Krzysztof Seroka e William della Nunziatura Apostolica in Uganda.
-     Johnson, suor Sylvia, Stefano e Manolita di Kampala.
-    La compagnia aerea KLM, Air Ambulance, la Croce Rossa Italiana di Bologna.
-  Il personale dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna; in modo particolare il prof. Marco Innocenti e la sua équipe.
-     Il Padre Generale dei Carmelitani Scalzi Miguel Márquez Calle.
-   Tutte le persone che, in quest’esplosione di grazia, hanno sostenuto padre Norberto con la loro preghiera, la loro amicizia e la loro generosità.
Sarò in Italia dal 15 aprile al 25 maggio.
 
Se volete aiutarci ad affrontare le spese per i viaggi, le cure mediche e la protesi di padre Norberto e per acquistare un nuovo veicolo per la missione di Bozoum, potete seguire le indicazioni qui sotto:
 
1) Bonifico bancario:
 MISSIONI CARMELITANE LIGURI CONVENTO DEI CARMELITANI SCALZI
IBAN: IT 42 D 05034 31830 000000010043
BIC/ SWIFT CODE:  BAPPIT21501

 2) PayPal: missioni@carmeliligure.it
3) Conto Corrente Postale n. 43276344 intestato a MISSIONI CARMELITANE LIGURI – CONVENTO DEI CARMELITANI SCALZI
 4)      Per la detrazione fiscale:
 AMICIZIA MISSIONARIA ONLUS
IBAN: IT 72 H 07601014 00000043276444
CCP: 43276444

AUTO INCIDENTE BOMBA




ELICOTTERO



KAMPALA






KAMPALA


AMBULANZA


AMSTERDAM 


AIR AMBULANCE


BOLOGNA


CON IL FRATELLO CLAUDIO


CON IL PADRE GENERALE


PADRE NORBERTO 


PREGHIAMO PER LA SUA GUARIGIONE E SE POSSIAMO, AIUTIAMO IL CARMELO DEL CENTRAFRICA PER AFFRONTARE LE SPESE NECESSARIE.

martedì, marzo 21

MAGELLANO - Un uomo e la sua impresa - recensione di RENATA RUSCA ZARGAR

 




Magellano
Un uomo e la sua impresa

Oggi, che il mondo è ormai uno solo, basta un satellite nello spazio per osservare ogni più minima insenatura delle terre emerse dal mare. Per quello, leggere la storia di Magellano è ancora più stupefacente e si rimane davvero a bocca aperta apprendendo le tragiche avventure dell’eroe salpato da Siviglia per circumnavigare la terra!
Il testo prende l’avvio, dunque, da un’introduzione storica e sociale che ci guida innanzitutto alla sapienza delle spezie. L’Occidente, infatti, ambiva i sapori forti dell’Oriente per rendere gustose e soprattutto conservare le vivande, altrimenti insipide e anonime. A quel tempo, le spezie erano un grande e ricco mercato che si svolgeva attraverso itinerari complessi e molto pericolosi. Era sempre più evidente che fosse necessario trovare altre strade.
L’impresa di Cristoforo Colombo apre, dunque, la via di nuove terre a Ovest, per raggiungere il fantastico Est dai colori e dai sapori di favola.
È, infine, addirittura il Papa che, con una bolla del 1493, divide il nostro pianeta in due. Tutte le popolazioni, le terre, le isole e i mari che si troveranno a cento leguas (antica unità di misura) – poi spostata più a ovest - dalle isole di Capo Verde, se a ovest della linea apparterranno alla Spagna, se a est al Portogallo, due paesi cattolici per eccellenza. Nonostante questa chiarezza, non avendo ancora riconosciuto la forma sferica della Terra, non si potrà sapere subito a chi toccheranno le fantasmagoriche isole delle spezie.
Le avventure dei grandi esploratori ci hanno, pertanto, ridisegnato il mondo; hanno sottomesso al loro re e pure convertito al Cristianesimo popoli e terre del tutto sconosciuti.
In questo quadro temporale e sociale si colloca Magellano: un eroe fedele servitore del suo Portogallo che, invece, lo emargina.
L’enigma che lui dovrà sciogliere è la via di comunicazione tra l’Oceano Atlantico e il Pacifico per arrivare ai paradisi orientali indirizzandosi, appunto, a ovest. Infine, sarà re Carlos di Spagna a concedergli di armare ben cinque navi.
“Magellano” è un libro di avventure che non ha nulla da invidiare ai grandi testi letterari del passato e riesce a incatenare il lettore per tutto il lungo viaggio, attraverso le difficoltà, il quasi fallimento, fino alla scoperta della via giusta.
Non sarà Magellano, però, a tornare in Spagna, né a godere del successo più grande dei tempi dell’età moderna ma un suo capitano che, durante i lunghi mesi del percorso, si era persino ammutinato.
Delle cinque navi partite da Siviglia, si salverà, infatti, una sola imbarcazione con pochissimi uomini ma zeppa delle costosissime spezie. In conclusione, il testamento di Magellano resterà “un foglio vuoto e inutile” e la moglie e il figlio non beneficeranno di nulla. Sappiamo, purtroppo, che questi sono spesso i destini dei più grandi.
L’autore del testo, Stefan Zweig, ha potuto ricostruire tutte le vicende grazie ai diari di Antonio Pigafetta, colui che aveva annotato per mesi e mesi ogni minimo dettaglio. Ma dalle precise memorie di Pigafetta si intuisce anche un’enorme rivelazione per il Cinquecento: la sfera terrestre gira intorno al proprio asse per cui in diverse parti del mondo la data e l’ora sono diverse.
Nonostante tutto, “un singolo uomo, con la sua piccola vita transitoria, è stato capace di trasformare in realtà e verità eterna ciò che per centinaia di generazioni è stata solo una chimera.”

Renata Rusca Zargar

domenica, marzo 19

CRIMINI SENZA CRIMINALI E LAZZARO CON LA BROCCA D'ACQUA di P. MAURO ARMANINO

Crimini senza criminali

 e Lazzaro con la brocca d’acqua 


Il banchetto di Epulone

XVIII secolo, Scuola napoletana

Si trovano negli uffici, nelle banche, nei seggi dei parlamenti, davanti agli schermi dove si gioca d’azzardo con la storia, le azioni della borsa, le delocalizzazioni delle sedi delle ditte e sanno dove si trovano le terre rare che preparano l’avvenire senza inquinamento per il nord del pianeta, nei programmi televisivi e nelle università dove si forgiano le ideologie delle economie politiche del momento, tra gli ‘influenzatori’ dei media, nei dibattiti e dove si prendono le decisioni per come dovrà essere il mondo nei prossimi venti o trent’anni, cosa si deve pensare, comprare, vendere, investire, tra gli interstizi delle forme religiose che addomesticano le coscienze oppure le rendono del tutto succubi delle mortali visioni dell’altro come nemico da eliminare perché seguace di un altro dio. Stanno dietro le decisioni di armarsi e riarmarsi sempre di più perché le guerre non finiscano mai e tornano sempre sul luogo del delitto, investono nella loro sicurezza  e inventano, controllano, fabbricano barriere che somigliano a frontiere, tradiscono coscientemente le parole perché ne hanno rapito il segreto che solo i poveri possedevano per farle germogliare, definiscono chi e come si deve nascere, morire, invecchiare e soprattutto coloro che saranno degni di abitare il mondo che  loro appartiene perché sono loro, i padroni del mondo.
Non hanno nome; eppure, si trova facilmente il loro indirizzo tra i piani alti delle sedi delle transnazionali e nella classe che attorno a loro si aggrega, banchettano, viaggiano, commerciano, vivono in un modo differente, vestono di porpora e di lino finissimo e non vedono chi si trova accanto alla porta d’ingresso del palazzo ben custodito da telecamere e guardie del corpo, chi invece ha un nome scolpito sulla sabbia che si rinnova ogni giorno. Proprio lui, invece, un nome ce l’ha e si chiama Lazzaro e lui, il sistema mortale che fa finta di non sapere e di non conoscere, eppure stava ogni giorno alla porta, mendicando uno sguardo, un tempo, un presente. Lazzaro, ogni giorno davanti all’ingresso del palazzo dove i cani hanno più fortuna di lui e il sistema che elimina, esclude, uccide, sperpera, condanna, ignora e deporta sempre più lontano dagli occhi e dal cuore chi migra da una scomparsa certa nel nulla globalizzato. Si trovano sempre altrove e da ogni parte si trova la loro traccia e sono apertamente dittatori perché hanno venduto la vita a ciò che vita non dà e cioè il denaro che il mondo adora come dio padre e padrone, si pensano immortali e dimenticano la cenere, la polvere, il vento, la primigenia esperienza di piccolezza nel grembo materno, sono smemorati per necessità e vivono di un presente rubato agli altri e sepolto anzitempo nei cimiteri nascosti delle città.
Si trovano nei consigli di amministrazione dove basta un messaggio per mettere sul lastrico migliaia di persone e poi vedono Lazzaro da lontano, quando è tardi e allora lo riconoscono, supplicano che l’abisso che si è scavato tra i loro mondi sia di colpo eliminato, lo riconoscono e lo chiamano per il nome che prima non avevano mai pronunciato, Lazzaro gridano perché li ascolti e ristori l’arsura che consuma le ultime parole che non hanno mai pronunciato prima, gridano a colui che non avevano visto accanto alla porta d’ingresso, e Lazzaro il povero mendicante, seduto vicino ad Abramo, si alza e porta agli assetati una brocca d’acqua.

        Mauro Armanino, Niamey, 19 marzo 2023

venerdì, marzo 17

"CARE FIGLIE SAMINA E ZARINA" di RENATA RUSCA ZARGAR

 Articolo pubblicato oggi 17 marzo 2023 sul sito: 

Per il concorso relativo alla Festa di San Valentino
“Care figlie Samina e Zarina”

di Renata Rusca Zargar

Care figlie Samina e Zarina, da tempo pensavo di indirizzarvi una lettera per parlarvi di noi: una specie di ultimo testamento d’Amore. Mi capita, dunque, l’occasione e la scrivo ora, in coincidenza della Festa di San Valentino che, per varie vicissitudini storiche e religiose, è diventata la festa degli Innamorati. Veramente, io non credo nelle feste convenzionali che, spesso, di buono hanno solo di movimentare il commercio per i regali quasi obbligatori mentre non hanno conservato affatto i valori di riferimento.

Credo, però, fermamente nell’Amore e credo ancora che possa essere eterno.

In questo ultimo periodo, ho visto un bellissimo film (Le pagine della nostra vita) in cui il protagonista anziano si fa ricoverare nella stessa residenza sanitaria dove si trova la moglie malata di demenza grave. Quando i figli e i nipoti gli chiedono di tornare a casa perché hanno bisogno di lui mentre lei neppure lo riconosce, egli risponde: “La mia casa è qui, con lei”.

Penso che questa frase sia il senso di tutto quello che, probabilmente, ogni essere umano desidera. Un Amore talmente grande da vivere pazzamente e intensamente lungo le stagioni dell’esistenza e così forte da non finire mai.

Quando sono andata in India, moltissimi anni fa, la mia vita era normale ma immobile. Là, nel Kashmir, ho incontrato lui, Zahoor, e da quel momento l’espressione dei suoi occhi dolci non mi ha più lasciata. La rivedevo sempre davanti a me ed era come se mi chiamasse. “Abbi cura di te.” mi aveva detto alla ripartenza di quel lungo giro che avrei fatto in Oriente. Allora, avevo cambiato l’itinerario del mio viaggio ed ero tornata lassù, sui monti della luna, da lui. Avevo riconosciuto l’Amore totale, la follia e l’attrazione alle quali non si può dire di no e che non sono prigione ma libertà e felicità.

La nostra è stata una relazione molto complessa: nel tempo, abbiamo dovuto superare le distanze di mondi, cultura, abitudini, tradizioni; abbiamo incontrato difficoltà, crisi, disgrazie, lutti. Ma non abbiamo mai permesso a noi stessi di cadere nell’abitudine, nell’indifferenza, cioè in quella che io chiamo morte anticipata. Nei momenti più ardui, ci siamo sostenuti puntando sui valori irrinunciabili che ognuno di noi cerca nell’altro.

Per me sono stati la bontà e l’intelligenza.

Lui è buono, voi lo sapete bene, ed è intelligente. Sa adattarsi, cambiare, crescere, informarsi. Perciò l’Amore che provo per lui è stato protetto dall’ammirazione e dalla fiducia.

In questo periodo, ha dei problemi a una gamba. Oggi è domenica e lui è a casa dal lavoro. Di solito, la domenica pulisce e mette in ordine ma ora non può. Io, però, questa mattina dovevo uscire per andare in piscina e, per paura che lui si facesse del male, avevo nascosto l’aspirapolvere sul poggiolo. Quando sono tornata, ho trovato che aveva pulito la cucina e il soggiorno.

Mi ha detto: “Tu sei la mia vera moglie. - (perché ho nascosto l’aspirapolvere per il suo bene) -Ma io sono il tuo vero marito.” (perché ha trovato lo stesso il modo di aiutarmi).

Ha sempre fatto di tutto per me, che non è solo aver lasciato il suo paese e la sua bella e grande famiglia, ma è condividere ogni giorno ogni circostanza: le pulizie, la crescita di voi figlie, l’assistenza ai miei parenti e molto altro.

Così, l’insania amorosa che ci tiene avvinti e che ci rende felici non è mai finita, quando nell’abbraccio dell’altro si trova ancora l’universo tutto.

Chissà come, un destino salvifico (o chi per lui) ci aveva fatti incontrare.

Noi, però, siamo stati capaci in quell’istante di riconoscere quel dono.

È stata una vita meravigliosa e lo sarà ancora nella vecchiaia.

Perciò volevo scrivervi, perché teniate sempre presente che non dobbiamo mai accontentarci: abbiamo diritto alla felicità e per lei dobbiamo sempre combattere.

Come per tutte le nostre grandi Passioni.



 12-2-2023

la mamma


domenica, marzo 12

RED CARPET per il racconto di DANILA OPPIO per I MIGLIORI ANNI de LA LUNA E IL DRAGO di ANNA MONTELLA

 


Un'altra splendida iniziativa di ANNA MONTELLA per il CAFFE' LETTERARIO LA LUNA E IL DRAGO. 


Per quanto mi riguarda, ho partecipato con una mia opera all'antologia I MIGLIORI ANNI, con il racconto  All’ombra dei migliori anni, Ha ottenuto il primo premio che consisteva in questo video.




Il segnalibro


Il diploma


E infine la stella del red carpet! 




Grazie Anna Montella!

PECCAMINOSAMENTE - lirica di ROBERTO VITTORIO DI PIETRO

Questa lirica di Roberto Vittorio Di Pietro fa parte della silloge poetica de: IL VERO, IL BELLO...L'ANELLO CHE NON TIENE edita da Edizioni Helicon


Non desiderare la roba d'altri

PECCAMINOSAMENTE 

Epitalamio

con il cuore im mano:

né ironico, né pseudoreligioso


Donna, tu felicissima creatura, 

di me, che ambisci?...In questa vita l'unico

anello che non ceda è un miglior vero

che già possiedi, e forse è solo tuo.

Immensità oceanica

se il Cielo t'ha  voluta,

profonda sii ugualmente: sappi credere

a chi ti frena quanto più t'adora.


Non invidiarlo, a me, quel che più odio

del sesso mio: la boria...l'inclemenza...

la smania d'ogni specie di bruttura...

Pretesco sposo, io?! Oh, fossi, ah strillerei

non puoooi! desiderarla

peccaminosamente

la rooba d'altri! Tanto meno quella

mostruosa!...orrenda! che appartiene

a me.



IL DUBBIO - opera di NORMA TROGU

 


OPERA DI NORMA TROGU



DONNE AL POTERE di RENATA RUSCA ZARGAR

 


DONNE AL POTERE

La giornata delle donne è, ormai, passata oltre. La Rai ha insistito molto con pubblicità e programmi per la parità di diritti tra maschi e femmine, forse perché il nostro presidente del consiglio è donna. A dire il vero, “la presidente” non desiderava essere denominata così, ma voleva essere "il presidente": quasi certamente pensava che una carica prestigiosa potesse essere coniugata solo al maschile!
"Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana “, aveva gridato a squarciagola a suo tempo. Uno slogan che qualifica la donna prima di tutto come madre. Ma voi lo immaginate un politico uomo che urla "sono padre"? Probabilmente, la stragrande maggioranza dei politici e dei maschi in generale saranno padri ma non comporta che conti nella loro professione. Perché dovrebbe contare per una donna?
“Sono italiana.” E allora? Se sei un/a politico/a italiano/a si presume che tu sia italiano/a. Non sarà per caso una contrapposizione a chi italiano non è e non troverà spazio in questo paese? Anzi, allontanate le ONG e disponibile lo stato solo a operazioni di polizia, il migrante sarà abbandonato e persino accusato di partire con i figli mettendoli in pericolo. Eppure, è gente che fugge da guerre e morte sicura e, nella migliore delle ipotesi, da fame, malattie e torture.
Ma noi non ne abbiamo colpa, ci rassicuriamo.
Tuttavia, se gli Europei non avessero colonizzato e depredato con la superiorità e crudeltà delle armi gli altri continenti, se restituissero tutto quello che hanno rubato e sfruttato nel corso dei secoli, ad esempio, sicuramente saremmo noi che dovremmo andare altrove con i barconi.
"Sono cristiana." Ho sempre pensato che essere credenti o non credenti, aderire a una religione o a un'altra, sia un fatto personale e intimo. Non c'è bisogno di sbandierarlo in piazza e neppure a casa propria. Quando si ha il grande dono della fede, si è già molto impegnati a migliorare se stessi per essere più buoni, più caritatevoli, più solidali con gli altri -tutti- perché li riconosciamo fratelli e sorelle in quanto figli di Dio. Per il credente, non esistono "razze", né colori, né identità sessuali, c'è solo un Padre e tanti figli che Lui stesso ha voluto diversi. A meno che non si esibisca il proprio credo per lanciare un messaggio neanche tanto occulto che il credo altrui sia sbagliato. In quel caso, il testamento di pace e amore di Gesù Cristo è  già stato tradito.
Non credo, dunque, che la nostra civiltà ancora patriarcale, razzista, sessista, omofoba, poco o niente cristiana, abbia fatto un passo avanti con una donna presidente del consiglio.
Un'onda di cambiamento positivo però l'ha portata inconsapevolmente: la scelta di più di un milione di simpatizzanti per una Segretaria del Partito Democratico.
Dunque, un’altra donna a capo di un partito!
Le primarie del PD sono, secondo me, una vera manifestazione di democrazia, seppure un po' scopiazzate dagli Americani. Chiedere a chi non è iscritto di esprimere un parere vincolante è aprire ai simpatizzanti le porte del cuore. Il lato negativo è che, forse, saranno andati a votare anche i non simpatizzanti, magari sostenitori di altri partiti. Può essere. Però, in tempi di voto liquido che cambia a ogni refolo di vento, dimostrarsi democratici e aperti, potrebbe essere persino attrattivo di voti futuri. Inoltre, gli elettori non iscritti si sentono tenuti in considerazione, sanno di poter accedere alle segrete stanze.
Qualche iscritto, tuttavia, visto che nella votazione tra iscritti aveva prevalso Bonaccini, si sarà sentito defraudato perché quel voto è stato sovvertito. Ma gli iscritti, se non sono d’accordo sul voto popolare, essendo parte dell'organizzazione, possono adoperarsi per cambiarne il regolamento, se ritengono.
Invece, c'è chi, come i bambini che giocano a calcio e che se perdono la partita vanno via con la palla, ha deciso addirittura di abbandonare il partito. 
Qualcuno pensa pure che, magari, una donna non sarà all'altezza.
Io credo, invece, che tutte le donne avrebbero dovuto sostenere Elly Schlein, senza se e senza ma, perché ogni vittoria raggiunta da una donna rende più forti tutte le donne, anche chi non lavora, anche chi non vuole fare carriera. Ogni successo femminile rende tutte le donne più consapevoli in generale di essere umane come chiunque e, forse, qualcuna che viene offesa, denigrata, o picchiata per anni prima di essere uccisa, troverà la forza di fuggire in tempo. 
Ogni parola a favore di una donna, può essere salvifica per un'altra e non contano le mimose stereotipate, conta non sentirsi esseri inferiori di serie b, ma persone ricche di dignità come chiunque altro. Tante donne in tutto il mondo si sentono ancora colpevoli di essere nate, per questo il riscatto passa anche dal successo di ognuna di noi.
Votiamoci tra donne, sosteniamoci, affidiamoci ad altre donne senza più paura e complessi di inferiorità.
Gli uomini sono sempre solidali tra di loro, le donne no. Ci avete mai fatto caso?
Dunque, il dubbio di alcuni è che forse questa donna non sarà all'altezza.
Può darsi, ma credo che peggio degli ultimi uomini a capo della Segreteria non potrà mai fare. Il PD ha dato l’impressione di essere diventato stabilmente di potere, inamovibile dal potere stesso, dilaniato dalle correnti, indifferente a chi ha bisogno, incapace di progredire nei diritti civili, incapace di fare opposizione perché disposto a tutto pur di essere nelle maggioranze di governo, in grado solo di seguire la famosa agenda Draghi, cioè l'agenda di un banchiere di destra! Un partito senza alcuna identità certa. Come si potrebbe mai fare peggio?
Ora, la Schlein ha un programma che ci avvicina - se fosse mai messo in pratica - all'Eden. Naturalmente il PD per questo giro non è al Governo (meno male altrimenti, magari, con un qualsiasi Segretario, avrebbe potuto persino proporre l'agenda Meloni!!!) e quindi non ci si può aspettare che tutto cambi.
Per chi ha perso la fiducia, per chi non riconosce più il Partito come progressista nato dall'unione delle migliori energie progressiste dei partiti di un tempo, basterebbe iniziare con un'opposizione seria. E magari lasciare da parte le varie correnti che trascinano, come le tempeste, un po' di qua e un po' di là, impedendo una visione chiara della larga strada da seguire.

Questo articolo è stato  pubblicato su LIGURIA 2000 a questo link:


e su Controluce a questo link:


Renata Rusca Zargar