POETANDO

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mercoledì, giugno 2

STRANE COINCIDENZE O PREDESTINAZIONE? di ALESSANDRA GIUSTI e DANILA OPPIO



L’amica Alessandra Giusti mi racconta oggi un fatto di cui non ero a conoscenza, abbastanza impressionante da far pensare che il destino non è  nelle nostre mani,  ma già preordinato.

Collegandoci al tragico fatto del Mottarone che, poco tempo fa è precipitata la cabinovia causando la morte di 14 persone, accadde un fatto simile anche nel 1983.

“Nel febbraio 1983 la funivia di Champoluc che conduce alle piste di sci, a dieci chilometri da qua, subì la stessa tragedia. Morirono undici persone. Mio marito ed io eravamo sposati da tre anni e da tre anni lui era entrato nel locale Distaccamento dei VVF volontari. Era il più giovane allora; adesso è il più vecchio. Mi risparmiò il racconto di quello che dovette vedere e che lo sconvolse. Un giovane torinese, che era venuto quassù per sciare e che era in coda per la funivia, ebbe la fortuna di non salire nel momento in cui caddero le cabine e si salvò. Rientrato immediatamente a Torino, nel pomeriggio andò al cinema. Quel cinema era lo Statuto. Morì nella tragedia. Ricordo che allora pensai alla sorte del soldato di Samarcanda e mi chiesi: “Ma allora c’è un destino al quale non possiamo sottrarci?”. Mi posi questa domanda, proprio io che ho sempre pensato che il destino ce lo creiamo con le nostre mani e continuo a pensarlo. Ma la domanda di allora mi si propone ciclicamente e risposte non ne ho trovate. Quando sarò di Là le troverò. Nel frattempo, proseguo nella certezza della Fede e dell’esistenza di Dio”.

A seguito di questa comunicazione, ho fatto delle ricerche, e di ovovie, cabinovie e altri mezzi di trasporto su funi,  di disastri simili ne sono accaduti parecchi nel corso degli anni.

I precedenti:

13 luglio 1972 - La cabina di una teleferica precipita a Betten-Bettmeralp, nelle Alpi svizzere: le vittime sono 13

 9 marzo 1976 - Vicino a Cavalese, in Trentino, a causa di un incidente tecnico precipita una cabina della funivia del Cermis: i morti sono 42

 13 febbraio 1983 - A Champoluc (Valle d'Aosta) precipitano tre cabine dell'ovovia che porta al Crest. Le vittime sono 11

 1 giugno 1990 - A Tbilisi, in Georgia, 15 morti in due cabine della teleferica, che precipitano per la rottura di un cavo

 5 giugno 1993 - A Bakhtela (Pakistan), la cabina di una funivia precipita per la rottura del cavo d'acciaio: 13 morti

 3 febbraio 1998 - Un aereo dei Marines Usa di Aviano trancia un cavo della funivia del Cermis, in Italia, facendo precipitare nel vuoto da circa 150 metri una cabina: le vittime sono 20

L'incidente dell'ovovia Champoluc-Crest accadde la mattina del 13 febbraio 1983 sulla cabinovia Champoluc-Crest, quando uno degli ovetti in salita si sganciò scivolando dopo un breve tratto dalla partenza. L'impianto venne comunque riattivato, provocando successivamente la caduta di tre cabine da un'altezza di venti metri, causando la morte di undici persone, con unico sopravvissuto un bambino di nove anni. 

Antefatti

La cabinovia-ovovia Champoluc-Punta Crest è un impianto di risalita, situato nella frazione Champoluc del comune di Ayas in Valle d'Aosta, il cui scopo è quello di collegare il paese con la frazione di Crest.

Incidente

Nella prima mattinata si verificò un primo incidente con lo scivolamento di un'ovovia, che non comportò conseguenze alle persone trasportate. L'impianto venne fermato e successivamente riavviato. Nell'intervallo di tempo intercorso, tra i primi due piloni una cabina perse l'aggancio al cavo traente, scontrandosi con la successiva. Il cavo portante presentò per un eccesso di carico una curva anomala; al riavvio della risalita la fune traente scaricò la forza sul cavo stesso, determinandone la rottura.

Trent’anni fa undici sciatori morirono sull’ovovia del Crest a Champoluc. La cabina numero 48 della mezza mattina di domenica 13 febbraio 1983 si sganciò dalla fune portante appena lasciata la stazione di partenza, scivolò indietro, rientrò senza provocare null’altro che un po’ di apprensione (era già accaduto altre volte). L’impianto fu purtroppo riavviato e a quel punto lo strappo fece balzare in alto le funi e la cabina numero 12 scivolò per qualche metro e andò a schiantarsi sulla lunga campata verso il primo pilone (il più alto) su quella che seguiva. Precipitarono per un’altezza di 20 metri tre cabine: morirono in dieci, l’undicesima vittima, una ragazza di vent’anni, è di qualche giorno dopo, durante il ricovero all’ospedale di Novara. Nello stesso ospedale era anche ricoverato in gravi condizioni un bimbo di 9 anni, Stefano Borlini. Rimase in coma per due settimane. È l’unico superstite esattamente come Eitan, nella tragedia del Mottarone. E non sarebbe stata l’unica tragedia in una giornata tanto nefasta.



Era il 13 febbraio del 1983, giorno buio per la città di Torino. Stesso giorno della tragedia di Champoluc. Una tipica domenica pomeriggio d’inverno, fuori la neve alta ricopriva le strade e la città un po’ dormiva e un po’ festeggiava il carnevale. Tutti i torinesi conoscono i fatti di quel giorno, ne abbracciano ancora lo sgomento. Sessantaquattro persone, morte in pochi istanti di terrore.

 Al cinema si proiettava un film comico: La Capra con Gérard Depardieu, ma dopo pochi minuti dall’inizio non si rise più. Un corto circuito provocò delle scintille che diedero fuoco a una tenda, quella che separava il corridoio di destra dal quale si accedeva in platea che, cadendo, diede fuoco alle sedie adiacenti. Tanto fumo, tanto buio.

Le persone urlavano, cercavano di scappare. Erano circa 100 gli spettatori presenti quella sera al Cinema Statuto, in via Cibrario. Nonostante una delle vie d’uscita principali fosse invasa dalle fiamme, alcuni di loro riuscirono a mettersi in salvo recandosi alle varie uscite di emergenza, ma le trovarono quasi tutte chiuse. Cinque uscite su sei erano chiuse a chiave per evitare l’ingresso di persone senza biglietto dall’esterno. Le mani battenti sulle porte risuonano ancora. Il gestore, nell’atrio della biglietteria, sentì quelle mani che, freneticamente, sferravano colpi, ma decise di non accendere la luce per evitare il panico. Decisione fatale. Il buio, il fuoco, le porte bloccate e, sullo schermo, ancora il film. Intanto le persone in galleria, non si accorsero di nulla se non quando ormai era troppo tardi. Morirono tutti; molti corpi furono ritrovati ancora seduti, due fidanzati di vent’anni abbracciati, molti ammassati nei bagni, nel tentativo di ripararsi dalle fiamme. In galleria non si vide il fuoco, arrivò solo il fumo, quello tossico, quello assassino.

La combustione dei vari materiali usati per l’arredamento e quella del tessuto che ricopriva le poltrone emanò ossido di carbonio e acido cianidrico. La galleria si trasformò in una camera a gas e bastarono meno di tre minuti per far spegnere tutte quelle vite. Un mese prima, raccontò Raimondo Capella, proprietario del cinema, erano stati fatti tutti i controlli necessari per rendere “sicuro” quel posto. Era stato, infatti, ristrutturato da poco e i lavori erano stati diretti dal geometra Amos Donisotti, che aveva già curato la ristrutturazione di molti cinema.

Ai controlli effettuati da una Commissione di esperti, non fu riscontrata nessuna anomalia: il cinema era, sotto ogni aspetto, a norma di legge e fu rilasciata una regolare certificazione che attestava la totale sicurezza del luogo. Dopo questo nefasto evento ci si rese conto che la legge stessa era sbagliata. I maniglioni antipanico già esistevano, ma non erano obbligatori. La norma che sanciva la presenza di uscite di sicurezza nei luoghi pubblici affermava solo che esse dovevano essere nella condizione di poter essere aperte, il che non escludeva la chiusura a chiave della porta perché avendo la chiave è possibile comunque aprirla. Da quel momento in poi cambiò radicalmente l’idea di sicurezza e l’Italia intera cominciò un’opera di risanazione dei luoghi pubblici. Ovviamente sempre dopo una tragedia. Cosa scatenò l’incendio quel triste pomeriggio? Le indagini intraprese dagli inquirenti si diressero su vari fronti.

Quel che è certo, è la storia di quel ragazzo che schivò la morte per non essere riuscito a salire sull’ovovia e, forse deluso per non aver potuto sciare, è rientrato a Torino e,  per consolarsi dalla mancata giornata sugli sci, ha scelto come alternativa di recarsi al cinema, nel quale ha perso la vita. Era destino? Non lo sapremo mai.

Alessandra Giusti e Danila Oppio (con aggiunte informazioni dei fatti scaricate dal Web)


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