Niamey - Niger
POETANDO
sabato, maggio 27
NIAMEY, TRA SOGNO, REALTÀ E INGANNO di P. MAURO ARMANINO
venerdì, maggio 26
VITTORIO MATTEO CORCOS PITTORE - GALLERIA D'ARTE - Selezione di DANILA OPPIO
Vittorio Matteo Corcos, ritrattista italiano del XIX secolo, nasce a Livorno il 4 Ottobre 1859 e, manifestando una spiccata vocazione all’arte, entra giovanissimo alla scuola del pittore Giuseppe Baldini, primo maestro di Giovanni Fattori. Suo figlio Massimiliano è fra i caduti della Grande Guerra.
Vittorio Corcos morì a Firenze l'8 novembre 1933; sua moglie Emma lo seguì nella tomba pochi giorni dopo, il 24. È sepolto nel cimitero monumentale delle Porte Sante in Firenze. Dal 1870 studia presso l'Accademia di Belle Arti a Firenze, sotto la guida del pittore livornese Enrico Pollastrini. Nel 1878-1879 Vittorio Corcos, dopo aver vinto una borsa di studio, si trasferisce a Napoli dove lavora nello studio di Domenico Morelli, il cui stile influenzerà notevolmente le creazioni del discepolo. Nel 1880, trasferitosi a Parigi, dopo un precario periodo come pittore di ventagli, firma un contratto per 15 anni con la Galleria d'Arte Goupil, dedicandosi quindi alla ritrattistica femminile e alle composizioni con scene di vita cittadina. Durante la permanenza nella capitale francese, Vittorio Corcos frequenta lo studio di Léon Bonnat, ritrattista dell'alta borghesia parigina che lo inserisce, con successo, nell'ambiente artistico d'elite.
Salvo una parentesi inglese, il pittore soggiorna a Parigi fino al 1885, espone in tre Salons e si adegua al mondo parigino ed indirizza la propria pittura verso le caratteristiche tematiche mondane: ritratti femminili, scene di vita moderna, raffinati interni, resi con pennellate fluide e colori brillanti; opere vicine allo stile degli amici Giovanni Boldini e Giuseppe de Nittis. Rientrato in Italia per compiere il servizio militare, il pittore ormai famoso, si stabilisce a Firenze e sposa, nel 1887, Emma Ciabatti vedova Rotigliano, venticinquenne ma già madre di tre figli, donna di raffinata cultura, stimata da poeti come Pascoli e Carducci, appartenente all'alta società fiorentina.
Ritratto della moglie Emma Ciabatti ved. Rotigliano
Introdotto dalla moglie nei salotti esclusivi dell’alta borghesia ebraica fiorentina, riscuote notevole successo con la sua pittura brillante e piacevole, ricevendo presto numerose commissioni ("Ritratto della Contessa Annina Morosini", "Ritratto della contessa Nerina Volpi di Misurata") consolidando la meritata fama di ritrattista, genere che richiamava una clientela scelta: dalle fanciulle dell’alta borghesia alle dame della nobiltà, dalle personalità emergenti, come il giovane Pietro Mascagni, ad altre di chiara fama, come Emilio Treves e Giosuè Carducci. Nel 1896 il quadro, esposto alla Mostra Fiorentina dell’Arte e dei Fiori, "Sogni", riscuote un enorme successo e. nel 1904, Vittorio Corcos diventa famoso in Europa per i ritratti di Guglielmo II in Germania, dell'Imperatrice Augusta, della regina portoghese Amelia e di Margherita di Savoia. Nel 1913 il suo "Autoritratto" entra a far parte della collezione della Galleria degli Uffizi.
giovedì, maggio 25
PONTI E FIUMI di DANILA OPPIO e ALESSANDRA GIUSTI
Mi racconta l’amica Alessandra Giusti, che ha risvegliato in me il desiderio di parlare di ponti in generale:
Entrando ad Aosta incontri i primi due monumenti romani importanti: il Ponte Romano, meno conosciuto, e il più famoso Arco d’Augusto, entrambi edificati nel 25 a.C. dall’imperatore Ottaviano Augusto (da cui l’antico nome di Augusta Praetoria della città di Aosta) al momento della fondazione della città. Ci siamo avventurati (un’avventura da poco, Aosta è piccola e la si percorre tranquillamente tutta a piedi) alla scoperta del Ponte Romano. Sembra impossibile che in tutti questi anni non ce ne fossimo occupati. Un po’ il lavoro, un po’ il dare scontato tutto quello che hai sotto gli occhi senza renderti conto della sua importanza. Opere magnifiche che resistono da duemila anni, imponenti, forti, durature. Crediamo di avere inventato tutto e invece era già stato tutto inventato e bene. Il ponte fu edificato sul torrente di Aosta, che si chiama Buthier; in epoca medievale un’alluvione ne spostò il letto; quindi, ora sotto al Ponte Romano c’è un bel prato verde curato molto bene dal Comune. Passando sul ponte si accede ad un antico borgo in parte ben ristrutturato che non avevamo mai visto.
Penso che questo articolo, tratto dal sito qui sotto, possa essere chiarificante:
Dopo il crollo del viadotto Polcevera a Genova, (conosciuto anche come Ponte Morandi) il tema della sicurezza dei ponti è passato al centro del dibattito nell’opinione pubblica. Nel mondo non mancano esempi di costruzioni ultramoderne, ma a fianco a loro sono ancora in piedi (e spesso in uso) decine di ponti costruiti secoli e secoli fa.
In “Roman Bridges”, scritto dall’ingegnere statunitense Colin O’Connor nel 1993, sono menzionate ben 418 costruzioni romane tra ponti e acquedotti, ancora totalmente o in parte conservate. Avvenuta, purtroppo, la tragedia del ponte Morandi, gli italiani si sono ricordati degli antichi ponti che si reggono in alto con stabilità da ben duemila anni costruiti dai romani.
I ponti romani conosciuti sono circa 900, secondo una lista stilata da Vittorio Galliazzo nel 1995. Questi si trovano sparsi per tutto quello che una volta fu gloriosamente l’Impero Romano. Effettivamente molte di queste costruzioni sono ancora integre e in uso, basti pensare, solo in Italia, ai noti Ponte Milvio, Ponte Fabricio e Ponte S. Angelo a Roma, al Ponte di Tiberio a Rimini, al Ponte del Diavolo di Cividale del Friuli. Il più conosciuto è ponte Milvio a Roma, riedificato in pietra nel 110 avanti Cristo. Inoltre, sul ponte di Tiberio (costruito a Rimini tra il 14 e il 21 d.C.) passano ancora le auto.Allievi degli Etruschi, i Romani fecero dell’ars pontificia un’arte sacra: il più alto grado sacerdotale era quello del Pontifex Maximus, magistrato che si occupava appunto della costruzione dei ponti. Successivamente la carica fu traslata metaforicamente nella Chiesa cattolica, attribuendo al vescovo di Roma la funzione mistica di tramite fra l’uomo e Dio. I ponti romani possiedono il record di essere i più grandi e duraturi dell’antichità. Ad esempio, quello di Traiano, progettato da Apollodoro di Damasco, vantava una lunghezza di 1135 metri e una larghezza di 15 e rimase sospeso per oltre un millennio a 19 metri sopra il livello del Danubio, nell’odierna Romania. Oltretutto fu realizzato in soli due anni: questo dovrebbe far ben sperare circa la recente promessa di Autostrade di ricostruire il ponte Morandi in cinque mesi. Questo l'articolo estrapolato da IL SUPERUOVO. Aggiungo, grazie al suggerimento del geometra Lorenzo Lévêque, marito di Alessandra, che il ponte Morandi, quello che ne rimaneva, è stato abbattuto il prima possibile dopo la tragedia e il 3 agosto 2020 è stato inaugurato il nuovo viadotto sul Polcevera, con il nome di Ponte San Giorgio. Ci sono voluti due anni, ma sono pochissimi, di solito ci vogliono due anni solo per la progettazione preliminare che è la prima delle tre fasi di progettazione. Seguono quella definitiva e quella esecutiva, che dà il via alla gara d’appalto dei lavori. Solitamente per lavori di una certa importanza le ditte perdenti cercano cavilli legali, fanno ricorso al TAR ecc. ecc. ritardando così l’inizio dei lavori. Tutto questo non è accaduto per il nuovo viadotto sul Polcevera perché è stata fatta una Legge speciale in deroga ai tanti cavilli, ed è stato nominato un Commissario responsabile dei lavori. Quindi in soli due anni si è arrivati all’esecuzione e al collaudo dell’opera.
Il segreto della longevità
Spiegato il segreto della longevità di tali strutture dall’ingegner Flavio Russo, specializzato in archeologia sperimentale e nella ricostruzione di antiche macchine belliche romane: “Il fatto è che i ponti romani erano edificati con materiali non deperibili come la pietra, invece del calcestruzzo. Non vi era metallo nelle loro strutture portanti, al contrario del nostro cemento armato che, se possiamo dire, ‘porta la morte dentro’. La cosiddetta ‘carbonatazione del cemento’, ovvero la reazione chimica provocata dal contatto con l’anidride carbonica, provoca fessurazioni all’interno della struttura nelle quali penetra l’acqua piovana. Così il ferro, già provato dalla fatica meccanica cui è sottoposto, si arrugginisce e, oltre a perdere le sue proprietà di resistenza e resilienza, si rigonfia e in certi casi spacca il cemento. Vi è poi il fenomeno della corrosione galvanica: le cosiddette ‘correnti parassite’, che si propagano per l’armatura metallica, erodono elettroliticamente il ferro, tanto che oggi si parla di ‘Protezione catodica’ per ridurre gli effetti del fenomeno tramite alcuni dispositivi elettrici. Tutto questo non avveniva nei ponti romani che tra l’altro, si avvalevano di un’architettura fondata sull’arco e non sull’architrave, come la nostra. In tal modo, le costruzioni romane lavoravano sempre per compressione, e mai per trazione”.
L’amica Alessandra Giusti mi invia questo articolo sull'argomento:
Già nel 2010 si sapeva che il Ponte Morandi aveva un difetto di progettazione ed era a rischio crollo
23 maggio 2023
Gianni Mion, ex Ad della holding dei Benetton Edizione ed ex consigliere di amministrazione di Aspi e della sua ex controllante, Atlantia, ha rilasciato dichiarazioni molto pesanti al processo per il crollo del Ponte Morandi, del 14 agosto 2018 (43 morti) parlando di incompetenza e sottovalutazione del rischio. Parole che fanno riflettere non solo sulla tragedia del Ponte Morandi, ma anche sulla sicurezza attuale della nostra rete di ponti, spesso non sufficientemente monitorata.
LA SICUREZZA? “CE LA AUTOCERTIFICHIAMO”
Mion si riferisce a una riunione del 2010 alla quale avrebbero partecipato con lui Giovanni Castellucci (Ad di Aspi), Gilberto Benetton (deceduto due mesi dopo il crollo del Ponte Morandi), il collegio sindacale di Atlantia, Riccardo Mollo (direttore generale di Aspi) oltre a tecnici e dirigenti di Spea:
“Emerse che il Ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo. Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose ‘Ce la autocertifichiamo’. Quella risposta mi terrorizzò… Castellucci era presente e non disse nulla… Era un accentratore forsennato, si occupava di ogni dettaglio. Non dissi nulla. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico”.
Gianni Mion
Dopo queste frasi, l’avvocato Giorgio Perroni, che difende l’ex direttore del Primo tronco di Autostrade, Riccardo Rigacci (indagato insieme a altre 58 persone), ha chiesto di sospendere l’esame di Gianni Mion e di indagarlo (cosa che renderebbe nulla la sua deposizione).
Il procuratore di Genova Nicola Piacente vedrà se ci sono i presupposti per indagare Gianni Mion, storico braccio destro della famiglia Benetton. Sono dichiarazioni che sembrano confermare quanto già emerso dalle intercettazioni disposte dalla Procura di Genova dopo il disastro, dove Mion parlava di “inettitudine” e “mancata presa di coscienza” da parte dei Benetton.
I PARENTI DELLE VITTIME
Immediata la reazione del Comitato Parenti Vittime Ponte Morandi: “Una persona con il suo ruolo non poteva stare zitta. Anche perché le parole pronunciate oggi non fanno che confermare quanto fosse approfondita la conoscenza dello stato del ponte da parte di chi avrebbe dovuto prendere decisioni sulla sua chiusura e sulle manutenzioni”.
Continuo con il discorso sui ponti, e già che ci siamo, pensiamo a quell’idea che il Governo non riesce a cancellare dalla mente: la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Credo che sia un passo DA NON FARE!! Esprimo le mie ragioni. Forse chi sostiene questo progetto, non ricorda che la zona è a rischio terremoti. Ha dimenticato che nel 1908 vi fu quella immane tragedia causata dal sisma. Alle 5.20 del 28 dicembre 1908 una violenta scossa di magnitudo 7.2 colpisce la Sicilia orientale e la Calabria meridionale. L’evento rappresenta una delle più gravi catastrofi sismiche verificatesi in Italia. Il sisma distrugge quasi completamente le città di Messina e Reggio Calabria e provoca danni molto gravi su un’area di circa 6mila chilometri quadrati. La maggior parte della popolazione è sorpresa dal terremoto nel sonno. Il numero delle vittime è stimato intorno alle 80mila persone.
I danni sono in gran parte causati dalla scarsa resistenza dei terreni di fondazione e dalla scadente qualità delle costruzioni. A Messina il terremoto colpisce con particolare violenza il nucleo storico e la zona costiera della città. Importanti edifici sono rasi al suolo, tra cui la famosa “Palazzata”, la sequenza di fabbricati lungo il porto già distrutta e ricostruita dopo il terremoto del 1783.
Circa dieci minuti dopo la scossa segue una devastante onda di maremoto che travolge entrambe le coste dello Stretto. Lo tsunami aggrava enormemente le distruzioni provocate dal terremoto e provoca nuove vittime tra le persone sopravvissute ai crolli che, proprio correndo verso il mare, cercavano una via di salvezza. Le vie di comunicazione sono impraticabili, le strade e le ferrovie distrutte, le linee telegrafiche e telefoniche interrotte anche a causa della rottura dei cavi sottomarini provocata dallo tsunami.
Gli effetti del terremoto condizionano per anni l’economia e le dinamiche demografiche delle aree colpite, interessate prima da un momentaneo spopolamento poi da un flusso migratorio alimentato dalla richiesta di manodopera per la ricostruzione.
Il drammatico evento del 1908 segna l’inizio dell’azione dello Stato per la riduzione degli effetti dei terremoti, attraverso l’introduzione della classificazione sismica del territorio nazionale e l’applicazione di specifiche norme per le costruzioni. È del 1909, infatti, il primo Regio Decreto che introduce norme valide per l’intero territorio nazionale.
Questa tragedia ha colpito anche i nonni di mio marito, che erano giovani sposi con due bimbi piccolissimi. Sono riusciti a salvarsi, ma avevano perso tutti i loro averi, casa compresa. Se fossero morti, io non avrei conosciuto il mio coniuge perché non sarebbe nato neppure suo padre, che venne alla luce due anni dopo il terremoto.
Tenuto bene in mente quanto accaduto allora, non si creda che non debba succedere di nuovo. La zona è sismica, e costruire un ponte lì, è davvero un rischio che bisognerebbe non sottovalutare.
In questo periodo, l’Emilia-Romagna è stata sommersa da alluvioni dovute all’esondazione dei fiumi, quindi sarebbe bene investire in opere di contenimento degli stessi, e non solo in Emilia-Romagna, ma ovunque scorrono corsi d’acqua che si possono ingrossare e quando superano gli argini, invadono paesi e città. Il costo dei danni è notevole, penso più alto di quello che si deve affrontare per arginarne il flusso. Quindi, ritengo che esistano priorità da seguire, e per ora - meglio per sempre – dimenticare il progetto riguardante il Ponte dello Stretto. Da quanto leggo, credo che neppure i calabresi e i siciliani desiderino tale spreco. Se si sono sempre spostati con aerei o con traghetti, non vedo una reale necessità di impiegare enormi investimenti per qualcosa della quale si può fare a meno. Chiedo al Governo di preoccuparsi per i danni che avvengono causa frane a seguito dello straripamento dei corsi d’acqua e porvi immediato rimedio. Il Ponte sullo Stretto non è urgente. Se pensate che lo studio del progetto, e la realizzazione del ponte darà lavoro a una moltitudine di persone, tra ingegneri e manodopera, potete impiegare la stessa forza lavoro per la realizzazione del rafforzamento degli argini o convogliare le acque in maniera sicura, evitando disastri come quelli che accadono più frequentemente di quanto si creda. Conto sull'intelligenza degli italiani, conto sul buon senso del Governo, affinché si dia la priorità laddove è necessaria e urgente! Mi pare che i segnali siano chiari, di dove occorre dirigere l'attenzione e il proprio operato in questa splendida Italia così ferita!
Danila Oppio - Alessandra Giusti
martedì, maggio 23
venerdì, maggio 19
LETTERA AD UN PAESE SENZA QUALITÀ di P. MAURO ARMANINO
Frontespizio della Costituzione Italiana |
Lettera ad un Paese senza qualità
Esserne rimasto a lungo lontano avrebbe potuto trasformare la mia lontananza in nostalgia. Forse è accaduto all’inizio, dopo il primo soggiorno in Costa d’Avorio e, gradualmente meno, gli altri. C’è qualcosa che ci ha cambiati entrambi, il Paese e chi scrive la presente lettera aperta a chi ha voglia e tempo di ‘aprirsi’ a sua volta. Ad ogni ritorno dall’Africa Occidentale al Paese e ora, da questa riva chiamata Sahel, si fa strada un indefinibile malessere che rende i miei soggiorni quasi ‘clandestini’. Dev’esserci accaduto qualcosa che ha forse radici lontane ma che, con l’accelerazione del tempo, delle parole e dello spazio ha profondamente inciso sul nostro modo di abitare il mondo. L’uomo senza qualità, romanzo incompiuto dello scrittore austriaco Robert Musil negli anni Trenta del ‘secolo breve’, ha ispirato il titolo del presente scritto. Una sorta di meditazione che vorrebbe in realtà interrogare chi, nella società italiana assume, per scelta o per statuto, un ruolo qualsiasi di ‘autorità’ ossia di responsabilità nel pensiero e nella prassi quotidiana.
Un’amica scriveva che noi non siamo altro che ‘date ambulanti’ e, detto in modo quasi brutale, non si può non riconoscere nell’affermazione una parte cospicua di verità. Date, certo, gli anniversari, le feste nazionali che caratterizzano l’identità di popolo e poi quelle di famiglia, più personali. Date e avvenimenti camminano assieme a storie cha mai sono lineari e univoche. Per rimanere nel citato secolo breve, così definito dallo storico inglese Eric J. Hobsbawn, il nostro Paese ha conosciuto, ancora nella monarchia, le conquiste coloniali, il fascismo e le resistenze a quest’ultimo. La Costituzione della Repubblica, frutto delle variegate ‘anime’ delle resistenze, il ritorno del movimento operaio e sindacale, gli ‘anni di piombo ’, il ‘riflusso’ e poi la straordinaria mutazione ‘antropologica’ che, tra gli altri, Pier Paolo Pasolini aveva lucidamente intravisto. Il Paese si trova in questo processo, da molti analizzato con maggiore acutezza che il sottoscritto, presente e assente da anni dal quotidiano cammino di costruzione della società che mi appare, appunto, senza qualità.
Il centenario della nascita di don Lorenzo Milani, giustamente ricordato come uno dei ‘maestri’ alternativi del nostro tempo, permette di rimettere a nuovo alcune idee, concetti e scelte. Assieme a Giorgio la Pira, Giuseppe Dossetti, Danilo Dolci, don Tonino Bello, e molti altri, avrebbero potuto dettare cammini diversi e più fedeli allo spirito e alla lettera della Costituzione della Repubblica. Un Paese, tra l’altro, marcato dalla presenza capillare della Chiesa Cattolica e da un patrimonio di matrice contadina e operaia ricco e mistificato dal potere. Una Presenza che avrebbe potuto e dovuto illuminare e operare ben altre scelte che non fossero il matrimonio con il capitalismo, la subalternità imposta e accettata alle politiche degli Stati Uniti e l’opzione guerrafondaia che continua a imperversare sotto tutti i regimi e governi. L’Italia continua a produrre e vendere armi, ad ospitare basi militari (alcune con testate nucleari rinnovate), si impegna a sostenere una guerra che non potrà non coinvolgere direttamente e dolorosamente l’Europa e, ciliegina sulla torta, si impegna in varie ‘operazioni di pace’ all’estero. Come ben ricordava l’amico Manlio Dinucci e altri con lui, il nostro Paese, alla faccia dei ‘migranti’, spende per gli armamenti circa 50 milioni di euro al giorno.
Le nuove missioni per l’anno 2023, riporta il sito Analisi Difesa, riguardano la partecipazione di personale militare alle seguenti missioni di supporto, consulenza e addestramento alle forze locali:
• European Union Military Assistance Mission in Ucraina (EUMAM Ucraina) – supporto al riequipaggiamento ed addestramento delle forze ucraine
• European Union Border Assistance in Libya (EUBAM Libia) – supporto al controllo dei confini libici contro i traffici illeciti
• European Union Military Partnership Mission in Niger (EUMPM Niger) – supporto alle forze nigerine impegnate contro le milizie jihadiste
• missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Burkina Faso – supporto alle forze del Burkina Faso impegnate contro le milizie jihadiste
Dunque, è proprio l’Africa del Nord e l’Africa Occidentale, dove chi scrive ha passato trent’anni della sua vita, e avendo scelto, tra l’altro, il volontariato internazionale alternativo al servizio militare. Al nostro Paese senza qualità non è l’Africa dei popoli che interessa quanto le geo strategie sottese a interessi, profitti e manipolazioni armate. Nei Paesi interessati alle missioni i militari stranieri sono, lo posso affermare, appena sopportati dalle società civili. Nessuna di queste missioni, ricorderebbe il citato don Milani, sarebbe in accordo con lo spirito e la lettera della Costituzione italiana che, all’articolo 11 ribadisce che ...
L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
In tutti questi anni il silenzio, complice nella quasi totalità delle autorità ecclesiastiche, dei politici di matrice cristiana, socialista e comunista, hanno reso possibile il disfacimento del tessuto costituzionale, in realtà mai applicato in tutti questi anni. La frammentazione, l’isolamento e la gestione politica di governo grazie al ‘caos’, come ricorda il filosofo francese Lucien Cerise in un libro recente, evidenzia come il Paese ha interpretato tutti questi anni (terrorismo, emergenza economica, totalitarismo sanitario e la guerra in Ucraina...). In realtà, quanto ci è accaduto, non è che la conseguenza di una duplice dimissione, quella dello spirito e quella della sovranità. Lo spirito o anima, anzitutto perché come singoli e come società abbiamo accettato di rimuovere la bellezza, la verità e il bene dal nostro quotidiano ‘abitare’ il mondo. Ci si è lasciati comprare dalla merce come orizzonte, la società di mercato per il consumo come stile e la vita ad una sola dimensione come patria. Ci siamo venduti a vil prezzo come se, tutti, non fossimo, in questa terra, come ‘stranieri di passaggio’ e dunque compagni di viaggio e cioè di utopia. Questa è la prima dimissione che ha liquidato la dimensione simbolica e poetica della dignità umana.
La seconda e non meno importante dimissione è stata quella della sovranità. Piero Calamandrei sosteneva che ‘la scuola è il luogo dove si compie il miracolo di trasformare i sudditi in cittadini’...Don Milani con la sua ‘Lettera ad una professoressa’ scritta con gli alunni di Barbiana, ne sono una delle testimonianze più inequivocabili. In tutti questi anni abbiamo vissuto da sudditi, schiavi sottomessi ai burattinai di turno che, tra menzogne, paura e ricatti hanno ridotto la sovranità ad un vuoto contenitore da gettare al macero. Poche, in questi decenni, sono state le voci capaci di aggregare forme di resistenza reale al sistema di dominazione che tutto fagocita e riduce la democrazia, intesa come partecipazione, in un simulacro di politica. La scuola, espressione della politica, sforna solerti funzionari per il sistema dominante. Smarrito il popolo sovrano rimane l’opinione, la politica dei sondaggi e gli interessi di parte. La perdita della sovranità va di pari passo con la perdita del senso del bene comune. La legge della giungla torna riverniciata di fresco e si pavoneggia di inutili diritti individuali atomizzati a servizio del potere del ‘Grande Reset’ di Davos.
Per riprendersi l’anima e la sovranità occorre ripartire dalla verità e cioè dai poveri che di essa sono gli umili testimoni storici. Metterli, con loro, al cuore della politica, dell’economia e della prassi religiosa. Dichiarare apertamente che l’Italia, per fedeltà alla propria Costituzione, disattende gli accordi sulle basi militari statunitensi sul proprio territorio, rinuncia a continuare il vassallaggio agli Stati Uniti, esce puramente e semplicemente dalla Nato, riconverte le industrie belliche in altro utile per la pace, spinge i vescovi e le alte sfere vaticane a liberarsi dal fardello del compromesso che ha ridotto il fattore religioso a puntello del sistema dominante e smette di prodigare armi alla guerra in Ucraina. L’anima e la sovranità sono state confiscate e poi vendute al mercato di chi concepisce la vita e la storia come proprietà privata da mercanteggiare. Sono tenute in cattività per inerzia, dimenticanza e l’effimero della società dello spettacolo però, come tutte le catene, possono essere spezzate da un semplice e inatteso no. Ed è proprio da un no alla strategia della morte dell’umano, operata dal sistema di dominazione, che si apre, con un vagito, la speranza perduta e ritrovata.
sabato, maggio 13
EDUARDO GALEANO - ricerche di Danila Oppio
Niente mi appartiene di quanto riportato, è solo il frutto di una ricerca appassionata, come di norma mi piace fare, su personaggi che meritano attenzione e rispetto.
Salomone è arrivato a Niamey di P. MAURO ARMANINO
Salomone è arrivato a Niamey
La storia e la geografia hanno fatto la vita politica di Solomon alias Souleymane. Nome stampato sul biglietto del bus della nota compagnia ‘Rimbo’ di Niamey. Autista di ‘Caterpillar’ era partito dalla nativa Liberia nel 2018 pensando di trovare futuro e soldi nel Sudan. Per raggiungerlo attraversa Costa d’Avorio, Ghana, Togo, Benin, Nigeria, Camerun e il Ciad del figlio del dittatore Idriss Deby. Dopo qualche mese, trova lavoro nel Darfur e poi nella capitale Khartum. La guerra che si reinstalla nel paese, le milizie e le minacce lo spingono ad un viaggio di ritorno complicato. Nel frattempo, manda quanto ha guadagnato al Paese dove, nella capitale Monrovia, è rimasta parte della sua famiglia. Fa comprare il terreno e inizia a far costruire la sua seconda casa. Intanto con gli anni, il figlio Jacob e sua madre, dalla quale si è separato, partono negli Stati Uniti. Nel Sudan è obbligato a mettere la sua croce in tasca onde evitare problemi e discriminazioni.
Solomon conosce la guerra per averla vissuta, per anni, nel suo Paese. Sa per esperienza che le guerre non finiscono mai e allora, rischiando, inizia il viaggio a ritroso. La stessa geografia di prima arricchita dalla presenza di gruppi armati per i quali solo conta il profitto, esattamente come per l’economia globale. La capitale del Ciad, il Camerun, la Nigeria e infine Cotonou, la capitale economica del confinante Benin. Colui che lo consiglia conosce il Niger e in particolare Niamey. Lo informa che l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni ha per missione di aiutare il rimpatrio dei migranti con una eventuale somma per reinstallarsi nel Paese di origine. Per questo Solomon raggiunge la capitale Niamey e scopre che l’Istituzione citata, per vari motivi, ha da tempo congelato i ritorni ‘volontari’ al Paese natale. Non nasconde il disappunto per la scoperta e, forte dei suoi 49 anni di età, assume questa nuova sfida con sofferta saggezza.
Si ritrova a Niamey col biglietto del bus, un passaporto scaduto, la borsa piena di nulla e il figlio Jacob negli Stati Uniti come buona parte dei liberiani. Autista provetto di ‘caterpillar’ deve trovarsi una casa e, nei limiti del possibile, il mezzo per sbarcare il lunario nell’attesa che qualche provvidenziale aiuto lo faccia tornare in Liberia. A Monrovia, la capitale, possiede due case e dei parenti che le abitano con cura. Ha imparato a memoria la geografia e, per lui, le frontiere non sono altro che ipotesi di lavoro che in nulla incidono sulle sue scelte. Col passaporto scaduto e nessuna ambasciata in zona dovrà fare attenzione a non commettere errori che lo rendano bersaglio delle forze dell’ordine. Forse, attraverso Jacob suo figlio, la promessa della discendenza numerosa ‘come la sabbia del mare’ si potrà realizzare, un giorno, in Liberia.
Mauro Armanino, Niamey, 14 maggio 2023
venerdì, maggio 12
DAVID DI DONATELLO, miglior film "LE OTTO MONTAGNE"
David di Donatello, miglior film "Le Otto Montagne"
Le Otto montagne dei registi belgi Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersh è il miglior film della 68esima edizione dei David di Donatello premiato mercoledì sera negli Studi Lumina di Roma in diretta tv su Rai 1 con la conduzione di Carlo Conti affiancato da Matilde Gioli. Il film di amicizia a grandi altezze con gli affiatati Alessandro Borghi e Luca Marinelli conquista anche miglior fotografia, sceneggiatura non originale e suono. "Un viaggio incredibile. Perché due belgi fanno un film in Italia? Era una storia molto bella, da un libro che mi hanno mandato i produttori e ho detto: sì, lo faccio", proclama Felix Van Groeningen. "Grazie per questa dichiarazione d'amore. Noi amiamo l'Italia", aggiunge commuovendosi Charlotte Vandermeersh. Alessandro Borghi non ha dubbi: "Fare questo film è stato un regalo incredibile per la mia vita. Un incontro meraviglioso condividere questa cosa con mio fratello che sta qua", aggiunge indicando Luca Marinelli, che da parte sua restituisce il merito ai registi: "Sono due anime gigantesche che ci hanno regalato quest'avventura meravigliosa".
Ringrazio l'amica Alessandra Giusti per avermi inoltrato questo articolo, applausi agli attori e regista, ma...certo che leggere "era una storia molto bella, da un libro che mi hanno mandato i produttori" senza citare l'autore del libro, indispensabile dirlo e tremenda gaffe, mi ha lasciata basita, a dir poco". Rimedio come posso.
Paolo Cognetti, è uno scrittore italiano. Ha vinto il Premio Strega 2017 col romanzo Le otto montagne.