L’hacker e la sua
cultura
a cura di Silvio Coccaro, MD
È a partire dal 1945 circa, con la costruzione
del computer ENIAC, che alcuni programmatori, in origine fisici od ingegneri,
si resero conto che la loro esperienza informatica si era tramutata non solo in
una professione, ma soprattutto in una passione.
Negli anni 60 questa cultura mosse i passi
successivi nel Tech Model Railroad
Club e nell’Artificial Intelligence Laboratory, entrambi del Massachusetts Institute of Technology, ad opera di
programmatori e progettisti che amavano affrontare creativamente le sfide
intellettuali, rappresentate dai limiti dei sistemi software, per raggiungere
orizzonti nuovi ed intelligenti. Definirono come «hacking» la programmazione svolta con gioia e
con curiosità. Ciò si inquadrava bene anche con gli scherzi degli studenti del
MIT atti a dimostrare la loro competenza scientifica e la loro intelligenza.
Secondo Richard Stallmann essi erano attratti principalmente dall'amore per la
programmazione eccellente: «Guarda com'è
meravigliosa! Scommetto che non la ritenevi realizzabile!» Questo tipo di cultura
era diffusa anche nei campus universitari dell'Università della California a
Berkeley e della Carnegie Mellon. Questi hacker, diremmo autentici, si
differenziano da quelli che con termine dispregiativo sono definiti «cracker», cioè da coloro che sfruttano
per scopi malevoli le vulnerabilità dei sistemi informatici.
Nel film War Games [1983] fu sceneggiata
un'intrusione informatica nel NORAD [North American Aerospace Defense Command] che fece
sorgere nell'opinione pubblica americana l’apprensione per una minaccia effettiva
alla sicurezza nazionale. Questa preoccupazione assunse maggiore consistenza
allorché una banda di adolescenti di Milwaukee, Wisconsin, conosciuta come «The
414s», irruppe nei sistemi informatici americani e canadesi quali il Los Alamos
National Laboratory, lo Sloan-Kettering Cancer Center e la Pacific Bank. Newsweek pubblicò una copertina dal titolo «Beware: Hackers at play», accompagnato dalla foto di Neal
Patrick, il portavoce della banda. Questo sembra essere il primo impiego
peggiorativo della parola hacker da parte dei mass media.
I cracker a loro volta si dividono in «buoni» o «White hat» che ricorrono alle loro
competenze e conoscenze per scoprire e correggere a scopi difensivi le falle di
sicurezza dei sistemi informatici e «cattivi»
o «Black hat» che usano le stesse abilità per creare software dannosi
(quali virus, cavalli di Troia, worm e rootkit) per potersi infiltrare illegalmente con
intenzioni malevole nei sistemi prescelti. I «Grey hat», invece, operano per divertirsi o per conoscere allo scopo di
correggere o sfruttare le vulnerabilità, solitamente non per trarne vantaggi
economici. In genere non sono pericolosi ma talora possono essere contigui ai «Black hat».
Nella galassia dei «cracker» gli «Script kiddie» sono quelli non particolarmente qualificati
che si basano principalmente sulla fortuna, i «Phreak» sono invece più esperti e i «Warez d00dz», violano le
protezioni dei software shareware o programmi «prova per poi comprare» ricorrendo alla Reverse Engineering ovverosia alla decompilazione degli eseguibili.
Gli hacker hanno anche un’etica, originata
al MIT e all'Homebrew Computer Club e
stigmatizzata così da Steven Levy nel libro «Hackers: Heroes of the Computer Revolution»:
·
L'accesso ai computer ed alle informazioni dovrebbe essere
illimitato.
·
Gli hacker dovrebbero essere valutati per il loro hacking e non per i gradi, per l'età o per la
razza.
·
È possibile creare opere d’arte sul computer.
·
I computer possono migliorare la nostra vita.
Dalla metà degli anni '90, i «White hat hacker» attivi contro il crimine, noti come
Cyber Angels, esplorano
continuamente il Web per combattere la pornografia infantile e il cyber stalking.
A volte, invece, i cracker vengono
assunti legalmente nelle amministrazioni pubbliche o nell’industria. Infatti, come
esempio di ciò, segnaliamo che la NSA ovverosia la National Security Agency offre la certificazione CNSS 4011 che riguarda
tecniche di «hacking» sia metodiche che etiche e la gestione dei team. Gli
attaccanti sono i team «rossi», i difensori sono i team «blu». Nel DEF CON del
2012, l'Agenzia informò i candidati che «se
avete alcune pecche a vostro carico, non allarmatevi,
non dovreste presumere che automaticamente non sarete assunti».
Quindi la cultura hacker è figlia della curiosità
intellettuale ma rappresenta anche il rifiuto di qualsiasi tecnologia non
accessibile e non gestibile autonomamente in quanto non si avrebbe la piena
proprietà di un bene acquistato se poi non si può, in caso di necessità,
ripararlo se vi sono segreti a suo riguardo.Silvio Coccaro
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