Le origini tortuose
dell’elettroencefalografia
Il dottore Hans Berger, in servizio nell’esercito prussiano in qualità
di ufficiale, un giorno ricevette dalla sorella una lettera in cui lei riferiva
di averlo visto in sogno cadere da cavallo e fratturarsi una coscia. Fatto che
puntualmente era avvenuto in precedenza, mentre la missiva non era stata ancora
recapitata. L’ufficiale pensò subito che una tale coincidenza di fatti non
fosse spiegabile se non con la telepatia, una forma misteriosa di comunicazione
del pensiero tra persone lontane.
Al termine del servizio militare, gli fu conferita la cattedra di
Neuropsichiatria presso l’Uni
versità
di Jena, dove si dedicherà allo studio dell’attività elettrica encefalica per
tutto il resto della sua vita.
Ma il suo vero interesse era la telepatia e voleva dimostrare che le
forze elettromagnetiche conseguenti all’attività elettrica del cervello umano
potevano spiegarla. Poiché essa era considerata giustamente poco ortodossa e
perciò era malvista, egli condusse i suoi esperimenti di laboratorio in gran
segreto.
Analizzò i propri segnali cerebrali, poi quelli di suo figlio ed
infine quelli di alcuni pazienti con lesioni delle ossa craniche. Dapprima escluse
che questi segnali potessero essere artefatti di origine ematica, poi dimostrò
che l’attività elettrica era maggiore nell’area occipitale allorché
l’esaminando chiudeva gli occhi.
Quindi riconobbe due ritmi: le onde alfa (denominate così perché
furono le prime che scoprì) e poi le onde beta. In un articolo del 1929 scrisse
che l’attività elettrica registrata era continua e si potevano distinguere due
tipi di onde: una che durava 90 millisecondi ed un’altra che ne durava solo 35.
Le deflessioni più lunghe nel tempo avevano un’ampiezza di 150 – 200 mVolt.
Tutto
questo, invece di confermare la sua fede in merito alla telepatia, la smentì clamorosamente
in quanto i potenziali cerebrali sono talmente piccoli da non poter essere
percepiti da un altro cervello e richiederebbero l’interposizione di un
conduttore con una bassissima resistenza, certamente non l’aria.
Ma le sue ricerche produssero, inaspettatamente, un risultato
straordinario. Aveva dato origine all’elettroen-cefalografia, ossia alla
tecnica di registrazione ed analisi dell’attività elettrica del cervello!
L’elettroencefalografia misura mediante elettrodi posti sul capo
l'attività elettrica del cervello, che è a sua volta la somma di quella di ogni
singolo neurone. Poiché tali potenziali misurano pochi mV, essi devono
essere notevolmente amplificati (circa un milione di volte). Il tracciato che
se ne ricava consente di valutare se nelle varie aree cerebrali l’attività
elettrica è normale oppure no. Gli impieghi di questa metodica riguardano: i
disturbi di tipo epilettico, le lesioni tumorali o circolatorie, le malattie
degenerative, le alterazioni metaboliche, i vari tipi di coma, il monitoraggio
dei farmaci neurologici, le cefalee, gli esiti di traumi cranici, l’uso di
droghe psicoattive, lo studio del sonno e del sogno e l’accertamento della morte
cerebrale (EEG piatto), specialmente per stabilire quando si può procedere all’espianto
degli organi da destinare al trapianto.
Un importante risultato degli studi elettroencefalografici è il fondamento
che l’attività elettrica dei neuroni, lungi dall’essere un rumore di fondo, è
in realtà la fonte delle nostre capacità cognitive e capirne il cinguettio
corale sicuramente getterà una luce vivida su come cervello e mente sono
correlati.
Così, partendo dalle sperimentazioni sulla telepatia, siamo giunti
all’essenza della natura umana: il pensiero e alla vita che ne deriva!
Silvio Coccaro
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