Leusi si affaccia dalla porta della sua modesta dimora. Con un braccio si appoggia allo stipite: osserva il susseguirsi dei campi e dei boschi e il saliscendi delle colline che chiudono l’estremo orizzonte. Niente mare, né navi, né clamori all’intorno, solo l’ovattata pace della campagna. Sta per piovere, gonfi nuvoloni scuri si addensano nel cielo grigio. Tra poco lui tornerà a casa dai campi così come i loro tre figli che giocano poco lontano con gli altri bambini del villaggio. Essi non andranno mai in battaglia, mai getteranno la vita nell’Ade per combattere altri esseri umani.
Leusi si massaggia la schiena dolorante: il suo corpo inaridito le pesa, non è più la ragazza della giovinezza svelta e radiosa. Anche il suo viso sta sfiorendo: l’inarrestabile moto della vita consuma il suo tempo.
Leusi era uscita dalla porta per andare a raccogliere delle erbe. Non aveva detto nulla a nessuno, altrimenti la mamma non glielo avrebbe permesso. Ma quelle erbe facevano comodo per la cena, ora che gli Achei avevano assediato Troia da tanto tempo e non se ne andavano mai; le loro navi erano fermamente ormeggiate di fronte alla città.
Erano crudeli gli Achei, molti valorosi guerrieri troiani erano caduti sotto i loro colpi e tutta la città, le donne, i bambini, i vecchi, soffrivano la fame.
Ma i terribili Achei, per fortuna, non sapevano che quella porta sul retro ogni tanto veniva aperta per ricevere del cibo dalla zona circostante. Ed ella, qualche volta, ne approfittava.
Etrobio, il soldato che stava a guardia, era suo amico, e quando lei glielo chiedeva, la lasciava passare perché potesse andare a raccogliere qualche verdura e frutta nei campi nascosti ai vigili occhi dei Greci.
Leusi era parente di Paride, il principe che aveva rapito la bella Elena, in quanto la sorella di Priamo era sua nonna da parte di madre.
Qualche volta, si soffermava a pensare a quell’amore così grande di lui per la moglie di un altro che li aveva condotti tutti a una guerra senza fine. Come si poteva amare tanto?
Leusi non lo capiva, ancora non aveva provato nessun vero sentimento per uno qualsiasi dei giovani della tribù, anche se sapeva che, finita la guerra, sarebbe andata sposa a uno di loro. Ma quella guerra sembrava eterna e tutto ristagnava: solo c’era tempo, purtroppo, per le sepolture.
Leusi canticchiava mentre si inoltrava nella campagna, non c’era molto da prendere, a dire il vero, nessuno aveva piantato più nulla, per cui non si trovava se non qualche erba spontanea, qualche frutto.
Il sole era forte e metteva allegria, e così pure la sua gioventù, così che ella aveva continuato a camminare fino ad arrivare a un boschetto. Là si era seduta sotto un albero a riposare. E si era addormentata.
Un rumore di foglie smosse l’aveva svegliata e subito aveva scorto il bagliore di un’armatura: era un greco e la stava osservando! Non portava elmo e i suoi capelli neri brillavano tra lame di sole che occhieggiavano dalle foglie della fitta vegetazione.
Leusi non aveva più sangue nelle vene. Era impietrita. Sapeva bene il destino di una donna catturata dal nemico: era condotta schiava all’accampamento nemico e, nella migliore delle ipotesi, concubina di qualche guerriero, se piacente, altrimenti domestica o peggio!
Il guerriero nemico rimaneva anch’egli immobile ed ella, ritrovato un minimo di coraggio, si era alzata ed era fuggita via correndo.
Egli non le aveva sbarrato il passo, né l’aveva rincorsa.
Velocissima, nonostante le gambe tremanti, Leusi era giunta alla porta, aveva bussato, era entrata in fretta, né aveva risposto alle domande di Etrobio che le chiedeva come mai non avesse nulla tra le braccia.
Per tutta la notte, Leusi non aveva chiuso occhio: l’immagine di lui le tornava davanti, spaventosa e terrificante.
Ma egli - le sembrava di ricordare - non aveva poi un’espressione così feroce, appariva stupito…
E, inoltre, perché non l’aveva fermata? Perché non l’aveva condotta, schiava, al suo accampamento?
I dubbi le avevano tormentato le lunghe ore del buio e anche il mattino seguente.
Il pomeriggio, era salita sulle mura e aveva puntato lo sguardo verso quel bosco lontano dove l’aveva incontrato. Naturalmente, non si vedeva nulla, se non la piatta tranquillità della campagna.
Quel giorno, Leusi non aveva avuto il coraggio di uscire ancora dalle mura, ma non era stata capace di far nulla se non pensare a lui e chiedersi perché aveva rifiutato di prendere schiava una donna giovane, magari anche solo per chiedere un riscatto.
La notte seguente era stata ancora più lunga della precedente: appena si addormentava, sognava di lui, il suo scudo, la sua corazza, ma soprattutto il suo viso, ed egli la chiamava!
Un qualche Dio voleva, forse, farle perdere la ragione? Come era possibile che lui la chiamasse? Poi richiudeva gli occhi e quell’immagine era ancora là, davanti a lei e la chiamava…
La mattina si era recata al tempio a pregare. –Oh, Afrodite, stammi vicina. Allontanami dai pericoli! –
Eppure, il tormento continuava.
Dopo tanta indecisione, infine, nel pomeriggio del giorno appresso, si era presentata alla porta di Etrobio. –Aprimi, fammi uscire, andrò a raccogliere della frutta. - gli aveva detto.
- Ma l’ultima volta sei tornata senza nulla e mi sembravi molto affannata. Ti è successo qualcosa?
- Sì, mentre mi trovavo nel bosco, ho visto un serpente, era lunghissimo, ho avuto paura e sono scappata. Ma oggi farò più attenzione.
- Sii cauta, ci potrebbero essere degli Achei in giro, anche se non vengono da questo lato delle mura perché i nostri soldati glielo impediscono. Essi sono molto più infidi e pericolosi dei serpenti!
- Farò molta attenzione, te lo prometto.
Lentamente, Leusi si era avviata verso il bosco: il cuore le batteva nel petto all’impazzata, le mani le tremavano ed erano ghiacce, ma non poteva fare diversamente.
Una forza che non aveva mai conosciuto prima la spingeva verso…
Forse, verso la sua fine, pensava.
Il Fato aveva dunque stabilito per lei una vita da schiava presso l’odiato nemico!
I suoi passi, intanto, seppure timidi e circospetti, si erano fatti più veloci.
Vivere o morire, dolore o gioia, l’eterno dualismo delle situazioni che doveva essere, per la prima volta, indagato dalla sua mente e dal suo corpo.
Ecco, i primi alberi, ecco il sentiero che aveva seguito due giorni prima, ecco lo spiazzo erboso dove si era seduta e addormentata.
Il silenzio avvolgeva l’ora calda del meriggio, solo gli uccelli si divertivano a saltare da un ramo all’altro cinguettando e non c’era anima viva.
D’altra parte, cosa avrebbe voluto? Incontrare un nemico, magari un uccisore di qualche suo fratello o parente o amico? Credeva poi che lui sarebbe restato là due giorni ad attenderla?
Eppure, come una stanca tristezza le era scesa sull’animo. Aveva sperato. E ancora si era seduta, appoggiando il capo sulle ginocchia e rinchiudendolo tra le braccia. Il viso di lui le tornava sempre davanti agli occhi. Perché questo scherzo degli Dei? Perché volevano tormentarla facendola pensare a un assassino dei suoi concittadini?
Era stato appena un fruscio, non più del brusio di un fragile vento tra le foglie; Leusi aveva alzato il capo ed egli era lì, davanti a lei. Non aveva scudo, né corazza, né armi: una semplice tunica lo ricopriva e i suoi capelli neri rilucevano ancora.
La guardava, immobile, ed ella anche rimaneva là, ferma, senza parlare, con il volto in fiamme, la paura a tormentarle le vene, incapace di fuggire di nuovo.
Poi, egli le aveva offerto dei frutti. Ella li aveva presi ed era andata via, in silenzio.
Dunque, egli aveva capito cosa ella facesse nel bosco: la volta precedente, spaventata, ella aveva lasciato là ciò che aveva raccolto prima di incontrarlo. Era tornata in città senza nulla e, se fosse successo di nuovo, qualcuno avrebbe potuto sospettare qualcosa d’insolito.
Anche questa volta, egli non l’aveva fermata né seguita.
Leusi era volata verso casa, la gioia l’invadeva tutta, anche se non ne capiva completamente il motivo.
O, forse, sì: egli era venuto là per lei!
Ma erano nemici, che significato poteva esserci? E se fosse stato tutto un tranello?
Se ci fosse stato dietro quel comportamento qualche progetto, magari, attraverso di lei, poter entrare da quella porta in città e chissà cos’altro?
Di nuovo la notte era stata tormentata: un po’ si addormentava felicemente con l’immagine di lui davanti, un po’ si svegliava preda di un terrore irrefrenabile.
Ma gli occhi di lui non potevano essere cattivi, non le volevano male, lo capiva benissimo!
Così, il pomeriggio seguente era tornata nel bosco.
Questa volta, era lui a essere seduto sullo spiazzo erboso, in attesa, con un cesto di frutti e verdure accanto a sé. Vedendola, si era alzato. Lei era rimasta in piedi, davanti a lui, i loro occhi si cercavano, timidamente ma avidamente. Solo così lei poteva sapere di lui, delle sue intenzioni, dei suoi pensieri. E non ne aveva paura.
Poi lui le aveva teso una mano e lei vi aveva messo la sua. Insieme, avevano imboccato un sentiero che si inoltrava ancora di più nel bosco.
-Non avere paura di me, - le aveva detto subito lui –lo so, sono un nemico per te, ma non ho intenzione di farti del male. Quando ti ho vista la prima volta, nel bosco, addormentata, mi sei sembrata una Dea. Eri così bella! Poi tu sei fuggita, ma io ho sperato che saresti tornata, ho creduto che avessi letto nei miei occhi le mie sensazioni. Il giorno dopo, tu non sei venuta, ed è stato assai triste per me. Non avrei mai potuto ritrovarti, in una città nemica, senza neppure sapere il tuo nome. Ho aspettato fino a che non è scesa la notte, poi ho dovuto rientrare al mio campo. Ma non ho perso la speranza e sono tornato qui, e tu c’eri. Allora avevi capito, ho pensato, allora il Fato non è poi così crudele con me! Ma ora dimmi, per favore, come ti chiami?
- Leusi.
- Io sono Archifeo, sono venuto qui con mio padre che è un amico di Achille. Ero solo un bambino, dieci anni fa. Imparerai la guerra, mi hanno detto. Intanto, sono cresciuto, adesso sono un uomo, ma non ho ancora combattuto, se non insieme a molti altri, in gruppo. Per fortuna, non mi ritengono ancora pronto per un duello. O, forse, mio padre lascia passare il tempo perché ha paura di perdermi, sono il suo unico figlio maschio.
- Non hai ancora ucciso nessuno?
- No, e non ho intenzione di farlo. La guerra non mi piace e me ne tengo un po’ lontano. Ogni giorno dico che vado in perlustrazione, che mi alleno per il combattimento, e vengo da queste parti a passeggiare. Per ora, non si sono resi conto che sto evitando gli scontri.
- E quando se ne accorgeranno?
- Mi manderanno in prima linea oppure mi bolleranno come vile traditore.
- E come farai?
- Davvero, non so, non ci ho ancora pensato. Al campo non fanno molto caso a me, perché sono comunque ancora giovane e perché hanno tanti problemi. Da alcuni giorni, poi, siamo stati colpiti dalla peste e la gente muore con facilità. Pare che un Dio ci voglia punire, ma non sappiamo ancora perché.
- Ma, prima o poi, dovrai combattere!
- No, non lo farò. Questa è una guerra ingiusta, siamo venuti sul territorio di un’altra città, nessuno ci ha minacciato!
- Sì, ma Elena?
- Ella è stata consenziente, è fuggita con Paride, non è stata rapita con la forza. Ella desidera rimanere qui.
- Sì, è vero, Elena ama stare qui, è una vera principessa troiana, ormai.
- E allora perché uccidere tanta gente per lei?
- Non ho mai sentito nessuno parlare così.
- Perché nessuno ha il coraggio di dire la verità. Elena non è la vera ragione, è solo una scusa per permetterci di conquistare Troia e avere il dominio di questo mare e dei suoi commerci, questa è la vera ragione!
- Ma tu non puoi cambiare le cose. Né andare contro l’onore del tuo popolo.
- No, non posso, ma posso non contribuire.
- Si sta facendo tardi, ci siamo allontanati molto, devo tornare.
- Ti accompagnerò solo al limitare del bosco, non ti verrò dietro verso la città, così non penserai che voglia rubare qualche vostro segreto. Ma ti aspetterò domani, al nostro solito posto.
- Verrò.
Leusi aveva preso ancora i frutti che Archifeo aveva preparato per lei ed era tornata in città.
- Tutto bene, eh, oggi? - le aveva chiesto Etrobio, indicando il piccolo bottino di cibarie.
- Sì, per fortuna, ho trovato un luogo tranquillo dove c’è ancora qualcosa.
La notte era stata densa di emozioni: il buio rende sempre tutto diverso. Poteva fidarsi? Il suo istinto le diceva di mettere la mano nella sua e di seguirlo, ovunque lui volesse andare. Ma che esperienza aveva lei di uomini? E di nemici, per giunta? Nella sua città, tutti parlavano male dei nemici!
Nonostante i suoi dubbi, il giorno dopo, nel primo pomeriggio, non aveva potuto resistere e si era ancora avventurata al solito luogo.
Egli non c’era: per un po’ aveva girellato là intorno, aveva raccolto qualche erba, si era seduta, il tempo era passato, ma di lui, del suo bel greco, neppure l’ombra! Confusa, era tornata in città.
Il giorno dopo ancora, aveva ripreso la strada dei campi e l’aveva atteso nuovamente. Invano. Dunque, non sarebbe più venuto. Dunque, si era già stancato di lei!
O, forse, aveva avuto un inconveniente, forse, era stato seguito da qualche suo compagno e non voleva tradirla…
Forse, era morto in combattimento…
Forse, l’avevano obbligato a combattere e si era rifiutato, così l’avevano imprigionato o, addirittura, ucciso…