POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

sabato, aprile 29

LA PRIMA VOLTA ALL'HOTEL BRAVIA A NIAMEY di P. MAURO ARMANINO


  La prima volta all’hotel Bravia di Niamey

Visto finora solo dall’esterno, l’hotel Bravia appare come una fortezza cintata nel quartiere ‘plateau’ di Niamey. E’ il numero tre dei 18 hotel di Niamey, cresciuti come funghi durante il regime ‘socialista’ del precedente Presidente della Repubblica. Assieme a nuove arterie che collegano con il rinnovato aeroporto internazionale, gli hotel di Niamey si vogliono come luogo di incontri, sessioni, dibattiti e approdo per organismi onusiani, africani e Ong internazionali. Il sito dell’hotel ricorda che il prezzo di una camera del Bravia per un giorno è di 175 000 franchi locali, cioè 266 euro. Meno, comunque, del più noto ‘Radisson Blu’ il cui prezzo per camera è di 190 000 franchi per notte. I proprietari sono indiani e la sede del gruppo Bravia, che possiede anche le agenzie di viaggio Satguru, si trova a Dubai. Varie cucine, piscina, sale di incontri e atrio monumentale climatizzato. L’altro Niger, quello fittizio, globalizzato, da mercato africano libero e soprattutto per la classe transnazionale appare nel suo splendore. Poi, giusto accanto, c’è l’altra Niamey.

Mariam

Ed è nel grande salone dell’hotel Bravia che, per la prima volta c’è stato l’incontro con Mariam, giornalista del quotidiano del Burkina Faso Sidwaya, venuta per una sessione di formazione e scambio. Sidwaya, nella lingua Moré, significa che ‘la verità è arrivata’...e per Mariam, da tempo ormai, la verità è il nome proprio che le donne hanno dato alle sue parole. Ha ricevuto il prestigioso premio Bayeux nel 2022, assegnato dal 1994 ai giornalisti che si distinguono nell’operare in condizioni particolarmente difficili il loro mestiere. Mariam parla delle donne sfollate, rifugiate, abbandonate, usate e poi gettate al pubblico disprezzo nel Paese che Thomas Sankara, il capitano rivoluzionario, aveva cercato di rendere libere. La sua serie di reportage portava come titolo: ‘Asse Dablo-Kaya: la strada dell’inferno delle donne sfollate’. Con sensibilità, tatto e prossimità tutta femminile, Mariam ha la straordinaria capacità di avvicinare le donne vittime di stupro e di coloro che, per condizioni di vita nella solitudine, sono schiave della prostituzione loro imposta.

I militari italiani, tra gli altri, sono ospiti dell’hotel, forse con sconto comitiva e comunque in un contesto nel quale il salario minimo garantito mensile, alla vigilia della festa del Primo Maggio, è di 30 mila franchi e cioè 45 euro per un lavoro di 40 ore.


 Gli impiegati dell’amministrazione pubblica e dell’insegnamento sono privilegiati ma raramente la loro mensilità arriva alla tariffa di un giorno passato all’hotel Bravia. Mariam termina oggi il soggiorno all’hotel e ritorna nel suo Paese, in preda, ormai da anni, a ricorrenti attacchi dei Gruppi Armati Terroristi che hanno seminato morte e distruzione dove hanno operato. L’unica arma che possiede è la scrittura e, anche grazie a lei, la verità è venuta per tante sue sorelle, donne come lei, che tramite le sue parole sono uscite dall’imposto silenzio della società sulla loro sorte. Sì, Mariam prova che solo le donne salveranno l’Africa e la stessa verità.

     Mauro Armanino, Niamey, 30 aprile 2023

domenica, aprile 23

Elvis Presley - Wooden Heart (GI Blues 1960).avi



Elvis Presley - Wooden Heart (GI Blues 1960).avi

testo
Can't you see I love you?
Please, don't break my heart in two
That's not hard to do
'Cause I don't have a wooden heart
And if you say goodbye
Then I know that I would cry
Maybe I would die
'Cause I don't have a wooden heart
There's no strings upon this love of mine
It was always you from the start
Treat me nice, treat me good
Treat me like you really should
'Cause I'm not made of wood
And I don't have a wooden heart.

Muss i denn, muss i denn zum Städtele hinaus?
Städtele hinaus
Und du, mein Schatz, bleibst hier
Muss i denn, muss i denn zum Städtele hinaus?
Städtele hinaus
Und du, mein Schatz, bleibst hier
There's no strings upon this love of mine
It was always you from the start.
Sei mir gut, sei mir gut
sei mir wie du wirklich sollst
Wie du wirklich sollst
'Cause I don't have a wooden heart

sabato, aprile 22

IDENTITA' DI SABBIA E IL RAMADAN DI NIAMEY di P. MAURO ARMANINO



Mains de la Fête

Identità di sabbia
 e il Ramadan di Niamey

Bella foto! Belle tonalità della sabbia. Se ora tu avessi un'identità (citando l'articolo di Aime) sarebbe la sabbia! Buona giornata. E’ Clelia a mandare questo messaggio via mail dopo aver scorso l’articolo inviatole dell’amico Marco Aime centrato, appunto sull’identità e ‘radici’. Ed è vero, strada facendo (e cioè la strada che ti entra dentro e ti lavora), il monolite identitario occidentale di radici si è gradualmente trasformato in sabbia. Mobile e immobile ai lati delle strade e tra le rive del Sahara/Sahel, dove, com’è noto, la storia si fa coi piedi che della sabbia sono i primi interlocutori. Ed è così che l’identità si contamina di sabbia e vento.

La direzione generale e l’insieme del personale di moov africa Niger vi augura una buona festa dell’aid el Fitr, questo SMS è stato inviato a Niamey il 21 aprile 2023 alle 9. 11 agli utenti della compagnia telefonica nominata. Non c’è traffico stamane in città perché si celebra la festa della conclusione del mese santo dell’Islam, il Ramadan, nome del nono mese del calendario musulmano che significa ‘calore bruciante’. Nulla di più vero visto che in questi giorni le temperature giravano attorno ai 42 e 43 gradi centigradi all’ombra quando c’è e che, in capitale, si prevedono 44 gradi per il fine settimana. Aid el Fitr significa che è finito il digiuno e che, dopo la preghiera e la professione di fede, comincia la festa che da alcune parti dura tre giorni. Seguono l’elemosina ai poveri, i saluti cordiali ai fratelli di fede, i regali e il vestito della festa.

Durante il mese del Ramadan, dopo la preghiera della sera, presso le moschee, veniva distribuito cibo ai poveri. Parecchi migranti senza domicilio, sfollati interni e bisognosi, hanno profittato di questa particolare forma di solidarietà rituale. Sono proprio loro i migliori rappresentanti, senza forse saperlo o volerlo, di queste menzionate identità di sabbia. Abbandonato il loro Paese di origine perché, spesso, da lui abbandonati, si rifanno altre e molteplici identità migranti. Sono poi definiti irregolari e nel passato semplicemente clandestini perché non disposti ad affidare ai documenti stampati la nostra comune identità di sabbia.

Sono infatti migliaia i migranti ‘insabbiati’ nel Niger alla frontiera con l’Algeria che li arresta, deruba, e ‘esporta’ al confine come se l’essere persone umane non contasse più nulla. Ma anche altrove sono ormai installati presso gli uffici dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni e delle numerose stazioni dei bus di linea. Queste ultime offrono l’alloggio per qualche giorno e i servizi minimi di acqua e igiene, a condizione di farsi il più possibile invisibili. Ed è così che, gradualmente, la nostra identità si modella sulle situazioni, gli interlocutori e le imprevedibili stagioni della vita. La sabbia, come l’identità, non è che polvere.

Da qui l’Europa sognata da molti migranti appare ancora più vicina e lontana assieme, proprio come un miraggio che, avvicinandosi, si allontana sempre più in là. Un gigante coi piedi di argilla che fatica a stare in piedi. Incapace di offrire una qualche parvenza d’identità che non sia il volto invecchiato di muri, controlli e misure coercitive di riduzione di tutto a numeri e statistiche. Ciò che accade da questa parte del mondo coi migranti non sono altro che ‘effetti collaterali ‘delle politiche europee di gestione dei movimenti migratori. Continuare a pagare i guardiacoste tunisini, libici o marocchini non fa che rendere il mare ancora più mortale. Si esternelizzano altrove le frontiere, i campi di detenzione e le ragioni per migrare.

Non ci salveremo da soli da nessuna parte perché la ‘coesistenza precede l’esistenza ‘e, come ricordava Paulo Freire, solo ci sia salva nella comunione tra bisognosi e mendicanti. Qui le nostre identità si sono rimodellate con la sabbia che ci ha dato un volto, una storia e forse anche un destino. Sabbie di tutto il mondo, unitevi!

                      Mauro Armanino, 21 aprile, Niamey


lunedì, aprile 17

sabato, aprile 15

ERRANZE E FRONTIERE di P. MAURO ARMANINO


Erranze e frontiere

Abdou, originario di Bouaké nella Costa d’Avorio, perde suo padre mentre è ancora studente delle medie. Con un fratello minore, quattro sorelle e la madre a carico, parte per l’Algeria nel 2015. Arrivato a Tamanrasset si guadagna quanto basta per continuare il cammino fino a Adrar, Oran e infine il Marocco attraversando la frontiera di Oujda. Ottenuto lo statuto di rifugiato nella capitale Rabat, rimane a lungo senza un lavoro stabile. Decide di sfidare la barriera metallica di Melilla, enclave spagnola, lunga 12 kilometri, dotata di videocamere di vigilanza e strumenti per la visione notturna. I cavi posti sul terreno connettono a una rete di sensori elettronici acustici e visivi. La barriera è alta sei metri e Abdou coi suoi compagni, il passato dieci marzo, hanno cercato inutilmente di avvicinarla. I militari marocchini, al servizio della Spagna, con bastoni e cani li hanno fermati prima di raggiungere la frontiera, spinata, con l’Europa. 

Abdou è stato arrestato e poi abbandonato al confine con l’Algeria e da qui, in seguito, preso e deportato all’altra frontiera, quella con Niger. Passate Assamaka, Arlit e Agadez, si trova a Niamey. Lo zainetto con l’unico vestito di ricambio e l’altra borsa coi suoi documenti sono spariti dalla stazione del bus presso la quale passa i suoi giorni. Gli rimangono ancora altre frontiere prima di tornare a casa, apparentemente, le mani vuote. Le stesse mani libere sono quelle di Ibrahim, di mestiere tassista nella capitale della Guinea, Conakry che, ormai da anni, spinge i propri figli a cercare lontano quanto è stato loro rubato in Patria. Abbandona il suo Paese nel 2021 e si avventura in Algeria passando dal confinante Mali. La madre dei suoi due figli, Fatoumata, è dolorosamente d’accordo col suo viaggio perché il suo lavoro non gli permette più di sopravvivere con dignità. Pratica per un anno il suo mestiere di conducente nei pressi di Algeri.

Dopo qualche mese, senza documenti accettabili, è deportato e poi abbandonato nel deserto che lo separa dal Niger. Ritenta per altre due volte di migrare in Algeria, a Tamanrasset, per non tornare a casa con le mani sconfitte. Ogni volta è preso, detenuto e poi deportato al confine. Si trova, infine, a Niamey nei pressi dell’aeroporto civile. Con la complicità del console onorario possiede adesso una carta d’identità e null’altro se non i ricordi del viaggio e il desiderio di capire perché, nel mondo, le frontiere siano come armi da guerra.

        Mauro Armanino, Niamey, 16 aprile 2023

giovedì, aprile 13

GALLERIA D'ARTE: NORMA TROGU

 

L'autrice
La mirada
Il dubbio
Adamo ed Eva scappando dalla censura
Al balcone
Ancora Alice
Ancora
L'ora del tè
Capricito
Con tenerezza
Il dubbio
Il vento parla
la mirada
La bambola
Mariposa
Odorando il vento della libertà
Parola chiave
Una cancion d'amor
Vento a favore
Mi granola

SOGNO DI UN POMERIGGIO DI QUASI ESTATE di GIOVANNA GIORDANI

SOGNO DI UN POMERIGGIO DI QUASI ESTATE

Sono convinta che le forzature in natura non vanno mai bene. Così è stato per l'introduzione forzata dalla Slovenia degli orsi nei boschi trentini. Gli orsi, seguendo il loro istinto, hanno provocato gravi danni ad animali da allevamento e persone. Ora si vuole "educare" la popolazione che ama passeggiare nei boschi a mantenere certi comportamenti in caso di incontro con il plantigrado e viene anche omaggiata di un campanellino "antiorso"...

Stavo passeggiando in uno dei boschi del mio amato Trentino.

Come al solito ero affascinata dall’ascolto dei teneri ciangottii che provenivano dai rami degli alberi e dal lieve stormire delle fronde che sembravano rivolgermi il loro saluto di benvenuto. Tutto era pace, serenità. All’improvviso questa pace fu interrotta da un rumore di rami spezzati, scricchiolio di sterpaglie e tonfi pesanti alle mie spalle. Mi girai e rimasi impietrita da ciò che stava davanti ai miei occhi. Un enorme orso, ritto sulle zampe posteriori e le fauci spalancate iniziò a rugliare verso di me in modo che mi sentii raggelare il sangue. I suoi denti bianchissimi e appuntiti spiccavano orgogliosi e mi sembrò che anche il bosco dintorno ammutolisse di terrore. Rimasi immobile. Il cervello era solo capace di dirmi che avrei fatto la fine delle galline, pecore, mucche e asini di cui tale animale, come avevo letto e visto sui giornali, era ghiotto. Attesi. Non potevo fare altro. Le mie gambe erano diventate due macigni inamovibili.

L’orso richiuse le fauci e mi fissò intensamente. -  Forse non gli piaccio. - Sperai. 

Lui continuava a fissarmi con i suoi occhioni luccicanti di lampi di rimprovero, che non promettevano niente di buono, e sembrava mi dicessero:

 - cosa fai tu, qui, straniera? Come osi entrare nella mia casa senza aver suonato il campanello? –

Poi rugliò di nuovo tendendo verso di me le sue zampe anteriori. -         E’ finita – pensai e cominciai a gridare disperatamente: - Il campanellooooooo, dov’è il campanellooooooo???!!!!!! –

Ma mi rendevo conto che le mie grida erano afone per cui nessuno poteva sentirmi. Riprovai ancora, mentre l’orso ormai mi era addosso con la sua scura mole ondeggiante e le fauci spalancate. Poi il buio mi avvolse e mi svegliai madida di sudore, ma felice di essere comodamente seduta sul divano di casa. Mi resi conto di essermi assopita davanti alla tv, con il giornale sulle ginocchia dal quale spiccava il viso sanguinante dell’uomo ferito da un orso.

- Che ti succede? - mi si stava chiedendo con voce preoccupata. - Cos’è questa storia del campanello? -

- Oh, niente - risposi - mi raccomando, se andate a passeggiare nei boschi, non dimenticate di portare con voi un campanello. Lo esige il re dei boschi. Se entrerete nella sua reggia senza aver suonato il campanello, lui si arrabbierà parecchio, e… speriamo che ve la cavate! - 

- Giovanna Giordani -


martedì, aprile 11

MAMMA MIA! Un po' di STORIA con SALVATORE QUASIMODO di DANILA OPPIO

 In questi giorni di festa, ho preso in mano un volume che non avevo mai sfogliato, di Franco Marcoaldi e Tomaso Montanari edito da Treccani. Si tratta di una raccolta di poesie varie, illustrate da stampe di quadri o di foto.

Verso la fine, ho incontrato la poesia MILANO, AGOSTO 1943 di Salvatore Quasimodo, che mi ha molto colpito.

Nel fare una ricerca più approfondita nel Web, ho "scoperto" il sito di Danilo Ruocco dedicato al Premio Nobel Quasimodo, e mi sono permessa di riprendere una parte del testo e alcune fotografie.

Questo il risultato della mia lettura e relative ricerche:



Il mio volume

La Basilica di Sant'Ambrogio colpita dai bombardamenti

La pagina della poesia inserita nel libro
sotto:
Il testo ricopiato per una migliore lettura
Milano, agosto 1943
 
Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta.

Salvatore Quasimodo

Nell’agosto del 1943 Milano fu bersaglio di una serie di bombardamenti da parte degli Alleati anglo-americani che, oltre al capoluogo lombardo, colpirono anche le altre città industriali del Nord.

Quasimodo descrive la desolazione post-bombardamento.  Anche se il nazi-fascismo andava debellato, il poeta è profondamente scosso dalla ferocia della guerra e dai lutti che essa porta con sé. Nella poesia, Quasimodo non parla di un lutto in particolare, ma di quello totalizzante riguardante la città di Milano che, nella poesia, risulta essere «morta».

Dei cadaveri, Quasimodo, traccia una descrizione, sommaria quanto efficace: essi sono «rossi» e «gonfi».

Dei vivi, il poeta non dà indicazioni descrittive, ma solo dettagli: di essi s’intravede una «povera mano», se ne sente il rumore dei loro aeroplani e si dice che essi «non hanno più sete».

Anche la Natura è stata colpita a morte: l’usignolo è morto precipitando dall’antenna e l’acqua potabile delle condutture non è più utilizzabile (ed è per questo che si ricorreva ai pozzi).

La poesia fa parte di Giorno dopo giorno
(analisi della poesia da parte di  Danilo Ruocco)

Aggiungo un'altra lirica di Quasimodo:



Dalla Rocca di Bergamo Alta

Hai udito il grido del gallo nell'aria
di là dalle murate, oltre le torri
gelide d'una luce che ignoravi,
grido fulmineo di vita, e stormire
di voci dentro le celle, e il richiamo
d'uccello della ronda avanti l'alba.
E non hai detto parole per te:
eri nel cerchio ormai di breve raggio:
e tacquero l'antilope e l'airone
persi in un soffio di fumo maligno,
talismani d'un mondo appena nato.
E passava la luna di febbraio
aperta sulla terra, ma a te forma
nella memoria, accesa al suo silenzio.
Anche tu fra i cipressi della Rocca
ora vai senza rumore; e qui l'ira
si quieta al verde dei giovani morti
e la pietà lontana è quasi gioia.
Nota
La poesia nasce da un dato biografico: Quasimodo fu incarcerato a Bergamo come disertore per non aver risposto a una cartolina precetto (mai ricevuta) di richiamo alle armi.

Il manoscritto è datato febbraio-marzo 1943, e il componimento fa parte della silloge Giorno dopo giorno. Per questa ragione, fu posta una targa per Quasimodo alla Rocca di Bergamo Alta il 14 maggio 2019.
Si è svolta in quella mattina, alla presenza del Sindaco di Bergamo Giorgio Gori, della Presidente del Consiglio comunale Marzia Marchesi, di Alessandro Quasimodo e della vicepresidente dell’Associazione culturale Salvatore Quasimodo di Palazzago Ines Soncini, la cerimonia di svelamento della targa in onore di Salvatore Quasimodo posta nel parco della Rocca di Bergamo Alta.
Durante la cerimonia è stato ricordato che Quasimodo, per non aver risposto alla cartolina-precetto inviatagli dalla Repubblica di Salò, nel febbraio-marzo del 1943 venne imprigionato nelle carceri di Sant’Agata in Città Alta a Bergamo.
Fu rammentando quella esperienza che Quasimodo scrisse la poesia Dalla Rocca di Bergamo Alta (in Giorno dopo giorno).

La targa ha la parte superiore “libera” per permettere di vedere il panorama di Città Alta e integrarsi con esso e recita:
"Incarcerato a Bergamo per antifascismo Salvatore Quasimodo, Premio Nobel per la Letteratura, compose nel 1943 la poesia “Dalla Rocca di Bergamo Alta. 
A perenne memoria, questa targa il Comune di Bergamo e l’Associazione culturale S. Quasimodo di Palazzago posero. 
Bergamo, XIV maggio 2019"
Alla cerimonia erano, tra gli altri, presenti anche lo studioso quasimodiano Danilo Ruocco e la poetessa Rita Iacomino.


Alessandro Quasimodo, figlio del poeta Salvatore presenta la targa


A. Quasimodo, Marzia Marchesi, il Sindaco Giorgio Gori


Alessandro Quasimodo e Danilo Ruocco


Alessandro Quasimodo e la mia amica poetessa e scrittrice Rita Iacomino 

Come già detto all'inizio, ho tratto foto e testo dal sito dedicato a Salvatore Quasimodo, di Danilo Ruocco, che è nato a Bergamo nel 1969.


Laureato in Lettere Moderne è iscritto all'Ordine dei Giornalisti nell'Elenco dei Pubblicisti.
Scrive online di cultura, di spettacolo, di comunicazione e dì diritti civili.

E dal libro CENTO LUOGHI DI-VERSI – Un viaggio in Italia, che  invece è mio, edito nel 2020 da Treccani, che mi ha dato lo spunto per una più dettagliata ricerca. La foto della Basilica distrutta dalle bombe è tratta dal libro in mio possesso, e le altre dal sito di Danilo Ruocco. 
Ringrazio il dott. Ruocco per il bel servizio, dal quale ho attinto a piene mani, ma sono certa che non avrà nulla da eccepire e che potete visitare a questo link: 


venerdì, aprile 7

DODICI ANNI DI SABBIA E IL SAHEL COME PRECARIA DIMORA di P. MAURO ARMANINO



                  Dodici anni di sabbia e il Sahel come precaria dimora

Avrebbe dovuto essere un soggiorno breve e misurato. Il tempo per organizzare il servizio di accoglienza per i migranti di passaggio a Niamey, nel Niger. Era questo il motivo per cui ero stato invitato dall’allora vescovo della diocesi omonima dove, al momento dell’arrivo, i migranti erano chiamati ‘esodanti ’ oppure più semplicemente ancora ‘avventurieri’. Entrambe queste figure facevano parte del paesaggio culturale dell’Africa Occidentale, una delle regioni tra le più ‘mobili’ del mondo. Il passaggio di frontiere per cercare altrove fortuna e lavoro è parte integrante dell’identità dei popoli del Sahel. Con le scelte geopolitiche dell’Occidente che includevano l’esternalizzazione delle frontiere e accordi bilaterali di riammissione in cambio di aiuti e progetti, la mobilità umana è stata vista con sospetto e infine ‘criminalizzata’. Il migrante è un errante.

Giusto il tempo di strutturare il servizio e poi ripartire per un altro Paese con altre sfide da assumere. Gli occhi erano ancora segnati dagli anni passati come ospite nel millenario chiostro delle Vigne, nel cuore del Centro Storico di Genova. La sera con le luci al Porto Antico delle Grandi Navi Veloci e la domenica pomeriggio stupito dai ‘palazzoni ’da crociera a piani che riempivano l’orizzonte del porto dove, all’epoca, partivano i migranti nostrani per le Americhe. Con nella mente i cancelli del carcere di Marassi, i colloqui con i detenuti e le celebrazioni a parte per i ‘ristretti’ e il reparto degli accusati per appartenenza alla mafia. L’accompagnamento di alcune comunità straniere dell’America Latina, dell’Asia e le sorelle africane che cercavano, in Via della Maddalena e dintorni, ciò che pensavano di avere smarrito in Nigeria.

Era il cinque di aprile del 2011. L’arrivo all’aeroporto internazionale Diori Hamani accolto dal confratello che poi sarebbe stato rapito per due anni dal Sahel al deserto del Sahara. La Riva e il Mare (di sabbia), ciò è quanto significano le due parole che nominano il mistero geografico e umano che ci costituisce. La crisi libica, avvenuta pochi mesi dopo, avrebbe accelerato il processo della fondazione del servizio per i migranti. Sarebbero stati loro, da allora, a dettare il luogo, lo stile, le scelte e il metodo per leggere la realtà di questa porzione d’Africa che avrei avuto il privilegio di abitare. Le storie che solo la sabbia, la polvere e il vento avrebbero raccontato attraverso le centinaia di migranti incontrati e poi perduti nel viaggio. Episodi di ordinaria violenza e sofferenza, come sempre intessuta di incosciente speranza, che i migranti rovesciavano sul pavimento poco levigato della memoria fuggente dei ricordi.

Assieme alla vergogna delle chiese incendiate nel 2015 a Niamey e Zinder, sarebbe stato questo il dono più grande ricevuto in questi anni. Una chiave preziosa perché in grado di aprire lo sguardo sul sistema di predazione che costituisce l’economia politica del mondo. Il sistema capitalista che applica e scava con cinismo il baratro che divide il mondo per meglio regnare. Allora, con la vista da ‘questo’ punto, diventa tutto più chiaro e semplice. Le frontiere come metafore che, con inesorabile processo, sono disegnate a forma di barriera, filo spinato o mare/muro che inghiotte chi viene a salvare l’Occidente dalla sua irrimediabile perdita. Essi, i migranti e loro nomi, mi hanno perso e salvato tante volte in questi anni e lo so, non sono neppure degno di sciogliere i legacci delle loro borse piene di nulla. Tanto fanno che persino Dio sta dalla loro parte e loro ne sono consapevoli sia quando attraversano il deserto che quando carezzano il mare. Arriveranno di sicuro, se Dio vorrà. E oggi, l’anniversario del mio primo arrivo, ci sono 43 gradi all’ombra alle 15 in punto. Sempre se Dio vorrà ce la caveremo anche stavolta. 


Mauro Armanino, Niamey, 5 aprile 2023


giovedì, aprile 6

IN RICORDO DI TOMMASO MONDELLI nel terzo anniversario della sua dipartita - di DANILA OPPIO

Il 6 aprile del 2020 lo scrittore e poeta Tommaso Mondelli ci ha salutato e insieme a lui ci ha lasciato anche un incolmabile vuoto. Lui, fino all'ultimo, ha scritto poesie e alcune biografie della sua vita, in prosa. Non posso dimenticare il giorno in cui, a Limbiate (MB) è stato premiato e festeggiato per una sua poesia e, nel contempo, festeggiato per i suoi 100 anni, proprio il giorno in cui li compiva.

Voglio ricordarlo così:

La quercia (ai miei cent'anni)

Era all'ombra della quercia antica

che tra le fronde verdi e le cicale

trassi quel sogno dalla casa avita

il passo con la vita ancora mi cale.


Un passato, il presente col futuro

sì come quel tronco regge il pieno

non moriremo mai ne son sicuro,

sul sentiero mai portato al meno.


Poi che 'l tronco suo segato a terra 

a far per le rotaie quel traversino

come la cosa che 'l mio core serra

e quel sentiero mi segnò il destino.


Ché dell'ombra e le cicale il canto

Così, delle ghiande, il maiale grasso

tempo fu quello del fatale incanto

come d'allor fu già frontale il passo.


Quel che viene torna al suo passato

so già che son venuto e me ne torno

tra quel che ho fatto, ancor segnato

quel tanto porto fiero al mio ritorno. 


Or che son vecchio e stanco alquanto,

tu non fungerai mai più da traversino,

già più non s'ode, delle cicale il canto

così noi uniti siamo, nel comune destino.

La quercia: ricordi in prosa

Ricordo i tronchi di quelle querce con un diametro di oltre un metro. L’ombra delle loro chiome si proiettava su una circonferenza di circa 300 metri e forse di più. Pensate a un diametro di circa 30 metri per 3,14 e vedi cosa viene fuori e le grida assordanti delle cicale innamorate. Era bello il mondo di allora avvolto nella sua candita felicità.

   Il canto dell’usignolo. Il volo planato dello sparviero, in cerca della preda da catturare. Ricordo le viole, le margherite disseminate sul prato e, accanto, il fico bianco e l’uva rosata.  Se avessi avuto la penna facile, queste cose le avrei potute raccontare. Purtroppo dalla vita non si può avere tutto.

Quella quercia e non fu una sola, era piena, sana e vegeta. E fu abbattuta per fare delle traversine che a quel tempo erano destinate a ricevere le rotaie dei treni. Furono poi sostituite con traversine di cemento. Il legno con cui realizzarle era naturalmente acquistato e quindi a fine commerciale. Solo due anni fa notai che nello spazio vicino, di proprietà del fratello di mio padre, una stessa pianta era ancora in vita solo perché meno idonea a dare quello stesso prodotto.

Il mondo e lo spazio dei ricordi appaiono vaghi e meravigliosi. 

Non dimentico il suo splendido racconto di memorie nel suo libro SETTIMANE BIANCHE e Crociere a Costo Zero, curato da Laura Vargiu, dove in copertina appare in una foto assieme all'allora Principe Umberto, poi divenuto (per breve tempo) Re d'Italia. 



Mondelli è il primo a sinistra guardando la foto. Il Principe è al centro. 

Tommaso Mondelli

In sua memoria, ho scritto la seguente poesia:

La cintura di Orione

Avevamo inventato il nostro chalet
sgranando parole o nessuna,
costruito sulle ali della fantasia
In alto, sui Monti della Luna.

Lì, il serotino appuntamento
in dialogo serrato di scritture,
di poesie o del malgoverno
analizzando alcune congetture.

Ora cristallizzato nello spazio
sei involato oltre la stratosfera
e, nonostante l’immane strazio
cala ancora e ancora la sera.

Sospeso con un filo dorato
simile a fibbia che allaccia
che ciondola da cintura d’Orione
e il Gigante Hunter abbraccia.

Ora che vivi nell’universo
polvere di stelle già sei
in una diversa dimensione
rivivi ancor nei pensieri miei.

Pochi, come accade ai poeti
nel lasciare il corpo mortale,
indossano ali e volan lontano
mutandosi in essenza vitale.

Il loro pensiero trascende
le umane miserie funeste
e va oltre, i sogni sospende
nell’immensitudine celeste.

E saremo ancora insieme
a fantasticar di rime e canti *
come a noi di certo conviene
In spazi eterei e sognanti.

*Canto a due voci, silloge poetica di Tommaso Mondelli e Danila Oppio edita da Largo Libro
 
Avevo comunicato il mio dolore per la perdita di chi ho sempre considerato il mio mentore, un vice padre, un amico sincero, ad un Padre Carmelitano amico di famiglia. Mi aveva chiesto di inviargli una foto di Tommaso.
Ecco cosa ha prodotto, anche Padre Nicola Galeno è un bravo poeta. 


Certa che Tommaso è ancora vicino alla sua famiglia, ai suoi amici, a tutti quelli che lo hanno apprezzato come uomo e come scrittore e poeta, e che lo portano ancora nel cuore, lo ricordo da qui, con immutato affetto.

Danila Oppio