POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

martedì, dicembre 31

COME DISARMARE LE PAROLE di PADRE MAURO ARMANINO

 


Come disarmare le parole

In conclusione, del suo diario di prigionia ‘Catene di libertà’, l’amico e confratello Pier luigi Maccalli invitava a ‘disarmare le parole’. Due anni da ostaggio nel deserto, tra pietre, sabbia, polvere e stelle, lo avevano convinto che il cammino della pace intesa come convivialità delle differenze’ non potesse che germogliare da mani nude. Disarmare le parole implica, appunto, andare in giro con le mani nude, liberi da preconcetti, ideologie di morte e frontiere da usare per inventare nemici a piacimento. 

Scriveva che, a parte le catene che mai l’avevano abbandonato, era stato in genere rispettato dai rapitori che si avvicendavano nel deserto. Ciò che invece l’aveva profondamente segnato e ferito erano state le parole dei rapitori. Parole come pietre che feriscono mentendo, insultando, rendendo in definitiva l’altro una ‘non persona’. Si sentiva una cosa indefinibile la cui esistenza è utile solo per quanto potrà dare in termini monetari con prezzo del riscatto. Una merce di scambio e nulla più.

Nell’introduzione a ‘Il libro del potere’ di Simone Weil, Mauro Bonazzi scrive...’L’unico modo per contrapporsi al dilagare della forza intesa come violenza è la ricerca della verità...e ciò significa prima di tutto, prendersi cura delle parole perché esse sono lo strumento di cui ci serviamo per capire noi stessi e il mondo. Ed è distorcendo le parole che ci creiamo, consapevoli o no, delle comode barriere per proteggerci dagli altri’. Prendersi cura delle parole e della loro verità significa ‘disarmarle’.

Dal Sahel, dove queste note sono scritte, siamo da anni assediati da gruppi armati ‘terroristi’, interessi strategici, venditori d’armi, di ideologie religiose e finanziamenti occulti. Gli sfollati e i rifugiati a causa dei conflitti armati si contano a milioni mentre le sofferenze sono incalcolabili anche per le cicatrici che lasceranno alle prossime generazioni. All’inizio di tutto questo dramma, ancora prima delle divisioni etniche, religiose o economiche stanno loro, le parole. Lo ricorda bene proprio Simone Weil.

Nel libro citato la Weil mette in evidenza che ...’Mettiamo la maiuscola a parole prive di significato e, alla prima occasione, gli uomini spargeranno fiumi di sangue, a furia di ripeterle accumuleranno rovine su rovine...niente di reale può davvero corrispondere a tali parole, poiché non significano niente. Il successo coinciderà esclusivamente con l’annientamento di uomini che lottano in nome di parole diverse’. La lista di parole con le ‘maiuscole’ sarebbe interminabile, così come le fosse comuni.

Mettere la maiuscola alle parole prive di significato che non sia quello imposto da chi detiene il potere è quanto si industria a fare la propaganda e soprattutto il silenzio complice ‘dei buoni e degli onesti’. Ogni comunità, struttura educativa, mezzi di comunicazione, famiglie, organizzazione politiche e religiose dovrebbe mettere come priorità quella di ‘prendersi cura delle parole’. Avremmo allora, come auspicava Pierluigi, parole disarmate da affidare al vento perché sussurrino la pace al mondo.

Padri Maccalli e Armanino

      Mauro Armanino, Niamey, 29 dicembre 2024

TANTI AUGURI DI FELICE ANNO NUOVO, CON LA POESIA DI ANDERSEN "LA DILIGENZA DI CAPODANNO"

“La diligenza di Capodanno” poesia di Hans Christian Andersen: mezzanotte suonò




Mi piace questa poesia, perché appare il nome di chi l'ha tradotta in lingua italiana, poiché  suppongo che Andersen l'abbia scritta in danese, la sua lingua madre. Vedo che la poesia qui riprodotta è stata pubblicata, non so dove, con il nome dell'autore tradotto in italiano, Giovanni Cristiano Andersen, tipico del periodo fascista, dove ogni nome straniero appariva anche nei libri di testo. Infatti ricordo Tommaso Moro, al posto di Thomas Moore, Cartesio ovvero René Descartes che nacque nel 1596 in Francia, nel paese di La Haye en Tourraine (oggi il paese si chiama Descartes in suo onore). È conosciuto come Cartesio perché alla sua epoca gli intellettuali avevano l’abitudine di latinizzare il proprio nome, essendo il latino la lingua dei dotti. Descartes divenne perciò Cartesius e in italiano Cartesio. Potrei continuare, ma credo sia sufficiente citare questi autori.
Questa poesia mi è stata inviata dalla carissima amica Alessandra Giusti per cui colgo l'occasione di ringraziarla ancora una volta e di porgerle i miei più sentiti auguri di Buon Anno e per il suo compleanno che cade proprio nel primo giorno dell'anno nuovo! Auguri di cuore Alessandra cara, a te e alla tua splendida famiglia.
Danila




Hans Christian Andersen (Odense, 2 aprile 1805 – Copenaghen, 4 agosto 1875) fu uno scrittore e poeta danese, celebre soprattutto per le sue fiabe.
Tra le sue opere più note vi sono “La principessa sul pisello” (1835), “Mignolina” (1835), “La sirenetta” (1837), “Il soldatino di stagno”, “Il brutto anatroccolo” e “La piccola fiammiferaia” (1845).

HANS CHRISTIAN ANDERSEN 

L’attività letteraria di Andersen, piuttosto vasta (le opere complete in lingua danese, pubblicate a Copenaghen tra il 1854 e il 1879, comprendono ben trentatré volumi) inizia, di fatto, alla fine degli anni Venti del XIX secolo e coincide sostanzialmente con il termine del periodo di studi.
Un collega di teatro di Hans aveva parlato di lui come di un “poeta”: spinto dalla sua vocazione artistica, il giovane prende la cosa molto sul serio, indirizzando le proprie energie creative verso la scrittura, divenendo il maggior esponente della cultura letteraria del periodo nel suo Paese.
“La diligenza di Capodanno” è una poesia che Andersen scrisse per commemorare l’anno vecchio che lascia il posto all’anno nuovo.
Alcune citazioni di Hans Christian Andersen:

“Non importa nascere in un cortile di anatre quando si ha poi la fortuna di diventare un cigno.”

“Quando le parole falliscono, la musica parla.”

“Il talento non è nulla, eccetto nelle circostanze fortunate.”

“La diligenza a dodici cavalli/ arriva con dodici signori.” – tratto da “La diligenza di Capodanno”

Antoine de Saint-Exupéry- IL PICCOLO PRINCIPE E Consuelo Suncin Sandoval - editoriali vari, compresa Danila Oppio

 



Antoine de Saint-Exupéry davanti all'aereo che pilotava e dentro il quale ha trovato la morte dopo che fu colpito nel 1944

Di questo scrittore si conosce soprattutto il il suo testo IL PICCOLO PRINCIPE, ma molti non conoscono vita dell'autore.

Antoine Jean Baptiste Marie Roger de Saint-Exupéry, noto anche come Tonio, è stato uno scrittore e militare francese.

È conosciuto per essere l'autore del romanzo Il piccolo principe, che nel 2024 ha raggiunto il numero di 600 traduzioni in lingue e dialetti diversi ed è il testo più tradotto se si escludono quelli religiosi[3], e per i suoi racconti sul mondo dei primi voli aerei, tra i quali Volo di notteTerra degli uomini e L'aviatore. Scrittore riconosciuto, vinse vari premi letterari durante la sua vita, in Francia come all'estero.

Durante la seconda guerra mondiale si arruolò nell'aeronautica militare francese e, dopo l'armistizio, nelle Forces aériennes françaises libres, passando dalla parte degli Alleati. La sua scomparsa nel corso di un volo di ricognizione, avvenuta sul finire della guerra, restò per molti anni misteriosa, finché nel 2004 venne localizzato e recuperato il relitto del suo aereo nel mare antistante la costa marsigliese. In seguito è stato possibile accertare che fu un caccia tedesco della Luftwaffe ad abbatterlo.

Di lui non si conosce chi fu la moglie che gli ispirò il testo del racconto IL PICCOLO PRINCIPE riempiamo questo vuoto!

Consuelo la moglie di Antoine 


Un couple de légende : Consuelo et Antoine de Saint-Exupéry au Boléro de Versoix.  


Consuelo de Saint-Exupéry: la rosa de Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry
Dietro la celebre figura della Rosa de Il Piccolo Principe, non c’è solo immaginazione e creatività, ma un riferimento ad una persona realmente esistita: Consuelo Suncin Sandoval.
Consuelo de Saint-Exupéry è stata la compagna e amante di Antoine de Saint-Exupéry, divenuta poi moglie, dell’autore del romanzo “Il Piccolo Principe”. La donna, di origini salvadoregne, ha rivoluzionato l’esistenza del pilota e scrittore francese, segnando così tanto la sua vita da dedicarle il più bel personaggio della storia. Consuelo è stata una figura affascinante e complessa, spesso considerata rivoluzionaria e controversa per l’epoca in cui ha vissuto.
Consuelo nasce in una famiglia benestante di El Salvador, figlia di un generale proprietario di piantagioni di caffè. La sua educazione la conduce a distinguersi fin da giovane: a soli 18 anni ottiene una borsa di studio per studiare inglese negli Stati Uniti, un traguardo notevole per una donna della sua generazione. Tuttavia, la possibilità di formarsi in un altro paese è legata ad una condizione inaccettabile per l’epoca: il trasferimento in solitaria, senza marito e senza famiglia. Ma la ragazza è determinata a costruirsi una vita autonoma, per cui decide di inseguire il suo sogno, sfidando le convenzioni del tempo.
Oltre alla passione per lo studio, Consuelo custodisce una certa propensione per i matrimoni. La prima unione avviene con un uomo che si presenta come un militare messicano, ma che in realtà lavora come semplice venditore di vernici. La bugia si rivela il preludio di un matrimonio infelice culminato in un divorzio, poco prima della tragica morte del marito in un incidente ferroviario.
Rimasta vedova, decide di trasferirsi in Messico, ma nasconde lo status da divorziata, celando per questioni sociali la fine del matrimonio avvenuta ben prima della morte del consorte. Infatti, era considerato infamante per una donna separarsi dal marito. Quindi, superata questa complessità, decide di assecondare la sua intraprendenza e si trasferisce in Messico, con in mano una lettera di raccomandazione e nel cuore la speranza di ribaltare ancora una volta la sua vita. Richiede un incontro con José Vasconcelos, uno dei più importanti intellettuali e politici messicani dell’epoca, il quale la riceve dicendole queste parole: “Una donna bella, giovane e vedova non ha bisogno di lavorare, può vivere dei suoi incanti.” Ma lei, determinata ad ottenere un lavoro, gli chiede un secondo incontro che si trasforma poi in una vera e propria relazione.
Quello che ottiene con José è un rapporto particolarmente turbolento e appassionato, contornato da lunghe serate ai circoli letterari e discussioni sull’evoluzione dell’arte con artisti-amici del calibro di Diego Rivera – il marito di Frida Kahlo. Grazie a Josè approda a Parigi, dove incontra Enrique Gómez Carrillo, uno scrittore guatemalteco di fama internazionale. Si innamora perdutamente di lui e lascia il secondo marito, il quale le dedica pagine amare nelle sue memorie, accusandola di avere una “vocazione scandalosa”.
Si sposa in terze nozze, inaugurando un nuovo capitolo nella sua vita. Tuttavia, anche questo matrimonio è di breve durata: Carrillo muore prematuramente, lasciandola vedova per la seconda volta con una consistente eredità, che le concede di formarsi e viaggiare ancora.
Il destino di Consuelo, anima dinamica e indomabile, cambia radicalmente nel 1930, quando decide di trasferirsi a Buenos Aires. Qui incontra Antoine de Saint-Exupéry, l’amore della sua vita. Il pilota, per conquistarla, le offre un volo avventuroso, preludio del loro matrimonio caratterizzato da alti e bassi, ma pur sempre oltre l’ordinario. Antoine, parlando di Consuelo, dirà che lei lo ha “addomesticato”, in un parallelismo che poi troverà eco ne Il Piccolo Principe.
La loro relazione è intensa e travagliata. La società francese e la famiglia di Antoine non vedono di buon occhio Consuelo de Saint-Exupéry o, a causa delle sue origini straniere e della sua reputazione da donna indipendente e controversa. Nonostante i numerosi ostacoli, il loro legame si mantiene però profondo e appassionato, segnato da litigi, riconciliazioni e dalle frequenti assenze di Antoine, sempre in viaggio o impegnato in nuove avventure.
Consuelo de Saint-Exupéry non è solo una moglie, ma è la musa di Antoine. La sua fragilità e il suo carattere unico ispirano la figura della Rosa, l’unico fiore amato dal Piccolo Principe tra migliaia. Come il personaggio letterario, Consuelo è affetta da asma, una condizione che la rende ancora più fragile agli occhi di Antoine, il quale percepisce il bisogno di proteggerla “sotto una campana di vetro.”
Il loro matrimonio, durato 13 anni, fu una danza di contrasti: l’amore di Consuelo per Antoine e il suo spirito libero spesso si scontravano con le infedeltà e il carattere imprevedibile del marito. Eppure, la loro storia d’amore è rimasta impressa come una delle più romantiche e tormentate della letteratura.
Per anni, il ruolo di Consuelo de Saint-Exupéry nella vita di Antoine e nella creazione de Il Piccolo Principe è stato minimizzato. Tuttavia, oggi è chiaro che senza di lei il capolavoro dello scrittore non sarebbe mai esistito. La Rosa, con la sua vulnerabilità e il suo carattere indomito, è una rappresentazione perfetta di Consuelo: un simbolo di amore, forza e unicità.
Dietro le pagine de Il Piccolo Principe, c’è una storia reale di passione e resilienza che continua a ispirare generazioni di lettori. Consuelo de Saint-Exupéry non fu solo una donna che visse al fianco di un grande scrittore; fu la sua musa, la sua Rosa e, in molti modi, il suo cielo.
Ho pensato che fosse giusto raccogliere informazioni esatte sull'autore del libro tanto osannato! Ma forse non lo scrisse da solo, piuttosto avvalendosi dei consigli della colta moglie!
Chi volesse ampliare questo scritto, è sufficiente che ricerchi con Google altre notizie, poiché ho ritenuto che per il momento siano sufficienti queste che ho riportato in questo post.
Danila Oppio

sabato, dicembre 28

UN NATALE DELL'ALTRO MONDO di Padre MAURO ARMANINO

Un Natale dell’altro mondo


Le solite luci al neon nelle case e nelle chiese. Di alberi nemmeno l’ombra e meno male che nel Niger la festa di Natale fa parte del calendario festivo riconosciuto dal Paese. Assieme al lunedì di Pasqua sono i due giorni contemplati dalla tradizione prettamente musulmana delle feste religiose. Invece del bambinello di plastica, gesso o altri materiali simili qui abbiamo messo nel presepe un neonato vero di nome Daniele, battezzato un paio di settimane fa. Quanto alle campane e altri addobbi neppure a parlarne. Una recente manifestazione memoriale per la partenza dell’ultimo militare francese, la domenica 22 dicembre, ha visto una larga partecipazione di persone. L’elemento religioso islamico era in primo piano, così come è stato dall’inizio del colpo di stato il 23 luglio dell’anno scorso.
In alcune zone, neppure troppo lontano dalla capitale Niamey, i cristiani si sono riuniti clandestinamente, nelle case o in ripari di fortuna tra le migliaia di sfollati. Hanno preferito lasciare il villaggio pur di non tradire la fede che hanno professato in tempo di pace. Per loro il Natale era forse ancora più vero perché, come scrisse Antoine de Saint - Exupéry nel suo ‘Piccolo Principe’, ...’l’essenziale è invisibile agli occhi’. In effetti sono gli occhi dei poveri contadini, impossibilitati persino di coltivare la terra, che meglio sanno cogliere il mistero della Natività. Quanto alla porta aperta del Giubileo appena iniziato, da questi parti siamo in anticipo perché le porte, in molte zone, non esistono più. Sono state bruciate o abbandonate e pace in terra agli uomini che Dio ama è lontano.
Il Natale nella Casa di Arresto e di Correzione di Niamey ha visto la partecipazione dei cristiani detenuti, delle donne e dei bambini nel cortile interno della Casa. Tra l’alto muro di cinta coi chiodi infissi all’estremità e sotto lo sguardo vigile dei militari si è celebrato l’avvenimento natalizio che grida libertà. Due le mani presentate dai partecipanti, una con la luce, fioca, della speranza perduta e l’altra, nuda come il Natale, per fare della pace un cantiere permanente. Tra qualche giorno faranno dieci anni dalle chiese bruciate di Zinder e Niamey. Era il 16 e 17 gennaio del 2015, in seguito alle vicende della vignetta sul profeta dell’Islam apparse sul settimanale Charlie Hebdo. Il Natale si era trasformato in fuoco che ha consumato in un attimo anni di convivialità serena. Poi scese in fretta il perdono delle autorità religiose cristiane e, da allora, né mandanti né esecutori sono stati molestati. Un Natale dell’altro mondo era nato mentre le stelle stavano a guardare e i pastori sorpresero una lacrima, di gioia, negli occhi di Maria sua madre.


                       Mauro Armanino, Niamey, dicembre 2024

lunedì, dicembre 23

MILLE ANNI PER L’ “AVE MARIA” sesta conferenza di PADRE CLAUDIO TRUZZI – PREGA NELL’ORA DELLA NOSTRA MORTE


Raffaello Sanzio, deposizione di Cristo

MILLE ANNI PER L’ “AVE MARIA”

6 – PREGA NELL’ORA DELLA NOSTRA MORTE

Nonostante tutto, nessuno può negare che, fra tutte le “ora”, ce n’è una peculiare e decisiva: l’”adesso” della “ora della nostra morte”. Col pensiero a quel momento terminiamo ogni “Ave Maria”.
Però, o Madre, pensiamo sufficientemente a quel momento? “Passarono – si afferma convinti – quei tempi tetri in cui non si faceva altro che pensare alla morte!” Posti nel vortice della premura, del rumore, della pianificazione, della lotta per la vita, ci dimentichiamo troppo di tale realtà che si chiama morte. “Non è di buon gusto menzionare il tema”. S’impedisce al bambino di vedere il cadavere del nonno. 
«Si passa tante volte vicino al cimitero che alla fine si cade dentro» (proverbio russo). Sarà bene evitare questo rischio. Padre Kolbe ammoniva: «La morte non s'improvvisa. Si merita con tutta la vita».
La morte, quindi, sposta necessariamente il discorso sulla vita. Sul “perché “si vive, e come si vive. «Dio ha fatto bene a mettere la morte alla fine della vita, anziché al principio, in tal modo gli uomini hanno tempo per prepararvisi», (J. Le Gentil).  Resta da dimostrare che i più ci riescano...
La preparazione, manco a dirlo, non consiste nello stare ad aspettare. La vita non è una sala d'attesa in cui si rassegna, bene o male, ad accamparsi, finché non arrivi il treno che ci sbarca nell’ aldilà.
La vita è itinerario, impegno, amore. «Certuni, perché muoiono si sa che furono vivi» (L. Carrer).
Tutto sta nel non confondere “l'essere vivi” con “l'agitazione”, il progredire con il correre, la pienezza con l'agitazione, il crescere con l'accumulare. Osservava E. Fromm: «Morire è tremendo. Ma l’idea di dover morire senza aver vissuto è insopportabile».
Mi è sempre piaciuta questa preghiera di un credente: “Signore, fa' che la morte mi trovi vivo!". 
Ci può essere una morte apparente. Ma ci sono anche, purtroppo, numerosissime “vite apparenti”.
Il cristiano è prima di tutto, un “celebrante della vita”.
Cristo ha dato la vita affinché noi potessimo appunto avere il gusto della vita.
La morte, tuttavia, non solo esiste, ma è il momento della nostra metamorfosi definitiva, dalla nostra nascita a una vita senza fine. Siamo coerenti: se in ogni “venire alla luce” c’è una protagonista, questa è la madre. Maria, quindi, come Madre, non può essere esclusa da questo momento: Ella gioca in esso la propria ragione d’essere, il senso della sua maternità.
Che grande preghiera, questa, d’invocare che Maria interceda per noi “nell’ora della nostra morte”!
Non sappiamo ciò che succederà in quell’istante; che spazio misterioso si aprirà ai nostri occhi. 
Uno scrittore francese sostiene che in quegli ultimi momenti – istanti in cui l’uomo godrà di una visione molto distinta di Dio – giacché lo separerà solo una tenue frontiera – potrà, con una nuova luce, fare la sua elezione definitiva “per Dio” o “contro Dio”. Il Padre ci offre sino all’ultimo la sua grazia invisibile, grazie alla quale, l’uomo può elevare fino a Lui una preghiera perfetta.
È consolante sapere che l’incaricata di suscitare in quel momento chiave tale “grazia invisibile” sia lei, Maria, ricordando gli ostinati che siamo stati, lungo tutta la vita, nel chiederle che si ricordasse di noi in quel momento. Di fronte al pensiero di quell’ora, nulla può allargare tanto il nostro cuore timoroso come il saperla al fianco del nostro cuscino, presso il nostro respiro affannoso, di fronte allo sguardo appannato, vicina alla mente confusa. Maria, con il dono che promana da lei: quello della sua tenerezza materna.
• 
Il santo Curato d'Ars quel giorno trovò in chiesa una donna immersa nella più grande angoscia. 
Era rimasta tragicamente vedova! Il suo dolore era grande, perché aveva perso il marito: s'era buttato da un ponte ed era annegato! Il santo Curato si avvicinò dolcemente e, ispirato da Dio, le sussurrò: «Tuo marito è salvo!». Incredula e stupita, la povera donna domandò: «Com'è possibile, padre?». Rispose il santo: «Tra il ponte e il fiume, c'era Dio! Volarono insieme, e nel volo tuo marito e Dio si riconciliarono». «Ma com'è possibile, padre?», insisté la donna. «È una grazia della Madonna! – rispose il santo Curato d'Ars –. Tu non lo sai, ma tuo marito, un giorno, tornando dai campi, portò fiori all'effigie della Madonna, che è sulla strada di casa tua. Poteva Maria dimenticare quel gesto gentile?».
• 
Testimonianza del Vescovo missionario di Athabaska, nel Canada Settentrionale, nel suo giubileo episcopale.
«Quando avevo quindici anni i miei genitori si disperavano per la mia incorreggibilità. Né con le buone, né con le cattive si riusciva a nulla. Invece di andare a scuola, mi nascondevo e giocavo con i compagni. Una volta, di sorpresa, mio padre comparve in mezzo a noi, mi prese per mano e mi trascinò a casa.
Mentre passavamo davanti alla chiesa, mi condusse dentro, all'altare della Madonna e recitò una breve preghiera, come sanno fare gli uomini: “Madre di Dio, ti raccomando questo mio figliolo, che mi fa disperare. Se puoi, fanne qualcosa di buono. Io non possa fare più niente”.
Mentre così pregava guardai la statua e rimasi profondamente colpito dal volto di Gesù, che Maria teneva in braccio. Dopo tre anni, entrai in seminario. Divenni sacerdote e partii per le missioni. Mentre salutavo i miei genitori, mio padre mi disse, quasi celiando: “La Madonna prese allora le parole troppo sul serio. Ora sei tutto di Gesù! Maria, ora è tuo!».
Prega per noi, Madre, 
anche per quest’ultima “ora”. 
Per questo, perché sappiamo 
che la prima domanda che ci farà il Padre, 
al giungere alla sua Casa, sarà: 
«Dove sta tuo fratello?». 
Come a Caino.
*****
LA MORTE … buone mani!
Un contadino e il suo bambino erano in cammino verso un paese vicino, per la fiera annuale. 
La strada passava sopra un ponticello di pietra sgretolato e traballante per il fiume in piena. 
Il bambino si spaventò. "Papà, pensi che il ponte reggerà?", chiese. 
Il padre rispose: "La mamma di terrà per mano, figlio mio!".

E il bambino mise la sua mano in quella della mamma. Con molta cautela attraversò il ponte a fianco di papà e mamma, e giunsero a destinazione. 
Ritornarono che calava la sera. 
Mentre camminavano, il piccolo chiese: "E il fiume, mamma? Come faremo ad attraversare quel ponte pericolante? Ho paura!". “Ti affido a papà. Ci penserà lui; tranquillo!”

L’uomo forte e robusto prese in braccio il piccolino e gli disse: "Resta qui fra le mie braccia e sarai al sicuro!". 
Mentre il contadino avanzava con il suo prezioso fardello, il bambino si addormentò profondamente.
Il mattino seguente il piccolo si svegliò e si ritrovò sano e salvo nel suo lettino.
La luce del sole filtrava attraverso la finestra. 
Non si era neppure accorto di essere stato trasportato al di là del ponte, sopra il torrente impetuoso.

Questa è la morte.
– Pensate... di approdare sulla riva e scoprire che siete in Paradiso; 
di afferrare una mano e scoprire che è la mano di Maria;
 di respirare un’aria nuova e scoprire che è quella del cielo;
 di sentirvi rinvigoriti e scoprire che è l’immortalità;
 di passare dalla burrasca tempestosa a una calma sconosciuta;
 di svegliarvi e scoprire che siete arrivati a Casa! 

Innamorato che non desidera incontrare … 
Abramo, ormai vecchissimo, era seduto su una stuoia nella sua tenda di capo tribù,
quando vide sulla pista del deserto un angelo venirgli incontro.
Ma quando l'angelo gli si fu avvicinato, Abramo ebbe un sussulto:
non era l'angelo della vita, era l'angelo della morte!
Appena gli fu di fronte Abramo si fece coraggio e gli disse:
"Angelo della morte, ho una domanda da farti: io sono amico di Dio,
hai mai visto un amico desiderare la morte dell'amico?".
L'angelo rispose:
"Sono io a farti una domanda:
hai mai visto un innamorato rifiutare l'incontro con la persona amata?".
"Allora, Angelo della morte, prendimi"
****
NON SONO LI'
Un grande e santo abate giaceva sul letto di morte.
 Intorno a lui si erano raccolti i suoi monaci 
e decine di affezionati studenti che si erano ispirati alla sua vita e alle sue idee luminose.
I più vicini a lui sussurrarono:
«Maestro, quando tu sarai morto, metteremo una grande e magnifica pietra sul tuo sepolcro.
Che cosa vuoi che le scriviamo sopra?».
Il vecchio saggio tacque un po' e poi sorrise:
«Scrivete: 
lo non sono sotto la pietra».
Noi non saremo sotto la pietra…–
AMEN!
°°° Per riassumere – e non “sprecare” – l’“Ave Maria” ... AMEN! Così si conclude l’“Ave Maria”.
“Amen”, come espressione di abbandono filiale, di un atteggiamento tanto confidente quanto quello che da bambini adottavamo ogni volta che ci rannicchiavamo sul seno della mamma o cercavamo protezione aggrappati alla sua gonna... Il fatto è che dopo ogni “Ave Maria”, non può esserci altra attitudine.
Sin dalla fanciullezza, nel Catechismo ci insegnarono che il termine significa: “Così sia!”. Ora, con molta più esperienza su noi stessi e le nostre possibilità, limitiamoci a tradurla così: “Dio desidera che tu sia così”. Cioè, affermiamo d’essere d’accordo con la verità che racchiude.
Si racconta che un tale, discutendo con uno scrittore, gli avrebbe detto. “La messa in latino è più bella che in francese. Basta col citare semplicemente il “Kyrie eleison”, il “Credo”, il “Pater noster” e tutti gli “Amen”. Dimenticava l’interlocutore che tutti i “kyrie” sono greci e gli “amen” ebraici. Ignorava, soprattutto che l’amen è stato travasato tale e quale in molte lingue diverse, e persino in religioni ben distinte: come la cristiana, la giudaica, la musulmana. L’incontriamo, inoltre, in molti dizionari, e forma parte del linguaggio corrente, e non sempre religioso, di numerosi popoli. Può essere, persino, che l’utilizzo profano sia giunto a pregiudicare il suo significato religioso. Merita la pena, perciò, che dedichiamo alcuni minuti all’approfondimento del contenuto di tale espressione sino a convertirlo per noi in una vera attitudine orante.
Certo è che l’“Amen”, nel secolarizzarsi, ha assunto una sfumatura frequentemente peggiorativa. Per provarlo, basta ricordare tal espressione “Amen!” al termine di una discussione o discorso per ratificare – senza discernimento e come per timore o senza convinzione – tutto quel che succede o ciò che l’altro ha detto. In una cultura come la nostra, priva del discernimento personale – soprattutto quando giunge sino a noi la critica e persino la contestazione...– vale la pena porre l’“amen” al termine di qualsiasi decisione altrui, di qualsivoglia sermone o di qualunque discorso pubblico o privato? 
– O non sarà una prova in più del fatto che non ci rendiamo conto di ciò cui pretendiamo apporre la firma con il nostro “Amen”?: es. «Dacci, Signore, umiltà. Amen. Sana gli infermi. Amen. Ti ringraziamo per quanto ci succede. Amen. Per i secoli dei secoli. Amen…
Stranamente, molto più curioso appare quando lo traduciamo col “Così sia!”. In questo caso si dà la sensazione che tutto quanto ratifichiamo, sia soltanto un vago e pietoso desiderio da parte nostra.
•    Dobbiamo smetterla con le traduzioni ed iniziare a ricuperare tutta la forza espressiva che racchiude la parola originale. L’“Amen” deve ritornare a significare per noi come un rotondo: «Sì, te lo chiedo!», «Sì, l’accetto!», «Sì, mi impegno a ...».
Bisbigliarlo meccanicamente alla fine di una preghiera, è tradire quest’espressione e persino la preghiera stessa. L’”amen” è molto più che una semplice “Sì”.
Il vero “amen” assomiglia molto più ad una proclamazione, ad una lode vibrante, ad una decisione che impegna intelligenza, cuore e volontà. Ogni “amen” deve scoppiare sulle nostre labbra come prorompe l’“hurrah” che lancia una folla. Racconta san Gerolamo che al suo tempo – secolo IV – l’“Amen”, rimbombava nelle basiliche come un vero tuono celeste.
– Già nell’Antico Testamento si vincolava l’espressione “amen” con l’esclamazione di “Benedetto sia il Signore!”. Così il salmo 72. «Benedetto il Signore, Dio d’Israele, l’unico che compie meraviglie. Benedetto per sempre il suo nome glorioso, e che la sua gloria riempia la terra! E tutto il popolo rispondeva: Amen, amen!».
– Non si tratta, quindi di una parolina appena sussurrata. È un grido, un clamore che sgorga dalla fede di un popolo riunito.
 • Simile “Amen!”, rotondo e giubilante, passa direttamente dalle sinagoghe alla prime comunità cristiane, e diviene parte della celebrazione eucaristica, dove l’assemblea lo proclama al termine d’ogni preghiera – la medesima cosa che facciamo noi, anche se con minor convinzione -.
– San Paolo lo utilizza nelle sue epistole come per porre la firma sotto un saluto, una supplica o ringraziamento: «Che la grazia di Nostro Signore Gesù Cristo sia con tutti voi, “Amen!” (Gal 6, 18).
– Al tempo dei martiri l’“Amen” adotta la forma di “professione di fede”, e così passa alla liturgia, ricuperato con una “sazietà insaziabile”, secondo sant’Agostino.
– Santi e sante, come Giuseppe da Copertino o Teresa di Gesù sono molto devoti dell’“amen”. E “amen” ripeteva incessantemente Padre Foucauld, durante le sue prolungate meditazioni notturne.

L’"AMEN" di GESU’ e di MARIA
•    Non dobbiamo dimenticare, ma, anzi, tener presente che Gesù lo utilizza ripetutamente all’iniziare varie delle sue affermazioni. «Amen, amen dico Vobis», che qualcuno traduce: «In verità, in verità vi dico», o «Vi do la mia parola», oppure «Ecco la mia verità» ...
1 – Ma più ancora, teniamo presente che questo "Amen" è anzitutto una persona, Gesù. Egli lo è stato durante la vita terrena, e lo è per tutti i secoli dei secoli, l’“Amen" più chiaro e completo alla volontà del Padre. Tutte le promesse e i piani del Padre trovano la più esauriente attuazione proprio nell’“Amen” del Figlio. – San Paolo ce lo ripete molte volte –.
– Nell’Apocalisse, Gesù torna ad essere indicato come l’“Amen” ed il Testimone fedele e veritiero.
2 – Il nostro cuore può allargarsi se mai contempliamo in Lui l’“Amen” di Maria. Quest’espressione, in lei si riveste di traduzioni molto peculiari:
– alcune volte verbali, come: "Si faccia!",
– altre, gestuali, come quello "stare" ai piedi della Croce;
– la maggior parte delle volte, però, consistono in quel misterioso "far silenzio", così peculiari! – dell’accettazione e dell’impegno personale mariano.
Come seguaci di Gesù e figli di tal Madre, pure noi abbiamo la vocazione di essere successivi echi degli "amen" che loro pronunziarono.
Tutti i suoi significati e tonalità si completano. “Amen” è al medesimo tempo: ratifica, lode, azione di grazie, gioia, solidarietà, proclamazione di una verità, chiamata di Dio e risposta dell’uomo. 

Amen – INTERIORIZZAZIONE
Vedere, giudicare e agire. 
È lo schema più classico di un vivere impegnato. Osserva con questa lente trifocale,
– quanto sta succedendo a te, in questo momento concreto della vita, riguardo la salute o stato d’animo,
– quanto alla vita del tuo spirito,
– quanto alla tua vita familiare,
– quanto alle tue relazioni sociali,
– quanto al tuo studio o lavoro.
E considera quante volte dovresti dire "Amen".
Ed ora esaminati:
– Quante volte ti sei impegnato a mutare tale situazione, invece di pronunciare semplicemente “Amen”?
– Quante volte non hai potuto far altro che accettare e dire. “Amen”? – Quando ti è costato più sforzo per pronunziarlo?
•• Ognuno di noi è cosciente di quando pronunziamo "amen" in modo abitudinario, e di quanto ci costa il gridarlo, in certe occasioni.
Ebbene, bisbigliamola, cantiamola o gridiamola mille volte questa parola.
Volesse il cielo che com’epitaffio del nostro sepolcro figurasse un giorno solamente questo.
"Qui riposa un figlio/una figlia, dopo aver pronunziato sempre
"Amen" a Gesù e a Maria, sua madre ".
******
La testimonianza mariana della celebre famiglia austriaca von Trapp
«Siamo tornati dal 'vecchio paese', l’Austria, con la nostalgia della preghiera davanti agli oratori dei cammini dedicati a Maria. Dato che non se ne trovano qui, negli Stati Uniti, ne abbiamo semplice-mente costruito uno. Durante il mese di Maria, spesso vi andiamo in piccola processione, recitando il Rosario o cantando degli inni. (…) 
Dobbiamo perdere questo rispetto umano di ciò che i nostri amici e vicini di casa potrebbero pensare per tale esibizione della nostra fede: poiché noi viviamo negli Stati Uniti, abbiamo notato, in numerose occasioni, che l'americano medio è la persona più tollerante quando sente che quanto fate parte da una profonda convinzione interiore. 
Per esempio, tre volte al giorno, la campana della nostra cappella suona l'Angelus, e allo stesso tempo, tutti in casa smettono di parlare, lasciano il lavoro che stanno facendo e recitano la preghiera: “l'Angelo del Signore annunciò a Maria”. Alle parole: “E la Parola si fece carne”, facciamo una genuflessione. Dopo l'Angelus, facciamo il segno della Croce e riprendiamo le nostre attività. 
La maggior parte del tempo, abbiamo tra i nostri ospiti persone di diverse fedi religiose, ma non ho mai visto il minimo barlume di un sorriso, un segno di critica o di disprezzo, o qualsiasi altra cosa che noi, Cattolici timidi, ci aspettiamo di ricevere. 
Ogni musulmano ci copre di vergogna: in certi momenti della giornata, egli prende il suo piccolo tappeto di preghiera e si inginocchia rivolto verso est, per recitare le sue preghiere, senza preoccuparsi di che cosa la gente possa dire o pensare. Ciò che la preghiera in direzione dell'Oriente è per un musulmano, è ciò che può essere l'Angelus per noi Cattolici». [Tratto dal libro di Maria Augusta Von Trapp: Intorno al mondo con la famiglia Trapp, 1955, Pantheon Books]
*** Al termine di queste meditazioni su Maria, concludiamo con una preghiera che riassume tutto ciò che possiamo contemplare e gioire delle meraviglie che Dio ha elargito sulla sua e nostra Madre.

O Santissima Madre di Gesù 
permetti ch’io Ti saluti
 con quelle stesse parole con cui Ti salutò 
il giorno santo della Tua Annunciazione, 
l’Angelo di Dio.  
Permetti che Ti dica anch’io: «Ave Maria!». 
Oh, Vergine Immacolata, 
permetti ch’io ripeta come l’eco dell’angelica voce, 
le parole che risuonarono nella Tua casetta,  
quando sull’umanità sorse il giorno Tuo,  
il giorno di cui il mistico nome è «Ave Maria!».
In quel giorno in Te sono state benedette tutte le generazioni.
In quel giorno la storia del mondo ricominciò di nuovo 
con le arcane parole dell’Angelo, «Ave Maria!» 
Con l’Ave Maria iniziò una nuova epoca,  
Con l’Ave Maria sorse sull’umanità l’aurora della Grazia,  
con l’Ave Maria iniziò il Tuo regno, o Vergine benedetta.  
Permetti dunque che dica anch‘io: «Ave Maria!».  
Lasciami pronunziare, lo so, con le mie indegne labbra il Tuo santo nome, 
ch‘io ripeta ogni giorno, continuamente fino al mio ultimo respiro, 
«Ave Maria!». 
Fa’ che un giorno io canti in cielo 
insieme a tutti gli angeli e i santi di Dio, «Ave Maria!». 
Perché con queste parole Ti salutò quel giorno Gabriele, 
ambasciatore del grande Re che chiedeva la Tua mano,  
Te, o graziosissima figlia dell’uomo. 
Oh, bellissima Vergine, 
in te s’unì il cielo e la terra e nacque il Salvatore.  
Perciò anch‘io non mi stancherò di dire: 
«Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te!». 
Tu sei benedetta fra tutte le donne e benedetto il frutto del ventre Tuo».  
O Maria, o santissima Madre di Dio, 
prega per noi peccatori. 
Custodiscici per tutto il corso della nostra vita, 
e quando sul declinare dei nostri giorni, 
vedremo con terrore cadere su di noi l’ombra della morte 
restaci vicino per scacciare con il Tuo dolce sguardo i fantasmi della notte. 
Oh, resta vicino a noi come stesti vicino alla Croce  
ed accogliesti del tuo Figlio l’ultimo respiro!
Nelle Tue mani raccomandiamo il nostro spirito 
dicendo: «Ave Maria!».
(Ave Maria, preghiera ortodossa)
***

BAMBINELLO GESU' 2024 Foto e didascalie poetiche di Padre NICOLA GALENO OCD

 











sabato, dicembre 21

LE MASCHERE DEL POTERE di Padre MAURO ARMANINO

(Alexander Zinoviev, filosofo e dissidente russo)

Le maschere del potere

Non c'è nulla di assolutamente autentico a questo mondo. La cosa da capire non è se siamo con una maschera o senza ma il tipo di maschera che indossiamo.
L'intera storia della civiltà si fonda sulla fabbricazione e sulla sostituzione di maschere.
                         (Alexander Zinoviev, filosofo e dissidente russo)
Certo l’uso e il senso delle maschere cambia a seconda delle culture. Ad esempio, in alcune etnie dell’Africa Occidentale la maschera diventa un simbolo di presenza e potenza spirituale, qualcosa di sacro che unisce il visibile e l’invisibile nelle cerimonie rituali. Altrove nel mondo la maschera si usa nelle rappresentazioni teatrali e in genere per nascondere e rivelare allo stesso tempo altre identità. Spesso diventa sinonimo di doppiezza, falsità, commedia o semplicemente come un gioco delle parti. In alcune culture le maschere sono le protagoniste della festa di carnevale.
Quanto scrisse Alexander Zinoviev va dunque interpretato nella seconda versione citata sopra e si capisce molto bene, sotto tutte le latitudini, ciò di cui sta parlando. La falsità, la doppiezza, il trasformismo, le promesse che impegnano solo coloro che le ascoltano...di tutto ciò e molto altro sono portatori i regimi politici e le ideologie, anche religiose che affollano la storia umana. Zinoviev, che ha vissuto in esilio in Germania, ha sviluppato una critica spietata nei confronti dell’Occidente che pure lo aveva accolto con le braccia aperte non disinteressate a suo tempo. Per lui il punto non è se si indossa o meno una ‘maschera’ ma piuttosto il ‘tipo’ di maschera che addobba il volto. L’amico Steven Ellis, prematuramente deceduto, scrisse un libro in relazione alla guerra civile in Liberia dal titolo ‘La maschera dell’anarchia’, sull’accaduto dei 15 anni di distruzione e morte in quel Paese.
Invece, qui come anche altrove, si parlerebbe piuttosto di ‘Maschere del potere’ ossia della costante, studiata e pianificata falsificazione della realtà. Si tratta di un progetto che accomuna ogni ideologia o progetto sociale che si vuole totalitario cioè mirato ad impadronirsi dell’identità della persona e della società per farla a sua immagine e somiglianza. Per questo Zinoviev parla di ‘fabbricazione e di sostituzione’ di maschere qualora ciò si renda necessario per il regime al potere. Il dominio sull’informazione appare cruciale perchè specie oggi esiste solo ciò che appare sugli schermi, grandi o piccoli essi siano o sulle onde delle radio. Il controllo delle notizie si avvale di giustificazioni ideologicamente motivate dall’adeguamento della realtà a quanto forma il mondo del potere. Coloro che influenzano il pensiero e la pratica del popolo sono temuti e se possibile arruolati al sistema di pensiero unico del sistema. Non casulmente i capi religiosi, assieme ad altri intellettuali, artisti o membri della società civile, saranno oggetto di particolare cura e ricompensa.
Ma la maschera della falsità si indossa anche in altri ambiti come la politica, l’economia, la gestione della sicurezza e soprattutto nell’uso della parola. Quest’ultima vale e conta tanto quanto è funzionale al progetto totalitario del regime. L’involucro esterno delle parole non corrisponde più al significato di cui esse sono portatrici. L’uguaglianza, la giustizia, i diritti umani, la libertà e la dignità sono termini il cui contenuto varia a seconda delle convenienze e della funzionalità al progetto di società che vuole instaurare. Tutto ha però un limite che è dettato dalla realtà stessa che, come sappiamo, è ostinata, insistente, pericolosa e fastidiosa. Soppressa o nascosta da una parte rispunta dall’altra perché mai totalmente controllabile e manipolabile dal sistema. Malgrado tutti i patetici tentativi dei regimi totalitari essa sfugge da un’unica spiegazione, lettura e asservimento. Arriva il giorno nel quale, talvolta senza alcun preavviso, le maschere cadono e il volto del potere appare nella sua nuda e menzognera verità.
            Niamey, Mauro Armanino, dicembre 2024