POETANDO

In questo blog raccolgo tutti gli scritti, poetici e in prosa, disegni e dipinti di mia ideazione. Recensioni stilate da me e da altri autori. Editoriali vari. Pubblico poesie, racconti e dialoghi di vari autori.Vi si possono trovare gallerie d'arte, fotografie, e quant'altro l'estro del momento mi suggerisce di pubblicare. Sulla banda destra della home page, appaiono i miei e-book poetici ed altre sillogi di alcuni autori. Così come le riviste online de L'Approdo e de La Barba di Diogene, tutto si può sfogliare, è sufficiente cliccare sulla copertina. Aggiungo che , sempre nella barra a destra della home page ci sono mie video poesie, con sottofondo musicale. E' sufficiente cliccare sull'immagine per ascoltare testo e musica, direttamente da YouTube. Tutte realizzate dalla eclettica Anna Montella., Ci sono poi i miei libri scritti nel corso di circa 10 anni. Buona lettura e buon ascolto!

mercoledì, marzo 24

UN'ALTRA VITA di RENATA RUSCA ZARGAR




UN’ALTRA VITA

di Renata Rusca Zargar

 
Il racconto che segue ha ottenuto la Targa del Sindaco della città di Ascoli Piceno e la pubblicazione gratuita sull’Antologia omonima al Premio Letterario Nazionale “Città di Ascoli” edizione 2020
 
Fulvia sarebbe andata sposa a Giuseppe la domenica seguente. La mattina presto avrebbero raggiunto la chiesa dove sarebbero diventati marito e moglie, quindi, lei sarebbe andata a vivere nell’abitazione di lui, non molto lontana da Asculum. Giuseppe era un bel giovane, la sua famiglia possedeva una casetta con una discreta quantità di campi dove lui e i fratelli coltivavano un po’ di tutto, legumi, cereali, ortaggi, e avevano persino alcuni alberi di olivo.
Per questo, Fulvia era molto contenta. Finalmente, si sarebbe trasferita più vicina alla città invece che là, sperduta sulla collina, dove viveva con suo padre, a ben quattro ore di cammino dall’abitato! La sua famiglia, infatti, allevava pecore e capre e, lassù, non si vedeva mai nessuno. Era stato un caso fortunato che Giuseppe fosse andato a caccia proprio da quelle parti. Quel giorno, come al solito, lei aveva portato il gregge al pascolo e stava, in mezzo alla radura, seduta su una pietra a filare della lana.
- Non bisogna mai perdere tempo! - l’ammoniva sempre suo padre. Così, lei si dava da fare, anche perché se non avesse mostrato il lavoro fatto, la sera, le avrebbe prese.
Il sole dava riflessi di fuoco ai suoi capelli e la sua pelle candida, nonostante la vita all’aria aperta, la faceva sembrare una principessa. Giuseppe, dunque, l’aveva notata, bella e lavoratrice, anche se non le aveva neppure parlato. Però, era tornato un’altra volta e le aveva chiesto se fosse già sposata o promessa a qualcuno.
- No, ho solo quattordici anni. Ma mio padre mi farà sposare nella prossima primavera.
- Con chi vi farà sposare?
- Non lo so, non me l’ha detto, penso che sarà un pastore come noi.
- Sarete contenta?
-Non lo so.
- Non vi piacerebbe vivere più vicina alla città, vedere gente, non essere sola in aperta campagna?
- Certo che mi piacerebbe! Ma la nostra vita è questa. Scendiamo in città solo per i matrimoni, i battesimi e i funerali. 
Giuseppe, qualche giorno dopo, era andato dal padre e l’aveva chiesta in moglie. Il contratto era stato concluso in fretta con uno scambio di prodotti: qualche animale (pochi) avrebbe seguito la sposa, molti sacchi di legumi e granaglie, più un’anfora di olio, sarebbero andati alla famiglia sui monti. Un notevole beneficio per i pastori. Invece che sborsare la dote, infine, ci avevano guadagnato. Ma quel giovane, Giuseppe, voleva la ragazza a tutti i costi!
Ormai, mancava poco al matrimonio, solo quattro giorni, e Fulvia contava addirittura le ore. Sarebbe diventata una contadina e avrebbe fatto una vita molto migliore di quella che conduceva là, tra i monti. Inoltre, Giuseppe le piaceva molto e, quando l’aveva baciata, nel bosco, ella aveva provato una strana felicità.
Era ormai giovedì. Il sacco con le sue poche cose era già pronto, vicino c’era appoggiato un abito pulito e non molto consunto che avrebbe indossato per la cerimonia. Forse, Giuseppe le avrebbe comprato un abito nuovo, chissà. Ma non importava, prima o poi avrebbe avuto degli altri indumenti perché la sua vita sarebbe stata magnifica. Giuseppe le aveva raccontato della casetta dove lei avrebbe abitato con lui, dei campi fertili di prodotti, dei fratelli, delle cognate, della chiesa non molto lontana dove andare la domenica a messa. La stessa dove sarebbe diventata sua moglie. Non le sarebbe mai mancato nulla.
Intanto che pensava sorridendo tra sé e sé alla sua fortuna, aveva sentito gli zoccoli di un cavallo e, davanti a lei, era apparso un cavaliere armato fino ai denti. Egli si era fermato a osservarla.
- Come ti chiami, donna?
- Fulvia.
- Abiti da queste parti?
- Sì.
- Bene. Ti porterò con me nella mia grande casa. Sarai la mia donna.
- Non è possibile, tra tre giorni mi sposerò.
- Ah, sì? E con chi?
- Con Giuseppe, un contadino.
- Che cosa vuole tuo padre per darti, invece, a me? Ti comprerò. 
L’uomo aveva gettato qualche moneta al padre di Fulvia, l’aveva caricata sul cavallo e l’aveva portata via con sé immediatamente.
Nessuno avrebbe osato opporsi ai conquistatori. Quello, poi, aveva pure pagato!
Adalulf, il guerriero, l’aveva, così, condotta in città, ad Ausculum, dove egli aveva occupato un’abitazione a due piani. Per Fulvia quello era un palazzo enorme se paragonato alla casupola nei boschi. Quando c’era da prendere l’acqua, lassù, tra i monti, era lei a dover trascinare un secchio dal fiumiciattolo su per un lungo sentiero in salita. Ora, aveva a sua disposizione dei servi che si occupavano di tutto. Inoltre, poteva indossare abiti e gioielli. Ne aveva trovati tanti nella nuova casa; forse, erano appartenuti a una gran dama e ora erano tutti suoi.
Fulvia, anche se sentiva un pochino di rimpianto per Giuseppe, era ben contenta di essere diventata la signora di quel bel Longobardo.
- Sono rimasto colpito dai tuoi capelli rossi e dai tuoi occhi neri. 
 Le diceva lui accarezzandosi la lunga barba chiara. 
- Sei ancora più bella delle donne del nostro popolo e presto mi darai dei figli guerrieri dai capelli rossi come i tuoi. 
Intanto, le porgeva un gioiello da indossare per lui. Poi, l’abbracciava stretta e Fulvia si sentiva la donna più affascinante e amata del mondo.
Infine, Adalulf usciva a cavallo con la spada e il sax appesi alla cintura, lo scudo in una mano e l’elmo calcato sulla testa. Sapeva usare molto bene le armi per tenere a bada il popolo sottomesso e aveva un aspetto assai feroce. Allora, lei si cambiava d’abito accarezzando con piacere il broccato della gonna mentre osservava nello specchio la parure di orecchini e collana in oro e vetro che la rendevano una vera signora. Poi, usciva a passeggiare per le strade della città. Non era più una miserabile pastora ma una vera dama elegantissima.
Una domenica mattina, in chiesa, con la coda dell’occhio, aveva scorto Giuseppe. Per un attimo, si era sentita a disagio ma poi aveva riflettuto. Non era colpa sua: era stata scelta da un Longobardo e nessuno poteva opporsi.
Infine, Fulvia amava quel gigante con la lunga barba bionda, dalla forza straordinaria.
 
 
Adriano tornava ogni giorno a casa dall’Università con le guance arrossate. Raccontava al fratello Leone, di qualche anno più giovane, di quel nuovo insegnante: – Sa tutto! Discute di qualsiasi soggetto, non ha paura delle nostre domande. Inoltre, sta scrivendo un’opera in rima, L’Acerba etas, un manuale scientifico dove tratta delle sue concezioni politiche ma pure delle scienze naturali e dell’astrologia. Ci parla dei cieli, delle loro influenze, dell’anima, delle pietre, degli animali, di tutti i fenomeni.
- Cosa vuol dire Acerba?
- L’età Acerba è quella sulla terra, in contrasto con quella vera che è dopo la morte.
- Va bene, questo non è un concetto nuovo.
- Si, ma egli scrive questo trattato in endecasillabi. È bravissimo! Fa tutto ciò per lasciare la sua dottrina a noi allievi!
- Mi sembra che tu esageri: gli insegnanti dell’Università sono tutti competenti e preparati, che ha questo di così diverso? – rispondeva Leone.
- Dice sempre che con il sapere si acquista fama e la fama trionfa sulla morte, insiste che il principio di ogni bene è la conoscenza. Ha studiato medicina e scienze naturali a Salerno e a Parigi! È stato persino medico pontificio ad Avignone. 
Lisa ascoltava queste discussioni e non diceva mai nulla. Non erano cose per lei. Presto sarebbe andata sposa e avrebbe dovuto occuparsi della sua nuova casa.
- Sai che la luna ispira i sogni premonitori? – insisteva Adriano.
- Mah, chi lo sa! Tu hai avuto dei sogni premonitori? Io no. – lo prendeva in giro Leone.
- Cecco è un grande astrologo. Ha fatto l’oroscopo di Bologna e l’ha definita lussuriosa e lasciva perché ha l’ascendente Toro.
- Non mi sembra un’idea felice. Non solo susciterà su di sé tanto odio tra i Bolognesi ma potrebbe attirare la contrarietà della Chiesa. Che sarebbe molto pericolosa!
- Si, hai ragione, io temo per lui. Anche perché non si è limitato a parlare delle città, ha detto persino che il destino di Gesù è dovuto anche ai pianeti della sua nascita, cioè è determinato dall’oroscopo. L’ascendente Bilancia è compatibile con la sua morte e, avendo avuto il Capricorno nell’angolo della Terra e lo Scorpione in secondo grado, è nato in una stalla e non poteva essere che povero.
- Troppo rischioso! Il tuo Cecco sta camminando sul bordo di un dirupo e può precipitare da un momento all’altro. 
Lisa, fingendosi occupata in qualche piccola mansione, rimaneva sempre vicino ai fratelli per poter ascoltare. Era molto incuriosita da quelle parole, avrebbe voluto sapere come fosse quella persona, giovane o vecchia, piacente o brutta, ma certo non poteva chiedere. Una fanciulla della buona società non faceva certi discorsi.
- Cecco dice che l’istinto vince sull’abitudine. Ci ha raccontato, proprio ieri, che Dante Alighieri avesse ammaestrato un gatto a reggere una candela per fargli luce mentre egli studiava. Allora, Cecco aveva liberato due topi davanti al gatto stesso e quello, lasciata la candela, era corso dietro ai topi. Proprio perché l’istinto è più forte di tutto e il gatto non può essere addomesticato da una consuetudine. 
Adriano rideva, raccontando l’episodio ed era riuscito a strappare un sorriso persino a Leone.
Qualche volta, Lisa andava a passeggiare in compagnia della governante di casa. Allora, una mattina, con un po’ di astuzia, era riuscita a farsi accompagnare proprio davanti all’università. Alcuni studenti stavano uscendo in gruppo e Lisa si era finta interessata a vedere se ci fosse il fratello. C’era e non era solo! Ecco il famoso Cecco d’Ascoli che conversava con i suoi affezionati discepoli. Era un uomo dalle fattezze severe, non più giovane. Eppure, gli studenti l’adoravano, pendevano dalle sue labbra. Egli, infine, aveva alzato gli occhi e l’aveva guardata. Per qualche istante, era sembrato che un’ombra gli passasse davanti. Lisa, tremando, aveva ripreso la via di casa.
Non era riuscita a trovare pace per tutta la notte, e solo in qualche breve momento si era appisolata. Così, l’aveva sognato: egli le veniva vicino, le sorrideva, ma un’altra immagine, che non riusciva a vedere bene, si sovrapponeva al suo volto.
Infine, era giunto il mattino e si era preparata per uscire. Di nuovo, era arrivata vicino all’Università proprio nell’ora in cui era finita la lezione e tutti tornavano a casa. Eccolo, Cecco, l’astrologo che era entrato tanto prepotentemente nei suoi pensieri. Qualcuno lo chiamava mago. Ma cosa voleva ella da lui? Era solo una fanciulla ignorante, lui, invece, uno studioso dal carattere aspro e dalla vita complicata. Eppure, quel suo corpo severo coperto dalla lunga veste, quel viso consumato dagli studi e dagli anni, l’attraevano con una forza che non sapeva spiegare neppure a sé stessa. Nessun giovane uomo le aveva mai dato tanto turbamento.
Cecco l’aveva guardata ancora: non un sorriso era apparso agli angoli delle sue labbra ma solo uno sguardo triste e rassegnato.
A casa, chiusa nella sua stanza, Lisa aveva pianto senza comprendere il motivo di tanta tristezza, fino a quando, sfinita, non si era addormentata.
Ancora l’aveva sognato che le sorrideva. Poi, di nuovo, un’altra immagine, un uomo con la barba, sembrava sovrapporsi e lei si svegliava di soprassalto.
- All’università hanno iniziato a dire che Cecco si sia messo contro la religione, che sia un eretico perché sostiene che le posizioni in cielo degli astri regolino le scelte degli uomini e di tutte le creature visibili e non visibili dell’universo. Dicono che questo tipo di astrologia sia malvagia. 
Adriano era molto triste.
- È meglio che tu non frequenti più le lezioni di quell’uomo, penso sia davvero imprudente anche per te. La Chiesa non potrà accettare quello che dice perché significa che non esista il libero arbitrio, quindi, annullerebbe anche il concetto di redenzione.
- Mi sembrava che le sue argomentazioni fossero ragionevoli e giuste. Noi tutti ci siamo fidati di lui…
- Vi ha plagiato tutti. Invece, io penso che sia uno spregevole mago! In più, ho sentito dire che abbia avuto una passione insana per un discepolo. – si accaniva Leone.
- L’ho sentito anch’io ma non credo sia vero. Il maestro ci ama tutti, perché ama insegnare, vuole formare la nostra mente, farci essere uomini di ragione.
- Dicono che si sia vantato addirittura della storia con una monaca!
- Non credo neppure quello. Egli è tanto assorbito dai suoi studi! Saranno provocazioni dei suoi nemici. 
Lisa ascoltava quelle parole e si sentiva morire. Passione per un discepolo? Per una monaca? Cosa voleva dire? Non poteva neppure parlarne con qualcuno. Guai se avessero saputo del suo interesse per quell’uomo. E poi che tipo di interesse era il suo? Neppure lei lo capiva. Solo doveva andare là, ogni giorno, passare davanti all’Università per vederlo, almeno per un attimo. Guardare i suoi occhi tristi, poi, tornare a casa e sognarlo.
 
Ormai, Francesco Stabili, Cecco d’Ascoli, non era più a Bologna, non insegnava più. Era stato condannato e se n’era andato a Firenze.
“Non sarà a lungo. – le aveva rivelato in sogno- presto dovrò lasciare questa vita acerba. Non piangere per me. È necessario. Subirò una grande ingiustizia a causa del mio amore per la sapienza.”
- Sapete che il maestro Cecco è stato condannato a Firenze dall’Inquisizione e sarà bruciato sul rogo? – aveva annunciato, dopo qualche tempo, Adriano.
-Ti avevo detto che era azzardato frequentarlo! Meno male che se n’era andato. – aveva risposto subito Leone.
Lisa si era sentita svenire. Dunque, quello che lui le aveva spiegato in sogno era tutto vero.
“Dovevo farlo, Lisa, dovevo dare la mia vita per la scienza e l’astrologia. Un giorno, gli uomini capiranno e il mio nome non morirà mai. Abbi fiducia in me. Il mio insegnamento sopravviverà, non finirà sul rogo con me. Non piangere.
Non  può morir  chi  al saver  s’è  dato, / Nè  vive   in   povertate   né  in  difetto, / Nè  da  fortuna   può  essere   dannato; /  Ma  questa  vita  e l’altro mondo  perde / Chi  del  savere   ha   sempre   dispetto / Perdendo  il  bene  dello  tempo  verde. /  Chi perde il tempo e virtù non acquista, / Com’  più  ci  pensa, l’alma più s’attrista.”[1]
 
- L’ho detto, l’ho insegnato, lo credo! – aveva gridato, infine, Cecco sul rogo.
- Si dice che abbia ricevuto dal diavolo il Libro del Comando sugli spiriti infernali! A morte! A morte! – urlava, invece, la folla inferocita.
- A morte! Che torni al demonio!
- Bruciate tutti i suoi libri con lui!
- Nessuno dovrà mai leggerli, sono del demonio!
- Ha fatto seccare delle fonti di acqua purissima!
- Ad Ausculum, un ponte è stato costruito in una sola notte! Il diavolo l’ha fatto per lui!
- Certo, perché lui volava per raggiungerlo al lago di Pilato! Là, dove le acque sono rosse del sangue di Pilato, insieme a streghe e fate malefiche dalle zampe caprine, egli praticava sacrifici umani!
- Assassino! A morte!
- Che bruci in eterno nell’inferno! 
Tra la folla furibonda, c’era anche una ragazza silenziosa coperta da un mantello nero. A lei si era rivolto l’ultimo sguardo di Cecco.
“Non credere mai a nulla di quanto hai sentito e sentirai su di me. – le aveva sussurrato, poi, in sogno – Non ho mai avuto alcun rapporto con il diavolo. La mia anima è pura. Tornerò da te, avremo un’altra vita insieme e saremo felici. In questo tempo, non poteva essere che così. Ma tu non mi dimenticherai e io ti rimarrò vicino.”
Finalmente, l’immagine che si sovrapponeva nei suoi sogni a quella di Cecco era chiara. Era il bel Longobardo!
“È nato nostro figlio! -aveva esultato allora – Si chiamerà Gisulf e sarà un guerriero.”
Adalulf, mentre parlava, l’abbracciava stretta ma, in verità, non era lui, era Cecco! E lei era stata Fulvia!
“Siamo vissuti insieme in un altro tempo e siamo stati molto felici. - le aveva spiegato allora Cecco - Questa volta, è andata così. Ma siamo legati, oltre questa vita. Ci ritroveremo e saremo di nuovo insieme. I nostri destini sono intrecciati per sempre.”
 
 
PER COMPRENDERE MEGLIO:
La storia d’amore dei due personaggi principali si svolge in due epoche storiche diverse.
Alla fine del Cinquecento, Fulvia, una bellissima ragazza ascolana, diventa compagna del guerriero longobardo Adalulf.
Nei primi anni del 1300, Lisa, una fanciulla bolognese, sente parlare di Cecco d’Ascoli dal fratello che ne segue le lezioni all’Università. Prova per lui una profonda attrazione, nonostante la differenza d’età.
Dopo la sua fine sul rogo, Cecco le farà capire, in sogno, che essi sono stati, in passato, Fulvia e Adalulf e che si reincarneranno ancora in un secolo futuro.
L’amore e la comprensione tra le anime, infatti, sono eterni e tornano a rivivere sulla Terra fino alla fine dei Tempi.
[1] L’Acerba ver.1177-1184
(Ediz. G. Cesari Ascoli Piceno 1927- curata dal Prof. Dott. Achille Crespi)
 

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