POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

lunedì, dicembre 16

MILLE ANNI PER UN' "AVE MARIA" "PREGA PER NOI PECCATORI" Quinta conferenza di Avvento di Padre CLAUDIO TRUZZI OCD


Lorenzo Lotto, Natività, 1523, Washington, National Gallery of Art

5 – MILLE ANNI PER UN’ “AVE MARIA”
«PREGA PER NOI PECCATORI»


Sappiamo e crediamo che esiste la grande verità della “Comunione dei Santi”. Cioè, che tutti possiamo intercedere l’uno per gli altri davanti a Dio. E allora, quanto più lo potrà fare Maria, la Madre spirituale di tutti noi!
Non c’è spazio, né crediamo necessario dimostrare tale affermazione in queste pagine. Basterà precisare, e fare avvertenza a che si eviti un possibile errore d’interpretazione.
Quando affermiamo che Maria è la mediatrice universale di tutte le grazie, che è l’“onnipotenza supplicante”, ecc., non intendiamo affermare che Dio l’ascolta come se Lui fosse alla mercé delle volubili suppliche umane. No! Ricordiamo e confessiamo che il potere divino è stato “incorporato” in Maria dallo Spirito Santo che abita in lei, e dalla sua maternità divina di Gesù. In una parola, il “potere” di Maria le viene dalla sua intima unione con la Trinità. Possiamo dire che, in Lei è lo stesso Dio che “presenta” le nostre suppliche (Non è infatti, lo stesso Spirito Santo, Dio, che ci fa pregare – come ci ricorda S. Paolo –, che ci pone nel cuore le parole giuste, “gemiti ineffabili”, da rivolgere al Padre, Dio?). 
Nell’accogliere le nostre suppliche è lo stesso Dio che, in Maria, si volge pieno di bontà sui propri figli.

IL SIGNORE HA POSTO VICINO A NOI MARIA
«Il Signore, nel piano provvidenziale della creazione e della Redenzione, ha voluto porre vicino a noi Maria Santissima, che ci sta accanto, ci aiuta, ci esorta, ci indica con la sua spiritualità, dove stanno la luce e la forza per proseguire il cammino della vita».
Giovane ancora, padre Massimiliano Kolbe così già scriveva da Roma alla mamma: «Quante volte nella vita, ma particolarmente nei momenti più importanti, ho sperimentato la speciale protezione dell'Immacolata ...! Depongo in lei tutta la mia fiducia per il futuro».
UNA MADRE ALLA QUALE PUOI CHIEDERE TUTTO
Ci sono momenti in cui non ci si accontenta di pensare che Maria è lì, che ci guarda, ci protegge e fa crescere in noi la vita divina; si prova il bisogno di guardare a lei le nostre angustie o di presentarle con calma le nostre.
Santa Teresa di Gesù Bambino si ricollega alla grande tradizione della Chiesa che ci fa chiedere nelle feste della Vergine "la salute dell'anima e del corpo"; per la sua intercessione chiediamo a Dio "di essere liberati dalle tristezze di questo mondo e di gustare le gioie dell'eternità". Ad una mamma non piace di vedere i suoi bambini nella tristezza. Non è dunque normale chiederle di ottenerci gioia e salute?
Si trova la stessa atmosfera nella bella preghiera di padre De Grandmaison:
Santa Maria, Madre di Dio, conservami un cuore di bambino,
puro e trasparente come sorgente;
ottenetemi un cuore semplice, 
che non conosca la tristezza.
Teresa lo faceva con molta semplicità e spontaneità. Sapeva che ad una mamma si può dire tutto. Aveva compreso che non bisogna mai "pastorizzare" la propria preghiera, soprattutto quando ci si rivolge alla Vergine:
«Vorrei avere una bella morte per farvi piacere – dice alle sue suore il 4 giugno 1897 –; l'ho chiesto alla Madonna. Non l'ho chiesto al Signore Dio, perché voglio lasciarlo fare come vorrà. Chiedere alla Santa Vergine, non è la stessa cosa. Ella sa bene cosa deve fare dei miei piccoli desideri, se occorre che li dica o non li dica».
Due giorni più tardi, dopo una visita del medico che la trovava meglio, confessa che aveva molta voglia di andarsene. «Lo dico alla Madonna – continuava – che ne fa quello che vuole”.
Una riflessione analoga nella festa del 15 agosto: «Chiedevo ieri alla Madonna di non tossire più, perché suor Genoveffa possa dormire, ma ho aggiunto: «Se voi non lo fate, vi amerò di più».
Magnifica devozione mariana, la cui intensità non dipende dalle carezze ottenute, ma che osa chiedere le cose più semplici».
“PECCATORI”! 
La definizione, la qualifica che a noi calza a pennello!
Nessuno venga a sostenere che, in genere, noi uomini siamo restii ad aggiungere ai nostri rispettivi nomi degli aggettivi qualificativi. Li abbiamo, anzi, ricercati per tutti gli uffici e per tutti i gusti: 
– da imperatore, re, governatore, (i qualificati “i grandi”) ad un eccetera interminabile – per i politici
– a quello di pontefice, cardinale, patriarca, archimandrita, vescovo, e molti altri, per gli ecclesiastici.
– Si continua con il rettore magnifico, cattedratico, laureato e licenziato, tra i docenti; fino a quelli di  maresciallo, ammiraglio, generale, capitano di corvetta o sergente, tra alcuni di carattere militare.
– E tutto ciò, senz’entrare nell’inestricabile ragnatela di titoli nobiliari, impresari, sociali, ecc. 
– Tutti lottiamo dalla mattina alla sera affinché, almeno, ci tengano per intelligenti, ricchi, amabili, educati,  sportivi o belli… o “moderni”, al “passo coi tempi”, ecc, ecc.
Ebbene, lungo la sfilza dei secoli in cui, coscientemente o meccanicamente, si è venuta recitando la preghiera della “Ave Maria”, abbiamo dato, stavolta almeno, nel segno, affibbiandoci la qualifica che più ci va a pennello, che ci si descrive e ci s’inquadra: quella di “peccatori”.
Non è facile, però, riconoscerci tali!

sabato, dicembre 14

LA GUERRA RIPUDIATA di Padre MAURO ARMANINO

 

La guerra ripudiata

‘io sono la guerra’, aveva quasi urlato Cisca, originaria della Democratica Repubblica del Congo. Una storia di esilio senza fine costellata da innumerevoli esperienze vissute sulla propria carne di donna.  Si trova adesso nel suo paese di origine e i contatti, fatalmente, col tempo si sono allentati. Potrebbe essere un buon segno perché lei voleva mettersi al servizio di donne, come lei, ferite dalla guerra. 

Una volta cominciate le guerre non finiscono mai. Lasciano paure, cicatrici, traumi, ferite, memorie di congiunti, amici e vicini uccisi o minacciati di morte. La fuga, l’esilio e, spesso, il lungo viaggio alla scoperta di una terra ospitale nell’inutile tentativo di dimenticare il dramma vissuto nella propria. Le immagini della casa abbandonata, bruciata e distrutta abiteranno per sempre i loro occhi.

Sono arrivate a Niamey non da molto. Le vedove e le madri i cui figli hanno perso la vita per le azioni terroriste di ‘Boko Haram’ o altri gruppi affini. Molte di loro avevano trovato lavoro nel Mali, cercando un improbabile riparo dalla violenza armata. Anche in quel Paese le cose si erano messe male e così, per vie traverse hanno raggiunto il Niger. Altre donne le hanno raggiunte per analoghi motivi.

Queste ultime, come le precedenti, sono scappate dal ‘gigante’ demografico e in parte anche economico dell’Africa, la Nigeria. Queste persone non sono che fastidiose incombenze statistiche per le Nazioni Unite e altre agenzie umanitarie. Vivono di nascosto in città col numero imprecisato di bambini ignari, per ora, del destino che li attende. Le guerre, quando incominciate, non finiscono mai.

Dopo la guerra, la violenza armata, l’esodo, la fuga e la scomparsa del mondo conosciuto comincia l’altra guerra. Quella che si continua a combattere per ricominciare a vivere una vita decente in mezzo a gente che troppo spesso non coglie il dramma che gli sfrattati del futuro si portano dentro. Alfredo è partito dal Cameroun dove aveva creato un’accademia di calcio. Ora gioca, di nascosto, con la vita.

I ricordi gli scivolano tra le dita. La figlia di cui non ha più notizie e la famiglia di cui ha perso le tracce. La guerra nella guerra continua per il cibo, un alloggio, i documenti, la salute e un lavoro che gli permetta di ridare vigore alle sue illusioni perdute. Prega, partecipa a convegni religiosi e, da qualche giorno, si è presentato alla Casa della Cultura Russa recentemente apertasi a Niamey. 

Vorrebbe cominciare a seguire i corsi gratuiti di lingua perchè spera, un giorno, di essere scelto per una borsa di studio in Russia. Difficile cogliere dove può condurlo la sorte. Nel frattempo, ha seguito corsi di informatica e spera di tanto di fondare un’altra accademia. In essa si imparerebbe come le spade possano diventano vomeri, le lance falci e l’arte della guerra sarebbe ripudiata per sempre.

 Mauro Armanino, Niamey, dicembre 2024

domenica, dicembre 8

MILLE ANNI PER UN’ “AVE MARIA” 4 – “SANTA” MARIA "



MILLE ANNI PER UN’ “AVE MARIA”

4 – “SANTA” MARIA"

Entriamo, ora in una nuova dimensione. Mentre nella prima parte abbiamo pregato in chiave di “bene-dizione” e di “lode”, da questo momento la preghiera si apre alla “petizione”. 

Una grande supplica che si venne tessendo con voci anonime già nel basso Medio Evo, sino a conseguire – come abbiamo detto – il certificato di autenticità per opera di papa Pio V.

L’inizio di questa seconda parte della “Ave Maria” dà la sensazione che si continui a pregare – dirigendoci alla Madonna – in chiave di lode. Ma non abbiamo annunciato che questa seconda sezione era di supplica? Certo! Ciò che succede è che non c’è miglior prologo per introdurre una richiesta che il riconoscere la grandezza di colui al quale la dirigiamo. 

Per tale motivo iniziamo col proclamare: “Santa Maria!”.

Beatifichiamo e canonizziamo con questa preghiera Maria migliaia di volte. Mentre lo facciamo, sentiamo, però, anche la consolazione del fatto che la sua non è una “santità da piedistallo”, di quelle che elevano gli eroi o le eroine alla stratosfera celeste. 

L’aureola della santità di Maria non ci abbaglia. Al contrario, abbassa questa parola “santità”- tanto austera e abitualmente disincarnata – al livello nostro, quello del quotidiano e dell’intimo. Perché, che fortuna che esistano i santi e che ci sia possibile proclamare “santissima”, né più né meno che la nostra Madre! Questi sono la prova più palpabile del trionfo del Salvatore (“Figlio dell’uomo” – come spesso si auto definisce il Cristo Gesù), del successo della nostra povera specie umana e della possibilità che alberga in ognuno di noi! 

Da come morì Gesù – appeso ad un legno come un volgare facinoroso –, nessuno avrebbe scommesso un soldo sulla sopravvivenza di quella sua sublime dottrina. Ogni santo, ogni dettaglio di santità che appare lungo la storia, non è, invece, se non la dimostrazione palpabile del fatto che le piaghe di quel Crocefisso “infettarono” la carne e il sangue di milioni di esseri. Sino a giungere a noi!

Ed affermiamo che in ogni santo trionfa pure, per la medesima ragione, la specie umana. 

Come dolorosamente sperimentiamo, tutto si trova macchiato dalla bava immonda di quel male che chiamiamo “peccato”. Non esistono soltanto sette, ma settanta volte sette peccati capitali.

Questa carovana di uomini e di donne come noi, che attraversa la storia con il sostantivo di santi e l’aggettivo qualificativo di martiri, confessori, vergini ... dimostra, tuttavia, che qualcosa di limpido è rimasto; che, alla fin fine, il Maligno è stato vinto; che questa visione tanto pessimistica che teniamo della nostra povera umanità non è giustificata, giacché i santi … esistono! 

E sono di più, molto più numerosi di quanto si creda, perché la grazia di Dio opera con potenza.

Per questo, ogni volta che preghiamo esclamando: “Santa Maria!”, in Lei noi incontriamo la moltitudine che, secondo l’Apocalisse, «nessuno poteva contare». Come se Maria li stringesse tutti al seno, giacché, di fatto, sgorgarono dal seno della sua maternità spirituale: dal protomartire Stefano fino all’ultimo santo proclamato dal Papa; da quelle santità che brillano come di luce propria (quella di Pietro e Paolo, Gerolamo e Agostino, Francesco e Chiara, Domenico e Caterina da Siena, Teresa di Gesù e Giovanni della Croce, Teresa di Gesù Bambino, Massimiliano Kolbe e Edith Stein …), sino a quella degli innumerevoli santi anonimi, commemorati con affetto ogni 1° novembre nella festa di “Tutti i Santi”.

In questa sussurrata o proclamata invocazione della “Santa Maria!”, sono, a loro volta, racchiuse tutte le nostre “sante marie”, in minuscolo: sono le nostre bambine, le nostre giovani, le nostre donne. Queste sono come successive edizioni 

*  di Maria bambina, presentata al Tempio;

* della madre gestante, senza parola di fronte al mistero della nuova vita      che sente agitarsi nelle sue viscere;

*  delle povere madri che danno alla luce in pace e con amore, però in          una  povera catapecchia;

*  di quelle che devono fuggire con figli e masserizie verso “Egitti”                  stranieri; 

*  o  che soffrono persecuzione per l’eroismo dei loro figli; 

*  della madre che raccoglie come qualcosa di sacro il loro cadavere              giustiziato;

*  di tutte le vedove e le “Soledades” di questa storia, che loro non                costruiscono, ma subiscono.

Noi le evochiamo tutte. Tutte le lodiamo, ogni volta che preghiamo dicendo: “Santa Maria!”.

sabato, dicembre 7

UN GIRO AD AOSTA CON ALESSANDRA GIUSTI Lévêque - AUGURI DA DANILA OPPIO

 Per le feste natalizie, la carissima amica Alessandra Giusti mi ha inviato alcune foto della sua passeggiata ad Aosta, presso i mercatini di Natale, sapendo che a me piacciono molto e che non posso recarmi per ora ancora in giro. La strigo al cuore e la ringrazio per avermi portata con lei, attraverso le immagini! Colgo l'occasione per augurare Buone Festività a tutti! 








AUGURI A PADRE NICOLA GALENO OCD, nel giorno del suo onomastico religioso, affinché San Nicola la aiuti a guarire






 

I Potenti, i Nemici, gli Opportunisti e gli Altri di Padre MAURO ARMANINO

IL FASCINO DELL'UNIFORME

I Potenti, i Nemici, gli Opportunisti e gli Altri

Sono coloro che detengono il potere di decidere tra il bene e il male per il popolo. Presumono rappresentarlo o quanto meno guidarlo per il suo bene. I potenti hanno dalla loro parte la forza o la violenza ’legittimata’ a seconda di come la si guardi. Tentano di creare il tipo di realtà che meglio si accomodi al modello che hanno immaginato. Si presumono indenni da perniciose ideologie che potrebbero disturbare la visione dominante. L’ideale desiderato è un pensiero unico, egemonico e inconfutabile. Perché questo accada il modello di ispirazione militare è quello che meglio risponde all’esigenza unificatrice. Così come in molti Stati africani il modello del partito unico era sembrata la strategia per uscire dal sottosviluppo dopo le indipendenze degli anni ’60. Non casualmente la quasi totalità dei Paesi che avevano operato questa scelta ‘totalitaria’ hanno strutturato la società in un senso disciplinare. I colpi di stato ad opera dei militari non sono stati che l’espressione visibile del genere di società nel frattempo creato. Il fascino delle uniformi ha resistito alle seduzioni delle mode del momento. C’è chi ha sostenuto che il potere si trova nelle canne dei fucili e nelle cannoniere.

I nemici cambiano e sono funzionali ad ogni regime. I potenti potrebbero con difficoltà governare e mantenersi al potere senza di loro. Ci fosse da fare monumenti e cambiare i nomi di strade, crocevia o luoghi pubblici, ad essere onesti, bisognerebbe apporre i nomi dei peggiori nemici del popolo. Grazie a loro i Potenti giustificheranno gli stati di eccezione, il coprifuoco, le spese militari e soprattutto la loro transizione indefinita al potere. Nemici reali, inventati, fittizi, occasionali, provvisori, precari, nocivi o semplicemente funzionali appariranno come d’incanto al momento opportuno. Nei momenti di crisi o di difficoltà che ogni tipo di regime incontra, magicamente, apparirà un nemico qualsiasi per ridare fiato al sistema. Nemici interni e nemici esterni che manipolano quelli interni che a loro volta sono pagati da forze straniere che vorrebbero rendere vani gli sforzi di emancipazione faticosamente conquistati dal regime al potere.

Gli opportunisti non mancano mai e appartengono alle due sponde. Da nemici accaniti possono cambiare idea, pensiero, appartenenza e affiliazione. Così come amici sinceri e indefettibili si troveranno, talvolta senza volerlo, trasformati in nemici. Gli Opportunisti osservano, scrutano, misurano, stimano e poi scelgono, provvisoriamente, il campo nel quale mietere. Hanno la straordinaria capacità di capire chi vincerà la battaglia e su chi puntare per un posto, una posizione, un avanzamento o una semplice raccomandazione. Pregano che Dio li aiuti sempre a stare dalla parte giusta e a essere illuminati per cambiare in tempo nel caso le cose dovessero mettersi male.

Rimangono gli Altri. Non affiliati, non importanti, non utili, non loquaci, non riconosciuti e soprattutto non ascoltati. Gli Altri, la maggioranza che rifiuta di essere ridotta a una vittima collaterale del destino. Gli Altri che non vogliono scomparire prima che siano scritte le storie che non hanno mai raccontate. Gli Altri che partono e tornano, a volte, solo per andare altrove. Gli Altri, i preferiti dal Dio sconosciuto che, quel giorno, si alzeranno. Allora i troni dei Potenti si rovesceranno e gli Opportunisti cercheranno una dimora.  Gli Altri, quel giorno, inizieranno una festa senza fine e senza confini.

              Mauro Armanino, Niamey, 8 dicembre 2024

lunedì, dicembre 2

TRASGRESSIONE DI FRONTIERE di Padre MAURO ARMANINO






Trasgressione di frontiere

Si tratta del tempo dell’avvento, che fa rima con vento e avventura. Una venuta, quella di cui il Natale ci narra l’utopia, che appare come un passaggio, irregolare, di frontiere. Cielo e terra, divino e umano, santo e profano, straniero e compagno...l’altro e noi. Tutto quanto costitutiva la conformazione dello spazio e l‘organizzazione sociale della realtà è spazzato via. Il cielo e la terra si mescolano così come l’umano e il divino. Eternità e tempo sono entrambi santi così come il compagno e lo straniero che mangia lo stesso pane. Il primo trasgressore di frontiere è Dio. Pentito per averle inventate o forse permesse per debolezza nei confronti del suo popolo, ha scelto di renderle mero oggetto di studio per gli amatori di geopolitica o i politici per i quali esse non sono che strumento di controllo. L’av-vento porta lontano e si trasforma in av-ventura nella quale nuovi paesaggi creano storie nuove senza eroi e guerrieri. Senza frontiere per cui morire non c’è più nessuno e nulla da combattere. Le carte geografiche troveranno nei colori della speranza i nuovi confini della pace.

                  Mauro Armanino, Niamey, Avvento 2024

I DOMENICA DI AVVENTO - 1 dicembre 2024 - ANNO C -

Ndr: Aggiungo qualcosa sull'Avvento, che ho trovato nel Web.

Vangelo

La vostra liberazione è vicina. 

+ Dal Vangelo secondo Luca (Lc 21,25-28.34-36)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.

Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con grande potenza e gloria.

Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.

State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell'uomo».

Parola del Signore.

Spunti di riflessione

Oggi inizia l’Avvento, il tempo liturgico che preparandoci al Natale ci invita ad alzare lo sguardo e ad aprire il cuore per accogliere Gesù. In Avvento, però, non viviamo solo l’attesa del Natale; veniamo invitati anche a risvegliare l’attesa del ritorno glorioso di Cristo – quando alla fine dei tempi tornerà – preparandoci all’incontro finale con Lui con scelte coerenti e coraggiose. Ricordiamo il Natale, aspettiamo il ritorno glorioso di Cristo, e anche il nostro incontro personale con lui: quel giorno nel quale il Signore ci chiamerà a sé. In queste quattro settimane siamo chiamati a uscire da un modo di vivere rassegnato e abitudinario, e ad uscire alimentando speranze, vivendo e crescendo nell’amore fra noi e verso tutti, per rendere i nostri cuori saldi e irreprensibili nella santità, (1,Tes 3,12-13): in una parola, vincendo noi stessi per donarci nell’amore.

Il Vangelo di questa domenica va proprio in tale direzione e ci mette in guardia dal lasciarci opprimere da uno stile di vita egocentrico o dai ritmi convulsi delle giornate. Risuonano particolarmente incisive le parole di Gesù: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso…Vegliate in ogni momento pregando» (vv. 34.36).

Stare svegli e pregare: ecco come vivere questo tempo da oggi fino a Natale. Il sonno interiore nasce dal girare sempre attorno a noi stessi e dal restare bloccati nel chiuso della propria vita coi suoi problemi, le sue preoccupazioni, le sue gioie e i suoi dolori. Si rischia di ruotare sempre intorno a noi stessi. Tutto questo stanca, annoia e ci chiude alla speranza. Ecco allora trovata la radice del torpore e della pigrizia di cui parla il Vangelo. L’Avvento ci invita a un impegno di vigilanza guardando fuori da noi stessi, allargando la mente e il cuore per aprirci alle necessità sia spirituali che materiali, prima di tutto di chi incontriamo ogni giorno e ci vive accanto. Dal momento in cui ho dimenticato me stessa ho trovato la mia pace ha confidato una santa. Questo tempo è opportuno per aprire il nostro cuore, per farci domande concrete su come e per chi spendiamo la nostra vita. Sì, Per Te Gesù e per le anime ecco il nostro motto.

Il secondo atteggiamento per vivere bene il tempo dell’attesa del Signore è quello della preghiera. «Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (v. 28), ammonisce il Vangelo di Luca. Si tratta di alzarsi e pregare, rivolgendo i nostri pensieri e il nostro cuore a Gesù che sta per venire. Che bello pensare che il nostro Angelo Custode - purtroppo tanto da noi dimenticato - quando apriamo gli occhi al mattino e il Signore ci dona un’altra giornata, ci ripeta: Coraggio, Alzati, Ti chiama!  Ci si alza quando si attende qualcosa o qualcuno. Lui ci attende sempre. In questo nuovo Avvento, noi attendiamo Gesù, lo vogliamo attendere nella preghiera, che è strettamente legata alla vigilanza. Pregare con amore, attendere fiduciosi Gesù, aprirsi agli altri, essere svegli, non chiusi mai in noi stessi, nelle nostre ferite, delusioni o risentimenti!

Ma se noi pensiamo al Natale in un clima di consumismo, di vedere cosa posso comprare per fare questo e quest’altro, e ci lasciamo contagiare dal viverlo come festa mondana, Gesù passerà e non lo troveremo. Invece noi attendiamo Gesù e lo vogliamo attendere nella preghiera, che è strettamente legata alla vigilanza. Vigiliamo perché è così facile farci distrarre dal mondo e dalle sue proposte che ci impediscono di sollevare lo sguardo, il cuore e la mente in Dio. Lentamente anche se non ce ne accorgiamo diventiamo freddi e poco generosi. Accogliamo il proposito all’inizio di questo tempo di Avvento di visitare più spesso Gesù Eucaristico nel Tabernacolo per riscaldarlo con il nostro fervore e affetto. Contemplarlo con fede e amore e come mi attende e mi aspetta per riversare su me i suoi più stupendi favori: luce, forza, coraggio e tanto desiderio del Cielo. Ecco un bel consiglio che attraverso la sua esperienza con Gesù, ci dona Santa Caterina Labouré: “Quando vado in cappella, mi pongo davanti al Buon Dio e gli dico: Eccomi, Signore, dammi quello che vuoi. Se mi dà qualcosa, sono molto contenta e lo ringrazio. Se non mi dà niente, lo ringrazio lo stesso, perché me lo merito. Allora gli dico tutto quanto affiora allo spirito: gli racconto le mie pene e le mie gioie e ascolto. Se lo si ascolta, egli parlerà, perché con il Buon Dio bisogna parlare e ascoltare. E quando si va a lui semplicemente e sinceramente, Egli parla sempre”.

La Vergine Maria, che ci porta Gesù, ed è nostro modello e maestra in quanto ci ha insegnato il valore dell’attesa, della vigilanza e della preghiera, ci aiuti a rafforzare la nostra speranza nelle promesse del suo Figlio. Viviamo sempre con Lei, perché come Mamma buona e premurosa ci aiuterà ad accogliere la Grazia di Cristo e a distaccarci da tutto ciò che è contrario al nostro bene più grande.


domenica, dicembre 1

I RICHIEDENTI ASILO E LA DICHIARAZIONE DI NIAMEY di PADRE MAURO ARMANINO


La dichiarazione di Niamey

I richiedenti asilo e la dichiarazione di Niamey 

Ambroise arriva per vie traverse dal Centrafrica. Djibril è scappato dalla nativa Libia a causa di una persecuzione religiosa. L’amico Mohammed si è salvato da una morte certa in Somalia. Ibrahim, espulso dalla casa di accoglienza dell’Alto Commissariato per le Nazioni Unite dove si trovava da un anno, è stato derubato della somma datagli per pagarsi l’affitto. Moussa era da giovanissimo rifugiato in Marocco e adesso si trova, sperso anche mentalmente, a Niamey in cerca di una direzione da dare alla sua traiettoria di vita. Due giovani portatori dello stesso nome di origine etnica, Dinga, sono entrambi scappati dal Soudan del Sud, ultimo nato tra i Paesi riconosciuti che vive di guerra e di stenti. E poi tutti gli altri giovani, adulti, famiglie, donne e madri con figli. Accomunati da un’unica precaria identità. Richiedente asilo, porta scritto il documento rilasciato dalle competenti autorità locali. Grazie a questo effimero ‘riconoscimento’ con valore giuridico, essi godono di protezione umanitaria come ogni cittadino di questo Paese, il Niger, trasformatosi in ‘terra d’asilo’.
Si tratta di una dichiarazione di transitoria identità che sancisce uno stato di vita la cui durata puo contarsi in mesi o anni. Queste persone, cittadini indefinibili, sono il simbolo forse più eloquente della condizione umana, della nostra condizione di creature di polvere. Chiedere asilo e protezione, un luogo da vivere, una terra da camminare e un futuro da ricostruire è tutto quanto costituisce, assieme alle violenze e ferite, la nostra umanità perduta e, a volte, ritrovata. Non hanno una casa, una lingua da abitare, del cibo per nutrirsi, abiti per ripararsi e volti amici a cui confidare le loro lacrime. Sono, dei richiedenti asilo, il nostro specchio più autentico, vero e smascherato dagli orpelli delle retoriche umanitarie, filosofiche e talvolta traditrici, delle religioni. Siamo tutti uguali ma alcuni sono più uguali degli altri, diceva profeticamente George Orwell, scrittore e critico sociale di origine britannica.
La ‘Dichiarazione di Niamey’ della ‘Conferenza di Solidarietà Antimperialista con i Popoli del Sahel’, tenutasi la settimana scorsa, rivela una volta di più il dramma della nostra epoca e dell’Alleanza degli Stati del Sahel, AES, in particolare. Si tratta della frattura tra fine perseguito e i mezzi per conseguirlo. Si evidenzia il fossato tra una lettura storica delle cause della miseria del Sahel e la giustificazione dei colpi di stato. Questi ultimi sono letti come ‘incapacità degli Stati a proteggere gli stessi dall’ aggressione imperiale francese e la complicità col terrorismo’. I golpe sono pure ‘espressione di malcontento popolare e appello al cambiamento’. Sappiamo per esperienza storica che tra il fine e i mezzi esiste un’inscindibile relazione di complicità. Anche il fine più nobile e degno, la sovranità e l’indipendenza totale, come richiamato nella Conferenza, sarà tradito se i mezzi non saranno in relazione col fine prefisso.
Il richiedente asilo vive sulla sua pelle la distanza tra il riconoscimento della sua vulnerabilità e l’abbandono nella vita reale. Lo stesso baratro che esiste tra l’annuncio di una trasformazione politica radicale e la sua censura nella vita politica dei cittadini. Tra altisonanti proclami di sovranità e una propaganda da regime che offusca la condizione del quotidiano dei cittadini, diventati per buona parte, dei ‘richiedenti asilo’ nel proprio Paese.



             Mauro Armanino, Niamey, dicembre 2024

sabato, novembre 30

MILLE ANNI PER L’ “AVE MARIA” Terza conferenza per l'Avvento di Padre Claudio TRUZZI OCD «IL SIGNORE È CON TE»

Annunciazione del Beato Angelico

MILLE ANNI PER L’ “AVE MARIA”

Terza conferenza

«IL SIGNORE È CON TE»

Talvolta ci troviamo soli!

E alla solitudine non desiderata seguono l’insicurezza, la paura, l’angustia e persino la pazzia. 

«Senza la grazia che incanta – cantava il poeta – la solitudine dell’eremita spaventa. Più spaventosa ancora, però, è la solitudine di due in compagnia». Perché non c’è nulla di terribile come la solitudine del cuore. Niente. Nessuna tanto drammatica; nessuna tanto nefasta.

Se da una simile solitudine passiamo alla vicinanza con la persona amata, allora tutti i soli brillano all’aurora. Sentendoci in compagnia, acquistiamo in sicurezza, in gioia, in pace …

Per un credente non c’è nessuna compagnia tanto gratificante e totalizzante quanto quella del suo Dio. Nulla di strano, quindi, che l’angelo del Signore s’affrettasse a cancellare il turbamento di Maria con le parole che ora commentiamo: «Il Signore è con te!». Dio era già con lei; lo era da sempre, come abbiamo appena visto, nel contemplarla “piena di grazia”. L’angelo, però, ricorda ed evidenzia simile compagnia. 

Per una breve riflessione opportuno sarà soffermaci su tale vicinanza.

Di fatto, Dio è con noi?

Sembra che in alcuni momenti anche i più grandi credenti l’abbiano sentito lontano, Dio. «Dal profondo a te grido, Signore. Signore, ascolta la mia voce!», supplica il salmista. Molto più prossimo ci risuona il grido addolorato del buon fra Giovanni della Croce: 

«Dove ti sei nascosto, Amato, e mi hai lasciato gemente. 

Uscii dietro a te, e te ne eri andato!». 

Da ogni parte, infine, ci avvolgono rumori, lamenti e proteste sul silenzio di Dio e persino sulla morte di Dio.

Nonostante tutto, nonostante le traversie del deserto e di tutte le notti oscure che l’uomo di fede deve affrontare, Dio, però, è sempre molto vicino a chi lo supplica, a chi l’invoca sinceramente. 

A quel popolo della Bibbia – nostro predecessore –, che si autodefinì come “gruppo in cerca del suo Signore”, Dio lo ricordò ripetutamente: «Non temete nulla …, perché sono con voi per salvarvi e liberarvi dalla sua mano», (Geremia 42, 11), riferendosi a un reucolo di quel tempo. 

«Io sto con voi» – ricorda Jahvè al suo popolo per bocca del profeta Aggeo (1, 13). 

«Ecco, io starò con voi fino alla fine dei secoli» – conforta i suoi e li rassicura Gesù, nel momento in cui tutto odorava di commiato (Mt 28, 20).

Nell’Annunciazione, la presenza del Signore si rende definitiva. 

Il Signore Dio, più che “stare vicino”, più che “stare con”, si “fonde” con Maria nella seconda Persona della Santissima Trinità, il Verbo. Egli diventa corne della sua carne e sangue del suo sangue nel più stupendo anticipo di quelle parole che un giorno avremmo udito: «Se qualcuno mi ama, osserverà le mie parole, e mio Padre l’amerà e verremo a lui e in lui porremo la nostra dimora».

Non si può leggere la relazione dell’Annunciazione senza riconoscere la presenza di questi altri personaggi, di cui l’angelo era semplice ambasciatore: Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo. Non si confondono: ognuno gioca il proprio ruolo. 

– Il Padre ha inviato il suo angelo. 

– Lo Spirito copre Maria con la sua ombra (ogni domenica ripetiamo nel Credo che Gesù fu concepito per opera e grazia dello Spirito Santo e nacque da Maria Vergine).

– Il Figlio è colui che da quel momento, diviene tale tanto del Padre come di questa giovane ragazza che dialoga con l’angelo. Evidente: il Signore è con lei e in lei!

Simile affermazione non è stata mai tanto vera quanto nel momento in cui contempliamo Maria convertita in figlia del Padre, in madre del Figlio e in sposa dello Spirito Santo.

A Nazareth, tutte le promesse di vicinanza e di presenza divina si convertono in gioiosa realtà: 

«Concepirai e darai alla luce un figlio, cui porrai il nome di Gesù.  Egli sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre; regnerà sulla casa di Giacobbe per i secoli e il suo regno non avrà fine». (Lc 1, 31ss.)

Tutto ciò accadde a Nazareth “in quel tempo”. E sempre “in quel tempo”, Gesù insegnò ai suoi – e a noi – che la vita intima di Dio, quella del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, sarà, d’ora in poi, aperta a quanti eseguono ed  “incarnano”– ne fanno vita – la sua Parola. (Rileggiamo Giovanni, 14, 23).

Non ci augura frequentemente il sacerdote in ogni nostra Eucarestia: «Il Signore sia voi!»? Ebbene, quest'augurio e desiderio – realizzato già nel seno di Maria – oltre che esser eco delle parole dell’angelo, deve essere da parte nostra impegno di disponibilità ed apertura alla grazia.

Ascoltiamo s. Teresa d’Avila:

“Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un sol diamante o di un tersissimo cristallo, nel quale vi siano molte mansioni, come molte ve ne sono in cielo. 

Se ci pensiamo bene, che cos’è l’anima del giusto, se non un paradiso, dove il Signore dice di prendere le sue delizie? Ed allora, come sarà la stanza in cui si diletta un Re così potente, così saggio, così puro, così pieno di ricchezze? No, non vi è nulla che possa paragonarsi alla grande bellezza di un’anima e alla sua immensa capacità!

… Che confusione e pietà non poter, per colpa nostra, intendere noi stessi e conoscere chi siamo. Non sarebbe grande ignoranza se uno, interrogato chi fosse, non sapesse rispondere, né dare indicazioni di suo padre, di sua madre, né del suo paese di origine? …

Se questo è indizio di grand'ottusità, assai più grande è senza dubbio la nostra, se non procuriamo di sapere chi siamo, per fermarci solo ai nostri corpi. Sì, sappiamo di avere un’anima, perché l’abbiamo sentito e perché l'insegna la fede, ma così all’ingrosso. Ben poche volte pensiamo alle ricchezze che sono in essa, alla sua grande eccellenza ed a Colui che vi in-abita. E ciò spiega la nostra gran negligenza nel procurare di conservarne la bellezza. Le nostre preoccupazioni si fermano tutte alla rozzezza del castone, alle mura del castello, ossia a questi nostri corpi”.  (S. Teresa di Gesù, Mansioni I, 1, 1-2)

4 – “BEATA FRA LE DONNE”

Ora è la volta di Elisabetta, e nel suo saluto concorda con l’arcangelo. Combaciano i due nel vedere Maria come la più bella delle creature e la più amata da Dio. 

Si corrispondono, anche se uno la vede come “angelo”, l’altra come “donna”.

In questa duplice benedizione a Maria appare il movimento d’ogni benedizione: 

– la prima una direzione discendente, che parte da Dio e che culmina nella Vergine; l

– l’altra, in moto ascendente. Questa, da che mondo è mondo, parte dall’uomo e dalle altre creature e che oggi vediamo concretata in Elisabetta. Nella ricchezza di tale benedizione ascendente – dell’uomo verso Dio – è dove confluisce quella che sgorga dalle nostre labbra verso Lei. 

– Quella che “dice bene” di lei (giacché proprio questo significa “benedire”). 

– Quella che lei stessa profetizzò, quando assicurò che le generazioni l’avrebbero chiamata “beata”.

– Quella che consiste nell’esprimerle “il nostro bene”, cioè, il nostro amore di figli.

Una benedizione da figli, certo; ma pure da uomini. Benediciamo Maria come la più «benedetta fra le donne», come s’espresse l’angelo. Chiaro che da sempre – anche prima che Maria nascesse a Nazareth – tutte le donne sono state in qualche modo “benedette”.

Segnate con quella particolare benedizione, sia fisiologica che biblica, che è la maternità, tutte le donne sono in qualche modo guardate con benevolenza da Dio; anche coloro in cui la maternità è soltanto potenziale e non realizzata. Quel liquido, dentro cui tutti siamo stati protetti per lunghi mesi, quello che sgorga dal loro seno, sono come una misteriosa acqua benedetta, come un'epifania di tutte le posteriori benedizioni.                                              

Gabriele, però, le annuncia che, tra tutte le “benedette”, lei è “la Benedetta”, perché in lei la donna raggiunge la maggior grandezza. Ella è la quintessenza della femminilità, di quella porzione che molti considerano come un grado misteriosamente superiore d’umanità. Cosicché, tra tutte le donne, Maria è il culmine, la sintesi di tutta quella particolare benedizione con cui Dio le benedice.

Di là d’ogni sogno letterario o esegetico, si potrà parlare di una certa predilezione di Dio per la donna? Senz’addentrarci in disquisizioni teologiche, ci sono ragioni per propendere verso il sì. 

Ricordiamo, fra altri, quel misterioso personaggio femminile che, al primo albeggiare del mondo, là nel Genesi, schiaccia col piede la testa del serpente. E quell’altro in cui Dio, alla vista della malvagità delle creature, arriva a pentirsi d’aver creato l’uomo; e la sua collera contro lo Spirito del Male, quando il Creatore sembra legarsi a lei in un'enigmatica alleanza: «Porrò inimicizia tra te e la donna …».

Una volta che Maria appare nella storia, come non capire che la vera opposizione al Maligno proviene da Maria e si trova in Maria? E in lei, tutte le donne possono essere contemplate idealmente come l’antagonismo del Male. «Senza la donna – afferma Leonardo Boff – saremmo meno vicini a Dio; lei è l’insostituibile cammino verso di Lui».

Lo sapevamo. Ora, però, esplicitiamo il motivo per cui Maria è “benedetta fra tutte le donne”. Perché...

–  ella “è immacolata” fin dal primo istante della concezione,

–  rimase vergine nel parto e dopo il parto,

al termine della vita terrena fu “assunta” in corpo ed anima al cielo,

– e generazioni e generazioni la considerano madre e dispensatrice di tutte le grazie …?

Sempre, la radice è la medesima: 

il frutto del suo ventre, Gesù.

°° Che risonanze acquista in tale contesto il termine “ventre-seno”! 

Come dissipa tanta ipocrisia con cui durante secoli abbiamo avvolto le meraviglie della procreazione! Con tali parole si esprime e cantiamo la gestazione del Verbo infinito di Dio nelle viscere di Maria: 

– Segreto, laborioso processo, come quello che avviene in tutte le madri al nascere di tutti i loro figli.

– Mistero di profondità e d'interiorità che esprime la fusione di Maria con l’embrione divino.

Nel contempo, giacché Maria è vergine – perché non ha concepito secondo le leggi della natura; giacché questo frutto è sbocciato per opera e grazia dello Spirito Santo...–, il figlio che sta per nascere è “anche” figlio di Dio! Anche! Perché, se è un dato inconfutabile che Maria è madre di quell’uomo, nessuno le toglierà la gloria di essere la “Dei genitrix”, la genitrice di Dio, la Madre di Dio.

*  Fu concepito Cristo; però in Maria.

*  Nacque Cristo; però da Maria.

*  È adorato dai pastori e dai magi; sempre nelle braccia di Maria.

*  Gli s’impone il nome di Gesù, perché dall’angelo lo ricevette Maria.

*  È presentato al tempio, da Maria.

*  Fugge in Egitto e ritorna a casa, portato da Maria.

*  Lo ritrova nel tempio fra i dottori, Maria.

*  Passa trent’anni, nascosto nella casa di Nazareth, al lato di Maria.

*  Compie il primo miracolo a Cana di Galilea, su richiesta di Maria.

*  Pende dal legno della Croce, ai cui piedi, eretta, sta Maria.

*  Già morto e risuscitato e salito al cielo, si rende presente in mezzo ai suoi, riuniti intorno a Maria.

Non ostiniamoci. Sono inseparabili.  Sono due cuori in un unico corpo! 

 E grazie a quest'identità, Maria sarà sempre il nostro miglior luogo di appuntamento per un incontro con Gesù. Mai gli uomini avrebbero potuto immaginare che uno di loro – un figlio nato da una donna – avrebbe potuto essere, contemporaneamente, Dio. 

Ugualmente noi uomini non avremmo potuto mai immaginare che una semplice donna – nata come tutte le donne – col partorire Lui, sarebbe diventata allo stesso tempo “madre nostra”.

Se il Gesù-Dio è il “frutto del suo ventre”, giacché formiamo un medesimo corpo mistico, il cui capo è Lui, allora, la sua maternità spirituale verso di noi è irrefutabile! Allora, tutto cambia. Meglio ancora: ora si completa il panorama di questa preghiera che chiamiamo “Ave Maria”.

                                La lode a Maria di Dante

VERGINE MADRE…

«Vergine madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura,

termine fisso d’eterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura

nobilitaste sì, che ‘l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si riaccese l’amore

per lo cui caldo ne l’eterna pace

così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridïana face

di caritate, e giuso, intra i mortali,

se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tu non vali,

che qual vuol grazia ed a te non ricorre,

sua disïanza vuol volar sanz’ali.

La tua benignità non pur soccorre

a chi domanda, ma molte fïate

liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,

in te magnificenza, in te s’aduna

quantunque in creatura è di bontate».

Dante Alighieri – Paradiso – canto 33

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Un “difetto” nella DONNA

Quando Dio creò la donna, era già al suo sesto giorno di lavoro facendo pure gli straordinari. 

Apparve un Angelo e gli chiese: «Come mai ci metti tanto tempo con questa?».

E il Signore rispose: «Hai visto il mio Progetto per lei?». Ella

– Dev’essere completamente lavabile, però non deve essere di plastica; 

– avere più di 200 parti movibili, tutte sostituibili

– ed essere capace di funzionare con una dieta di qualsiasi cosa avanzi; 

– avere un grembo che possa accogliere quattro bimbi contemporaneamente;

– avere un bacio che possa curare da un ginocchio sbucciato ad un cuore spezzato, … 

… e lo farà tutto con solamente due mani.

L’Angelo si meravigliò dei requisiti. 

«Solamente due mani...? Impossibile! E questo è solamente il modello di base? È troppo lavoro per un giorno... Aspetta fino a domani per terminarla...». 

«Non lo farò» – protestò il Signore. «Sono tanto vicino a terminare questa creazione che ci sto mettendo tutto il mio cuore. Ella si cura da sola quand’è ammalata, e può lavorare 18 ore al giorno...».

L’Angelo s’avvicinò di più e toccò la donna. «Però, l'hai fatta così delicata, Signore!».

«É delicata» – ribatté Dio –. «Però l'ho fatta anche robusta. Non hai idea di ciò che è capace di sopportare od ottenere».

"Sarà capace di pensare?" -– chiese perplesso l'Angelo.

Dio rispose: "Non solo sarà capace di pensare, ma pure di ragionare e di trattare".

L’Angelo allora notò qualcosa, ed allungando la mano toccò la guancia della donna...: «Signore, pare che questo modello abbia una perdita...».

«T’avevo detto che stavo cercando di mettere in lei moltissime cose. Non c'è nessuna perdita...: è una lacrima» – lo corresse il Signore.

«A cosa serve la lacrima?» – chiese l'Angelo.

E Dio disse: «Le lacrime sono il suo modo d’esprimere la sua gioia, la sua pena, il suo disinganno, il suo amore, la sua solitudine, la sua sofferenza e il suo orgoglio".

Ciò impressionò molto l'Angelo. «Sei un genio, Signore: hai pensato a tutto. 

La donna è veramente meravigliosa».

«Lo è! – rispose il Creatore. 

Le donne hanno delle energie che meravigliano gli uomini.

Affrontano difficoltà, reggono gravi pesi, però hanno felicità, amore, gioia.

Sorridono quando vorrebbero gridare, cantano quando vorrebbero piangere, 

piangono quando sono felici e ridono quando sono nervose.

Lottano per ciò in cui credono. Si ribellano all'ingiustizia.

Non accettano un “no” per risposta, quando credono che ci sia una soluzione migliore. 

Si privano per mantenere in piedi la famiglia.

Vanno dal medico con un'amica timorosa. 

Amano incondizionatamente.

Piangono quando i loro figli hanno successo e si rallegrano per le fortune dei loro amici. 

Sono felici quando sentono parlare d’un battesimo o d’un matrimonio.

Il loro cuore si spezza, quando muore un’amica. 

Soffrono per la perdita di una persona cara. 

Senza dubbio, sono forti proprio quando pensano di non avere più energie.

Sanno che un bacio ed un abbraccio possono aiutare a curare un cuore spezzato. 

Non ci sono dubbi, 

nella donna c'è un “difetto”: 

ed è che 

si dimentica di quanto lei valga!

domenica, novembre 24

MILLE ANNI PER L' "AVE MARIA" 2° CONFERENZA D'AVVENTO DI PADRE CLAUDIO TRUZZI OCD


MILLE ANNI PER L’ “AVE MARIA”

** Il Santo Padre, Giovanni Paolo II, aveva affidato il Giubileo a Maria, 
«Un atto dovuto a Maria … non potrebbe essere una meditazione tranquilla sulla sua grandezza e bontà, rivitalizzando la preghiera che più spesso le rivolgiamo, l’“Ave Maria”?
Sicuramente dall’infanzia siamo cresciuti recitando “avemarie”. Può darsi che da allora l’abbiamo recitata migliaia di volte, questa semplice preghiera, una delle prime mandate a memoria. 
Perché non provare a recitarla, a meditarla, come se fosse la prima volta che lo facciamo, liberandola, cioè, da ogni peso di possibili abitudini meccaniche e monotonie, con cui talvolta la circondiamo?
Proprio così. Può darsi che l’ “Ave Maria”, 
– produca in alcuni l’eco di preghiere stanche e sonnolenti; 
– o suggerisca mormorii e bisbigli di vecchiette, più o meno devote;
– o ci trasporti a quei rosari parrocchiali detti da “avemarie mordi-la-coda”, perché sembra che stia lottando un gruppo con l’altro per iniziare la propria parte prima che l’altro abbia terminato la sua...
Tuttavia, né questo modo di pregare, apparentemente meccanico, è tanto negativo; né l’ “Ave Maria” può ridursi ad un pregare meccanico. 
– Primo, perché dietro quest’apparente automatismo labiale con cui si sgranano milioni di “avemarie”, non cessa d’esserci virtù: l’inestimabile virtù d’essere giunti a convertire la propria preghiera in qualcosa tanto spontaneo  – e per ciò stesso, meccanico – come la propria respirazione. 
– E sosteniamo il secondo, giacché, in verità, l’ “Ave Maria” è un tesoro che non possiamo camuffare nel biascicare di parole pronunciate a cascata. ...
L’ “Ave Maria” è una vera perla composta da verità rivelate e definizioni dogmatiche. In essa, una sola parola equivale a un piccolo inno; e termina con una supplica che è come un gemito sgorgante dal profondo della tragedia umana – fatta di peccato e di morte – e che poi si scioglie in un’attitudine di speranza e d’abbandono.
Nell’ “Ave Maria” si compie per intero il ciclo della maternità mariana. Riconosciamo Maria 
– come la madre che ci diede la vita; 
– come madre che veglia sulla nostra esistenza; 
– come madre, il cui influsso trascende la nostra piccola storia 
– come madre da cui dipende la nostra nascita alla luce, alla vita che non ha fine.
°   Di questa preghiera si sono date infinite definizioni. Da parte nostra consideriamola come il grido della coscienza collettiva del Popolo di Dio, che converte in lode e supplica il nucleo del messaggio rivelato»
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Quindi per questo prepariamoci a pregare insieme e con calma queste quarantuno parole, così, come se avessimo appena scoperto questa commovente formula di amore filiale. 
E contempliamo, passaggio per passaggio, col medesimo stupore di chi va scoprendo, una dopo l’altra, le diverse meraviglie dietro ogni angolo del cammino.
AVE!
Fra conoscenti è sempre stato normale salutarsi, per quanto fugace fosse stato l’incontro. 
Per questo pure Maria avrà salutato moltissime volte; e, a suo turno, sarà stata salutata da molti, sempre che, per esempio, s’incrociasse con qualche conoscente sulla strada. In un villaggio come Nazareth, tanto piccolo che neppure le meticolose mappe dei romani lo segnavano, tutti conoscevano la giovane Maria; tutti l’avrebbero salutata incontrandola, mentre andava alla fonte o con il gregge o in giro per qualche commissione. Tutti l’avranno stimata una ragazza buona, amabile e, sicuramente, tutti le avranno ricolto un saluto.
“La pace sia con te!” era il saluto più abituale di allora. Ebbene, anche oggi gli ebrei continuano a salutarsi con la medesima espressione, “Shalom!”. Finché un bel giorno... «Dio inviò l’arcangelo Gabriele in una città della Galilea chiamata Nazaret, ad una vergine, sposa di un uomo di nome Giuseppe della casa di Davide: il nome della vergine era Maria. Entrò da lei e le disse:“Salve, piena di grazia, il Signore è con te”!» (Lc 1, 6 ss.). 
Naturalmente questo saluto era molto più pregnante e sublime di quegli altri che accennavamo.
Fermiamoci un attimo ad approfondirne il significato e la ricchezza..
Il primo termine che l’angelo rivolge a Maria è la parola “Ave”. In italiano essa significa semplicemente “Io ti saluto”, “Dio ti salvi”. Equivale, né più né meno, al nostro “buon giorno!”. 
“Ave”, tuttavia, è un termine latino e l’arcangelo Gabriele certamente non si rivolse a Maria in latino, ma nel suo dialetto aramaico. Gabriele avrà usato la parola “Rannì”. Luca, però, non scrive il suo vangelo in latino o in aramaico, ma in lingua greca; e traduce “rannì” con “kairè”.
Perché tanta spiegazione d'idiomi? Per sondare nel vero significato di simile saluto, per scoprirne tutto un invito alla gioia. In effetti, quest'espressione greca significa: "Rallegrati!". Ed ogni volta che la dirigiamo a Maria, dovremmo farlo in questa chiave e con tale disposizione d’animo. Quando ripetiamo:
– «Rallegrati, Maria!», col profeta Gioele esclamiamo: «Alza grida di gioia, figlia di Sion. Rallegrati …, figlia di Gerusalemme. Non temere, perché Dio è con te!».
– «Rallegrati, Maria!», con le medesime parole dell’Angelo manifestiamo la ragione di tale gioia: «Tu concepirai e darai alla luce un figlio, che si chiamerà Figlio dell’Altissimo».
– «Rallegrati, Maria!» ti ripetiamo con il sacro autore, perché «tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la gioia di Israele, tu l’orgoglio del nostro popolo».
È interessante sottolineare come la gioia suscitata in Maria da tale saluto non poté esaurirsi a quel momento; né possiamo ridurla a un puro ricordo di qualcosa che passò. Al contrario. Dobbiamo essere convinti che noi stessi possiamo riprodurlo nel suo cuore ogni qualvolta le ripetiamo con amore tali parole.
Dopo l’esperienza della sua Annunciazione, Maria sarà continuamente salutata in mille ed una occasione dal popolo cristiano. E Maria capterebbe tutte le sfumature, come anche noi differenziamo i saluti a seconda di chi ce li rivolge e secondo le espressioni e i toni. E se questo è vero, che emozione per lei quando i suoi figli la salutano con le stesse parole che quell’arcangelo usò in quell’occasione. La gioia e trepidazione che sperimenta ogni volta che le ripetiamo: «Ave, Maria!».

sabato, novembre 23

IL PAESE INVISIBILE OSSIA I CONTADINI SCACCIATI DAI LORO VILLAGGI di Padre MAURO ARMANINO



Il Paese invisibile ossia i contadini scacciati dai loro villaggi

Tutto è a rischio di ‘banalizzazione’. La banalità del male e della violenza è una realtà quotidiana del nostro paesaggio rurale. Non più tardi della settimana scorsa è stato il turno del villaggio di Golidjo Koara, non lontano dalla prefettura di Torodi, ad appena 50 kilometri dalla capitale Niamey. I circa 350 /400 abitanti del villaggio hanno ricevuto l’ordine perentorio di partire. Lo ‘stile’ dei gruppi armati si riproduce ormai da tempo nella zona detta delle ‘Tre Frontiere’ (Burkina Faso, Mali e Niger). Pagare una tassa, convertirsi alla regione islamica come interpretata dalle armi, oppure partire abbandonando tutto sul posto. Il momento scelto, non casuale, sarà quello dei granai ben riempiti di miglio. Chi paga o si ‘converte’ affianca dunque gli abitanti di etnia ‘Peul’ che sono residenti stabili.
Tutto ciò dura da anni. L’abitudine alle notizie di ulteriori sfollati non interessa la cronaca e i motivi sono diversi. Si tratta di semplici contadini e dunque di ‘invisibili’ la cui eventuale sparizione non scalfisce nulla e nessuno se non le eventuali statistiche aggiornate. Sono senza importanza politica e i loro figli, spesso estromessi dal circuito scolastico, non faranno mai parte della nuova élite militare-politica che governerà il Paese, un giorno. Poi parlarne troppo potrebbe mettere in discussione la narrazione ufficiale che continua ad affermare la ‘crescita in potenza’ delle forze armate e più in generale la promessa di rendere più sicuro il Paese. Fu una delle ragioni addotte per il golpe.
Nel frattempo, si assiste a manifestazioni di appoggio all’attuale regime militare da parte della quasi totalità della società civile, sindacati di associazioni degli studenti e delle scuole primarie compresi. Non mancano, in mancanza di meglio, le tavole rotonde, i dibattiti sul neo-imperialismo che, secondo gli organizzatori di tali dibattiti, si trova in mortale difficoltà nei Paesi dell’AES, l’Alleanza degli Stati del Sahel). L’altro motivo per l’invisibilizzazione dei contadini risiede nella preoccupazione, più o meno fondata (e la storia lo dirà), degli attacchi e tentativi di destabilizzazione del Nemico, naturalmente occidentale. Proteggere il regime o i contadini che contribuiscono a nutrire il Paese, di economia agricola, è un dilemma facilmente risolvibile, soprattutto coi i russi e i turchi ormai implicati.
Se Italo Calvino descriveva le ‘Città invisibili’ con l’occhio dell’esploratore e dello scrittore da noi si tratta di un Paese ‘invisibile’, costituito da rifugiati, migranti, sfollati, poveri e, in genere, ‘inutili’ al sistema. Nella nuova Costituzione, ancora in cantiere, si suggerisce di rifondare la Repubblica su nuove basi che non siano quelle della democrazia classica di matrice occidentale. In questa parte del globo essa sembra destinata al macero e si preferisce siano i militari a dettarne le regole e le applicazioni. Tra i suggerimenti che saranno difficilmente presi in considerazione si potrebbe ipotizzare un preambolo innovativo. Una Costituzione che assicurerà un ruolo di eccellenza, riconosciuto e non negoziabile al ‘Paese Invisibile’. Le persone sopra menzionate uscirebbero, per sempre, dall’invisibilità tramite la casa, il lavoro, la scuola e soprattutto la parola.  Ampie garanzie di priorità sarebbero assicurate ai bambini che impareranno di nuovo a giocare con la pace. 


              Mauro Armanino, Niamey, novembre 2024