Mi racconta l’amica Alessandra Giusti, che ha risvegliato in me il desiderio di parlare di ponti in generale:
Entrando ad Aosta incontri i primi due monumenti romani importanti: il Ponte Romano, meno conosciuto, e il più famoso Arco d’Augusto, entrambi edificati nel 25 a.C. dall’imperatore Ottaviano Augusto (da cui l’antico nome di Augusta Praetoria della città di Aosta) al momento della fondazione della città. Ci siamo avventurati (un’avventura da poco, Aosta è piccola e la si percorre tranquillamente tutta a piedi) alla scoperta del Ponte Romano. Sembra impossibile che in tutti questi anni non ce ne fossimo occupati. Un po’ il lavoro, un po’ il dare scontato tutto quello che hai sotto gli occhi senza renderti conto della sua importanza. Opere magnifiche che resistono da duemila anni, imponenti, forti, durature. Crediamo di avere inventato tutto e invece era già stato tutto inventato e bene. Il ponte fu edificato sul torrente di Aosta, che si chiama Buthier; in epoca medievale un’alluvione ne spostò il letto; quindi, ora sotto al Ponte Romano c’è un bel prato verde curato molto bene dal Comune. Passando sul ponte si accede ad un antico borgo in parte ben ristrutturato che non avevamo mai visto.
Penso che questo articolo, tratto dal sito qui sotto, possa essere chiarificante:
Dopo il crollo del viadotto Polcevera a Genova, (conosciuto anche come Ponte Morandi) il tema della sicurezza dei ponti è passato al centro del dibattito nell’opinione pubblica. Nel mondo non mancano esempi di costruzioni ultramoderne, ma a fianco a loro sono ancora in piedi (e spesso in uso) decine di ponti costruiti secoli e secoli fa.
In “Roman Bridges”, scritto dall’ingegnere statunitense Colin O’Connor nel 1993, sono menzionate ben 418 costruzioni romane tra ponti e acquedotti, ancora totalmente o in parte conservate. Avvenuta, purtroppo, la tragedia del ponte Morandi, gli italiani si sono ricordati degli antichi ponti che si reggono in alto con stabilità da ben duemila anni costruiti dai romani.
I ponti romani conosciuti sono circa 900, secondo una lista stilata da Vittorio Galliazzo nel 1995. Questi si trovano sparsi per tutto quello che una volta fu gloriosamente l’Impero Romano. Effettivamente molte di queste costruzioni sono ancora integre e in uso, basti pensare, solo in Italia, ai noti Ponte Milvio, Ponte Fabricio e Ponte S. Angelo a Roma, al Ponte di Tiberio a Rimini, al Ponte del Diavolo di Cividale del Friuli. Il più conosciuto è ponte Milvio a Roma, riedificato in pietra nel 110 avanti Cristo. Inoltre, sul ponte di Tiberio (costruito a Rimini tra il 14 e il 21 d.C.) passano ancora le auto.Allievi degli Etruschi, i Romani fecero dell’ars pontificia un’arte sacra: il più alto grado sacerdotale era quello del Pontifex Maximus, magistrato che si occupava appunto della costruzione dei ponti. Successivamente la carica fu traslata metaforicamente nella Chiesa cattolica, attribuendo al vescovo di Roma la funzione mistica di tramite fra l’uomo e Dio. I ponti romani possiedono il record di essere i più grandi e duraturi dell’antichità. Ad esempio, quello di Traiano, progettato da Apollodoro di Damasco, vantava una lunghezza di 1135 metri e una larghezza di 15 e rimase sospeso per oltre un millennio a 19 metri sopra il livello del Danubio, nell’odierna Romania. Oltretutto fu realizzato in soli due anni: questo dovrebbe far ben sperare circa la recente promessa di Autostrade di ricostruire il ponte Morandi in cinque mesi. Questo l'articolo estrapolato da IL SUPERUOVO. Aggiungo, grazie al suggerimento del geometra Lorenzo Lévêque, marito di Alessandra, che il ponte Morandi, quello che ne rimaneva, è stato abbattuto il prima possibile dopo la tragedia e il 3 agosto 2020 è stato inaugurato il nuovo viadotto sul Polcevera, con il nome di Ponte San Giorgio. Ci sono voluti due anni, ma sono pochissimi, di solito ci vogliono due anni solo per la progettazione preliminare che è la prima delle tre fasi di progettazione. Seguono quella definitiva e quella esecutiva, che dà il via alla gara d’appalto dei lavori. Solitamente per lavori di una certa importanza le ditte perdenti cercano cavilli legali, fanno ricorso al TAR ecc. ecc. ritardando così l’inizio dei lavori. Tutto questo non è accaduto per il nuovo viadotto sul Polcevera perché è stata fatta una Legge speciale in deroga ai tanti cavilli, ed è stato nominato un Commissario responsabile dei lavori. Quindi in soli due anni si è arrivati all’esecuzione e al collaudo dell’opera.
Il segreto della longevità
Spiegato il segreto della longevità di tali strutture dall’ingegner Flavio Russo, specializzato in archeologia sperimentale e nella ricostruzione di antiche macchine belliche romane: “Il fatto è che i ponti romani erano edificati con materiali non deperibili come la pietra, invece del calcestruzzo. Non vi era metallo nelle loro strutture portanti, al contrario del nostro cemento armato che, se possiamo dire, ‘porta la morte dentro’. La cosiddetta ‘carbonatazione del cemento’, ovvero la reazione chimica provocata dal contatto con l’anidride carbonica, provoca fessurazioni all’interno della struttura nelle quali penetra l’acqua piovana. Così il ferro, già provato dalla fatica meccanica cui è sottoposto, si arrugginisce e, oltre a perdere le sue proprietà di resistenza e resilienza, si rigonfia e in certi casi spacca il cemento. Vi è poi il fenomeno della corrosione galvanica: le cosiddette ‘correnti parassite’, che si propagano per l’armatura metallica, erodono elettroliticamente il ferro, tanto che oggi si parla di ‘Protezione catodica’ per ridurre gli effetti del fenomeno tramite alcuni dispositivi elettrici. Tutto questo non avveniva nei ponti romani che tra l’altro, si avvalevano di un’architettura fondata sull’arco e non sull’architrave, come la nostra. In tal modo, le costruzioni romane lavoravano sempre per compressione, e mai per trazione”.
L’amica Alessandra Giusti mi invia questo articolo sull'argomento:
Già nel 2010 si sapeva che il Ponte Morandi aveva un difetto di progettazione ed era a rischio crollo
23 maggio 2023
Gianni Mion, ex Ad della holding dei Benetton Edizione ed ex consigliere di amministrazione di Aspi e della sua ex controllante, Atlantia, ha rilasciato dichiarazioni molto pesanti al processo per il crollo del Ponte Morandi, del 14 agosto 2018 (43 morti) parlando di incompetenza e sottovalutazione del rischio. Parole che fanno riflettere non solo sulla tragedia del Ponte Morandi, ma anche sulla sicurezza attuale della nostra rete di ponti, spesso non sufficientemente monitorata.
LA SICUREZZA? “CE LA AUTOCERTIFICHIAMO”
Mion si riferisce a una riunione del 2010 alla quale avrebbero partecipato con lui Giovanni Castellucci (Ad di Aspi), Gilberto Benetton (deceduto due mesi dopo il crollo del Ponte Morandi), il collegio sindacale di Atlantia, Riccardo Mollo (direttore generale di Aspi) oltre a tecnici e dirigenti di Spea:
“Emerse che il Ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo. Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose ‘Ce la autocertifichiamo’. Quella risposta mi terrorizzò… Castellucci era presente e non disse nulla… Era un accentratore forsennato, si occupava di ogni dettaglio. Non dissi nulla. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico”.
Gianni Mion
Dopo queste frasi, l’avvocato Giorgio Perroni, che difende l’ex direttore del Primo tronco di Autostrade, Riccardo Rigacci (indagato insieme a altre 58 persone), ha chiesto di sospendere l’esame di Gianni Mion e di indagarlo (cosa che renderebbe nulla la sua deposizione).
Il procuratore di Genova Nicola Piacente vedrà se ci sono i presupposti per indagare Gianni Mion, storico braccio destro della famiglia Benetton. Sono dichiarazioni che sembrano confermare quanto già emerso dalle intercettazioni disposte dalla Procura di Genova dopo il disastro, dove Mion parlava di “inettitudine” e “mancata presa di coscienza” da parte dei Benetton.
I PARENTI DELLE VITTIME
Immediata la reazione del Comitato Parenti Vittime Ponte Morandi: “Una persona con il suo ruolo non poteva stare zitta. Anche perché le parole pronunciate oggi non fanno che confermare quanto fosse approfondita la conoscenza dello stato del ponte da parte di chi avrebbe dovuto prendere decisioni sulla sua chiusura e sulle manutenzioni”.
Continuo con il discorso sui ponti, e già che ci siamo, pensiamo a quell’idea che il Governo non riesce a cancellare dalla mente: la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Credo che sia un passo DA NON FARE!! Esprimo le mie ragioni. Forse chi sostiene questo progetto, non ricorda che la zona è a rischio terremoti. Ha dimenticato che nel 1908 vi fu quella immane tragedia causata dal sisma. Alle 5.20 del 28 dicembre 1908 una violenta scossa di magnitudo 7.2 colpisce la Sicilia orientale e la Calabria meridionale. L’evento rappresenta una delle più gravi catastrofi sismiche verificatesi in Italia. Il sisma distrugge quasi completamente le città di Messina e Reggio Calabria e provoca danni molto gravi su un’area di circa 6mila chilometri quadrati. La maggior parte della popolazione è sorpresa dal terremoto nel sonno. Il numero delle vittime è stimato intorno alle 80mila persone.
I danni sono in gran parte causati dalla scarsa resistenza dei terreni di fondazione e dalla scadente qualità delle costruzioni. A Messina il terremoto colpisce con particolare violenza il nucleo storico e la zona costiera della città. Importanti edifici sono rasi al suolo, tra cui la famosa “Palazzata”, la sequenza di fabbricati lungo il porto già distrutta e ricostruita dopo il terremoto del 1783.
Circa dieci minuti dopo la scossa segue una devastante onda di maremoto che travolge entrambe le coste dello Stretto. Lo tsunami aggrava enormemente le distruzioni provocate dal terremoto e provoca nuove vittime tra le persone sopravvissute ai crolli che, proprio correndo verso il mare, cercavano una via di salvezza. Le vie di comunicazione sono impraticabili, le strade e le ferrovie distrutte, le linee telegrafiche e telefoniche interrotte anche a causa della rottura dei cavi sottomarini provocata dallo tsunami.
Gli effetti del terremoto condizionano per anni l’economia e le dinamiche demografiche delle aree colpite, interessate prima da un momentaneo spopolamento poi da un flusso migratorio alimentato dalla richiesta di manodopera per la ricostruzione.
Il drammatico evento del 1908 segna l’inizio dell’azione dello Stato per la riduzione degli effetti dei terremoti, attraverso l’introduzione della classificazione sismica del territorio nazionale e l’applicazione di specifiche norme per le costruzioni. È del 1909, infatti, il primo Regio Decreto che introduce norme valide per l’intero territorio nazionale.
Questa tragedia ha colpito anche i nonni di mio marito, che erano giovani sposi con due bimbi piccolissimi. Sono riusciti a salvarsi, ma avevano perso tutti i loro averi, casa compresa. Se fossero morti, io non avrei conosciuto il mio coniuge perché non sarebbe nato neppure suo padre, che venne alla luce due anni dopo il terremoto.
Tenuto bene in mente quanto accaduto allora, non si creda che non debba succedere di nuovo. La zona è sismica, e costruire un ponte lì, è davvero un rischio che bisognerebbe non sottovalutare.
In questo periodo, l’Emilia-Romagna è stata sommersa da alluvioni dovute all’esondazione dei fiumi, quindi sarebbe bene investire in opere di contenimento degli stessi, e non solo in Emilia-Romagna, ma ovunque scorrono corsi d’acqua che si possono ingrossare e quando superano gli argini, invadono paesi e città. Il costo dei danni è notevole, penso più alto di quello che si deve affrontare per arginarne il flusso. Quindi, ritengo che esistano priorità da seguire, e per ora - meglio per sempre – dimenticare il progetto riguardante il Ponte dello Stretto. Da quanto leggo, credo che neppure i calabresi e i siciliani desiderino tale spreco. Se si sono sempre spostati con aerei o con traghetti, non vedo una reale necessità di impiegare enormi investimenti per qualcosa della quale si può fare a meno. Chiedo al Governo di preoccuparsi per i danni che avvengono causa frane a seguito dello straripamento dei corsi d’acqua e porvi immediato rimedio. Il Ponte sullo Stretto non è urgente. Se pensate che lo studio del progetto, e la realizzazione del ponte darà lavoro a una moltitudine di persone, tra ingegneri e manodopera, potete impiegare la stessa forza lavoro per la realizzazione del rafforzamento degli argini o convogliare le acque in maniera sicura, evitando disastri come quelli che accadono più frequentemente di quanto si creda. Conto sull'intelligenza degli italiani, conto sul buon senso del Governo, affinché si dia la priorità laddove è necessaria e urgente! Mi pare che i segnali siano chiari, di dove occorre dirigere l'attenzione e il proprio operato in questa splendida Italia così ferita!
Danila Oppio - Alessandra Giusti
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